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Full text of "Lingua e dialetto nell'Italia del Duemila"

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Alberto  A^  Sobrero  e  Annarita  Miglietta 


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SOCIOLINGUISTICA  E  DIALETTOLOGIA 

Collana  diretta  da  A.  Sobrero 
10 


LINGUA  E  DIALETTO 

NELLITALIA  DEL  DUEMILA 


a  cura  di 
Alberto  A.  Sobrero  e  Annarita  Miglietta 


CONGEDO  EDITORE 
2006 


Volume  pubblicato  con  i  contributi 

del  Dipartimento  di  Filologia  Linguistica  e  Letteratura 
dell'Università  degli  Studi  di  Lecce 

del  Dipartimento  di  Scienze  del  Linguaggio 
e  Letterature  Moderne  e  Comparate 
dell'Università  degli  Studi  di  Torino 

del  Dipartimento  di  Filologia  Moderna  "Salvatore  Battaglia" 
dell'Università  degli  Studi  di  Napoli  Federico  II 


ISBN  8880867024 


Tutti  ì  diritti  riservati 


CONGEDO  EDITORE  2006 


A  mo'  di  introduzione 

Gaetano  Berruto  (Torino) 


Il  compito  che  mi  spetta  in  questa  circostanza,  di  inquadrare  con  qual- 
che parola  di  envoi  l'insieme  dei  lavori  qui  raccolti,  e  di  trarre  un  bilancio 
provvisorio  cercando  di  suggerire  il  significato  complessivo  che  può  ave- 
re avuto  il  progetto  di  ricerca  di  interesse  nazionale,  condotto  nel  2002- 
2003  su  cofinanziamento  del  Miur  e  delle  Università  di  Lecce.  Napoli 
'Federico  IF,  Roma  Tre  e  Torino  su  "Lingua  nazionale  e  dialetto  in  Italia 
all'inizio  del  Terzo  Millennio"  (prot.  COFIN  2001,  num.  2001101283),  di 
cui  sono  stato  coordinatore  e  del  cui  convegno  conclusivo  questo  volume 
costituisce  gli  atti,  di  solito  sa  di  routine.  Tale  routine  stavolta  mi  giunge 
però  particolarmente  gradita,  sia  per  l'interesse  evidente  delle  questioni 
che  sono  state  dibattute  a  fine  maggio  2004  nel  congresso  di  Procida,  sia 
perché  è  sempre  una  sfida  intellettuale  coinvolgente  il  rendersi  conto  che 
esistono  tante  cose  ancora  da  studiare  e  capire  meglio  anche  in  un  campo 
che  pur  si  vuole  molto  battuto.  Sembrerebbe  infatti,  di  primo  acchito,  che 
sui  rapporti  fra  lingua  nazionale  e  dialetto  in  Italia  si  sia  detto  ormai  tutto. 
Ma  in  realtà  la  polimorfia  delle  diverse  situazioni  regionali  è  tale  che  ri- 
sulta molto  difficile  ricavarne  un  modello  passabilmente  unitario  che  in- 
globi tratti  comuni  per  così  dire  ad  alta  definizione  e  valga  nella  stessa 
misura  per  tutta  la  comunità  parlante  italofona.  In  effetti  questo  è  già  un 
primo  risultato  del  progetto  di  ricerca,  la  conferma  di  una  irriducibile  di- 
versità di  fondo  nelle  concrete  situazioni  regionali,  o  meglio  subregionali, 
che  sono  state  studiate  dalle  diverse  unità  operanti  sul  campo. 

Vediamo  anzitutto  nelle  sue  linee  principali  il  percorso  secondo  cui  si 
è  snodata  la  ricerca,  nata  dal  coagularsi  di  interessi  analoghi  e  comple- 
mentari, anche  se  non  omogenei,  dei  quattro  gruppi  che  vi  hanno  parteci- 
pato, all'interno  di  un  quadro  globale  basato  sull'attenzione  verso  le  dina- 
miche di  lingue  nazionali  e  varietà  dialettali  nell'Europa  di  inizio  millen- 
nio. L'obiettivo  generale  era  di  fotografare  lo  stato  attuale  dei  rapporti  fra 
lingua  e  dialetto  in  casi  itahani  campione  e  di  mettere  a  fuoco  alcuni  oro- 


blêmi  delle  dinamiche  inteme  del  dialetto  da  un  lato  e  dell'italiano  dal- 
l'altro, al  fine  di  elaborare  categorie  interpretative  valide  per  cogliere  una 
situazione  sociolinguistica  che  pare  presentare  oggi  caratteristiche  nuove 
rispetto  al  panorama  tradizionale.  La  ricerca  è  quindi  proceduta  lungo  fi- 
loni scelti  come  adeguati  per  cogliere  tale  obiettivo  secondo  angolature 
diverse,  e  raggruppabili  nelle  tre  opzioni  di  lavoro  di  seguito  riassunte.  In 
primo  luogo,  raccolta  e  analisi  di  tipi  diversificati  di  interazioni  e  produ- 
zioni verbali  in  dialetto  e  in  italiano  regionale;  particolamente  copiosa  è 
stata  la  raccolta  di  materiale  parlato  svolta  dall'unità  di  Napoli,  con  ampie 
interviste  strutturate  condotte  con  campioni  rappresentativi  di  informatori 
in  diverse  località;  mentre  le  unità  di  Torino  e  di  Lecce  hanno  mirato  so- 
prattutto a  raccogliere  corpora  diversificati  (elicitati  e  non  elicitati)  rap- 
presentanti diverse  situazioni  di  interazione  di  impiego  del  dialetto  e  del- 
l'italiano regionale  in  differenti  ambiti,  comprese  emittenti  radio  e  produ- 
zioni di  bambini  della  scuola  elementare  (Lecce).  In  secondo  luogo,  rac- 
colta e  analisi  di  dati  in  chiave  di  sociologia  del  linguaggio,  basate  sia  su 
interviste  con  questionari  (Torino)  che  su  conversazioni  libere  (Napoli, 
Lecce)  che  sull'osservazione  partecipante  del  comportamento  linguistico 
(Torino,  Lecce),  circa  i  domini  di  impiego  del  dialetto  e  la  sua  collocazio- 
ne nel  repertorio  della  comunità  parlante  e  circa  la  valutazione  dei  parlan- 
ti stessi  (percezione  delle  varietà  dialettali  e  atteggiamenti  dei  parlanti  nei 
loro  confronti,  Torino).  In  terzo  luogo,  catalogazione  e  analisi,  sia  sul  pia- 
no teorico  che  su  quello  descrittivo,  di  punti  strutturali  critici,  particolar- 
mente soggetti  alla  mutabilità,  nella  morfosintassi  della  lingua  nazionale 
(Roma). 

Spero  di  non  fare  troppo  torto  ad  alcuna  delle  unità  di  ricerca  se,  al  fi- 
ne anche  di  esplicitare  al  lettore  qualche  contenuto  della  'storia'  da  cui  è 
nato  il  presente  volume,  mi  permetto  di  sintetizzare  qui,  procedendo  da 
Nord  a  Sud,  una  scelta  di  risultati  specifici  delle  singole  unità  che  all'otti- 
ca del  coordinatore  (peraltro  inevitabilmente  sbilanciata  nei  confronti  del- 
la situazione  che  a  questi  meglio  è  nota)  sembra  di  poter  indicare  come 
più  rilevanti,  emersi  dalle  presentazioni  e  discussioni  avvenute  in  due  riu- 
nioni collettive  annuali  dei  gruppi  di  ricerca,  ed  ulteriormente  sviluppati 
ed  elaborati  per  il  congresso  di  Procida.  Per  quanto  riguarda  Torino,  il 
dialetto  nell'area  pedemontana  appare  a  inizio  Terzo  Millennio  sostan- 
zialmente poco  usato,  e  le  sacche  di  resistenza  e  vitalità  sociolinguistica 
dipendono  soprattutto  dalla  variabile  demografica  classe  di  età  e  da  quella 
socio-geografica  città/campagna.  Presso  i  giovani  e  nell'ambiente  urbano 
il  dialetto  è  tuttora  certamente  in  ulteriore  decadenza  d'uso.  La  situazione 
corrisponde  sin  qui  a  quanto  preconizzabile  in  base  al  modello  della  col- 


locazione  bassa  e  'regressiva'  del  dialetto  nel  repertorio  della  comunità 
parlante,  dominante  in  Italia  sin  dalla  nascita  della  sociolinguistica.  Vi  so- 
no però  aspetti  (come  l'impiego  del  dialetto  in  Internet,  o  il  suo  uso  mar- 
ginale come  varietà  ludico-espressiva  anche  presso  giovani  poco  compe- 
tenti) che  rientrano  male  in  questa  categorizzazione,  e  che  mostrano  come 
il  dialetto,  anche  (e  forse  soprattutto?)  laddove  ha  un  raggio  d'impiego 
molto  ridotto,  non  sia  più  oggi  uno  status  symbol  di  condizione  social- 
mente inferiore  e  non  soffra  piìi  la  sanzione  sociale  che  lo  connotava 
trent'anni  or  sono,  bensì  sia  diventato  una  'tastiera'  che  ha  una  sua  fun- 
zione e  connotazione  positiva,  all'interno  del  repertorio,  valida  sia  come 
sottolineatura  dell'identità  sia  come  risorsa  espressiva  aggiuntiva.  Tale 
nuova  collocazione  del  dialetto  è  confermata  anche  dall'indagine  perce- 
zionale,  che  permette  inoltre  di  constatare  quanto  il  dialetto  sia  oggi  sot- 
toposto a  ideologizzazione,  nonché  di  valutare  quanto  spesso  per  i  parlan- 
ti i  confini  tra  le  varietà  locali  di  dialetto  e  quelli  tra  le  varietà  pedemonta- 
ne di  italiano  regionale  siano  sovrapposti.  Quanto  alla  natura  del  dialetto 
così  com'è  oggi  usato  nei  diversi  contesti,  il  piemontese  mostra  sì  tratti 
vistosi  di  italianizzazione  per  quanto  riguarda  il  livello  lessicale  (e  in  par- 
ticolare, ovviamente,  nelle  sfere  comunicative  nelle  quali  il  dialetto  non 
era  impiegato  e  non  possiede  il  lessico  adeguato),  ma  sostanzialmente  la 
struttura  morfosintattica  di  base  appare  intatta,  e  comunque  non  mutata  ri- 
spetto alla  situazione  di  una  trentina  di  anni  or  sono.  Un  dialetto  quindi 
che,  dalla  nicchia  in  cui  era,  ed  è,  ridotto,  mostra  qualche  tendenza  alla 
promozione,  in  una  situazione  non  conflittuale  con  la  lingua  nazionale. 

Nei  lavori  dell'unità  di  Roma  è  stata  elaborata  la  nozione  di  'regole  in- 
stabili' nel  sistema  linguistico:  la  sua  applicazione  a  alcuni  contesti  critici 
dell'attuale  dinamica  dell'italiano  mostra  che  tali  regole  costituiscono  un 
movente  importante  nel  cambiamento  dei  sistemi.  Sulla  base  di  appositi 
corpora,  d'altro  lato,  sono  stati  'scoperti'  e  analizzati  costrutti  sintattico- 
pragmatici  divergenti  nel  loro  valore  semantico-comunicativo  dalla  nor- 
ma tradizionale,  che  sinora  non  sono  stati  riconosciuti  né  studiati  come 
tali  e  che  appaiono  in  stabilizzazione  nella  lingua  di  inizio  millennio  (co- 
me le  'ipotetiche  sospese'). 

A  Napoli,  la  variabilità  sociolinguistica  dei  dialetti  della  periferia  ur- 
bana e  del  circondario  flegreo  che  sono  stati  sottoposti  ad  indagine  risulta 
veramente  molto  elevata,  rintracciandosi  fenomeni  vari  di  conservazione 
dei  tratti  locali,  di  'napoletanizzazione'  e  di  italianizzazione.  Per  cogliere 
la  peculiarità  della  situazione  è  stato  elaborato  un  nuovo  modello  di  ''ha- 
bitat sociolinguistico";  la  considerazione  dei  fenomeni  che  si  situano  tra- 
sversalmente tra  i  due  poli  del  dialetto  e  dell'italiano  ha  consentito  di  prò- 


porre  un  'tipo  di  processo  di  parlato'  che  si  è  rivelato  molto  utile  per  spie- 
gare la  diversa  distribuzione  dei  tratti  fra  i  parlanti  in  relazione  alla  loro 
collocazione  socio-demografica,  il  mantenimento  molto  forte  di  alcuni 
tratti  anche  marcati,  e  l'agonismo  tra  forme  conservative  e  forme  innova- 
tive. Anche  nella  situazione  napoletana,  il  fattore  classe  d'età  si  rivela  il 
più  rilevante  per  la  dialettofonia  e  il  tipo  di  dialetto  esibito  (mentre  per 
l'italofonia  risulta  molto  rilevante  anche  il  grado  di  istruzione);  rispetto  al 
caso  piemontese,  tuttavia,  va  sottolineato  che  i  confini  fra  dialetto  locale, 
dialetto  urbano  e  regionale,  dialetto  italianizzato  e  varietà  regionale  di  ita- 
liano sono  molto  meno  evidenti,  e  le  varietà  hanno  una  forte  somiglianza 
strutturale  e  risultano  spesso  largamente  in  sovrapposizione  (anche  se  nel- 
la soggettività  dei  parlanti  dialetto  e  italiano  rimangono  due  sistemi  ben 
separati).  Significativa  è  anche  la  differenza  riscontrata  nelle  singole  si- 
tuazioni locali  indagate  (in  particolare  per  quanto  riguarda  i  quartieri  ur- 
bani, più  italofoni,  e  i  borghi  circostanti),  che  ha  permesso  di  trarre  im- 
portanti implicazioni  sia  quanto  alla  natura  della  variabilità  intema  di  dia- 
letto e  italiano,  sia  quanto  allo  studio  dello  stesso  'italiano  parlato'. 

I  materiali  raccolti  e  analizzati  dall'unità  di  Lecce  hanno  permesso  di 
constatare  ed  esaminare  dettagliatamente  un'ampia  gamma  di  fenomeni 
di  convergenza  e  divergenza  fra  dialetti  e  fra  dialetto  e  italiano  regionale 
del  Salento  in  diverse  situazioni  comunicative  e  in  diversi  contesti  socio- 
istituzionali;  particolarmente  rilevanti  appaiono  i  fenomeni  di  compresen- 
za fra  dialetto  e  italiano,  sia  sotto  forma  di  mescolanza  che  sotto  forma  di 
alternanza.  Un  punto  saliente  di  quanto  messo  a  fuoco  nella  situazione  sa- 
lentina  sta  sicuramente  nella  comparazione  specifica  fra  le  produzioni  e 
gli  atteggiamenti  di  adulti  e  di  bambini,  che  consente  di  valutare  il  dupli- 
ce processo  dinamico  dell'elemento  dialettale,  di  regressione  da  un  lato  e 
di  presenza  tuttora  capillare  dall'altro,  nel  suo  concreto  annidarsi  'dentro  i 
parlanti'  in  correlazione  alle  loro  varie  caratteristiche  sociodemografiche 
e  alla  condivisione  di  rete  sociale. 

II  confronto  fra  i  risultati  delle  unità  di  ricerca  porta  a  sottolineare  che 
le  tre  situazioni  di  repertorio  italiano/dialetto  indagate  sono  molto  diver- 
se, e  difficilmente  riconducibili  a  un  unico  denominatore  caratterizzante 
(donde,  la  necessità  di  modelli  plurimi  e  differenziati  per  la  sociolingui- 
stica  italiana:  risultato  tanto  più  rilevante,  quanto  sinora  è  stata  forte  la 
tentazione  di  unificare  sotto  una  categoria  comune  'situazione  italo-ro- 
manza media'  tante  situazioni  regionali  che  a  ben  vedere  non  appaiono 
oggi  affatto  unificabili):  in  Piemonte  il  dialetto  è  debole,  relativamente 
poco  diffuso,  ma  strutturalmente  saldo  e  ben  distinto  dall'italiano,  gli  at- 
teggiamenti nei  suoi  confronti  sono  positivi,  e  vi  è  in  una  élite  politico- 

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culturale  una  forte  coscienza  identitaria  regionale;  nel  Napoletano,  il  dia- 
letto è  molto  più  forte  e  piij  diffuso  di  fatto,  ma  sono  molto  meno  netti  i 
confini  tra  varietà  di  dialetto  e  varietà  di  italiano,  il  continuum  sembra  as- 
sai complesso,  ed  è  presente  una  coscienza  identitaria  molto  localizzata; 
nel  Salento,  italiano  e  dialetto  sembrano  spartirsi  con  una  certa  omoge- 
neità e  compatibilità  i  domini,  con  molti  fatti  di  convergenza/advergenza 
e  gran  quantità  di  fenomeni  intermedi,  ma  con  confini  fra  le  varietà  più 
precisi  che  non  nel  caso  napoletano  concomitanti  con  una  diffusa  duplice 
attribuzione  identitaria. 

Un  altro  risultato  globale  della  ricerca,  interessante  dal  punto  di  vista 
teorico-metodologico,  e  a  cui  si  è  giunti  da  un  lato  procedendo  'dall'alto' 
e  dall'altro  procedendo  'dal  basso'  (v.  sotto),  consiste  nel  fatto  che  i  tipi 
di  analisi  fomiti  dalle  singole  unità  trovano  un  punto  di  convergenza  nella 
definizione  di  una  natura  particolare  del  sistema  linguistico,  visto  come 
un  territorio  di  fenomeni  soggetti  a  variabilità,  a  instabilità,  ad  'attrazione 
di  contatto',  continuamente  percorso  da  processi  dinamici. 

Al  di  là  dell'innegabile  eterogeneità  degli  approcci,  degli  interessi  e 
dei  settori  di  lavoro  delle  quattro  équipes  che  hanno  condotto  la  ricer- 
ca, e  al  di  sotto  della  varietà  e  delle  differenze,  se  non  divergenze,  delle 
situazioni  e  dei  casi  indagati  e  anche,  in  parte,  dei  risultati  stessi  a  cui 
si  è  giunti,  è  poi  possibile  rintracciare  tratti  comuni  di  convergenza  me- 
todologica e  sostanziale,  fra  i  diversi  gruppi  di  ricerca.  Anzitutto,  e 
senza  che  vi  fosse  bisogno  di  esplicitarla,  vi  è  stata  una  fondamentale 
sintonia  di  orientamento  teorico-metodologico,  che  si  riconosce  in 
un'impostazione  funzionalista  e  in  fondo  anche  empiricista,  molto  at- 
tenta ai  rapporti  fra  dati  empirici  e  questioni  teoriche  generali.  Abbia- 
mo condiviso,  in  particolare,  una  concezione  aperta  e  fluida  della  natu- 
ra del  sistema  linguistico,  arrivandovi  chi  'dall'alto',  dalla  linguistica 
interna,  dalla  teoria  strutturale,  attraverso  la  deduzione  e  la  teorizzazio- 
ne sulle  regole  (R.  Simone),  chi  'dal  basso',  dall'osservazione  e  cate- 
gorizzazione  dei  dati  empirici  e  dall'analisi  sociolinguistica  fatta  con 
diverse  angolature  (le  unità  di  Lecce  e  di  Torino),  chi  da  una  visuale 
critica,  induttiva  e  introspettiva,  a  metà  fra  l'empiria  e  la  teoria  lingui- 
stica (R.  Sornicola).  Di  questa  piattaforma  spontanea  di  affinità  teori- 
co-metodologica sottostante  ai  lavori  compiuti  fa  parte  anche  la  foca- 
lizzazione  sul  rapporto  fra  sistema  e  parlanti.  Se  talvolta  magari  si  è 
stati  un  po'  troppo  strettamente  attaccati  ai  parlanti  -  ed  è  bene  non  esa- 
gerare, in  questo  seguire  da  vicinissimo  comportamenti  e  atteggiamenti 
dei  parlanti,  pena  la  perdita  della  necessaria  astrazione  che  deve  con- 
trassegnare ogni  acquisizione  e  comprensione  che  si  voglia  scientifica 


-,  possiamo  sempre  considerarlo  un  antidoto  a  eccessi  'sistemofili'  cui 
a  volte  siamo  abituati  dalla  linguistica. 

Dal  punto  di  vista  dei  risultati  sostanziali,  però,  ciò  che  è  emerso  senza 
possibilità  di  dubbio  dal  confronto  avutosi  fra  le  diverse  prospettive  è  - 
come  già  si  è  detto  -  un  approfondirsi  della  differenziazione  regionale, 
quanto  alle  dimensioni  e  modalità  dell'uso  del  dialetto  e  al  suo  atteggiarsi 
nei  confronti  dell'italiano.  Da  ciò  si  può  trarre  un  insegnamento  impor- 
tante, stimolo  per  ulteriori  percorsi  di  ricerca:  la  difformità  delle  diverse 
situazioni  dell'Italia  delle  Italie,  per  dirla  con  Tullio  De  Mauro,  è  sempre 
stata  data  per  ovvia  e  scontata,  ma  non  è  mai  stata  propriamente  studiata 
in  termini  contrastivi  e  comparativi,  di  'regioni  sociolinguisticamente  a 
confronto';  è  ora  invece  di  analizzarla  a  fondo.  Non  più  in  un'ottica  setto- 
riale e  parcellizzante,  che  metta  a  fuoco  ogni  singola  regione  indipenden- 
temente dalle  altre,  bensì  in  una  prospettiva  che  abbia  appunto  il  suo  ful- 
cro nel  confronto  sistematico  fra  le  diverse  aree  sociolinguistiche,  nel  ri- 
levare i  tratti  salienti  di  ciò  che  le  accomuna  e  di  ciò  che  le  differenzia, 
neir individuare  e  modellizzare  sottotipi  di  repertorio  italo-romanzi.  La 
constatazione  di  ineliminabili  diversità  sociogeografiche  deve  diventare 
sempre  più  non  un  ostacolo  o  un  limite  alla  ricerca,  ma  piuttosto  essa 
stessa  stimolo  e  oggetto  di  ricerca. 

I  tre  ambienti  sociolinguistici  messi  sotto  la  lente  dalla  ricerca,  Torino 
e  il  Piemonte,  Napoli  e  il  napoletano,  il  Salente,  si  sono  rivelati  ben  pre- 
sto quasi  come  tre  tipi  emblematici  di  diversi  rapporti  di  convivenza  fra 
lingua  e  dialetto.  In  Piemonte,  abbiamo  una  situazione  che  chiamerei  'po- 
larizzata' :  italiano  e  dialetto  sono  distinti  e  ben  separati  sia  nella  struttura 
che  nell'uso,  e  costituiscono  i  due  poli  di  riferimento  del  repertorio,  i  con- 
fini dei  domini  sono  netti  e  ben  allocati,  il  ruolo  dell'interlocutore  è  cen- 
trale nel  selezionare  il  comportamento  linguistico  (a  un  giovane  che  chie- 
da indicazioni  stradali  in  dialetto  nel  centro  di  Torino  non  si  risponde 
nemmeno,  tanto  è  'strano'  tale  comportamento,  tanto  viola  le  rappresenta- 
zioni diffuse  nella  comunità. . .  un  giovane  rivolto  a  un  estraneo  per  chie- 
dere informazioni  nel  centro  cittadino  non  può  usare  il  dialetto!);  ma  al 
tempo  stesso  l'un  sistema  e  l'altro  si  alternano  senza  conflitti  nella  con- 
versazione quotidiana.  A  Napoli  e  dintorni,  c'è  invece  un'ampia  zona  dif- 
fusa, dai  confini  incerti  sia  quanto  alle  strutture  che  quanto  agh  usi,  con 
una  distinzione  assai  minore  fra  varietà  di  lingua  e  varietà  di  dialetto,  un 
tipico  continuum  con  sovrapposizioni.  Una  situazione  quasi  di  disgrega- 
zione dell'asse  lingua/dialetto,  di  sminuzzamento,  se  così  posso  dire,  fra 
le  varietà.  A  Lecce  e  nel  Salento,  ancora,  si  profila  una  situazione  diversa, 
con  tre  settori  compatti,  l'italiano  da  un  lato,  il  dialetto  dall'altro,  e  un'e- 

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norme  area  mediana,  con  ampia  e  pervasiva  presenza  di  fatti  intermedi  ri- 
conducibili a  varietà  di  italiano  dialettizzate  e  a  varietà  di  dialetto  italia- 
nizzate. In  un  certo  senso,  un  repertorio  tripartito. 

Di  fronte  a  un  panorama  così  variegato,  si  è  delineato  sotto  i  nostri  oc- 
chi un  vasto  territorio  di  fenomeni  sostanziali  fra  italiano  standard  e  dia- 
letto marcato,  che  sono  stati  oggetto,  con  diverse  angolature  e  differenti 
interessi,  delle  analisi  delle  unità  di  ricerca.  Fenomeni  caratterizzati  dal 
fatto  di  rappresentare  momenti  e  punti  di  'crisi  sistemica'  almeno  poten- 
ziale, o  dal  punto  di  vista  dei  fenomeni  di  attrazione  e  advergenza  fra  si- 
stemi (Somicola,  i  lavori  napoletani  in  genere,  Ricca,  i  lavori  torinesi  in 
genere,  Sobrero  e  Miglietta),  o  all'interno  del  sistema  dell'italiano  per  es. 
con  la  costituzione  di  nuovi  'punti  di  solidificazione'  di  strutture  del  par- 
lato (Lombardi  Vallauri),  o  dal  punto  di  vista  della  frizione  che  si  può 
creare  fra  codice  e  uso  (Dal  Negro),  o  ancora  dal  punto  di  vista  delle  stes- 
se regole  che  costituiscono  il  sistema,  alcune  piià  'deboli'  o  piti  'fragili'  di 
altre  (Simone,  il  cui  lavoro  in  tema  non  è  purtroppo  pubblicato  negli  Atti 
che  qui  introduco). 

Se  uno  degli  scopi,  anzi  quello  fondamentale,  della  ricerca  interuni- 
versitaria di  cui  questi  Atti  rappresentano  la  conclusione  era  di  descrivere 
secondo  diverse  ottiche  punti  critici  intersistemici  e  intrasistemici  nel  re- 
pertorio linguistico  dell'Italia  di  oggi,  non  mi  sembra  di  peccare  di  troppo 
ottimismo  constatandone  il  raggiungimento.  La  ricerca  aveva  però,  come 
abbiamo  accennato,  almeno  altri  due  scopi  principali.  Da  un  lato,  verifi- 
care quanto  le  categorie  normalmente  impiegate  sin  dagli  albori  della  so- 
ciolinguistica  italiana,  e  consolidatesi  negli  anni  Settanta  e  Ottanta,  fosse- 
ro ancora  valide  per  descrivere  e  interpretare  la  situazione  del  rapporto  fra 
italiano  e  dialetto  all'inizio  del  Terzo  Millennio,  il  che  implicava  anche  ri- 
valutare la  collocazione  del  dialetto  nel  repertorio,  ed  eventualmente  ri- 
chiedeva la  ritaratura  delle  categorie  consuete,  o  l'introduzione  di  nuove 
categorie.  Un  terzo  scopo  era  quello  di  individuare  punti  critici  di  ristrut- 
turazione, variazione  e  mutamento,  che  non  fossero  i  soliti  e  tutto  somma- 
to banali  reperti  lessicali,  ma  andassero  più  a  fondo  nel  sistema  della  lin- 
gua e  del  dialetto.  Anche  questi  due  scopi  mi  paiono  in  buona  parte  rag- 
giunti. Anche  grazie  al  proficuo  confronto  con  situazioni  ed  esperienze  di 
altri  paesi,  in  particolare  la  Svizzera  (itahana),  la  Francia,  la  Spagna,  che 
la  partecipazione  di  colleghi  stranieri  (Gadet,  Moretti,  Narbona  Jiménez  - 
il  cui  contributo  non  compare  purtroppo  nei  presenti  Atti  -,  Parry)  ha  reso 
possibile  e  istruttiva. 

Certamente  all'attivo  della  ricerca,  e  del  convegno  che  l'ha  conclusa, 
mi  pare  quindi  da  mettere  piiì  di  un'acquisizione.  Ne  cito  qualcuna.  Ab- 

11 


biamo  fatto  conoscenza  con  nozioni  nuove,  potenzialmente  assai  produtti- 
ve, come  'regole  instabili',  'habitat  sociolinguistico',  'serbatoio  di  varia- 
zione' (a  disposizione  del  parlante).  E  stato  messo  in  crisi  il  concetto  cor- 
rente di  'italianizzazione  del  dialetto',  e  se  ne  è  tentata  una  caratterizza- 
zione in  parte  nuova.  Sono  stati  aperti  scenari  molto  complessi  di  com- 
presenza delle  varietà,  con  forte  sovrapposizione  strutturale  e  discorsiva 
fra  italiano  e  dialetto.  Sono  state  catturate  dimensioni  in  parte  non  ancora 
notate  -  ed  alcune  sorprendenti  -  della  presenza  del  dialetto  nella  società 
odierna.  E  via  discorrendo.  A  volte,  certo,  non  siamo  riusciti  a  far  decan- 
tare sufficientemente  nuove  categorie  interpretative,  almeno  nella  misura 
in  cui  ci  eravamo  ripromessi  di  farlo:  ma  per  lo  meno  ci  abbiamo  provato. 
D'altra  parte,  la  nostra  ricerca,  lavorando  contemporaneamente  su  situa- 
zioni-campione ben  diverse  e  su  un  carotaggio  di  fenomeni  dell'italiano, 
ha  anche  condotto  a  prodotti  secondari  o  cascami  imprevisti  o  fall-out 
non  programmati;  che  il  lettore  che  abbia  la  pazienza  di  seguirne  il  per- 
corso tracciato  in  questo  volume  potrà  qua  e  là  scoprire. 

Quanto  a  velleità  prognostiche  -  che  facilmente  l'apprezzamento  del- 
le tendenze  in  atto  nella  dinamica  dei  sistemi  e  del  rapporto  fra  sistemi  in- 
duce a  concedersi  -,  è  molto  difficile  volersi  pronunciare  sul  futuro  dei 
rapporti  fra  italiano  e  dialetto,  e  in  particolare  sulla  effettiva  collocazione 
e  sorte  del  dialetto,  certo  potenzialmente  'lingua  minacciata',  nel  reperto- 
rio italo-romanzo  nei  decenni  a  venire.  Dove  va  il  dialetto?  Si  tratta  di  un 
tema  su  cui  tendono  spesso  a  fronteggiarsi  schieramenti  di  pessimisti  e  di 
ottimisti,  di  scettici  e  di  militanti.  E  ciascuno  dei  due  partiti  con  qualche 
buon  argomento.  Di  fronte  a  un  complesso  di  fenomeni  così  vari  e  pieni 
di  elementi  contraddittori  quale  quello  a  cui  stiamo  assistendo,  e  quale  è 
emerso  molto  bene  dai  nostri  lavori,  sono  evidentemente  possibili  due  in- 
terpretazioni, nel  merito.  Da  un  lato,  che  i  sintomi  di  rivitalizzazione  del 
dialetto  rintracciabili  in  piìi  contesti  non  rappresentino  altro  che  un  recu- 
pero nostalgico,  dal  valore  meramente  simbolico,  di  qualcosa  che  in 
realtà  'non  c'è  più'  o  sta  comunque  scomparendo  (e  che  proprio  anche  per 
questa  ragione  è  ora  sfruttabile  e  valorizzabile  in  termini  simbolici):  quin- 
di, la  certificazione  dell'obsolescenza  del  dialetto.  Dall'altro,  che  si  tratti 
invece  di  effetti  di  una  ripresa  funzionale  e  di  uso,  sia  pure  parziale,  di 
qualche  cosa  che  'c'è  ancora',  ed  è  ancora  ben  vivo  (sia  pure  in  formato 
ridotto  e  molto  meno  vistoso  rispetto  a  quando  la  generazione  di  linguisti 
cui  appartengo  era  nella  sua  giovinezza):  quindi,  la  prova  della  persistente 
sua  forza.  E  non  sarà  la  nostra  ricerca  a  sciogliere  definitivamente  il  dub- 
bio interpretativo.  Se  da  un  lato  un  mosaico  di  fatti  congruenti  quali  l'im- 
piego ancora  così  diffuso  del  dialetto  come  lingua  dell'uso  in  certe  situa- 
li 


zioni  italiane,  l'ampia  e  accettata  commistione  di  italiano  e  dialetto  nel 
parlato  conversazionale,  le  'risorgenze'  in  domini  potenzialmente  inaspet- 
tati (quali  quelle  indicate  nel  contributo  di  chi  scrive,  in  questo  volume) 
sembrano  portare  acqua  al  mulino  degli  ottimisti,  è  anche  vero  che  gli 
scettici  hanno  dalla  loro  il  duro  fatto  oggettivo  che  è  venuta  meno,  o  ha 
perso  molto  terreno  (a  seconda  delle  situazioni  regionali),  la  trasmissione 
generazionale  del  dialetto  come  lingua  della  socializzazione  primaria,  tal- 
ché le  fasce  'dialettofone'  della  popolazione  saranno  sempre  più,  e  con 
velocità  vieppiù  crescente  con  l'invecchiamento  delle  generazioni,  forma- 
te non  da  parianti  pienamente  fluenti,  ma  da  'semiparianti'  con  competen- 
za non  completa  e  uso  frammentario  del  dialetto. 

Forse,  in  ultima  analisi,  un  punto  generale  unificante  di  molte  delle 
prospettive  che  sono  state  dibattute  nella  ricerca  di  cui  diamo  qui  conto  si 
può  indicare  nel  problema  dei  'confini':  confini  di  varietà,  confini  di  si- 
stemi, confini  di  regole,  confini  di  usi  e  domini,  confini  tra  i  parianti  e  le 
loro  identità  soggettive...  da  affrontare  e  approfondire  magari  in  successi- 
ve ricerche.  È  un'ulteriore  conferma  dell'interesse  vien  da  dire  ecceziona- 
le che  la  situazione  sociolinguistica  italo-romanza,  che  riproduce  altresì 
in  piccolo  modelli  di  situazioni  del  repertorio  sociolinguistico  complesso 
propri  di  paesi  spiccatamente  plurilingui,  presenta  come  laboratorio  per  lo 
studio  dei  rapporti  fra  lingua  e  dialetto. 


13 


Quelques  reflexions  sur  l'espace  et  l'interaction 

Françoise  Gadet  (Paris-X  Nanterre,  France) 


La  situation  sociolinguistique  française  apparaît  bien  différente  de 
l'italienne,  et  si,  comme  Wunderli  1992  ou  Berruto  1995,  on  compare  des 
types  d'organisations  variationnelles,  on  peut  les  opposer,  l'italienne  pri- 
vilégiant le  diatopique,  au  contraire  de  la  française.  Pourtant,  à  y  regarder 
de  plus  près,  les  artefacts  catégorisants  de  l'appréhension  de  la  variation 
en  trois  ordres  (diatopique,  diastratique,  diaphasique:  Coseriu  1969,  Ga- 
det 2004),  et  pour  ce  qui  nous  concernera  ici,  le  fait  d'isoler  le  diatopique, 
ont  pour  effet  de  radicaliser  les  oppositions  et  de  sous-estimer  l'intrica- 
tion  des  ordres. 

Cet  article  est  organisé  en  deux  parties.  La  première  présente  la  situa- 
tion diatopique  globale  de  la  France,  et  la  deuxième  en  tire  des  réflexions 
pour  interroger  une  éventuelle  spécificité  du  diatopique,  et  finalement  le 
concept  de  variation. 


1.  La  situation  sociolinguistique  du  français 

Contrairement  aux  cas  d'autres  langues  d'Etat  en  Europe  occidentale, 
le  français  en  France  apparaît  aujourd'hui  assez  peu  marqué  par  la  diver- 
sification diatopique. 

1.1.  Constats  généraux  sur  le  diatopique  en  France.  Les  langues  régiona- 
les apparaissent  en  récession,  sauf  apprentissage  guidé  et  (ré)appropria- 
tion  non  vernaculaire.  Une  enquête  de  l'INSEE  (Institut  National  des 
Statistiques  et  Etudes  Economiques)  a  montré  que  c'était  l'alsacien  qui  se 
transmettait  le  mieux  en  contexte  familial  (Héran  et  al.  2002)  -  en  ne  par- 
lant ici  que  de  l'Hexagone,  car  il  en  va  différemment  pour  les  créoles,  en 
général  langue  maternelle  d'au  moins  une  bonne  partie  de  la  population. 
Il  faut  d'ailleurs  mettre  ces  statistiques  en  perspective,  car  ce  sont  des 

15 


données  démographiques  obtenues  par  un  questionnaire  collectant  des  dé- 
clarations dans  le  cadre  du  recensement;  des  enquêtes  ethnographiques, 
en  tenant  compte  des  pratiques  quotidiennes  ordinaires,  montrent  une  réa- 
lité plus  complexe. 

Pour  le  français  même,  les  «  accents  »  régionaux  et  les  particularis- 
mes lexicaux  vont  eux  aussi  s 'atténuant,  sous  les  effets  conjugués  de 
l'urbanisation,  d'une  mobilité  accrue  des  citoyens-locuteurs,  de  l'élé- 
vation du  niveau  de  scolarisation,  ainsi  que  d'une  homogénéisation  ac- 
célérée par  une  diffusion  nationale  des  médias.  Tous  ces  facteurs  agis- 
sent dans  le  même  sens,  celui  d'un  nivellement,  que  l'on  peut  mesurer 
en  particulier  en  réécoutant  des  enregistrements  de  la  première  moitié 
du  20e  siècle,  qui  exhibent  bien  davantage  de  diversité  diatopique, 
malgré  des  conditions  de  recueil  ne  favorisant  guère  une  expression 
naturelle  spontanée. 

Il  y  a  cependant  une  différence  qui  ne  donne  pas  de  signes  d'atténua- 
tion: le  sud  de  la  France  a  conservé  des  traits  régionaux  plus  marqués,  et 
pas  seulement  dans  le  lexique.  Quant  à  la  France  du  nord,  Armstrong 
2001  a  montré  que,  hors  de  l'Alsace  où  des  particularismes  liés  au  subs- 
trat germanique,  surtout  phoniques,  se  maintiennent  bien,  elle  connaissait 
une  assez  forte  uniformisation  diatopique.  On  la  mesure  en  particulier  à  la 
difliculté  qu'ont  les  locuteurs  à  identifier  à  la  seule  écoute  l'origine  géo- 
graphique précise  d'un  autre  locuteur  (en  l'occurrence  entre  Rennes  et 
Nancy:  ni  les  locuteurs  originaires  des  deux  villes,  ni  les  autres  n'identi- 
fient à  coup  sûr  l'origine  d'un  locuteur  inconnu). 

Mais  on  ne  saurait  en  conclure  à  une  uniformité  diatopique  totale  du 
nord,  car  il  y  a  au  moins  un  phénomène  qui  n'est  pas  pris  en  compte 
dans  une  telle  présentation:  le  plurilinguisme  lié  à  la  présence  de  lan- 
gues de  l'immigration,  et  les  effets  des  contacts  entre  des  langues  dé- 
territorialisées  et  le  français,  essentiellement  en  contexte  urbain  et  péri- 
urbain  (Hommes  et  migration  2004).  Si  ce  facteur  importe  pour  le  dia- 
topique, c'est  surtout  par  la  façon  dont,  a  contrario,  il  aide  à  penser  le 
rapport  de  la  langue  à  la  territorialisation. 

Je  schématiserai  donc  comme  suit  la  situation  française  actuelle 
d'un  point  de  vue  diatopique  :  1)  un  certain  nivellement  des  particula- 
rismes régionaux;  2)  la  stabilisation  d'une  coupure  territoriale 
nord/sud;  3)  un  renouvellement  constant  des  flux  migratoires  suivi 
d'une  assimilation  linguistique,  les  «langues  d'origine  »  se  maintenant 
en  moyenne  sur  deux  générations,  et  étant  à  peine  mieux  transmises 
que  les  langues  régionales,  surtout  quand  la  migration  relève  d'un  cou- 
rant déjà  ancien  (Héran  2004). 

16 


1.2.  Singularité  de  la  situation  sociolinguistique  française.  Avec  le 
double  postulat  qu'il  existe  encore  des  situations  sociolinguistiques  spéci- 
fiques entre  pays  d'Europe  occidentale,  et  que  la  France  en  comporte  une, 
quel  en  serait  le  ressort?  Avec  cette  même  question,  Lodge  1998  situait  la 
spécificité  française  dans  l'effet  idéologique  de  la  pesanteur  des  effets  de 
la  norme,  par  la  forme  particulière  que  revêt  dans  ce  pays  la  relation  entre 
norme,  standard  et  vemaculaires. 

Pour  le  rapport  à  la  norme,  la  France  a  en  effet  à  gérer  l'héritage  d'une 
tradition  qui  fait  de  ce  pays  un  prototype  de  ce  que  Fishman  1971  a  ap- 
pelé «  State  into  nationality  nation  »  (par  opposition  à  «  nationality  into 
State  nation  »,  modèle  dont  l'Italie  serait  plus  proche).  Un  effet  de  cette 
caractéristique  concerne  l'attitude  répandue  devant  la  langue,  que  l'on 
peut  encore  aujourd'hui  résumer  comme  produit  d'une  ideology  of  the 
standard  (Milroy  &  Milroy  1985),  caractérisable  comme:  1)  l'état  idéal 
d'une  langue  est  l'uniformité,  2)  la  forme  la  plus  uniformisée  est  l'écrit, 
3)  1  écrit  est  supérieur  à  toutes  les  autres  variétés,  qui  se  trouvent  ipso 
facto  dévaluées.  L'idéologie  du  standard  induit  à  penser  sa  langue  comme 
uniforme,  homogène  et  hégémonique,  voire  unique. 

Cette  idéologie  s'accompagne  chez  les  francophones  d'un  fort  senti- 
ment d'insécurité,  aux  manifestations  bien  connues,  dirigée  sur  soi-même 
ou  sur  les  autres.  J'en  présente  ici  deux  exemples,  que  je  rapprocherai 
malgré  leur  quart  de  siècle  de  distance.  Le  premier  est  un  propos  tenu  par 
un  locuteur  lillois,  dans  l'enquête  de  Gueunier  et  al  (1978):  nous  quand 
on  parle,  on  fout  des  coups  de  pieds  à  la  France.  Cette  séquence  illustre 
r autodépréciation  d'un  locuteur  devant  l'insuffisance  de  ses  ressources 
langagières,  évaluées  à  l'aune  d'un  idéal  prestigieux  inatteignable.  Je  ren- 
contre un  propos  qui  me  paraît  comparable  dans  un  texte  récent  de  Gas- 
quet-Cyrus  2004,  qui  cite  une  expression  de  jeune  accusant  un  pair  de 
mal  parler  le  français:  t'as  cassé  la  France^  Certes,  les  contextes  sont 
différents:  auto-qualification  lors  d'un  entretien  vs  mise  en  accusation 
spontanée  de  l'autre,  qui  peut  d'ailleurs  être  ludique.  Mais  ce  qui  m'inté- 
resse ici,  c'est  la  référence  à  une  entité  abstraite,  «  la  France  ».  De  quelle 
France  s'agit-il?  Sûrement  pas  du  territoire!  Je  me  demande  ainsi  si  de 
telles  formulations,  d'une  fréquence  non  négligeable  en  France,  seraient 

'  «  comme  dans  cet  extrait  d'un  dictionnaire  élaboré  par  des  jeunes  de  la  cité  de  la  So- 
lidarité, repris  dans  Binisti  2000:  "casser  la  France:  se  dit  à  quelqu'un  qui  ne  sait  pas  très 
bien  parler  français,  ou  pas  du  tout.  Ou  bien  à  quelqu'un  qui  a  fait  une  erreur  de  français. 
Ex.  'je  vais  au  docteur.  Ah  !  tch'as  cassé  la  France,  c'est  "chez  le  docteur'"  (Soffiane,  17 
ans).  »  Gasquet-Cyrus  2004,  p.  437.  Au  vu  de  son  prénom,  il  est  probable  que  fauteur  du 
propos  est  d  origine  maghrébine. 

17 


possibles  (ou  répandues)  en  Italie,  état-nation  comparable  par  le  mode  de 
vie,  mais  pas  par  l'histoire  de  la  formation  de  la  langue  nationale. 

C'est  dans  un  ouvrage  sur  l'idéologie  des  langues  en  Suisse  que  j'ai 
trouvé  un  commentaire  éclairant  à  ce  propos.  Widmer  2004  confronte  les 
effets  régulateurs  pour  les  locuteurs  d'une  idéologie  linguistique  univer- 
salisante (le  français)  par  opposition  à  une  idéologie  linguistique  territo- 
rialisée  et  historicisée  (les  parlers  alémaniques).  En  soulignant  les  aspects 
universalistes  de  la  norme,  en  tant  que  processus  qui  construit  le  collectif 
en  l'abstrayant  de  l'enracinement  local,  Widmer  permet  de  formuler  que 
le  rapport  à  la  norme  participe  à  construire  un  point  de  vue  sur  la  langue 
française  décontextualisé,  mis  en  surplomb  de  la  situation  locale,  et  ex- 
trait de  l'ancrage  territorial^.  La  standardisation  d'une  langue  modifierait 
ainsi  le  rapport  des  locuteurs  au  territoire  (p.  85). 

L'analyse  de  Widmer  offre  aussi  une  clef  interprétative  des  deux  anec- 
dotes ci-dessus,  avec  la  relation  entre  la  langue  et  l'organisation  juridique 
donnant  accès  au  territoire.  Le  droit  du  sol,  qui  régit  1  accès  à  la  nationa- 
lité française,  a  pour  effet  de  médier  la  relation  du  citoyen  à  sa  langue  en 
faisant  du  territoire  une  entité  abstraite,  alors  que  le  droit  du  sang  inscrit 
l'individu  dans  une  lignée  familiale  et  donc  dans  un  territoire  localement 
déterminé. 


1.3.  Quelques  dynamiques  actuelles  de  l'espace  sociolinguistique 
français.  Cette  situation  n'est  évidemment  pas  stabilisée,  et  nous  allons 
maintenant  évoquer  des  facteurs  de  dynamique,  en  liaison  avec  l'ancrage 
territorial. 


1.3.1.  L'espace  variationnel  français.  La  situation  sociolinguistique 
française  est  l'objet  d'une  dynamique  permanente.  On  peut  schématiser 
l'histoire  du  français  en  France  selon  trois  étapes  du  rapport  à  la  varia- 
tion: 1)  une  phase  de  dominance  diatopique,  jusque  vers  la  fin  du  19^  siè- 
cle, avec  une  relative  stabilité  spatiale  des  locuteurs,  donc  des  accents  ré- 
gionaux spécifiques  qui  relaient  les  dialectes  quand  s'effectue  le  transfert 
vers  le  français;  2)  une  dominance  diastratique,  au  tournant  du  20^  siècle, 
au  moment  de  la  francisation  radicale,  parallèle  à  l'urbanisation,  moment 
où  on  a  pu  parler  de  «  français  populaire  »  (voir  Bauche  1920,  qui  décrit 
le  «  langage  populaire  »  avec  des  exemples  de  traits  phonologiques,  syn- 

^  Son  analyse  est  d'ailleurs  confortée  par  Merlin- Kaj man  2003,  d'un  point  de  vue 
d'histoire  de  la  constitution  des  concepts  linguistiques  (étude  centrée  sur  le  17°  siècle). 

18 


taxiques  et  lexicaux  dont  nous  ne  connaissons  plus  l'équivalent  de  nos 
jours^);  3)  une  phase  dans  laquelle  nous  sommes  actuellement,  de  domi- 
nance  diaphasique.  Voir  sur  ce  point  Berruto  1995,  qui  oppose  différentes 
hiérarchies  dans  différentes  organisations  variationnelles. 

En  s 'arrêtant  à  des  aspects  sociaux  en  confrontation  avec  des  traits  lo- 
caux, on  interrogera  l'apparente  évidence  selon  laquelle  l'espace  ne 
constitue  plus  aujourd'hui  un  facteur  dynamique  de  changement.  On  le 
fera  à  partir  de  l'exemple  de  la  langue  des  jeunes,  pour  des  raisons  qui  ap- 
paraîtront plus  clairement  plus  loin. 

1.3.2.  Le  diastratique:  la  «  langue  des  jeunes  ».  Le  terme  consacré  de 
langue  des  jeunes  est  doublement  inadapté,  parce  qu'il  ne  s'agit  pas 
d'une  langue,  et  parce  que  «  jeune  »  dissimule  du  social  et  de  l'ethnique 
sous  du  démographique  (il  s'agit  de  fait  de  certains  jeunes,  en  général 
d'origine  sociale  défavorisée  et  souvent  de  familles  issues  de  l'inmiigra- 
tion).  Parmi  des  travaux  fortement  répétitifs,  on  n'évoquera  ici  que  des 
traits  qui  ouvrent  sur  le  diatopique. 

Outre  des  traits  phonologiques,  segmentaux  ou  supra-segmentaux, 
comme  le  consonantisme,  la  courbe  intonative  ou  le  débit  haché,  et  quel- 
ques phénomènes  morphologiques,  syntaxiques  ou  discursifs,  la  plupart 
des  traits  réputés  typiques  de  la  langue  des  jeunes  sont  en  fait  partagés 
avec  le  «  français  populaire  »  (Gadet  2003b),  avec  toutefois  des  emprunts 
spécifiques,  à  l'arabe  ou  à  des  langues  africaines  (je  veux  chouffer  :  radi- 
cal arabe  +  désinence  française).  Mais  c'est  le  lexique  qui  apparaît  le  plus 
intéressant,  non  seulement  par  sa  saillance,  à  laquelle  tous  les  locuteurs 
sont  sensibles,  mais  aussi  par  le  point  de  vue  qu'il  offre  sur  la  structura- 
tion de  l'espace  social.  Ainsi  de  termes  référant  à  des  classifications  eth- 
niques dans  la  désignation  de  «  l'autre  ethnique  »  proche.  Pour  désigner 
les  Français  de  souche,  Goudaillier  2001  relève:  céfran,  céanf,  gaulois, 
Chabert,  blonblon,  blondin,  anges  blancs,  fromage  blanc,  from,  fesses 
d'aspirine,  fesses  d'oignon,  fus  de  Clovis,  de  souche,  pâté-rillette,  rilleîte, 
roum,  roumi,  toubab,  babtou,  bab.  Encore  s'agit-il  de  mots  réunis  dans  un 
dictionnaire,  et  on  aurait  forcément  une  autre  vision  à  partir  d'une  en- 
quête ethnographique,  qui  montrerait  la  spécialisation  d'au  moins  une 


^  On  peut  toujours  s'interroger  sur  la  fiabilité  des  exemples  de  Bauche,  qui  n'était  pas 
linguiste.  Mais  le  fait  de  ne  pas  être  un  professionnel  de  la  langue  peut  au  contraire  accroî- 
tre sa  crédibilité:  il  observait  par  curiosité  et  par  plaisir,  non  pour  conforter  des  analyses 
théoriques. 

19 


partie  des  significations.  S'il  est  en  effet  dans  le  principe  d'un  diction- 
naire de  proposer  des  synonymes,  nous  reviendrons  sur  la  différence  entre 
collectionner  des  termes  décontextualisés,  et  les  recueillir  dans  le 
contexte  d'interactions  naturelles. 

Ainsi,  même  si  les  argots  adolescents  ne  sont  pas  chose  nouvelle,  nous 
assistons  avec  la  langue  des  jeunes  à  une  émergence  langagière,  en  partie 
nouvelle,  d'une  «  identité  jeune  »  reflétant  l'émergence  d'une  catégorie 
sociale  «  jeunes  »,  aux  relations  sociales  très  ethnicisées.  Si  cette  variété 
constitue  un  phénomène  intéressant,  ce  n'est  pas  pour  l'exotisme  d'une 
liste  de  termes  ou  de  phénomènes  (verlan,  emprunts,  argot,  qui  obéissent 
en  général  à  des  procédés  héréditaires  du  lexique  non  standard,  qu'ils  ne 
font  que  «  recycler  »),  mais  par  ce  que  leur  mise  en  pratiques  discursives 
exprime  de  la  construction  identitaire  du  monde  social  de  ces  jeunes. 

Ainsi,  un  tableau  de  1  '  état  sociolinguistique  de  la  France  actuelle  doit 
tenir  compte  de  l'apport  de  pratiques  de  populations  migrantes,  au  rôle 
d'autant  plus  important  que  la  France  est  de  loin  le  pays  d  Europe  occi- 
dentale ayant  intégré,  depuis  les  années  1880,  le  plus  grand  nombre  de 
migrants  (Gadet  à  paraître,  Héran  2004  sur  la  transmission  familiale  des 
langues). 

1.3.3.  Assouplissement  de  la  norme  en  France?  Ou  émergence  géné- 
rale de  nouvelles  pratiques  langagières?.  Les  pratiques  des  jeunes  sont 
souvent  évoquées  dans  le  cadre  d'un  «  relâchement  »  généralisé  de  la 
pression  normative,  aux  causes  diverses:  lassitude  des  locuteurs  devant 
un  carcan  normatif  hérité  d'une  époque  antérieure;  diversification  des 
pouvoirs  linguistiques  et  des  lieux  de  construction  des  savoirs  (internet  en 
compétition  avec  des  lieux  plus  traditionnels,  comme  l'école);  crise  de 
légitimité  des  clercs  en  charge  des  institutions  de  la  langue  (Widmer 
2004:  28);  déplacement  du  rapport  oral/écrit  (et  public/privé),  avec  une 
mise  en  crise  de  l'homologie  traditionnelle  entre  écrit  et  distance  et  entre 
oral  et  immédiat,  comme  le  montrent  les  cas  des  «  chats  »,  des  SMS  ou 
des  blogs,  qui  relèvent  à  la  fois  de  l'écrit  et  de  l'immédiat... 

Nous  conclurons  cette  première  partie  en  soulignant  à  quel  point  cette 
situation  française  diffère  de  la  situation  italienne,  comme  le  confirme  la 
lecture  du  récent  ouvrage  de  Berruto  (2004).  Certes,  beaucoup  de  phéno- 
mènes apparaissent  communs  aux  deux  pays,  de  même  qu'à  bien  d'autres 
(le  code-switching,  la  langue  des  jeunes,  les  néographies...).  Un  lent  pro- 
cessus d'uniformisation  des  accents,  surtout  sensible  chez  les  jeunes,  a  les 
mêmes  causes  qu'en  France,  accentué  par  une  émigration  interne  qui 
s'avère  plus  uniformi satrice  qu'en  France,  oii  il  y  a  plus  mobilité  générale 

20 


qu'émigration  unidirectionnelle.  Il  n'en  demeure  pas  moins  deux  impor- 
tants points  de  divergence:  la  moitié  des  pages  de  l'ouvrage  de  Berruto 
concerne  la  variation  diatopique  (dialectes  ou  accents).  Ensuite,  un  Fran- 
çais ne  peut  qu'être  frappé  par  la  quasi-absence  dans  son  texte  de  discus- 
sion sur  la  norme,  abordée  seulement  sur  deux  pages;  ce  qui  serait  impos- 
sible pour  caractériser  la  situation  française. 

2.  Incidences  pour  une  reflexion  sur  la  variation 

Ce  tableau  à  grands  traits  de  la  situation  française  conduit  à  revenir  sur 
le  diatopique:  quel  concept  d'espace  faut-il  se  donner,  à  partir  du  moment 
où  il  est  clair  que  la  sociolinguistique  n'a  pas  affaire  à  un  espace  naturel 
(Britain  2002,  Johnstone  2004,  Krefeld  2004)? 

2.1.  L  'intrication  des  ordres  de  variation.  Il  n'y  a  en  effet  pas  de  dé- 
coupage naturel  entre  les  ordres  du  diatopique,  du  diastratique  et  du  dia- 
phasique,  les  trois  termes  étant  soumis  aux  apories  de  toute  classification 
à  l'intérieur  d'un  continuum,  quel  que  soit  le  caractère  opératoire  d'un  tel 
classement"^.  Nous  nous  arrêterons  maintenant  à  quelques-unes  de  ces 
apories  (Gadet  2004). 

2.1.1.  Le  diatopique  ne  constitue  pas  un  attribut  fixe  des  locuteurs.  Il 
est  courant  de  regarder  le  diatopique,  comme  le  diastratique  d'ailleurs,  et 
à  l'image  des  deux  formes  en  principe  intangibles  de  l'âge  et  du  sexe, 
comme  constituant  une  caractéristique  relativement  fixe  du  profil  socio- 
linguistique  du  locuteur,  auquel  elle  serait  attachée  en  tant  qu'attribut  sta- 
ble, acquis  dès  l'enfance,  et  le  suivant  tout  au  long  de  sa  vie.  Cette 
conception  courante  est  d'ailleurs  reflétée  dans  les  théories  sociolinguisti- 
ques,  qui  divergent  entre  elles  selon  l'accent  qu'elles  mettent,  sur  le  locu- 
teur comme  porteur  d'attributs  sociaux,  ou  sur  la  construction  de  l'iden- 
tité dans  la  confrontation  interactionnelle  (Gadet  2000). 

Mais  une  telle  conception  du  diatopique,  que  la  sociolinguistique  a  hé- 
ritée de  la  dialectologie  et  de  la  géographie  linguistique^,  se  trouve  mise 


^  «  Les  frontières  sont  floues  ou  même  inexistantes  »  (Wunderli  1992:  173). 

^  L'espace  et  le  diatopique  sont  longtemps  demeurés  des  impensés  de  la  sociolinguisti- 
que variationniste,  qui  s'est  d'abord  contentée  de  reconduire  sans  les  reproblématiser  cer- 
taines évidences  de  la  dialectologie.  Tel  n'est  plus  le  cas  aujourd'hui  (voir,  parmi  d'autres, 
Britain  2002,  Johnstone  2004,  Eckert  2004). 

21 


en  cause  aujourd'hui,  en  particulier  par  des  géographes  intéressés  au  rôle 
du  rapport  au  territoire  dans  la  constitution  de  l'identité  d'un  individu  ou 
d'un  groupe  (par  exemple,  Raffestin  1995).  La  conception  de  l'espace  qui 
prévalait  à  l'époque  oià  la  dialectologie  s'est  constituée  est  en  effet  ébran- 
lée par  l'actuelle  mobilité,  de  populations  et  de  discours,  que  l'on  résume 
sous  le  nom  de  «  globalisation  ».  Les  populations  déplacées  déplaçant 
bien  quelque  chose  de  leur  espace  d'origine  (Blommaert  2003  pour  une 
réflexion  de  «  sociolinguistique  de  la  globalisation  »),  on  ne  peut  plus 
désormais  regarder  l'identité  en  relation  avec  l'espace  comme  un  facteur 
donné  et  figé^.  Elle  apparaît  comme  un  phénomène  dynamique,  où  le  so- 
cial n'est  pas  coupé  d'un  espace  aux  frontières  mouvantes. 


2.1.2.  Le  diatopique  sensible  à  l'audience.  Il  y  a  donc  intrication  entre 
diatopique,  diastratique  et  diaphasique.  Un  locuteur  a  d'autant  plus  de 
chances  de  rendre  saillants  des  traits  phonologiques  ou  lexicaux  diatopi- 
ques  marqués  qu'il  s'inscrit  dans  un  réseau  social  plus  serré  (Granovetter 
1973),  à  fort  ancrage  local,  et  sans  grande  mobilité:  nombre  limité  de  par- 
tenaires langagiers,  mais  encore  plus  absence  ou  nombre  limité  de  «  ponts 
»  faisant  médiation  vers  d'autres  réseaux,  deux  traits  caractéristiques  d'un 
réseau  cohésif  (voir  Milroy  1992,  sur  les  effets  du  type  de  réseau  d'appar- 
tenance sur  la  préservation  du  vemaculaire,  et  l'orientation  envers  les  in- 
novations). 

Les  activités  conduites  avec  chaque  partenaire  sont  plus  nombreuses 
dans  un  réseau  multiplexe,  avec  la  contrepartie  d'un  nombre  plus  restreint 
de  partenaires.  Ainsi,  ses  particularismes  régionaux,  un  locuteur  n'y  re- 
courra pas  toujours  aussi  fréquemment,  en  fonction  de  l'interlocuteur  et 
de  l'activité:  il  les  augmentera  probablement  sur  le  marché  local,  les  atté- 
nuera au  contraire  en  présence  d'étrangers  ou  d'inconnus,  sur  un  marché 
plus  général  (Bourdieu  1982).  Le  diatopique  s'avère  ainsi  sensible  à  l'in- 
teraction et  au  diaphasique. 

Un  exemple  de  cette  souplesse  modulée  par  les  interactions  a  été  pré- 
senté par  Léon  1973,  qui  décrit  l'adoption  d'un  «  accent  parisien  »  par  de 
jeunes  locuteurs  d'un  village  de  Touraine  à  travers  l'affaiblissement  des 
consonnes  intervocaliques,  la  postériorisation  de  l'articulation,  la  pharyn- 
galisation  du  r,  et  l'accentuation  de  la  pénultième  avec  montée  mélodique 


^  Le  pouvait-on  auparavant  ?  Il  n'est  pas  exclu  que  les  analyses  traditionnelles  soient 
passées  à  côté  de  certains  phénomènes.  Mais  on  peut  considérer  que  c'était  une  étape  ad- 
missible au  moins  méthodologiquement. 

22 


et  durée.  Ceux  qui  usent  largement  de  ces  traits  sont  des  hommes,  jeunes, 
de  milieu  ouvrier,  et  «d'attitude  revendicatrice».  Ils  les  accentuent  dans 
des  circonstances  publiques  (par  exemple  au  bistrot),  les  atténuent  au 
contraire  dans  le  giron  familial.  Léon  interprète  ce  fonctionnement 
comme  effort  pour  faire  masculin,  rejet  de  l'autre,  métaphore  de  la 
gouaille  et  de  l'exagération  (voir  le  rapport  avec  le  stéréotype  du  français 
populaire,  tel  que  le  rappelle  par  exemple  Bourdieu  1983).  Ainsi,  la  réfé- 
rence où  les  locuteurs  vont  chercher  leur  modèle  n'est  ni  aléatoire  ni  in- 
différente: en  l'occurrence,  elle  apparaît  davantage  spatiale  que  sociale. 
L'effet  social  est  en  effet  réduit  au  minimum,  puisque  c'est  dans  une 
classe  sociale  semblable  à  la  leur  que  ces  locuteurs  vont  chercher  leur  ré- 
férence: un  accent  populaire  parisien.  Mais  le  lieu  représente  bien  de 
Tailleurs,  Paris  constituant  par  excellence  le  lieu  de  prestige  urbain  à  par- 
tir d'oià  le  français  a  historiquement  diffusé  sur  l'ensemble  du  territoire 
(Lodge  2004). 

Quant  aux  exemples  de  langue  des  jeunes,  ils  relèvent  en  principe  de 
la  diastratie  (en  tant  qu'il  s'agit  d'une  catégorie  démographique),  tout 
en  étant  sensibles  au  diatopique.  Mais  ils  montrent  aussi  que  la  sensibi- 
lité au  diaphasique  de  la  part  de  populations  localement  ancrées  n'a  rien 
d'exceptionnel.  A  côté  de  relevés  plus  ou  moins  aléatoires,  on  dispose 
pour  la  France  d'enquêtes  ethnographiques  menées  en  observation  par- 
ticipante, pour  (au  moins)  Paris  et  sa  région,  Marseille,  Nice  ou  Greno- 
ble (voir  par  exemple  LIDIL  1999).  Les  spécificités  sont  en  partie  liées 
à  des  spécificités  des  groupes  (Bouziri  1999  pour  des  groupes  consti- 
tués sur  base  ethnique  -  Algériens,  Marocains,  Tunisiens  -  à  la  Goutte 
d'Or  à  Paris;  ou  Billiez  1992  pour  un  groupe  pluri-ethnique  à  Greno- 
ble); mais  il  y  a  aussi  de  la  différence  selon  les  lieux.  Toutefois,  il  appa- 
raît difficile  d'affirmer  que  certains  traits  ou  certaines  formes  seraient 
emblématiques  d'un  lieu  parce  qu'on  ne  les  rencontrerait  pas  ailleurs, 
et,  faute  d'enquêtes  ethnographiques  très  nombreuses,  on  ne  dispose 
que  du  sentiment  du  groupe  pour  savoir  ce  qu'il  considère  comme  no- 
vateur (ce  que  les  jeunes  regardent  comme  «  leur  langage  à  eux  »,  Fa- 
gyal  2005).  Ce  qui  soulève  des  questions  sur  l'innovation  et  sur  la  diffu- 
sion, chacun  tendant  à  surestimer  les  quelques  spécificités  et  à  occulter 
les  nombreux  traits  partagés.  Tout  groupe  (pas  seulement  de  jeunes) 
construit  ainsi  son  identité  à  partir  de  processus  différenciateurs  de 
structuration,  de  traçage  de  frontières,  qui  permettent  la  clôture  de  grou- 
pes, à  travers  des  traits  qui  prennent  valeur  localement  (inclusion/exclu- 
sion), dans  la  mesure  oii  il  se  définit  par  la  référence  spatiale  (voir  Raf- 
festin  1995,  qui  fait  un  parallèle  entre  langue  et  territoire  sur  les  quatre 

23 


espaces  que  sont  l'environnement  immédiat,  et  les  zones  d'échange,  de 
référence  et  du  sacré). 

Nous  conclurons  donc  sur  ce  point  que  le  relationnel  domine  le  terri- 
toire, et  le  détermine.  La  variation  étant  une  propriété  des  langues  en 
usage,  le  processus  de  différentiation  ne  saurait  disparaître,  et  s'il  est  dés- 
ormais en  France  moins  déterminé  par  le  spatial,  c'est  qu'il  passe  davan- 
tage par  les  relations  sociales  et  interpersonnelles. 

2.2.  Constitution  de  l'identité  en  relation  à  l'espace.  Aux  effets  de  ni- 
vellement engendré  entre  autres  par  la  mobilité  des  populations,  s'oppo- 
sent des  forces  agissant  en  sens  inverse:  ce  sont  les  phénomènes  identitai- 
res, qui  ont  aussi  pour  effet  de  mettre  en  cause  une  conception  trop  sim- 
ple du  diatopique,  et  qui  soulignent  le  rôle  des  relations  sociales,  autant 
pour  le  maintien  que  pour  la  disparition  des  vemaculaires  locaux. 

2.2.1.  «L  'espace  vécu».  Krefeld  (2002  et  2004)  relie  le  diatopique  à 
l'identité  en  reformulant  l'approche  de  la  variation  diatopique  dans  les 
termes  plus  complexes  d'un  espace  subjectif,  égocentré,  qu'il  appelle  es- 
pace vécu.  Il  s'agit  d'un  espace  pluridimensionnel  que  le  locuteur  se 
construit,  et  qui  comprend  des  éléments  aussi  divers  que  la  spatiahté  de  la 
langue  (territoire  et  ses  ères),  la  spatialité  du  locuteur  (sa  provenance,  le 
fait  qu'il  soit  ou  non  autochtone,  sa  trajectoire,  son  histoire  de  vie)  et  la 
spatialité  de  renonciation  (dimension  pragmatique).  Ainsi,  différents  es- 
paces vécus  subjectifs  peuvent  coexister  en  un  même  espace,  et  dans  un 
même  groupe  social  ou  démographique  (comme  à  l'intérieur  d'une  même 
famille,  migrante  ou  non).  Un  espace  vécu  est  idiosyncrasique,  fruit  d'une 
intrication  entre  espace  physique,  social  et  symbolique  (voir  aussi  Britain 
2002,  pour  une  définition  de  «  spatialité  »).  L'espace  vécu  apporte  un  au- 
tre point  de  vue  sur  la  singularité  du  rapport  à  l'espace  dans  l'architecture 
variationnelle,  et  sur  la  construction  des  répertoires  individuels. 

La  notion  d'espace  vécu  invite  à  revenir  sur  la  définition  des  langues, 
à  partir  d'un  point  de  vue  partant  du  répertoire  des  locuteurs,  ces  derniers 
référant  à  des  notions  construites  sur  la  base  de  frontières  (entre  langues, 
entre  communautés,  entre  styles...).  Aussi  n'y  a-t-il  pas  que  les  migrants 
ou  les  locuteurs  de  langues  régionales  qui  aient  affaire  à  1'  espace. 

2.2.2.  Le  «  crossing  »  (accents,  traits  emblématiques,  variétés,  lan- 
gues). Une  mise  en  relation  entre  diatopie  et  diaphasie  est  aussi  en  cause 

24 


dans  ce  que  Rampton  a  résumé  sous  la  dénomination  de  cwssing  (1995, 
1999).  Il  s'agit  d'une  stéréotypisation,  par  un  locuteur  ou  par  un  groupe 
de  locuteurs,  d'éléments  interprétables  comme  provenant  d'un  autre 
groupe.  C'est-à-dire  l'adoption  par  un  locuteur  de  traits  d'un  accent  qui 
n'est  pas  originairement  le  sien,  à  des  fins  dirigées  vers  une  audience,  en 
général  le  groupe  de  pairs^. 

Il  n'y  a  guère  de  descriptions  de  ce  phénomène  pour  le  français  (voir 
pour  l'anglais  le  numéro  de  Journal  of  Sociolinguistics  1999,  par  exemple 
l'article  de  Cutler  décrivant  la  convergence  vers  le  Black  English  d'un 
adolescent  blanc  et  Upper  Class  de  Park  Avenue  à  New  York),  alors 
même  que,  loin  de  constituer  un  phénomène  rare,  il  y  a  là  une  modalité 
générale  de  construction  de  l'identité,  en  continuité  de  la  réflexion  de 
Gumperz  sur  we-code/they-code  (par  exemple,  1989).  Mais  cette  impres- 
sion d  absence  de  réflexion  française  est  induite  par  le  manque  d'un  terme 
pour  désigner  le  phénomène,  car  cette  relation  entre  le  local  et  l'audience 
peut  être  illustrée  par  des  cas  bien  décrits,  comme  l'exemple  de  Léon 
1973  présenté  plus  haut,  où  les  jeunes  gens  vont  chercher  une  référence 
hors  du  marché  local;  et  c'est  aussi  souvent  le  cas  dans  la  langue  des  jeu- 
nes. 

Les  exemples  de  crossing  paraissent  ainsi  concerner  des  lieux  (accents 
régionaux  et  ethniques),  montrant  une  forte  saillance  cognitive  du  diato- 
pique  par  rapport  aux  autres  types  de  phénomènes  de  variation.  Mais  il 
n'y  a  pas  d'obligation  que  les  frontières  que  le  crossing  traverse  soient 
seulement  celles  de  variétés  de  la  même  langue,  et  je  propose  de  parler  de 
crossing  pour  des  phénomènes,  au-delà  des  accents  régionaux,  concernant 
les  langues.  On  pourrait  concevoir  ainsi  l'adoption  de  traits  sentis  comme 
arabes  par  des  adolescents  qui  ne  sont  pas  eux-mêmes  des  Beurs  (Billiez 
1992):  intonation  saccadée,  articulation  constrictive  sourde  et  forte  du  r, 
interjections  arabes  comme  zarina  ou  nshallah,  ou  calquées  sur  des  ex- 
pressions arabes  comme  sur  la  tête  de  ma  reum,  sur  le  Coran,  sur  le  Co- 
ran de  la  Mecque...,  à  fonctionnement  emblématique.  La  référence  ex- 
terne, l'appui  sur  l'altérité  qui  va  jouer  un  rôle  dans  la  construction  de 
l'identité  ne  s'arrêterait  pas  aux  frontières  des  langues. 

Ainsi,  l'espace  vécu  et  le  crossing  insistent  sur  le  rôle  que  peut  jouer 
l'orientation  vers  l'extérieur,  ce  qui  conduit  à  soulever  des  questions  sur 
la  notion  de  communauté  linguistique,  du  fait  qu'elle  ne  peut  pas  être  dé- 
pourvue de  contacts  externes. 

^  J'ai  pour  le  moment  renoncé  à  traduire  ce  terme  en  français,  «  croisement  »  ne 
convenant  pas.  «  Passage  »  serait  plus  acceptable,  mais  sa  polysémie  le  rend  d  un  usage 
courant  délicat. 

9*^ 


2.3.  Diatopique,  espace,  interaction.  Contrairement  à  ce  qui  était  im- 
plicitement supposé  par  la  réflexion  sociolinguistique  traditionnelle,  le 
diatopique  apparaît  donc  très  complexe  (au  sens  de  supposer  plus  d'un  or- 
dre explicatif,  Britain  2002).  Loin  d  être  cette  composante  fixée,  c'est  un 
facteur  symbolique  qui  peut  faire  l'objet  de  recomposabilités  au  cours 
d'une  vie  (voir  les  interviews  de  Deprez  à  paraître).  Si  le  processus  de  di- 
versification l'emporte  sur  ce  qui  est  différencié,  le  diatopique  apparaît 
seulement  comme  une  première  évidence  de  saisie  différenciatrice  (tout 
le  monde  ayant  affaire  à  l'espace). 

Nous  pouvons  alors  revenir  à  la  question  posée  dans  1  introduction  de 
la  deuxième  partie:  le  diatopique  ne  constitue  pas  une  évidence  objective. 
Ainsi,  Macaulay  1997  oppose  la  différenciation  spatiale  dans  ses  effets 
diatopiques,  héritage  historique  de  discontinuités  de  communication  (dis- 
tance, éloignement,  barrières  naturelles),  aux  différences  sociales  dans 
leurs  effets  diastratiques.  Ces  dernières  ne  sont  pas  le  produit  de  l'isole- 
ment, mais  plutôt  des  contacts,  dans  un  ordre  social  stratifié^:  les  différen- 
ces sociales  ont  pour  effet  de  maintenir  les  distances  sociales,  et  la  diffé- 
rence sociale  est  une  conséquence  de  la  proximité  spatiale.  Cette  diffé- 
rence apparaît  de  façon  nette  aux  réactions  devant  les  évolutions.  L'inten- 
sification et  l'amélioration  des  communications  (déplacements  de  person- 
nes, de  technologies,  d'informations)  tendent  à  atténuer  les  différences 
diatopiques;  mais  la  circulation  des  discours  (en  particulier  par  les  nou- 
velles technologies  et  les  mass  media)  n'a  pas  d'effet  sur  les  différences 
diastratiques,  comme  on  le  voit  en  particulier  à  la  persistance  de  problè- 
mes éducatifs,  généralement  plus  vifs  en  contexte  urbain  qu'en  contexte 
rural,  alors  même  que  les  communications  y  sont  plus  intensives.  Cepen- 
dant, on  peut  reprocher  à  Macaulay  de  voir  encore  l'espace  comme  une 
dimension  physique,  car  les  facteurs  sociaux  peuvent  jouer  un  rôle  tout 
aussi  décisifs  pour  relativiser  l'espace:  l'ancrage  territorial  s'avérerait  en 
fin  de  compte  moins  puissant  que  le  jeu  identitaire/communautaire,  si  le 
traçage  des  frontières  est  lié  à  la  culture  des  groupes. 

La  langue  des  jeunes  constitue  un  domaine  particulièrement  favorable 
pour  ce  type  d'étude,  comme  l'ont  montré  des  travaux  ethnographiques 
(Eckert  2000  et  2004,  Mendoza-Denton  2002,  Trimaille  2003,  Fagyal 
2005).  C'est  dans  cette  population  qu'apparaît  de  la  façon  la  plus  hsible 
la  relation  entre  différents  aspects  sémiotiques,  façon  de  parler,  habille- 


*  L'exemple  pris  en  1.3.2.  va  dans  la  même  direction,  la  terminologie  ethnicisée  étant 
d'autant  plus  vaste  qu  il  s  agit  de  partenaires  de  1  immédiat  espace  discursif,  faisant  l'ob- 
jet de  plus  fréquentes  interactions  ou  désignations. 


26 


ment  et  tenue  de  corps  (voir  le  concept  d'hexis  corporelle  chez  Bourdieu, 
par  exemple  1982),  identité,  et  territoire.  Les  ressorts  de  ce  privilège  des 
adolescents  résident  dans  l'effet  de  réseaux  cohésifs  localement  implantés. 


3.  Conclusion:  le  diatopique  dans  le  sociolinguistique 

On  a  souvent  prêté  de  la  nouveauté  aux  phénomènes  ici  évoqués,  en 
tant  qu'effets  de  la  globalisation  qui  multiplie  les  déplacements  de  popu- 
lations, ainsi  que  les  contacts  qui  accroissent  les  occasions  d'accès  à  une 
référence  externe.  Il  s'est  d'ailleurs  souvent  trouvé,  dans  l'histoire  de  la 
sociolinguistique,  que  ce  soit  avec  des  réflexions  tenues  à  partir  des 
contacts  de  langues  qu'ont  d'abord  été  posées  des  questions  sur  la  rela- 
tion entre  langue  et  identité. 

Contrairement  aux  interprétations  faisant  du  diatopique  un  ordre  aussi 
primitif  que  le  diastratique  (et  Wunderii  1992  parie  «  d'organisation  pri- 
maire »,  celle  des  groupes  locaux  et  sociaux,  les  facteurs  communicatifs 
relevant  pour  lui  d'une  «  organisation  secondaire  »),  nous  avons  ici  privi- 
légié la  dynamique  de  l'interaction  comme  clef  de  la  variation.  On  a  ainsi 
posé  un  primat  du  diaphasique,  sans  décider  si  celui-ci  était  caractéristi- 
que de  la  situation  française  (comme  on  l'a  supposé  en  1.3.1.),  ou  bien 
s'il  s'agissait  d'un  trait  plus  général  de  «  l'ordre  du  sociolinguistique  » 
(Gadet  2000  et  2003a)^  On  a  ainsi  accordé  à  la  communication  en  face-à- 
face  un  rôle  déterminant  dans  la  transmission  des  innovations. 

Il  faudra  ainsi  ancrer  la  réflexion  sur  l'espace  dans  une  «  socioUnguistique 
de  la  globahsation  »  (Blommaert  2003),  qui  tienne  compte  de  l'imprédictible 
de  ressources  mobiles  dans  la  construction  des  identités:  intrication  des  ni- 
veaux (haut/bas,  local/global,  spatial/social),  relativité  et  instabilité  des  fonc- 
tions (réallocation  toujours  possible  des  répertoires  et  des  variantes),  et  mobi- 
hté  (des  humains,  des  marchandises,  des  ressources,  des  discours). 

Nous  avons  ici  tenté  de  confronter,  en  revisitant  des  travaux  déjà  an- 
ciens, des  axes  en  général  regardés  comme  exclusifs,  ce  qui  souligne  en- 
core la  complexité  des  frontières  langagières.  En  s 'interrogeant  sur  le  lo- 
cus  du  savoir  variationnel  sur  la  langue,  locuteur  selon  son  répertoire  ou 
communauté  (question  bien  discutée  dans  Labov  1996),  on  suit  une  pers- 
pective ouverte  par  Eckert  2004,  qui  propose  de  passer  d'une  linguistique 
de  la  communauté  à  une  linguistique  du  contact. 

^  Il  faudrait  aussi  tenir  compte  de  l'effet  des  hiérarchies  dans  la  construction  des  lan- 
gues standard,  à  des  périodes  différentes  des  histoires  nationales,  et  sur  des  fonds  histori- 
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27 


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30 


Nuovi  aspetti  della  relazione  italiano-dialetto  in  Ticino 
Bruno  Moretti  (Berna) 


1.  Introduzione 

Chi  si  occupa  della  situazione  della  dialettofonia  nel  Canton  Ticino 
non  può  non  seguire  con  notevole  interesse  (e  curiosità)  i  segnali  che  si 
notano  in  Italia  di  una  almeno  parziale  ripresa  dei  dialetti.  Sia  i  dati  dei  ri- 
levamenti quantitativi  che  le  osservazioni  qualitative  segnalano  infatti  un 
deciso  arresto  del  calo  e  la  comparsa  o  ricomparsa  qua  e  là  dei  dialetti  in 
nuove  funzioni'. 

Il  fenomeno  dal  punto  di  vista  della  Svizzera  italiana  è  quanto  mai  in- 
teressante dato  che  quest'ultima  regione  si  era  rivelata  in  passato  una  del- 
le zone  più  forti  della  dialettofonia  (con  situazioni  paragonabili,  se  non 
superiori,  alle  zone  di  maggiore  dialettofonia  in  Italia)  ma  nei  penultimi 
rilevamenti  quantitativi  (relativi  al  1990)  era  stato  osservato  un  calo  pre- 
cipitoso del  dialetto,  i  cui  sviluppi  ulteriori  erano  difficilmente  prevedibili 
ma  si  potevano  immaginare  nei  termini  dei  due  scenari  allora  dominanti 
in  Italia  nelle  regioni  in  cui  la  dialettofonia  era  in  calo,  e  cioè  una  conti- 
nuazione del  calo  (quello  che  in  Moretti  1999  avevo  definito  lo  'scenario 
lombardo')  o  un  rallentamento  dello  stesso  con  una  diminuzione  della 
dialettofonia  esclusiva  ma  una  crescita  di  importanza  dell'uso  misto  o  al- 
ternato italiano-dialetto. 

Ci  troviamo  quindi  di  fronte  alla  domanda  relativa  al  futuro  della  dia- 
lettofonia in  Ticino.  A  questa  domanda  proveremo  qui  a  dare  una  prima 
risposta  tenendo  presente  sia  i  nuovi  dati  quantitativi,  rilevati  nel  2000, 
sia  andando  a  cercare  nei  comportamenti  linguistici  in  Ticino  eventuali 
segnali  di  tendenze  coerenti  con  quanto  osservato  in  Italia. 


^  Ci  basti  qui  rimandare  a  parecchi  contributi  contenuti  in  questo  stesso  volume. 

31 


/ 

4U  ELEMENTI  QUANTITATIVI 

In  Moretti  (1999:  71),  comparando  i  dati  del  censimento  federale  1990 
/con  i  dati  di  Bianconi  (1980),  si  constatava  che  nei  quindici  anni  che  separa- 
vano questi  due  rilevamenti  (in  verità  infatti  i  dati  di  Bianconi  erano  stati  rac- 
colti nel  1975)  era  avvenuto  un  calo  molto  importante  della  dialettofonia  in 
Ticino.  Da  una  percentuale  di  dialettofonia  complessiva  in  famiglia,  per  i  soli 
italofoni  di  nazionalità  svizzera,  dell' 83.1%  nel  1975,  si  arrivava  nel  1990  ad 
una  cifra  corrispondente  al  56.8%,  ciò  che  equivale  a  un  calo  di  quasi  un  ter- 
zo (32%)  sulla  cifra  di  partenza  nei  quindici  anni  intercorsi. 

Le  dichiarazioni  di  dialettofonia  corrispondenti  nei  dati  del  censimen- 
to 2000  (l'ultimo  grande  rilevamente  nazionale  a  nostra  disposizione)  si 
sono  fissate  sul  44.6%,  ciò  che  rappresenta  di  nuovo  un  calo  notevole 
(ben  12.2  punti  percentuali)  rispetto  ai  rilevamenti  del  1990  (si  deve  tener 
presente  che  il  confronto  attuale  si  basa  su  un  intervallo  di  10  e  non  di  15 
anni  come  in  precedenza). 

Riporto  qui  di  seguito  i  dati  dei  due  ultimi  censimenti^  relativi  alle  di- 
chiarazioni totali  della  popolazione. 

tabella  1  :  Uso  di  italiano,  dialetto  e  altre  lingue  in  famiglia 


italiano 

dialetto 

it./dial. 

altre  1. 

it.  e  altre 

dial.  e  altre 

it./dial./altre 

2000             43.1 

14.7 

16.1 

9.5 

13.5 

0.7 

2.4 

1990             37.3 

19.9 

18.6 

8.8 

11.8 

0.8 

2.7 

variazione      5.8 

-5.2 

-2.5 

0.7 

1.7 

-0.1 

-0.3 

Ciò  che  dà  cifre  complessive  corrispondenti  a: 


1990  2000  Variazione  mutamento  percentuale 
dialettofonia 

complessiva  42%  33.9%  -8.1  -19.29% 

italofonia  complessiva     70.4%  75.1%  4.7  6.68% 


E'  importante  notare  qui  che  non  è  solo  l'uso  esclusivo  del  dialetto  a 
perdere  posizioni  ma  anche  l'uso  misto  italiano-dialetto  (anche  se  in  mi- 
sura meno  forte).  Dato  che  la  famiglia  dovrebbe  chiaramente  essere  il  do- 
minio pila  conservativo  per  il  dialetto,  vale  la  pena  di  osservare  anche  i 
dati  relativi  all'uso  fuori  casa: 

tabella  3:  Uso  di  italiano,  dialetto  e  altre  lingue  a  scuola  e  al  lavoro 


italiano 

dialetto 

it./dial. 

altre  1. 

it.  e  altre 
lingue 

dial. 
e  altre 

it./dial./altre 

2000 

56.2 

4.1 

13.9 

1.9 

17.2 

0.4 

6.3 

1990 

55.6 

5.3 

15.3 

2.4 

14.8 

0.4 

6.2 

variazione 

0.6 

-1.2 

-1.4 

-0.5 

2.4 

0 

0.1 

^  I  dati  del  censimento  2000  sono  estrapolati  da  Bianconi  /  Borioli  (2004:  48-72). 

32 


Ovvero,  in  valori  assoluti  di  dialettofonia  e  italofonia: 
tabella  4 


dialettofonia 
complessiva 

1990 

27.2% 

2000 

24.7% 

Variazione 
-2.5 

italofonia  complessiva 

91.9% 

93.6% 

1.7 

mutamento  percentuale 

-9.19% 

1.85% 


Una  novità  importante  è  data  dal  fatto  che  il  calo  al  di  fuori  della  fami- 
glia è  meno  forte,  ma  le  cifre  di  partenza  sono  già  piti  basse  rispetto  a 
quelle  relative  ai  comportamenti  famigliari. 

In  Moretti  (1999),  riprendendo  la  metodologia  adottata  da  Berruto 
(1994)  per  la  situazione  italiana,  era  stato  fatto  il  tentativo  di  provare  a 
proiettare  nel  futuro  le  cifre  allora  a  disposizione  (quelle  dei  censimenti 
fino  al  1990)  sulla  base  di  una  relazione  logaritmica.  I  nuovi  dati  possono 
ora  da  un  lato  permetterci  di  verificare  quanto  fossero  plausibili  le  proie- 
zioni di  allora,  ma  soprattutto  (nel  senso  che  quest'ultima  informazione  è 
molto  pili  interessante  per  osservare  le  tendenze)  possono  permetterci  di 
capire  se  la  forza  del  calo  sia  rimasta  costante. 

Il  calcolo  precedente  (basato  su  un  rapporto  di  calo  in  15  anni  del  32% 
sulla  cifra  di  partenza)  forniva  una  previsione  della  discesa  della  dialet- 
tofonia su  valori  all'incirca  dell' 1.26%  nel  2140.  In  base  al  confronto  con 
i  nuovi  dati  (oltretutto  più  affidabile  perché  fondato  esattamente  sulle 
stesse  domande  e  sugli  stessi  materiali)  otteniamo  un  calo  del  21.5%  nel- 
lo spazio  degli  ultimi  dieci  anni  considerabili  (1990-2000)  e  arriviamo  ad 
un  tasso  di  dialettofonia  nel  2140  pari  all' 1.51%  (e  al  1.19%  nel  2150). 
Quindi  le  cifre  non  cambiano  di  molto  e  non  possiamo  senza  dubbio  sulla 
base  di  questi  dati  parlare  di  un  importante  rallentamento  del  calo  (soprat- 
tutto tenendo  conto  degli  intervalli  differenti  di  tempo  ai  quali  si  applica- 
no le  percentuali  di  calo,  15  vs.  10  anni)  o,  tanto  meno,  come  è  stato  fatto 
in  alcuni  contesti,  parlare  di  una  ricrescita  generale  della  dialettofonia.  La 
tabella  seguente  ripropone  i  valori  considerati  e  le  percentuali  relative^ 

tabella  5:  rapporto  di  calo  relativo  ai  soli  italofoni  svizzeri 


1975  (LM) 

1990 

2000 

dialettofonia  globale 

83.1% 

56.8% 

44.6% 

rapporto  di  calo 

32%  (in  15  anni) 

21.5%  (in  10  anni) 

previsioni  nel  2140 

1.26% 

1.51% 

^  Siccome  i  censimenti  federali  permettono  di  valutare  la  dialettofonia  solo  a  partire 
dal  1990,  per  ottenere  dati  comparabili  relativi  ai  periodi  precedenti,  in  Moretti  (1999)  ci 
si  è  basati  sui  materiali  di  Bianconi  (1980),  lavoro  che  per  praticità  viene  qui  abbreviato  in 
LM  (cioè  "Lingua  matrigna"). 

33 


conclusione,  da  quanto  abbiamo  visto  finora  non  possiamo  in  nes- 
lodo  sostenere  che  il  calo  della  dialettofonia  in  Ticino  abbia  decisa- 
3  invertito  la  rotta  e  si  stia  trasformando  in  una  'rinascita'  dei  dialet- 
ti. Accanto  alle  cifre  assolute  può  però  essere  interessante  chinarsi  sui  dati 
specifici  relativi  alle  dimensioni  classiche  di  variazione  sociolinguistica, 
per  vedere  se  le  differenziazioni  inteme  possano  segnalare  novità  signifi- 
cative. Passeremo  perciò  qui  di  seguito  in  rassegna  i  valori  relativi,  nel- 
l'ordine, all'età,  al  genere,  al  luogo  di  domicilio  e  al  livello  diastratico. 

2.1.  Siccome  una  delle  dimensioni  fondamentali  del  calo  della  dialet- 
tofonia tocca  tradizionalmente  le  differenze  di  età,  iniziamo  proprio  da 
quest'ultimo  parametro  di  variazione.  Il  comportamento  dialettofono  (re- 
lativo sia  al  solo  dialetto  che  all'uso  combinato  di  italiano  e  dialetto)  in 
famiglia  dei  differenti  gruppi  veniva  rivelato  nel  1990  dalle  seguenti  au- 
todichiarazioni (relative  all'intera  popolazione): 

tabella  6:  comportamento  dialettofono  in  famiglia  nel  1990  (tutta  la  popolazione) 


0-4  anni  5-19  anni  20-59  anni  60  e  oltre 

1990  23.7  28.2  41.4  57.3 


I  dati  corrispondenti  rilevati  nel  2000  sono  i  seguenti: 

tabella  7:  comportamento  dialettofono  in  famiglia  nel  2000  e  confronto  (tutta  la 
popolazione) 


0-4  anni 

5-19  anni 

20-59  anni 

60  e  oltre 

2000                        17.8 

21.3 

33.4 

46.9 

calo  in  punti             -5.9 

-6.9 

-8 

-10.4 

calo  percentuale    24.89% 

24.47% 

19.32% 

18.15% 

Questi  dati  mostrano  chiaramente  che  il  calo  continua  e  che  esso  tocca 
soprattutto  le  giovani  generazioni  (mentre  è  leggermente  meno  forte,  co- 
me mostrano  le  cifre  relative  ai  cali  percentuali,  nelle  generazioni  avanza- 
te). Per  quanto  riguarda  la  distribuzione  delle  cifre  della  dialettofonia 
complessiva,  se  le  suddividiamo  nelle  sottocategorie  "parla  solo  dialetto" 
o  "parla  italiano  e  dialetto",  otteniamo  il  quadro  seguente: 

tabella  8 


0-4  anni 

5-19  anni 

20-59  anni 

60  e  oltre 

solodial.  1990 

11.5 

13.5 

18.4 

30.7 

solo  dial.  2000 

6.50 

9.10 

13.30 

23.70 

it./dial.  1990 

10.3 

13.2 

19.5 

22.2 

it./dial.  2000 

9.4 

10.3 

16.8 

19.6 

34 


Il  calo  è  meno  forte  per  i  comportamenti  misti,  ma  è  comunque  rile- 
vante. Ciò  mostra  come  la  diminuzione  della  dialettofonia,  almeno  oer 
ora,  continui  a  trascinare  con  sé  in  parte  anche  la  discesa  del  dialetto  nei 
comportamenti  misti. 

2.2.  La  seconda  grande  dimensione  che  consideriamo  è  quella  del  ge- 
nere, per  la  quale  si  conferma  quanto  era  già  stato  osservato  nei  dati  del 
1990  e  cioè  una  differenza  minima  tra  uomini  e  donne'*. 

tabella  9:  Dialettofonia  in  famiglia  (solo  gli  italofoni  svizzeri) 


italiano 

dialetto 

it./dial. 

Parla  anche 
dialetto 

uomini  2000 

42 

22.1 

23.2 

49 

donne  2000 

43.8 

20.7 

23.1 

47 

uomini  1990 

32.3 

30.8 

26.7 

61.8 

donne  1990 

33.2 

29.3 

26.9 

59.8 

Infatti  in  questa  tabella  si  vede  bene  come  si  manifesti  una  differenza 
trascurabile  nel  comportamento  di  uomini  e  donne  riguardo  alla  dialet- 
tofonia e  come  le  dimensioni  della  differenza  siano  rimaste  esattamente 
quelle  già  rilevate  nel  1990  (in  entrambi  i  casi  le  percentuali  di  dialettofo- 
nia degli  uomini  superano  di  due  soli  punti  percentuali  quelle  delle  don- 
ne). Anche  qui,  nel  confronto  tra  i  due  rilevamenti,  emerge  bene  la  conti- 
nuazione del  calo  della  dialettofonia  (soprattutto  pura)  in  modo  simile  in 
entrambi  i  generi. 

Il  fatto  che  non  si  ritrovino  differenze  relative  al  genere  è  altamente  si- 
gnificativo per  la  comprensione  di  un  eventuale  ruolo  differente  (piij  o 
meno  stigmatizzato,  più  o  meno  di  contro-prestigio)  del  dialetto  nei  gene- 
ri e  quindi  per  verificare  un'eventuale  ideologizzazione  del  dialetto  stesso 
(o  un  suo  subire  l' ideologizzazione  dell'italiano  in  modi  differenti  attra- 
verso il  parametro  del  genere).  La  riduzione  dell'importanza  di  questa  di- 
mensione di  variazione  costituiva  un  elemento  nuovo  dei  rilevamenti  del 
1990  ed  era  stata  messa  ben  in  rilievo  da  Bianconi  /  Gianocca  (1995:  77): 

I  comportamenti  dialettofoni  non  risultano  più  essere  un  tratto  ca- 
ratteristico maschile:  le  variazioni  percentuali  tra  la  dialettofonia 
dei  maschi  e  quella  delle  femmine  sono  infatti  ridotte  e  altrettanto 
poco  significative  appaiono  le  differenze  nell'uso  dei  due  codici 


"^  I  totali  elencati  nell'ultima  colonna  ("Parla  anche  dialetto")  sono  dati  dalla  somma 
delle  percentuali  degli  usi  dichiarati  di  "dialetto",  "italiano  e  dialetto",  "dialetto,  italiano  e 
altre  lingue"  e  "dialetto  e  altre  lingue".  Per  semplificare,  nella  nostra  tabella  abbiamo  ri- 
portato solo  le  prime  due  categorie  (che  sono  quelle  quantitativamente  più  importanti). 

35 


!  nei  comportamenti  complessivi  di  uomini  e  donne.  [...]  le  connota- 
zioni extralinguistiche,  in  positivo  e  in  negativo,  di  tipo  affettivo  e 
socio-culturale,  attribuite  in  passato  all'italiano  e  al  dialetto,  sem- 
brano aver  perso  d'importanza  nella  popolazione  ticinese. 

2.3.  Anche  nei  dati  del  2000  continua  a  essere  presente  e  attiva  la  dif- 
ferenza tra  zone  cittadine,  in  cui  domina  l'italiano,  e  zone  di  periferia  o 
di  montagna,  in  cui  è  fondamentale  il  dialetto.  Questa  differenziazione 
diatopica  tende  inoltre  ad  essere  incrementata  dalle  diverse  preferenze 
che  contrappongono  la  parte  a  sud  dello  spartiacque  del  Monte  Ceneri  e 
quella  a  nord  dello  stesso  (con  la  prima  più  tendente  all'italofonia  e  la  se- 
conda più  tendente  al  dialetto).  Notiamo  per  esempio  che  nella  zona  del 
centro  urbano  del  Luganese  (che  si  trova  a  sud  del  Monte  Ceneri)  il  dia- 
letto (sia  in  forma  mista  che  assoluta)  è  usato  dal  22.8%  della  popolazio- 
ne italofona  (e  l'italiano  dall' 87.9%)  mentre  nella  montagna  della  regione 
bellinzonese  (che  appartiene  al  settentrione)  si  ha  un  uso  complessivo  del 
dialetto  da  parte  del  67.5%  della  popolazione  (per  l'italiano  il  valore  cor- 
rispondente è  del  53.8%). 

Nella  valutazione  dei  dati  del  2000,  Bianconi  e  Borioli  (2004:  58)  se- 
gnalano la  presenza  di  villaggi  con  un  monolinguismo  dialettofono  anco- 
ra molto  alto.  Nel  caso  più  marcato,  quello  di  Campo  Elenio  (situato  nel- 
l'alta valle  di  Elenio),  abbiamo  una  dialettofonia  esclusiva  in  famiglia 
deir88.7%  e  un  uso  complessivo  del  dialetto  del  93.5%  (simmetricamen- 
te inversi  sono  i  dati  relativi  all'italiano,  con  un  monolinguismo  italofono 
limitato  all' 1.6%  della  popolazione  e  l'italofonia  complessiva  air8.1%). 
Come  scrivono  giustamente  Eianconi  e  Eorioli  (ibidem),  questo  villaggio 
"offre  un  quadro  della  comunicazione  in  famiglia  quale  poteva  essere  200 
anni  or  sono  nella  maggior  parte  dei  villaggi  ticinesi".  Ma  va  pure  notato 
che  Campo  Elenio  ha  68  abitanti,  che  non  possono  ovviamente  controbi- 
lanciare i  26' 560  di  Lugano  (dove  la  dialettofonia  esclusiva  è  dichiarata 
solo  dal  6.3%  della  popolazione). 

2.4.  Come  nel  1999,  anche  nel  2000  non  si  constatano  differenze  perti- 
nenti in  relazione  al  livello  socio-professionale.  Anche  questa  caratteri- 
stica, come  quella  relativa  al  genere,  è  probabilmente  un  tratto  tipico  del- 
l'attuale situazione  ticinese,  in  cui  il  dialetto  perde  sì  terreno  rispetto  all'i- 
taliano, ma  non  è  stigmatizzato  nei  suoi  usi  e  quindi  non  diventa  una  va- 
riabile diastratica  forte  (o  di  genere). 

Per  cercare  però  eventuali  differenze  legate  alla  diastratia  possiamo 
considerare  i  dati  relativi  alle  differenze  nelle  scuole  frequentate  (anche 

36 


se  questi  dati  si  riferiranno  solo  alla  popolazione  giovanile).  Se  conf 
tiamo  le  dichiarazionijcLe-glLs.tudenti.  liceali  o  di  studenti  di  livello  sq 
stico  simile  (coloro  che  hanno  il  tasso  di  dialettofonia  più  basso)  alle  di- 
chiarazioni degli  apprendisti  (che  hanno  il  tasso  di  dialettofonia  piià  alto) 
rileviamo  le  seguenti  percentuali  (Bianconi  /  BorioU  2004:  69): 

tabella  10:  Il  comportamento  linguistico  a  scuola  secondo  il  tipo  di  scuola  nel 
2000  (solo  italofoni) 


italiano 

dialetto 

It./dial. 

Parla  anche  it. 

Parla  anche  dial. 

Liceo,  Magistrale, 

SCC 

78 

1.2 

9.4 

98.2 

12.7 

Apprendisti 

70.7 

3.1 

15.9 

96.4 

21.6 

In  questo  caso  dobbiamo  prendere  nota  di  differenze  legate  ai  tipi  di 
scuole  frequentate,  con  la  dialettofonia  un  po'  piti  forte  nelle  scuole  per 
apprendisti. 

La  situazione  diventa  molto  più  interessante,  e  assume  nuovi  aspetti, 
quando  spostiamo  la  prospettiva  dal  confronto  diretto  tra  jjipi  di  scuola  al 
confronto  delle  differenze  nel  mutamento,  comparando  i  dati  del  censi- 
mento 2000  a  quelli  del  censimento  1990  (per  i  quali  v.  Bianconi  /  Gia- 
nocca  1995:  87). 

tabella  11  :  Il  comportamento  linguistico  a  scuola  secondo  il  tipo  di  scuola  nel 
1990  (solo  italofoni) 


italiano 

dialetto 

It./dial. 

Parla  anche  it. 

Parla  anche  dial. 

Liceo,  Magistrale, 

SCC 

84.5 

0.5 

7.1 

98.2 

8.3 

Apprendisti 

69 

3.2 

17.4 

95.8 

22.9 

L'aspetto  sorprendente  riguarda  il  fatto  che  la  dialettofonia  continua  a 
calare  (pur  se  non  di  molto)  nelle  sue  varie  forme  negli  apprendisti,  ma 
segnala  una  ripresa  invece  nei  liceali,  con  un  passaggio  per  la  cifra  com- 
plessiva dall' 8.3%  al  12.7%  (un  aumento  di  4.4  punti  percentuali  corri- 
spondenti al  53%  circa  della  cifra  di  partenza),  che  si  basa  sull'incremen- 
to della  dialettofonia  pura  dallo  0.5%  al  1.2%  e  della  dialettofonia  mista 
("italiano  e  dialetto")  dal  7.1%  al  9.4%.  Interpretando  in  termini  diastrati- 
ci questo  fenomeno  possiamo  parlare  di  un  mutamento  iniziato  dall'alto 
della  scala  sociale.  Nell'indagine  di  Antonini  e  Moretti  (2000)  sull'accet- 
tazione dei  regionalismi  lessicali  e  morfosintattici  ticinesi  (svolta  su  ma- 
teriali raccolti  per  la  maggior  parte  nel  1996)  si  notavano  due  possibili  se- 
gnali anticipatori  di  questa  tendenza.  Da  un  lato  "i  termini  di  origine  dia- 

37 


lettale  connotati  espressivamente  [tendevano]  ad  essere  più  accettati  pres- 
so i  liceali  che  non  presso  gli  apprendisti"  (Antonin/Moretti  2000:  136). 
In  secondo  luogo  esaminando  l'incidenza  della  variabile  'lingua  madre' 
(italiano  vs.  dialetto)  si  constatava  che  "in  alcuni  casi  [di  regionalismi  di 
matrice  dialettalel  tuttavia  si  sono  ottenuti  valori  di  accettazione  superiori 
presso  gli  italofoni"  (Antonini/Moretti  2000:  150).  In  Antonini  /Moretti 
(2000:  81  ss.)  erano  state  indagate  anche  le  valutazioni  che  venivano  date 
della  commutazione  di  codice  italiano-dialetto.  Nei  pareri  dei  giovani  in- 
dagati questo  fenomeno  veniva  visto  o,  da  un  lato,  come  un  tratto  tipico 
degli  anziani  dialettofoni  che  farebbero  fatica  ad  esprimersi  fluentemente 
solo  in  italiano  oppure,  dall'altro  lato  (e  con  un  valore  totalmente  con- 
trapposto), come  un  tratto  tipico  dei  giovani  che  se  ne  servirerebbero  per 
divertimento. 

Nel  confronto  tra  liceali  e  apprendisti  ritroviamo  poi  anche  differenze 
riguardo  ai  comportamenti  dei  rispettivi  generi.  Infatti,  mentre  nei  primi, 
maschi  e  femmine  dichiarano  all' incirca  gli  stessi  valori,  negli  apprendisti 
(consideriamo  qui  solo  gli  svizzeri  di  lingua  italiana)  si  osserva  che  il 
30.7%  dei  ragazzi  dichiara  di  parlare  anche  dialetto,  mentre  per  le  ragazze 
il  valore  corrispondente  si  fissa  al  20.1%  delle  dichiarazioni 
(Bianconi/Borioli  2004:  72,  tabella  2.29).  La  differenza  è  evidente  soprat- 
tutto nei  comportamenti  misti  italiano-dialetto,  dichiarati  dal  13.8%  delle 
ragazze  e  dal  23.6%  dei  ragazzi. 

Questi  dati  sono  interessanti  e  ci  spingono  a  indagare  se  sia  possibile 
ritrovare  altre  variazioni  che  vadano  in  direzione  di  un  aumento  (almeno 
relativo  e  minimo)  della  dialettofonia.  Sempre  per  quanto  riguarda  i  com- 
portamenti a  scuola  va  rilevato  in  questo  senso  un  altro  segnale  di  ripresa 
leggera  della  dialettofonia,  che  riportiamo  nella  tabella  seguente: 

tabella  12:  Uso  complessivo  del  dialetto  a  scuola  nel  Bellinzonese 


1990 

2000 

Variazione 

Centro 

10.2% 

14.1% 

+3.9 

Corona 

16.1% 

18.8% 

+2.7 

Retroterra 

19.7% 

22% 

+2.3 

Montagna 

24.2% 

30.6% 

+6.4 

Quest'ultima  tabella,  relativa  al  comportamento  a  scuola  nella  sola  zo- 
na del  Bellinzonese  mostra  infatti  una  crescita  costante  della  dialettofonia 
nelle  varie  zone  geofunzionali.  Anche  qui  non  abbiamo  a  che  fare  con  fe- 
nomeni massicci  (tranne  al  limite  nel  caso  della  montagna  bellinzonese, 
che  riguarda  le  valli  di  cui  abbiamo  già  in  parte  parlato,  come  la  valle  di 
Elenio  e  la  vai  Leventina),  ma  dobbiamo  comunque  constatare  un'inver- 

38 


sione  di  tendenza.  In  questo  contesto  va  anche  notato  che  il  BeUinzonese 
si  segnala  sempre  più  come  la  zona  di  maggior  tenuta  della  dialettofonia, 
pur  mostrando  a  livello  generale  una  flessione  del  dialetto. 

A  questi  dati,  che  mostrano  una  attenuazione  del  calo  del  dialetto  o 
meglio  una  nuova  posizione  del  dialetto,  vale  la  pena  di  affiancare  uno 
degli  elementi  già  apparsi  come  innovativi  nel  1990  e  a  cui  abbiamo  già 
accennato  in  precedenza,  cioè  la  riduzione  della  pertinenza  della  variazio- 
ne correlata  al  genere.  Se  infatti,  nelle  indagini  precedenti  il  1990,  che  co- 
glievano il  periodo  di  preparazione  del  grande  calo  della  dialettofonia,  era 
possibile  osservare  che: 

Anche  la  variabile  del  genere  assumeva  [nei  dati  di  Bianconi  1980, 
relativi  al  1975]  un  nuovo  valore  distintivo  nelle  giovani  genera- 
zioni. A  sessant'anni  gli  uomini  dichiaravano  il  dialetto  come  lin- 
gua materna  nella  misura  del  93,7%,  le  donne  nella  misura  del 
93,9%.  A  quarant'anni  si  aveva  ancora  un  equilibrio  (82,4%  per  gU 
uomini,  85,1%  per  le  donne),  ma  tra  i  ventenni  iniziava  T allarga- 
mento della  forbice  (83,8%  per  i  maschi,  69,7%  per  le  femmine), 
che  diveiiiva  notevole  tra  i  settenni  (75%  per  i  maschi,  52,9%  per 
le  femmine)  (Moretti  1999:  62): 

nei  dati  del  1990  la  differenza  tra  uomini  e  donne  si  è  già  neutralizzata 
nei  giovani  al  di  sotto  dei  vent' anni  e  ciò  non  può  che  far  pensare  ad  un 
rallentamento  almeno  parziale  della  forte  spinta  verso  l'italiano. 


3.  Osservazioni  qualitative 

In  generale,  possiamo  dire  che  i  dati  quantitativi  appena  visti  ci  mo- 
strano una  situazione  di  forte  diffusione  dell'italiano  (con  una  continua- 
zione a  velocità  costante  del  calo  del  dialetto  rilevato  nel  1990)  e  una  ten- 
denza alla  prevalenza  degli  usi  misti  rispetto  a  quelli  dialettali  'puri'.  Ab- 
biamo però  visto  che  ci  sono  anche  alcuni  segnali  minimi  di  rallentamen- 
to del  calo  in  zone  molto  particolari  dei  comportamenti  linguistici  e  di- 
venta quindi  molto  importante  osservare  se  vi  siano  altri  fenomeni,  visibi- 
li attraverso  osservazioni  mirate  su  zone  particolari  degli  usi  linguistici, 
che  vanno  nella  stessa  direzione.  In  particolare,  nella  situazione  italiana 
(cfr.  per  es.  Berruto  2001)  è  stato  notato  un  riemergere  del  dialetto  in  col- 
legamento con  i  mass  media  e  con  i  nuovi  mezzi  elettronici  di  comunica- 
zione e  quindi  ci  si  può  chiedere  se  qualcosa  di  simile  si  osservi  anche  per 
il  Ticino.  Ci  soffermeremo  qui  di  seguito  su  alcuni  aspetti  a  nostro  parere 
rilevanti  dell'uso  del  dialetto  nel  canton  Ticino,  come  la  pubblicità  televi- 
siva e  i  nuovi  mezzi  di  comunicazione  elettronica  (altri  momenti  in  cui  si 

39 


nota  una  certa  vitalità  del  dialetto,  ma  che  qui  non  tratteremo,  sono  l'uso 
nella  musica  rock  e  giovanile  in  genere,  e  la  popolarità  di  spettacoli  tea- 
trali in  dialetto  di  compagnie  amatoriali). 

3.1.  Iniziamo  dalla  pubblicità  televisiva,  che  è  potenzialmente  un  do- 
minio d'uso  della  lingua  molto  significativo  e  particolare  nella  nostra  si- 
tuazione, dato  che  uno  dei  valori  sui  quali  potrebbero  puntare  i  pubblici- 
tari è  quello  dell'identità  specifica  svizzero  italiana  (con  quindi  un  uso  del 
dialetto  più  esteso  che  in  Italia).  Il  settore  è  inoltre  molto  interessante  per- 
ché ricerche  svolte  in  Italia,  come  quella  di  Bodini  (2000),  mostrano  una 
cesura  netta  tra  gli  anni  Novanta,  injcui  la  pubblicità  in  dialetto  è  molto 
|»resente,  e  i  decenni  precedenti  in  cui  essa  era  praticamente  assente.  La 
pubblicità  quindi  potrebbe  avere  un  ruolo  importante  nella  nostra  situa- 
zione come  settore  in  cui  emergono  eventuali  segnali  di  svolta  riguardo  al 
valore  simbolico  del  dialetto. 

Nel  nostro  caso  ci  possiamo  appoggiare  ai  dati  di  una  ricerca  svolta  da 
Elena  Pandolfi  (2004)  su  circa  800  spot  pubblicitari  presentati  nel  corso 
di  un  anno.  Il  dato  piti  macroscopico  è  costituito  dall'osservazione  che  il 
dialetto  è  quasi  assente  dalla  pubblicità  in  quanto  lo  si  ritrova  solo  in  tre 
casi  del  campione  indagato.  Ma  è  interessante  notare  che  in  questi  casi  lo 
ritroviamo  con  tre  valenze  differenti  ma  tutte  e  tre  altamente  significative. 

La  prima  occorrenza  su  cui  ci  soffermiamo  si  può  definire  'classica' 
nei  termini  del  rapporto  tipico  tra  lingua  e  dialetto.  Abbiamo  infatti  a  che 
fare  con  uno  spot  pubblicitario  in  cui  appare  un  contadino  {professione^  è 
inutile  dirlo,  tipicamente  associata  alla  dialettofonia)  che  vantando  la  fre- 
schezza dei  prodotti  di  una  catena  nazionale  di  grandi  magazzini  {Migros) 
si  esprime  in  dialetto.  Lo  spot  in  questione  fa  parte  di  una  serie  fondata  su 
uno  schema  fisso  in  cui  differenti  persone  lodano  vari  aspetti  dei  prodotti 
del  grande  magazzino,  ma  negli  altri  casi  della  serie  le  persone  parlano 
italiano  (abbiamo  per  es.  un  matematico,  un'operatrice  culturale,  un'inse- 
gnante di  educazione  fisica,  ecc.).  In  questo  caso  possiamo_dir£_che_la 
scelta  dei  pubblicitari  conferma  la  posizione  sociolinguistica  classica  del 
dialetto. 

Anche  la  seconda  pubblicità  è  di  un  supermercato,  e  già  il  nome  dello 
stesso  è  significativo,  in  quanto  si  chiama  Mercato  Canori.  Esso  si  carat- 
terizza per  il  fatto  di  essere  l'unico  supermercato  ticinese,  quindi  non  ap- 
partenente alle  grandi  catene  nazionali.  Data  questa  collocazione  ci  si  può 
attendere  che  i  pubblicitari  puntino  sull'immagine  locale  e  sugli  aspetti  di 
familiarità  del  supermercato.  Così  in  uno  degli  spot  si  parla  di  come  sia 
possibile  a  volte  vedere  i  proprietari  del  supermercato  lavorare  tra  gli 

40 


scaffali  a  stretto  contatto  con  la  clientela  e  di  come  gli  stessi  proprietari 
siano  sempre  a  disposizione  dei  clienti  (in  genere  gli  spot  sono  costruiti 
come  una  serie  di  interviste  ai  clienti  in  cui  questi  ultimi  lodano  i  prodotti 
che  si  possono  comprare  e  altri  aspetti  positivi  del  supermercato).  Anche 
nelle  pubblicità  del  Mercato  Cattori  appare  il  dialetto  nella  sua  posizione 
tipica,  come  lingua  delle  persone  anziane  (o  di  un  pastore!)  contrapposta 
alla  lingua  preferita  dai  giovani  intervistati  (che  ovviamente  parlano  ita- 
liano). 

Ma  in  questi  spot  compare  anche  un  secondo  tipo  di  dialetto,  quello 
che  si  ritrova  nei  contesti  di  presenza  di  altre  lingue  differenti  dall'italia- 
no. Abbiamo  così  intervistati  che  si  esprimono  in  dialetto  che  vengono 
collocati  prima  o  dopo  intervistati  che  rivelano  con  il  loro  modo  di  parla- 
re italiano  di  non  essere  di  origine  italofona  (come  per  esempio  una  si- 
gnora con  accento  francese,  un  tedescofono,  una  persona  con  accento  in- 
glese). In  questi  specifici  casi  nasce  il  sospetto  che  la  posizione  del  dialet- 
to sia  significativa  in  quanto  esso  appare  come  un  esempio  di  plurilingui- 
smo o  come  uno  dei  codici  che,  allo  stesso  modo  delle  differenti  varietà 
di  italiano  di  alloglotti,  costituisce  uno  strumento  che  alimenta  il  'poten- 
ziale di  variazione'  dell'italiano. 

I  due  tipi  di  dialetto  che  abbiamo  appena  visto  accennano  allora  a  due 
posizioni  differenti  del  dialetto,  una  che  abbiamo  definito  'classica'  (lin- 
gua preferita  degli  anziani,  dei  contadini,  ecc.  e  che  anche  l'intervistatore 
usa  quando  si  rivolge  a  queste  persone,  mentre  con  gli  altri  utilizza  l'ita- 
liano), e  una  che  possiamo  definire  innovativa,  perché  in  essa  il  dialetto 
viene  utilizzato  per  creare  variazione  rispetto  all'italiano  e  in  questo  sen- 
so esso  entra  a  far  parte  del  serbatoio  al  quale  l'italiano  può  attingere  per 
incrementare  la  propria  variazione. 

L'ultima  occorrenza  di  dialetto  nel  corpus  di  pubbhcità  considerate  la 
si  ritrova  negli  spot  di  un  commerciante  di  tappeti  di  origine  armena.  E' 
molto  significativo  per  i  nostri  interessi  specifici  che  uno  degli  usi  pubbli- 
citari pili  marcati  per  la  dialettofonia  sia  proprio  quello  di  un  non  nativo  e 
non  italofono  di  origine.  Abbiamo  indubbiamente  a  che  fare,  rispetto  alla 
situazione  classica,  con  un  uso  in  controtendenza,  nel  senso  che  il  dialet- 
to, hngua  un  tempo  tipica  di  tutti  i  ticinesi  e  solo  dei  ticinesi  (quindi  stru- 
mento di  identità  locale  fondamentale)  appare  sulla  bocca  di  un  parlante 
che  è  proprio  l'antipode  di  questa  immagine^sociale,  così  che  possiamo 
parlare  fino  ad  un  certo  punto  di  una  situazione  di  'salto  nella  continuità' 
delle  associazioni  tra  usi  e  codici.  Da  un  lato  viene  sì  confermata  la  posi- 
zione tradizionale  (poiché  l'uso  del  dialetto,  'lingua  dei  ticinesi',  è  moti- 
vato da  parte  del  commerciante  dallo  scopo  di  volersi  avvicinare  al  pub- 

>^(;>-'  ov-c*^.  ^      ^  41 


qS^^  ))K:re,  -^r^  '"^'^Ivx^^^^ 


\)),  ma  dall'altro  lato  l'effetto  principale  è  proprio  legato  al  fatto  che  il 
jjoiiante  sia  un  dialettofono  inatteso  e  si  fondi  su  un  uso  fondamentalmen- 
te ludico  della  lingua.  E'  un  'dialetto  per  gioco',  potremmo  dire,  che  pro- 
voca un  effetto  di  choc.  E'  coerente  con  questa  immagine  di  un  dialetto 
usato  innovativamente  il  fatto  che  la  varietà  del  commerciante  in  questio- 
ne si  limiti  in  verità  a  pochi  frammenti,  costituiti  fondamentalmente  dalla 
formula  di  commiato  sa  vedum  ("ci  vediamo"),  dall'imprecazione  crisc- 
pas  e  da  poco  altro. 

Riguardo  alla  pubblicità  possiamo  quindi  concludere  che  nella  Svizze- 
ra italiana  la  grande  popolarità  del  dialetto  che  esplode  in  Italia  a  partire 
dagli  anni  Novanta  è  (ancora?)  sconosciuta,  però  si  notano  i  segnali  dello 
sfruttamento  del  dialetto  secondo  due  posizionamenti  sociolinguistici  dif- 
ferenti: come  lingua  della  tradizione  (in  contrapposizione  all'italiano)  e 
come  lingua  dell'innovazione  (come  strumento  che  allarga  le  possibilità 
espressive  dell'italiano  stesso). 

3.2.  Anche  per  quanto  riguarda  i  nuovi  media  e  le  nuove  modalità_di 
comunicazione  abbiamo  segnali  di  un  ri-posizionamento  del  dialetto.  Co- 
sì, per  esempio,  in  pagine  personali  iaintemelApQgsibik^tmvare.  deixMr- 
ricula  o  autopresentazioni  degli  autori  in  cui,  tra  le  lingue  conosciute,  vie- 
ne citato  anche  il  dialetto  (magari  addirittura  con  la  specificazione  del 
luogo  d'origine  preciso),  oppure  abbiamo  siti  di  singole  persone  in  cui 
nell'elenco  degli  hobby  ritroviamo  "parlare  dialetto".  Ma  pure  in  pagine 
Internet  di  ditte  possiamo  trovare  il  dialetto  come  una  delle  selezioni  lin- 
guistiche possibili  nella  consultazione  di  un  sito.  Così  per  esempio  nel  ca- 
so di  un  produttore  di  caffè  incontriamo,  nella  pagina  di  apertura,  una  se- 
rie di  scelte  possibili,  dove,  prima  ancora  di  "parliamo  italiano",  "wir 
sprechen  Deutsch",  "mir  redet  Schwyzerdiitsch"  (lo  spazio  ai  dialetti  non 
si  limita  quindi  solo  alla  Svizzera  italiana,  ma  data  la  forza  dello  svizzero 
tedesco  questo  è  fenomeno  è  un  po'  meno  inatteso),  ecc.,  si  trova  "parlum 
dialett". 

Non  manca  naturalmente  un  sito  dedicato  in  modo  specifico  al  dialet- 
to, ma  il  dato  piti  interessante  di  questo  sito  non  è  tanto  il  suo  essere  di- 
sponibile quanto  il  fatto  che  l'UNESCO  l'abbia  elencato  nelle  pagine  de- 
dicate alla  "Giornata  della  lingua  materna"  accanto  a  siti  che  si  occupano 
della  Svizzera  tedesca  o  al  rinvio  al  Glossaire  des  patois  de  la  Suisse  ro- 
mande e  alla  Lia  Rumantscha  (l'ente  che  si  occupa  della  diffusione  del 
retoromancio).  Chi  cerca  informazioni  sulle  lingue  materne  degli  svizzeri 
in  questa  pagina  si  trova  quindi  di  fronte  ad  una  svizzera  quadrilingue  co- 
stituita da  tedesco,  italiano,  romancio  e  dialetto  (dialetti?)  della  Svizzera 

42 


italiana  (e  si  noti  pure  che  per  il  dialetto  non  è  stata  scelta  la  pagina  istitu- 
zionale ufficiale,  cioè  quella  legata  al  Vocabolario  dei  dialetti  della  Sviz- 
zera italiana,  ma  una  pagina  dovuta  ad  un'iniziativa  personale  che  mira  al 
sostegno  e  alla  diffusione  del  dialetto). 

Anche  per  quanto  riguarda  le  chat  incontriamo  il  dialetto  in  varie  oc- 
casioni, come  per  esempio  nel  sito  dell'associazione  degli  studenti  ticine- 
si a  Losanna^  e  in  altri  ambiti  scherzosi.  E'  soprattutto  in  contesti  di  que- 
sto tipo  che  possiamo  incontrare  un  dialetto  'atipico',  con  caratteri  e  fun- 
zioni simili  al  secondo  tipo  di  dialetto  che  abbiamo  visto  parlando  della 
lingua  della  pubblicità.  Basti  citare  il  seguente  intervento,  riportato  ap- 
punto nelle  pagine  appena  citate,  di  un  parlante  decisamente  non  nativo 
del  dialetto: 

mi  volevo  sape  che  cazzo  ci  fa  sempre  li  la  Stefani  alalie  [sic]  feste 
?  che  lei  a  la  studia  in  italia  enzema  a  i  terun  ..  le  magara  insieme 
al  luca?  ciao 

Qui  abbiamo  decisamente  a  che  fare  con  uno  'pseudo-dialetto'  costrui- 
to sulla  conoscenza  di  alcuni  frammenti  o  espressioni  tipiche  e  su  tentati- 
vi di  adattare  l'italiano  in  base  a  principi  generali  che  portano  a  esiti  non 
di  rado  approssimativi.  Si  vedano  a  questo  proposito  sape  per  savé,  basa- 
to su  sapere,  o  l'uso  del  pronome  atono  a  per  la  terza  persona  singolare  (a 
la  studia),  o  enzemaj^cvinzéma  ("insieme"),  magara  come  forse  un  tenta- 
tivo di  riportâfeTTvocali  finali  conservate  ad  a,  oppure  ancora  le  come 
realizzazione  fusa  del  clitico  soggetto  /  e  di  è.  Ma  si  noti  anche  la  conti- 
nua transizione  tra  italiano  e  dialetto  (con  l'esempio  significativo  di  insie- 
me realizzato  in  entrambe  le  lingue).  Dal  punto  di  vista  del  valore  identi- 
tarie di  comportamenti  del  genere  è  poi  centrale  il  fatto  che  chi  scrive  usi 
per  indicare  gli  italiani  l'espressione  terun  "terroni",  mostrando  come  il 
suo  tentativo  di  usare  il  dialetto  voglia  essere  in  contrapposizione  ai  non 
ticinesi  (lo  pseudonimo  stesso  adottato  dal  pariante,  Vuncione,  è  una  ita- 
lianizzazione di  una  tipica  espressione  dialettale,  vunciun,  derivato  di 
vunc  "unto",  e  che  significa  quindi  "untone,  sporco,  sporcaccione")  .  Ma 
è  proprio  questo  dialetto,  nello  stesso  tempo,  a  rivelare  la  non  'ticinesità' 
tipica  del  nostro  Vuncione  ed  a  rivelarlo  come  non  dialettofono.  E  non  è 
un  caso  che  questo  tentativo  venga  sanzionato  da  un  probabile  dialettofo- 
no (un  altro  partecipante  alla  chat-box)  che  nel  suo  intervento  di  reazione 
nega  allo  scrivente  la  qualifica  'etnica'  desiderata  con  il  commento  se- 
guente: 


http://www.stoica.ch/guestbook/index.php?d=240&f=255;  6.4.2004 

43 


vuncione  ti  proclamiamo  fautore  glorioso  di  un  nuovo  simil  italo- 
dialetto  con  ascendenze  caucasiche...  bravo 

Il  buon  Vuncione  viene  quindi  ricollocato  tra  i  non  ticinesi  (tramite  l'i- 
ronia delle  "ascendenze  caucasiche";  anche  le  scelte  di  registro  alto  come 
fautore,  glorioso,  proclamiamo  e  ascendenze  sono  indubbiamente  funzio- 
nali per  l'effetto  ironico)  e  la  sua  lingua  viene  definita  "simil  italodialet- 
to". 

Come  nel  caso  del  commerciante  armeno  della  pubblicità  televisiva 
abbiamo  quindi  un  parlante  non  prototipico  che  si  serve  del  dialetto  in 
una  forma  frammentaria  e  imprecisa. 

4.  Conclusioni 

Sulla  base  di  quanto  abbiamo  appena.:ù&tQ-possiam.CLidirEji:hp  i  nuovi 
media  e  la  pubbUcità  mostrano  una  tendenza  interessante  a  far  riag2MÌÌ? 
il  dialetto  permettendogli  in  buona  parte  anche  di  assumere  una  nuova 
funzione.  Le  ragioni  che  portano  ad  una  maggiore  presenza  di  forme  di 
questo  tipo  in  questi  tipi  di  comunicazione  possono  essere  legate  a  carat- 
teri propri  di  questi  mezzi  di  comunicazione  (soprattutto  per  quanto  ri- 
guarda i  nuovi  media)  ed  in  particolare  a  tre  aspetti: 

-  la  vicinanza  alle  modalità  del  parlato; 

-  la  'mancanza  di  tradizione'  (che  lascia  maggiore  spazio  a  comporta- 
menti innovativi  da  un  punto  di  vista  linguistico,  presentando  un  minore 
controllo  normativo); 

-  il  carattere  informale-scherzoso  di  molte  comunicazioni,  che  fa  sì 
che  il  dialetto  diventi  uno  strumento  importante  di  allargamento  del  'po- 
tenziale di  variazione'  dei  parlanti  (cioè  dell'insieme  degli  strumenti  a  di- 
sposizione dei  parlanti  per  variare  le  loro  modalità  comunicative). 

A  queste  tre  caratteristiche  se  ne  può  forse  aggiungere  una  quarta,  e 
cioè  una  'volontà  maggiore  di  riscoprire  il  dialetto',  che  sembra  essere 
collegata  alla  minore  presenza  attuale  di  quest'ultimo  rispetto  al  passato, 
alla  notevole  riduzione  della  sua  conflittualità  con  l'italiano  e  non  da  ulti- 
mo ad  un  senso  di  'nostalgia'  rispetto  alla  tradizione  incrementato  dalla 
sensazione  che  il  dialetto  non  sia  più  vitale  e  solido  nella  società  come  un 
tempo  (va  a  nostro  parere  ricondotto  in  buona  parte  a  quest'ultima  moti- 
vazione il  successo  del  dialetto  in  Ticino  nell'ambito  di  spettacoli  teatrali, 
della  musica  rock  o  di  concorsi  di  poesia  o  narrativa  dialettale,  che  per 
certi  aspetti  possono  ricordare  usi  'riflessi'  del  codice  dialettale,  dove  cioè 
il  valore  identitario  è  decisamente  superiore  a  quello  comunicativo,  come 
d'altronde  è  tipico  in  usi  'rituali'  delle  lingue). 

44 


Dal  punto  di  vista  delle  competenze  degli  utenti,  per  alcuni  paath.. 
ha  indubbiamente  a  che  fare  con  un  'dialetto  pieno',  fondato  sulla  messa 
in  opera  di  una  competenza  dialettale  da  parlanti  nativi,  ma  per  altri  si 
tratta  invece  di  quello  che  potremo  un  dialetto  di  'confluenza',  cioè  di 
un'immagine  di  dialetto  fondata  sull'assorbimento  da  parte  dell'italiano 
dei  parlanti  di  alcuni  elementi  dialettali  allo  scopo  di  creare  nuove  solu- 
zioni di  variazione  (allargando  il  'potenziale  di  variazione').  In  questo 
senso  uno  strumento  fondamentale  alla  base  di  questi  usi  e  innovazioni  è 
la  ricerca  di  variazione,  che  va  considerata  in  genere  una  delle  caratteri- 
stiche essenziali  delle  lingue  stesse  se  non  addirittura  una  delle  loro  fun- 
zioni costitutive  e  che  in  situazioni  di  compresenza  non  conflittuale  di 
due  codici  può  approfittare  dello  sfruttamento  dell'intero  repertorio  di  ri- 
sorse linguistiche  (cosa  che  tende  di  solito  a  fare,  a  meno  che  non  vi  siano 
blocchi  sociali  che  impediscono  soluzioni  di  questo  genere). 

Sulla  base  dei  dati  quantitativi  citati  nella  prima  parte  di  questo  lavoro 
abbiamo  visto  che  il  dialetto  dà  leggeri  segnali  di  ripresa  in  alcune  zone 
atipiche,  mentre  continua  a  manifestare  costanza  nel  calo  nelle  sue  zone 
di  diffusione  più  tipiche.  Se  teniamo  conto  di  queste  differenze  nelle  fun- 
zionalità che  caratterizzano  rispettivamente  la  posizione  sociolinguistica 
tradizionale  del  dialetto  e  i  nuovi  usi  che  stanno  emergendo,  possiamo  di- 
re di  avere  a  che  fare  con  due  prototipi  diversi  di  dialetto  che  occupano 
due  posizioni  differenti  nel  repertorio  della  comunità  e  che  potremmo 
rappresentare  con  l'immagine  seguente  (in  cui  la  linea  tratteggiata  vuole 
simbolizzare  la  parziale  rottura  della  continuità  tra  queste  due  varietà): 

Grafico  1: 1  due  tipi  di  dialetto 


Dialetto  1 

Contadino       

Liceale                        Dialetto  2 

Anziano 

Giovane 

Montagna 

Città 

Famiglia 

Al  di  fuori  della  famiglia 

Parlato 

Scritto 

Spontaneo 

Meno  spontaneo 

LI 

L2 

Mentre  dal  punto  di  vista  delle  strutture  abbiamo  a  che  fare,  almeno 
come  matrice  di  base,  con  lo  stesso  codice,  il  valore  variazionale  dei  due 
tipi  (o  dei  due  'poli')  di  dialetto  è  tanto  differente  da  poter  considerare 
questi  ultimi  come  due  tipi  differenti  di  varietà  con  due  'immagini'  in  par- 
te contrapposte.  Da  un  lato  abbiamo  quello  che  abbiamo  definito  come 


45 


lialetto  r,  che  è  la  forma  tradizionale  del  codice  dialettale^ e  che  socio- 
lin^uisticamente  viene  associato  tipicamente  allaJradizione,  cioè,  a  livel- 
lo  di  stereotipo,  a  parlanti  attivi  nel  settore  rurale,  anziani,  abitanti  nelle 
regioni  di  montagna  (in  cui  il  dialetto  ancora  oggi  è  molto  vitale),  e  che 
viene  utilizzato  soprattutto  in  famiglia  e  in  forma  parlata  (e  nel  caso  pro- 
totipico costituisce  la  lingua  meglio  posseduta  e  gestita  dal  parlante).  La 
seconda  forma  (il  'dialetto  2')  la  si  ritrova  invece  proprio  in  alcuni  dei 
contesti  in  cui  domina  tipicamente  l'italiano,  ovvero  in  usi  dei  giovani  li- 
ceali, residenti  in  città,  che  se  ne  servono  al  di  fuori  dell'ambito  famiglia- 
re (dove  invece  parlano  italiano)  e  in  usi  scritti  (ma  con  caratteri  di  scritto 
particolare).  Mentre  il  primo  è  una  lingua  autonoma,  in  competizione  e  in 
alternativa  con  l'italiano,  il  secondo  è  una  varietà  associata  all'italiano  e 
indissociabile  da  esso  (è  in  questo  senso,  come  abbiamo  detto,  un  'dialet- 
to confluito'  nell'italiano,  e  in  parte  'parassitario'  di  quest'ultimo  a  causa 
del  suo  potenziale  comunicativo  assai  ridotto).  Il  dato  più  interessante  e 
originale  del  'dialetto  2'  è  il  suo  manifestare  vitalità  proprio  in  quelle  che 
tradizionalmente  sono  state  le  zone  deboli  dei  dialetti,  ciò  che  costituisce 
una  doppia  'contro-tendenza',  perché  si  osserva  da  un  lato  un  rallenta- 
mento del  calo  e  dall'altro  lato  questo  rallentamento  avviene  in  zone  che 
dovrebbere  essere  piti  deboli  per  l'uso  del  dialetto.  Infatti  i  segnali  di  re- 
cupero non  si  hanno  tra  gli  utenti  tradizionali,  dove  invece  il  calo  conti- 
nua, ma  tra  gli  utenti  più  vicini  all'italiano,  come  appunto  i  liceali,  o  si 
hanno  nei  nuovi  mezzi  di  comunicazione  (più  'moderni')  e  non  nel  conte- 
sto delle  interazioni  famigliari.  E'  proprio  in  base  a  questa  caratterizzazio- 
ne sociolinguistica  (che  sembra  aver  rotto  la  continuità  tra  i  due  tipi  di 
usi)  e  all'importanza  che  riteniamo  giusto  darle,  che  parliamo  di  due  tipi 
differenti  di  dialetti. 

Volendo  rendere  con  una  metafora  il  rapporto  tra  i  nostri  dialetti  1  e  2, 
ci  sembra  appropriato  farlo  usando  in  modo  figurato  al  concetto  di  'mo- 
mento' o  'quantità  di  moto',  definito  come  il  prodotto  della  massa  di  un 
corpo  per  la  velocità  dello  stesso.  Nel  nostro  caso,  applicando  questi  con- 
cetti metaforicamente  (sulla  base  di  una  analogia  generale  tra  'moto'  di 
un  corpo  e  'vitalità'  di  una  lingua),  possiamo  dire  che  il  dialetto  1  è  essen- 
zialmente un  'dialetto  di  massa',  cioè  una  varietà  che  possiede  una  certa^ 
presenza  fisica  e  consistenza  (in  questo  senso  una  'massa  di  competenze' 
nei  parlanti,  una  'massa  di  parlanti  nativi',  ecc.),  ma  ha  perso  in  gran  par- 
te di  velocità  (intesa  qui  come  'forza  di  diffusione',  prestigio,  popolarità) 
mentre  il  dialetto  2  è  velocità  quasi  senza  massa,  in  quanto  gode  di  gran- 
de prestigio  e  diffusione,  ma  i  suoi  parlanti  tendono  ad  avere  pochissima 
^y^  sostanza  (cioè  poca  'competenza  linguistica'  e  si  ha  una  gamma  ridotta  di 

46  ,  .         ,  ^    ,X-^^^ 


fi'  rt  „  (>, 


situazioni  con  usi  autonomi  del  dialetto).  La  combinazione  positiva 
due  forze  (grande  massa  e  grande  velocità)  è  tipica  delle  lingue  in  espan- 
sione, la  combinazione  negativa  è  tipica  delle  lingue  in  notevole  perdita 
di  vitalità.  Nel  nostro  caso  si  presentano  invece  due  immagini  della  stessa 


lingua  che  si  fondano  in  modo  differente  e  con  priorità  differenti  sui  due 
elementidella  'quantità  di  moto'.  Questa  separazione  delle  forze  porta,a_ 
realizzare  due  posizioni  4iffer&nti  di  dialetto  che  possono  essere  conside- 
fatèdiìeforme  differenti  di  varietà.  L'eventuale  prospettiva  di  un  recupe- 
ro~3rpêndé  dàlia  niiOYà' possibile  interazione  tra  massa  esistente  e  poten- 
ziale e  'nuova'  velocità,  cioè  da  quanti  sono  i  parlanti  in  grado  di  contare 
su,  o  di  ricostruirsi,  una  competenza  piena  e  dall'altro  lato  dall'influsso 
della  'varietà  di  velocità'  (il  dialetto  2)  e  dagli  esiti  che  essa  può  avere  sui 
parlanti  rimasti.  Se  la  situazione  dialettale  degli  ultimi  decenni  era  quella 
di  una  grande  massa  in  perdita  di  velocità,  la  nuova  situazione  è  quella  di 
una  piccola  massa  con  alta  velocità  e  le  nostre  due  varietà  di  dialetto  rea- 
lizzano proprio  questo  contrasto. 

Questa  nuova  vitalità  parziale  del  dialetto  è  tipica  di  una  situazione  in 
cui  l'italiano  ha  oramai  assunto  la  posizione  delJ^docfiUle  ed  il  dialetto  ha 


perso  le  sue" connotazioni  tipiche,  offrendosi  così  per  nuovi  n»^^  che,  vanno 
^  alimentare  il  ^s^batoio  di  variazione'  dell' italiano,  j^^amuliando  la 
girnmâ'ÏÏiêgTî  strumenti  a  disposizione  di  quest'ultimo  per  rispondere  alle 
esigënze^omumcatlvë  e  di  (auto-)configurazione  sociolinguistica  dei  par- 
lanti è^ëirrsïtuazioni. 


47 


BlBLIOGRAHA 

Antonini  F./Moretti  B.,  2000,  Le  immagini  dell'italiano  regionale.  Locamo,  Os- 
servatorio linguistico  della  Svizzera  italiana. 

Beccaria  G.  L./Marello  C,  2001,  La  parola  al  testo.  Scrìtti  per  Bice  Mortara  Ga- 
ravelli,  Alessandria,  Edizioni  dell'Orso. 

Bianconi  S.,  1980,  Lingua  matrigna,  Bologna,  il  Mulino. 

Bianconi  S.,  1995,  L'italiano  in  Svizzera,  Locamo,  Osservatorio  linguistico  della 
Svizzera  italiana. 

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liano, in  Bianconi  1995:  17-162. 

Bianconi  S./Borioli  M.,  2004,  Statistica  e  lingue.  Un'analisi  dei  dati  del  Censi- 
mento federale  della  popolazione  2000,  Bellinzona,  Ufficio  di  statistica  -  Os- 
servatorio linguistico  della  Svizzera  italiana. 

Bermto  G.,  1994,  Scenari  sociolinguistici  per  l'Italia  del  Duemila,  in  Holtus 
G./Radtke  E.,  1994:  23-45. 

Bermto  G.,  2001,  Parlare  dialetto  in  Italia  alle  soglie  del  Duemila,  in  Beccaria 
G.  L./Marello  C.,  2001:  33-49. 

Bodini  M.,  2000,  Er  guardiano  der  pretorio.  Una  prima  indagine  su  dialetto  e 
italiano  regionale  nella  pubblicità  da  Carosello  a  oggi,  tesi  di  laurea  inedita. 
Facoltà  di  Lettere  e  Filosofia  dell'Università  di  Torino. 

Holtus  G.  /Radtke  E.,  1994,  Sprachprognostik  und  das  'italiano  di  domani'.  Pro- 
spettive per  una  linguistica  'prognostica' ,  Tiibingen,  Narr. 

Moretti  B.,  1999,  Ai  margini  del  dialetto.  Locamo,  Osservatorio  linguistico  della 
Svizzera  italiana. 

Pandolfi  E.,  2004,  L'italiano,  il  dialetto  e  le  altre  lingue  nella  pubblicità  in  Tici- 
no, Università  di  Bema  -  Osservatorio  linguistico  della  Svizzera  italiana  (con- 
sultabile al  seguente  indirizzo  intemet:  http://www.ti.ch/DECS/DC/OLSI). 


48 


Ipotetiche  libere  e  grammaticalizzazione  in  corso  nel 
parlato 

Edoardo  Lombardi  Vallauri  (Roma  Tre) 


1 .  Ipotetiche  libere  nel  parlato 

Il  parlato  italiano  fa  ampio  uso  di  clausole  ipotetiche  libere,  cioè  su- 
bordinate condizionali  introdotte  dalla  congiunzione  se,  a  cui  non  corri- 
sponde una  principale'.  Ne  diamo  in  (1)  alcuni  esempi,  tratti  dal  LIP:-^ 

(la)  LIP,  Rd9: 

...  ce  l'abbiamo  col  fondo  rosso  c'è'  qui  a  terra  per  esempio  se  si 
può'  brevemente  inquadrare  un  tappeto  sempre  in  questa  stessa 
qualità'  eccolo  col  fondo  rosso 

(Ib)  LIP,  Fal3: 

...  che  tu  l'abbia  fatto  bene  ecco  #  se  poi  tu  'n  l'hai  finito  ma  se  il 
concetto  c'è'  tutto_  # 

(le)  LIP,  Rb7: 

A:  ho  capito  e_  o  so  d'  altra  parte  va  be'  se  te  sei  scordato 

(Id)  LIP,  Fa4: 

F:  ecco  se  vedete  che  avete  bisogno  di  altro  eh? 

Passeremo  ora  in  rassegna  alcuni  tipi  di  clausole  ipotetiche  senza  apo- 
dosi.  Quello  che  ci  proponiamo  è  di  fornire: 

a)  una  possibile  classificazione  su  base  semantica  degli  usi  osservati; 


'  Ho  descritto  per  la  prima  volta  questo  fenomeno  in  Lombardi  Vallauri  (2003),  che 
contiene  un'esemplificazione  più  abbondante,  anche  se  una  classificazione  meno  comple- 
ta dei  tipi  semantici  di  ipotetiche  libere  osservabili  nel  parlato  italiano.  In  quella  sede  ho 
discusso  anche  il  problema  della  potenziale  ambiguità  di  alcune  clausole  introdotte  da  se 
fra  l'interpretazione  come  ipotetiche  libere  e  quella  come  interrogative  indirette  mancanti 
della  principale. 

'Gli  esempi  italiani  che  forniremo  sono  tutti  tratti  dal  corpus  LIP  (v.  Bibliografia). 

49 


b)  una  loro  spiegazione  semantica,  cioè  un'ipotesi  sul  perché  le  ipotetiche 
siano  particolarmente  predisposte  a  questo  comportamento  sintattico; 

e)  un'ipotesi  di  spiegazione  su  base  funzionale,  cioè  pragmatico-di- 
scorsiva,  dell'affermarsi  di  questo  costrutto. 

2.  Tipi  di  funzioni  sem antico-pragmatiche 

2.1.  "Nessun  problema,  tutto  ok".  Spesso  il  "significato  mancante" 
suggerito  dall'ipotetica  e  dal  suo  contesto  è  una  rassicurazione  dell'inter- 
locutore, qualcosa  come  "di  che  ci  preoccupiamo?  va  tutto  bene,  non  c'è 
nessun  problema"^.  Può  darsi  il  caso  che  tale  contenuto  sia  espresso  in 
qualche  maniera,  sia  pure  sotto  una  forma  sintatticamente  non  abbastanza 
coesa  con  la  frase  ipotetica  perché  si  possa  parlare  della  sua  apodosi: 

(2a)  LIP,  Mb30: 

B:  ...  vedi  se  riesci  se  a  rimanere  fino  praticamente  a  venerdì'  o  se 

trovi  un  altro  appoggio 

A:  si'  si'  si' 

B:  poi  voglio  dire  se  stiamo  insieme  quindici  giorni 

A:  certo  certo 

B:  capito?  non  c'è'  problema  da  venerdì'  questa  casa  ce  l'ho 

Ma  in  moltissimi  casi  il  rassicurante  contenuto  in  questione  va  inferito 
dal  contesto: 

(2b)  LIP,  Fal3: 

...  se  tu  non  ce  la  fai  a  finillo  #  per  lo  meno  pero'  fin  do  tu  arrivi 
che  tu  l'abbia  fatto  bene  ecco  #  se  poi  tu  'n  l'hai  finito  ma  se  il 
concetto  c'è'  tutto_  #  'un  l'ho  portata  fino  in  fondo  dico  'n  ti  suc- 
cederà' mica  sempre  di  rimanere  al  mezzo 

(2c)  LIP,  Rb7: 

A:  che  a  scuola  gli  avevano  non  so  chi  gli  ha  dato  un  biglietto  pe 

anda'  a  vede'  Costanzo  Show  Anto'  me  ci  accompagni?  dice  si'  si' 

cosi'  se  ne  so'  andati  tutti  e  due  lui  e  Federica  a  vede'  chissà'  se  li 

hanno  fatti  entra'  non  li  hanno  fatti  entra'  ho' 

B:  ah  be'  perche'  no  se  ci  hai_  se  ci  hai  l'invito 

A:  ci  aveva  il  biglietto  per  due  persone 


^  Da  alcuni  controlli  che  ho  effettuato  insieme  a  Emanuela  Cresti  e  Valentina  Firen- 
zuoli  sulla  versione  audio  del  LIP,  sembra  risultare  che  enunciati  come  questi  presentino  il 
contomo  intonativo  che  Cresti  (2000)  e  Firenzuoli  (2003)  chiamano  "espressione  di  ov- 
vietà". Ma  a  questo  stadio  del  mio  lavoro  tali  aspetti  intonativi  sono  ancora  passibili  di  no- 
tevoli approfondimenti. 

50 


(2d)  LIP,  Mb4: 

F:  Patrizia  donne  da  te_? 

B:si' 

F:  ho  capito 

B:  per  cui_  c'e'  un  po'  di_  [RIDE]  macello  pero'  insomma  va  be' 

se  facciamo  finta  di  nulla 


2.2.  "Non  ci  si  può  fare  niente".  Uiì  altro  contenuto  che  scaturisce 
con  regolarità  dalle  ipotetiche  libere  è  qualcosa  come  "non  ci  si  può  fare 
niente,  lasciamo  perdere,  è  un  disastro,  siamo  al  di  là  di  ogni  aspettativa" 
e  simili.  A  ben  guardare,  è  la  versione  negativa  del  precedente,  con  cui  ha 
in  comune  il  significato  di  base:  "non  c'è  niente  che  occorra/si  possa  fare, 
perché  se  le  cose  stanno  come  detto  nella  frase  condizionale,  non  occor- 
re/non è  possibile  cambiarle"  "*. 

(3a)  LIP,  Fbl9: 

B:  ma  insomma  allora  te  vorresti  dire  che  la  legge  fosse  fatta  e  poi 
chi  ne  usufruisce  eh  ne  usufruisce 

A:  ne  usufruisce  la  stragrande  maggioranza  se  poi  ci  sono  quei_ 
quelle  sacche  di  disonesti  come  sempre  ci  saranno  che  specula- 
no su  questo  e  quest'altro  ma  scusa  la 
B:  ecco 

A:  legge  faccio  un  esempio  sugli  asili  nido  mi  sembra  sia  una  cosa 
per  tante  mamme  eccetera  poi  ogni  tanto  sorte 
B:         certo  eh  senz'  altro 

A:  fuori  l'asilo  nido  che  i  bambini  li  tratta  male  che  non  gli  da'  da 
mangiare  che  li  pigliano  a  calci  nel  sedere  eccetera 

(3b)  LIP,  Fb35: 

A:  perche'  ho  un  tecnico  che  mi  sta  mangiando  sotto  gli  occhi  e 
ora  se  questo  e'  il  sistema  di  fare  radio  alla  RAI  non  lo  farebbero 
io  mi  chiedo  ma  alla  RAI  mangiano? 

(3c)  LIP,  Rb7: 

B:  e  niente  m<e>  me  so'  dimenticato  poi  la  mattina  successiva 

quando  so'  annato  a  compra'  della  roba  la  eh  ho  visto  che  ave- 


4  Infatti  anche  gli  enunciati  in  (3)  presentano  un  contomo  intonativo  corrispondente  a 
quello  che  Cresti  (2000)  e  Firenzuoli  (2003)  chiamano  "espressione  di  ovvietà".  Bruno 
Moretti  mi  suggerisce  che  la  principale  implicita  di  questi  due  tipi  di  ipotetiche  libere  del 
"non  c'è  luogo  a  procedere,  non  si  può/non  occorre  fare  niente"  potrebbe  essere  esatta- 
mente la  stessa  e  si  potrebbe  vedere  in  un  predicato  di  tipo  metadiscorsivo:  qualcosa  co- 
me: ...  non  dico  più  niente! 

51 


vo  questo  biglietto  del  cinema  che  poi  e'  peccato  che  s'è'  spre- 
cato 

A:  certo  certo 

B:  perche'  era  solo  per  il  mese  di_  d'ottobre 
A:  ho  capito  e_  o  so  d'  altra  parte  va  be'  se  te  sei  scordato 
B:  mah  va  be' 

(3d)  LIP,  Rell: 

allora  ci  avevo  pure  cinquantasett'anni  mo'  so'  passati  sette  anni  e 
gli  sto  dicendo  senti  un  po'  cerca  di  liberarmi  sto  loculo  perche'  io 
mica  so'  etemo  su  sta  tera  ah  se  airimprovviso_  me  ne  vado  io  chi 
chi  chi  sti  macelli  chi  li  leva  mo'  mo'  li  sto  a  fa'  io  poi  chi  i  fa  i 
fanno  i  mi  fii  e  lui  e  mo'  provvedero'  mo'  provvedere'  mo'  provve- 
dere' passano  i  mesi  passano  1'  anni  e  questo  non  provvede  mai  se 
sto  a  da'  retta  a  lui_  sempre  silenzioso  io  me  ne  vado  se  ne  vanno 
i  mi  fii  la'  ce  rimane  a  moglie  e_  il  proprietario  so'  io  perche'  li' 
uno  ce  ne  entra  ah 


2.3.  Domande  generiche  del  tipo:  "Che  cosa  succederà?".  In  alcuni 
casi  le  ipotetiche  libere  costituiscono  un  enunciato  interrogativo.  Que- 
sto fatto  naturalmente  è  un  indizio  importante,  che  non  è  sempre  dispo- 
nibile negli  enunciati  assertivi,  per  capire  di  che  natura  sia  l'assenza 
dell'apodosi.  Se  l'apodosi  venisse  a  mancare  per  una  semplice  interru- 
zione o  per  un  cambio  di  programmazione,  la  protasi  terminerebbe  con 
un  contomo  intonativo  sospeso,  incompleto,  e  comunque  non  interroga- 
tivo. Invece,  il  fatto  che  la  clausola  ipotetica  si  incarichi  dell'intonazio- 
ne interrogativa  dell'enunciato  (e  quindi  della  sua  illocutività  interroga- 
tiva) dimostra  che  l'assenza  di  un'apodosi  è  prevista  organicamente,  fin 
dall'inizio  della  programmazione  dell'enunciato,  e  che  la  clausola  ipo- 
tetica, se  è  sospesa  o  incompleta  dal  punto  di  vista  della  sintassi  norma- 
tiva, non  lo  è  in  realtà  dal  punto  di  vista  pragmatico.  L'assenza  di  apo- 
dosi  non  è  un  fatto  di  mera  esecuzione  occasionale,  ma  è  un  caso  previ- 
sto dalla  competenza  del  parlante.  In  ogni  caso,  la  domanda  che  scaturi- 
sce dall'intonazione  interrogativa  non  è  affidata  a  un'apodosi  interroga- 
tiva in  qualche  modo  sottintesa,  ma  piuttosto  è  affidata  alla  clausola 
ipotetica  stessa,  che  sotto  l'apparenza  sintattica  di  mera  protasi  sospesa 
si  trova  in  realtà  ad  avere  la  funzione  pragmatica  piena  che  è  propria  di 
un  enunciato  completo. 

Da  un  punto  di  vista  semantico,  la  domanda  contenuta  nelle  ipotetiche 
interrogative  ha  senso  estremamente  generico,  che  varia  ben  poco  al  va- 
riare del  contenuto  proposizionale  esplicitamente  espresso.  Si  tratta  quasi 

52 


sempre  di  un  quesito  del  tipo:  "che  cosa  succederà?  Che  cosa  dobbiamo 
aspettarci?"  ^.  Lo  si  può  vedere  negli  esempi  (4)  ^: 

(4a)  LIP,  Mdl: 

A:  adesso  se  la  domanda  e'  attenti  se  la  domanda  e'  quanti  sono 

in  tutto  i  pasticcini? 

C:  quattordici 

(4b)LIP,Nall: 

D:  o  o  va  <?>  oppure  vado  adesso 

E:  Elio  Elio  solo  alle  due  e  venti  può'  andare_ 

D:  ma_  se  questo  e'  preliminare  al  pacco?  no  naturalmente  sono 

due  cose  separate 

E:  no  no  si' 

(4c)  LIP,  Mb36: 

A:  sarà'  andata  a  scopa'  sarà'  andata  a  scopare  con  qualchedun  al- 
tro che  ti  frega? 

B:  benissimo  non  me  ne  frega  assolutamente  niente  mi  dici  vado 
da  Monica  Giuseppe  [interruzione]  Antonia  quello  che  ti  pare  pe- 
ro' mi  dici  dove  vai  oppure  tu  mi  dici  esco  chiuso  non  mi  dici  la 
balla 
A:  mh 

B:  vado  in  campagna  e  mi  lasci  come  un  pirla  che  chiamo  tutto  il 
giorno  in  campagna  e_  non  ci  sei  mai  poi  chiamo  la  macchina  la 
macchina  e'  libera  e  lei  non  risponde  quelle  cose  oh?  ma  dico  dia- 
mo i  numeri? 

B:  e  se  dice  vado  a  scopare? 
A:  va  benissimo  vai  a  scopare  se_  eh 
B:  e  poi  e  poi  lei  la  corcavi  di  botte 

A:  ma  neanche  per  idea  se  mi  diceva  vado  a  scopare  benissimo  vai 
a  scopare  se  ti  piace  vai  a  scopare 
B:mh 

(4d)  LIP,  Fal2: 

...  e  quindi  e'  un  problema  che  riguarda  la  direzione  ma  se  il  mini- 
stero ci  viene  a  domandare  e  le  linee  gran  turismo_  eh  regionah 


^  Non  trovo  nel  corpus  un  tipo  di  ipotetica  interrogativa  su  cui  attira  la  mia  attenzione 
Alessandro  Parenti.  Si  tratta  del  tipo  con  congiuntivo  imperfetto:  (e)  se  andassimo  al  cine- 
ma?, il  cui  valore  sarebbe  quello  di  una  proposta,  che  attende  l'adesione  o  la  non  adesione 
dell'interlocutore. 

^  Le  ipotetiche  interrogative,  a  quanto  mi  è  stato  possibile  verificare  sulla  versione  au- 
dio del  LIP,  sono  prodotte  sotto  contomi  intonativi  del  tipo  che  Firenzuoli  (2003)  chiama 
"interrogativa  generica". 

53 


provinciali  con  che  cosa  le  fate?  che  gli  si  risponde  le  facciamo 
con  le  biciclette? 


2.4.  Ipotetiche  esclamative  e  avversative:  "(Ma)  non  è  vero!".  In  alcuni 
casi  la  clausola  ipotetica  è  (piii  o  meno  esplicitamente)  avversativa  o  escla- 
mativa. Si  può  vedere  nella  principale  assente  un  enunciato  metadiscorsivo 
con  valore  di  protesta,  del  tipo:  non  puoi  dire  questo!  Il  senso  che  ne  scaturi- 
sce è  l'impugnazione  del  turno  precedente:  "ciò  che  è  stato  detto  non  è  vero, 
è  inappropriato,  non  è  pertinente",  e  simili.  Si  vedano  gli  esempi  (5):^ 

(5a)LIP,Mbl: 

C:  e'  pazzesco  #  ma  quel  pazzo  che  adesso  e'  diventato  secchione_ 

B:  ma  si'  ma  se  non  ha  dato  esami  da_ 

C:  ma  ne  ha  dati  due  adesso 

(5b)  LIP,  Na2: 

B:  poi  a  dirti  la  verità'  io  mica  lo  so  se  lui  conosce  veramente  l'ita- 
liano 
A:  scusa  se  lui  ha  parlato  durante  una  conferenza  in  italiano 

B:  ha  parlato  in  italiano  si'  allora  mettilo  in  italiano  su  allora  eh 

(5c)  LIP,  Rell: 

D:  signor  giudice  io  ci  ho  sessantasei  anni  so'  più'  vecchio  pure  de 

lui 

E:  se  ci  hai  un  anno  più'  de  me 

D:  e  ci  ho  un  anno  un  anno  e  mezzo  più'  de  te  e  un  anno  e  mezzo 
quanto  conta  se  sapessi 


2.5.  Offerta  e  richiesta.  Il  tipo  di  valore  che  le  ipotetiche  libere  assu- 
mono più  di  frequente  in  contesti  dialogici,  è  quello  di  offerta-richiesta, 
soprattutto  ma  non  solo  con  verbi  di  volere  e  potere.  Esprimendo  in  appa- 


^  Alessandro  Parenti,  Davide  Ricca  e  Rosanna  Somicola  (comunicazioni  personali)  mi 
invitano  a  non  escludere  che  l'impugnazione  di  quanto  appena  detto  possa  anche  essere 
vista  come  risultante  da  un  valore  interrogativo  dell'ipotetica  sospesa,  che  implichi  una 
"principale  assente"  metadiscorsiva  del  tipo:  come  fai  a  dire  questo?  Patrizia  Cordin  mi 
suggerisce  che  una  funzione  non  dissimile  da  quella  delle  nostre  ipotetiche  avversative  è 
svolta  dalle  subordinate  posposte  introdotte  da  sebbene  con  il  modo  indicativo  (per  cui  cfr. 
la  voce  sebbene  nel  DISC).  Tuttavia  nonostante  le  analogie  semantiche  con  questi  due  tipi 
di  costrutti,  le  ipotetiche  che  stiamo  esaminando  sembrano  avere  una  diversa  funzione 
pragmatica,  come  conferma  fra  l'altro  il  fatto  che  normalmente  vi  corrisponde  il  contomo 
intonativo  che  Firenzuoli  (2003)  chiama  di  "protesta". 

54 


renza  una  condizione  ipotetica,  di  fatto  pragmaticamente  ciò  ctie  fa  la 
clausola  ipotetica  è  invitare  l'interlocutore  a  realizzare  quella 
condizione^.  In  (6a),  per  esempio,  il  primo  locutore  formula  l'ipotesi  che 
l'altro  gli  dia  un'informazione,  in  realtà  invitandolo  a  darla;  e  infatti  l'al- 
tro esegue: 

(6a)  LIP,  Nal3: 

H:  non  mi  ricordo  comunque  posso  vederlo  perche'  c'ho  il  giornale 

qua 

C:  ahah  vediamo  un  momento  questi  due  Valpolicella  e  Soave  per- 

che'_ 

H:  se  mi  dice  la  pagina_  se  mi  dice 

la  pagina 

C:  la  pagina  allora  trentatre' 

Dal  punto  di  vista  della  sintassi  normativa  si  potrebbe  vedere  l'enun- 
ciato come  mancante  di  un'apodosi  che  dica  "sarebbe  una  buona  cosa", 
"gliene  sarei  grato",  o  qualcosa  del  genere;  ma  è  anche  possibile  vederlo 
come  una  finta  ipotetica,  che  in  realtà  è  un  enunciato  esortativo  in  forma 
di  ipotetica  sospesa,  il  cui  senso  non  sia  "se  X",  bensì  "per  piacere,  X". 

Negli  esempi  seguenti  si  attiva  lo  stesso  significato  di  invito  a  fare 
qualcosa,  anche  se  non  necessariamente  l'interlocutore  esegue: 

(6b)  LIP,  Mal8: 

P:  senta  io  avrei  bisogno  urgentemente  di  questa  cosa  qua  se  no  mi 
tocca  partire  a  militare  sono  andato  su  come  e'  meglio? 
Q:  no  dico  vai  nel  golfo  poi       vai  nel  golfo 
P:  eh  ah  si'  appunto  eh  se  me  Io  fa  avere 

Q:  allora  tutti  gli  esami  sostenuti  con  dichiarazione  che  ha  presen- 
tato domandina  <???> 

(6c)  LIP,  Ra3:  prip 

E:  se  lo_  fai  fare  presto  perche'  questo  e'  su  di  House  <?>  e  allora 

me  lo  vorrei  leggere  chiaramente  pero'  se  Io  fai  fare_ 

A:  lo  faccio  fare_  lo  faccio  fare  mercoledì' 

L'ipotetica  può  formulare  l'ipotesi  che  l'interlocutore  possa  o  voglia 
fare  una  cosa;  e  l'invito  che  ne  risulta  è  appunto  a  farla.  Può  trattarsi  di 
un'offerta  o  di  una  richiesta,  secondo  i  casi: 

(7a)  LIP,  Nbl3: 

B:  io  poi  invece  e'  dalle  quattro  che  so'  sveglio 


*  Non  per  caso,  queste  ipotetiche  assumono  l'intonazione  che  Cresti  (2000)  e  Firen- 
zuoh  (2003)  chiamano  di  "invito/offerta". 

55 


A:  poveraccio  #  se  vuoi  passare 

B:  no_  ti  ringrazio  ma  eh  poi  sta<vo>  o<ggi>  oggi  pomeriggio  ... 

(7b)  LIP,  Nb8: 

...  domani  sono  in  ufficio  più'  o  meno  tra  in  tarda  mattinata  e  tutto 
il  pomeriggio  se  mi  puoi  fare  un  colpo  di  telefono  cosi'  ne  parlia- 
mo un  attimo 

(7c)  LIP,  Neil: 

di  belle  ragazze  ce  ne  sono  veramente  molte  se  vuoi  allargare  an- 
cora un  pochino  l'immagine  non  ci  sono  problemi  e  allora  che 
cosa  succede?  succede  che  eh  dai  oggi  dai  domani  e  si  comincia  a 
guardare  intomo  e  di  belle  ragazze  come  ripeto  ce  ne  sono  vera- 
mente molte 

(7d)  LIP,  Rb38: 

eh  mi  serviva_  un  preventivo  da  lei  ed  eventualmente  se  magari 
possiamo  eh  risentirci  mi  può'  telefonare  fino  alle  quattro  e  mez- 
za qui  in  XYZ  e  lei  ce  l'ha  il  numero  ZZZ  ZZZ  ZZZ  e  dopo  le 
otto  #  eh  sicuramente  a  casa  ZZZ  ZZZ  ZZZ  la  ringrazio  ecco  se  si 
puo'_  far  sentire  mi  farebbe  una  vera  cortesia  grazie 

(7e)  LIP,  Rd9: 

...  ce  l'abbiamo  col  fondo  rosso  c'è'  qui  a  terra  per  esempio  se  si 
può'  brevemente  inquadrare  un  tappeto  sempre  in  questa  stessa 
qualità'  eccolo  col  fondo  rosso  ecco 

Oltre  all'invito  o  alla  richiesta  di  fare  qualcosa,  la  funzione  di  un'ipo- 
tetica libera  può  essere  quella,  affine,  di  offerta,  da  parte  del  locutore,  di 
agire  egli  stesso.  Formulando  l'ipotesi  che  l'altro  abbia  un'esigenza,  il  lo- 
cutore pragmaticamente  dichiara  la  propria  disponibilità  ad  accontentarla: 

(8a)  LIP,  Fa4: 

F:  ecco  se  vedete  che  avete  bisogno  di  altro  eh? 

(8b)  LIP,  Fb33: 

...  s'è'  trovata  bene  infatti  e'  molto  migliorata 
A:  ho  capito 

B:  ah  e_  se  lui_  ha  bisogno  se  insom<ma>  se  e'  una  ragazza  que- 
sta e'  francese  eh? 
A:  ho  capito 

B:  ah  ci  ha  vent' anni  ventidue  ventitre  anni  inso<mma>  pero'  in- 
somma   ci  sa  fare  abbastanza 


2.6.  Enunciati  desiderativi.  Non  è  del  tutto  pacifico  che  siano  delle  ipote- 
tiche le  frasi  al  congiuntivo  imperfetto  con  valore  desiderativo  come  quelle  in 

56 


(9),  perché  il  più  delle  volte  nel  parlato  italiano  non  sono  introdotte  da  se.  An- 
che se  questa  congiunzione  potrebbe  essere  inserita  senza  che  gli  enunciati 
perdano  accettabilità  o  cambino  di  significato,  in  sua  assenza  è  semplicemen- 
te al  congiuntivo  che  va  attribuita  la  capacità  di  far  sorgere  un  senso  ottativo^: 

(9a  )LIP\FiMiNaRo\RA4: 

non  non  credo  che  lei  ci  metta  cattiveria  <f>  e'  ignoranza  pura 
cioè'  ci  fosse  una  volta  che  offre  il  caffè'  lei  non  aveva  il  caffè' 
allora  e'  venuta  da  me  e  dice  Mara  per  piacere  mi_  mi  puoi  presta- 
re il  tuo  caffè'? 

(9b)  LIP\FiMiNaRo\RCll: 

lei  si  diverte  lei  e'  giovanissimo 
A:  la  ringrazio  fosse  vero 

(9c)  LIP\FiMiNaRo\FA14: 

A:  determina  il  fatto  che  i  genitori  siano  anz<iani>  anziani  non  e' 
che  non  voglia  dire  niente  determina  queste  cose  ma  mica  solo 
queste?  sapesse  quante  sono  le  cose_ 
B: tante 

(9d)  LIP\FiMiNaRo\FB12: 

A:  ahah  comunque  già'  la  tranquil<lita'>  vedessi 

l'altra  sera  ci  ha  letto  una  serie  di  temi  io  non  credevo  guarda 

Nel  corpus  LIP  non  trovo  enunciati  di  questo  tipo  introdotti  da  se.  Tuttavia 
è  chiaro  che  essi  sono  possibiU  in  italiano,  e  quindi  conviene  comunque  evo- 
carli entro  la  classificazione  semantica  che  stiamo  costruendo. 

3.  Ipotesi  sulla  versatilità  delle  ipotetiche 

Il  fatto  che  le  frasi  ipotetiche  tendano  a  evolvere  un  uso  sintatticamen- 
te libero  non  è  probabilmente  casuale,  né  è  casuale  che  a  questa  condizio- 

^Non  di  rado  l'introduttore  delle  subordinate  desiderative  indipendenti  al  congiuntivo 
imperfetto  è  magari,  che  rende  piìi  esplicito  il  senso  desiderativo,  ma  rende  anche  più  dif- 
ficile parlare  di  ipotetiche: 

LIP\FiMiNaRo\FE15: 

B:  ti  saluto  bene  allora  magari  fosse  solo  quello  li'  no  eh  passiamo  questo  brano  mu- 
sicale 

LIP\FiMiNaRo\FE15: 

perche'  quando  uno  e'  a  Scandicci  e  pensa  può'  pensare  e  dire  ma  magari  fossi  al  al 
Bagnese  no  pensa  ah  magari  potere  andare  a  Novoli  che  e'  un'altra  zona 

LIP\FiMiNaRo\NC9: 

si'  magari  potessi  magari  # 

57 


ne  sintattica  si  associ  la  varietà  di  funzioni  semantico-pragmatiche  che 
abbiamo  rapidamente  passato  in  rasegna. 

Formuleremo  qui  l'ipotesi  che  le  ipotetiche  presentino  universalmente, 
o  almeno  con  estensione  largamente  interlinguistica,  alcuni  tratti  che  le 
rendono  particolarmente  versatili;  o  comunque,  più  versatili  di  altri  tipi  di 
clausole  subordinate.  Questi  tratti  permettono  loro  di  occorrere  senza  una 
principale,  svolgendo  tuttavia  precise  funzioni  pragmatiche,  e  comunican- 
do significati,  che  sono  selezionati  dal  contesto'^. 

E'  da  osservare  anzitutto  che  le  stesse  funzioni  non  possono  essere  af- 
fidate a  subordinate  posposte.  Infatti,  se  prive  della  principale,  queste  ulti- 
me non  risultano  "sospese"  come  quelle  anteposte,  e  non  suggeriscono  un 
significato  "aperto"  che  il  ricevente  possa  integrare  mediante  il  contesto. 
Una  tipica  funzione  delle  subordinate  libere  posposte  è  quella  di  essere 
metadiscorsive,  dipendendo  in  realtà  da  un  performativo  inespresso,  co- 
me si  può  osservare  in  (  10): 

(10)  Vieni  a  sciare  domani?  Perché  non  so  se  ci  stiamo  tutti  in 
macchina. 

(=  lo  chiedo  perché...) 

Invece  le  subordinate  anteposte  che  rimangono  sintatticamente  sospe- 
se e  prive  della  principale  possono  suggerire  una  continuazione.  Abbiamo 
visto  i  tipi  di  continuazione  che  esprimono  le  ipotetiche  sospese  in  italia- 
no. In  questa  sede  non  indagherò  a  fondo  se  le  stesse  funzioni  pragmati- 
che possano  realizzarsi  anche  mediante  tipi  diversi  di  subordinate  sospese 
come,  per  esempio,  frasi  temporali,  causali,  finali.  A  un  primo  sguardo, 
sembra  che  le  temporali  sospese  possano  esprimere  offerta  e  richiesta,  e 
le  causali  ciò  che  qui  abbiamo  chiamato  "non  luogo  a  procedere",  come 
mostrano  rispettivamente  gli  esempi,  stavolta  inglesi,  (lOa-b)  e  (lOc-d): 

(lOa)  When  you  need  my  help...  (teli  me,  and  VII  come) 

(lOb)  When  you  receive  that  extra  copy  of  your  hook...  (please 

give  it  to  me) 

(lOc)  Since  the  shop  is  already  closed...  {we  cannot  buy  anything) 
(lOd)  Since  you  have  already  paid...  (we  need  not  do  it) 

Ma  probabilmente  nessun  tipo  di  subordinata  libera  è  in  grado  di  svol- 
gere la  vasta  gamma  di  funzioni  a  cui  sono  adibite  le  ipotetiche.  Questo 
può  essere  dovuto  al  fatto  che  le  ipotetiche  istituiscono  una  relazione  se- 

'°  Alle  diverse  funzioni  pragmatiche  corrispondono  appropriate  intonazioni.  Per  l'ita- 
liano, si  veda  Lombardi  Vallauri  (2003),  che  rimanda  a  Cresti  (2000)  e  a  Firenzuoli 
(2003). 

58 


mantica  estremamente  generica  fra  gli  eventi  o  stati  codificati  dalla  prin- 
cipale e  dalla  subordinata.  Le  frasi  temporali  specificano  che  i  due  eventi 
sono  fra  loro  in  una  relazione  di  tempo,  e  così  limitano  i  sensi  possibili  di 
una  eventuale  continuazione  a  qualcosa  in  cui  sia  rilevante  la  relazione  di 
successione  temporale.  Le  causali,  se  sospese,  istituiscono  una  relazione 
di  causa-effetto  fra  l'evento  espresso  e  quello  non  espresso,  restringendo 
le  potenzialità  semantiche  della  continuazione  inespressa.  L'analogo  ac- 
cade per  le  finali,  le  concessive,  ecc. 

Le  frasi  ipotetiche,  invece,  si  limitano  a  segnalare  la  concomitanza 
(potenziale)  di  due  stati  o  eventi.  Non  specificano  che  tipo  di  relazione 
potrebbe  valere  fra  essi.  Dicono  che  il  verificarsi  dell'uno  è  compatibile 
con  il  verificarsi  dell'altro,  e  nient' altro.  E'  vero  che,  come  ha  notato  ad 
esempio  Rudolph  (1981),  in  fin  dei  conti  esprimono  una  relazione  che  ap- 
partiene al  "kausaler  Bereich",  ma  si  tratta  di  una  relazione  meno  specifi- 
cata, per  così  dire  più  "lasca",  e  più  generica  di  quella  causale,  finale  o 
concessiva.  Questo  apre  la  strada  a  diversi  tipi  di  possibili  continuazioni  e 
completamenti  semantici  e  pragmatici,  dopo  una  frase  ipotetica  sospesa. 

Il  fatto  che  le  ipotetiche  hbere  valorizzino  l'estrema  genericità  della  rela- 
zione semantica  sembra  confermato  anche  dalla  seguente  constatazione:  esse 
tendono  a  sfruttare  con  larghezza  quasi  tutta  la  gamma  delle  valenze  del  co- 
strutto ipotetico,  e  non  solo  quelle  più  prototipiche. ^^  Oltre  alle  condizionah 
vere  e  proprie,  che  esprimono  linguisticamente  una  condizione  a  cui  soggiace 
nei  fatti  una  relazione  di  causa-effetto  (tipo  se  piove,  l'erba  ricrescerà),  le  su- 
bordinate di  forma  ipotetica  possono  avere  valore  metadiscorsivo,  cioè  segna- 
lare che  la  relazione  condizionale  vige  fra  l'ipotetica  e  il  predicato  di  "dire" 
che  proietta  la  principale  (tipo  se  vuoi  Io  zucchero,  (ti  dico  che)  è  neir arma- 
dio); hanno  poi  forma  ipotetica  le  cosiddette  "biaffermative"  (tipo  se  Atene 
piange,  Sparta  non  ride)  e  "binegative"  (tipo  se  tu  ami  gli  animali,  io  sono 
Konrad  Lorenz!)}^  Non  sempre  è  possibile  giudicare  a  quale  di  questi  quattro 
tipi  appartenga  un'ipotetica  libera,  perché  in  molti  casi  solo  l'esphcitazione  di 
una  principale  permetterebbe  di  dirlo  con  certezza.  Comunque  non  è  difficile 
rendersi  conto  che  in  linea  di  principio  possono  funzionare  come  ipotetiche 
libere  di  "non  luogo  a  procedere"  sia  frasi  che  integrando  una  principale  sa- 
rebbero interpretabili  come  condizionali  vere  e  proprie  (Ha),  sia  frasi  inter- 

•'  L'esame  di  questa  problematica  meriterebbe  più  spazio,  ed  è  fatto  qui  in  maniera  co- 
sì sintetica  da  non  poterlo  considerare  esauriente.  Inoltre,  per  semplicità,  si  tiene  fuori  dal- 
l'analisi il  tipo  delle  frasi  desiderative  al  congiuntivo  (cfr.  §  2.6.),  per  le  quali  come  abbia- 
mo visto  non  è  del  tutto  chiaro  se  in  italiano  si  debba  parlare  di  costrutto  ipotetico. 

'-  Per  una  descrizione  dei  costrutti  biaffermativi  e  binegativi  italiani,  cfr.  Mazzoleni 
(1991:  766-770).  Per  le  ipotetiche  metadiscorsive,  cfr.  Lombardi  Vallauri  (2000:  98-99). 

59 


pretabili  corne  metadiscorsive  (11b),  sia  frasi  interpretabili  corne  binegative 
(lie): 

(lia)  se  abbiamo  già  tre  gol  di  svantaggio...  (ogni  sforzo  è  inutile) 

(llb)  se  abbiamo  già  tre  gol  di  vantaggio...  (io  penso  che  va  tutto 

bene) 

(Ile)  se  tu  ami  gli  animali...  (allora  proprio  tutto  è  possibile!) 

Le  ipotetiche  libere  di  domanda  generica,  oltre  che  come  condizionali 
vere  e  proprie  (12a),  sono  interpretabili  come  metadiscorsive  (12b): 

(12a)  e  se  il  treno  non  arriva?  (che  facciamo?) 

(12b)  e  se  vogho  lo  zucchero?  {dove  mi  dici  che  è?  cosa  mi  dici 

che  succederà?) 

Quelle  avversative  (13)  e  quelle  di  offerta/richiesta  (14),  selezionano 
l'interpretazione  metadiscorsiva: 

(13)  ma  se  ci  hai  dieci  anni  più  di  me!  {non  puoi  dire  che  siamo 
coetanei) 

(14)  se  vuoi  accomodarti...  {ti  prego  di  farlo;  ti  dico  che  mi  fai  pia- 
cere; ti  dico  che  il  divano  è  h) 

Vedendo  la  cosa  da  altra  angolazione,  solo  i  costrutti  biaffermativi  non 
sembrano  potersi  esprimere  attraverso  un'ipotetica  senza  apodosi.  L'inter- 
pretazione metadiscorsiva  sembra  compatibile  con  tutti  i  tipi  di  ipotetica 
libera,  mentre  l'interpretazione  binegativa  dà  luogo  pragmaticamente  al 
solo  tipo  "non  c'è  da  fare  niente/non  c'è  niente  da  fare".  L'interpretazione 
condizionale  vera  e  propria,  invece,  è  compatibile  con  le  ipotetiche  libere 
di  non  luogo  a  procedere  e  con  quelle  di  domanda  generica. 

Dunque,  alla  base  dell'ampio  uso  delle  ipotetiche  libere  osservabile  in 
italiano  ci  sarebbe  specificamente  la  semantica  di  questo  tipo  di  subordina- 
te; e  cioè,  la  loro  versatilità  e  predisposizione  ad  assumere,  se  lasciate  senza 
principale  (e  in  interazione  con  il  contesto),  la  descritta  gamma  di  valori  se- 
mantico-pragmatici.  Questa  impressione  sarebbe  comprovata  se  si  potesse 
osservare  anche  in  altre  lingue,  tanto  più  se  genealogicamente  e  tipologica- 
mente lontane,  un  comportamento  analogo;  cioè  il  ricorso  a  costrutti  ipote- 
tici lasciati  senza  apodosi  per  esprimere  una  gamma  di  funzioni  semantiche 
e  pragmatiche  simili  a  quelle  che  abbiamo  osservate  per  l'itahano. 

4.  Una  ricognizione  interlinguistica 

Proponiamo  qui  una  breve  rassegna  di  esempi  di  parlato  svedesi,  fin- 
landesi e  giapponesi;  nonché  esempi  tratti  da  testi  classici  (greci  e  latini) 
che  presentano  un  alto  grado  di  mimesi  del  parlato. 

60 


Lindstrôm  (in  stampa)  segnala  che  lo  svedese  fa  largo  uso  di  quelle 
che  egli  chiama,  f ree  conditionals,  con  funzioni  pragmatiche  e  semantiche 
simili  a  quelle  appena  mostrate  per  l'italiano  Per  esempio,  come  domande 
generiche: 

(15a)  A:  om  ni    inte  far  [jobb]?  B:  sa  dà    tanker  ja  fortsatta  â    studerà 

//  you  not  gel  job  so  then  think    I   continue  to  study 

if  you  don't  get  [a  job]?  so  then  l'U  continue  to  study 

o  come  richieste: 

(15b)  om  ni    har    nân     stugkatalog  eller  nât 

if  you  have  some  cottage-catalogue  or  something 
if  you've  got  a  catalogue  of  cottages  or  something... 

Lindstrôm  avverte  che  lo  svedese  ha  anche  delle  ipotetiche  libere  con 
valore  desiderativo,  che  ricordano  assai  da  vicino  le  ipotetiche  desiderati- 
ve italiane  dei  nostri  esempi  (9): 

(15c)  om  Arthur  hade  varit  dar,    eller  jag  ! 

;/  Arthur  had  been  there  or    I 
Oh,  if  Arthur  or  I  had  been  there! 

Anche  il  finlandese'-^  usa  le  ipotetiche  libere  per  esprimere  una  propo- 
sta o  una  richiesta.  In  questi  casi  la  congiunzione  ipotetica  jos  "se"  è 
combinata  con  il  clitico  enfatico  pA  (pa  o  pà,  secondo  le  leggi  dell'armo- 
nia vocalica).  Gli  esempi  che  seguono  esprimono  la  proposta  di  agire,  ri- 
volta dal  locutore  a  se  stesso  e/o  ad  altri: 

(16a)  Jospa  pelastaisimme       leipomotalon 

if-pA  save-COND-lPL  bakery.building-ACC 
Let's  save  the  bakery 

(16b)  Jospa  sovittaisiin  vaihteeksi 

if-pA  make.peace-COND-PASS  far  change 

Why  don't  we  make  peace,  for  a  change. 
[Nel  finlandese  colloquiale  il  passivo  è  usato  per  la  prima  persona 
plurale] 

(16c)  Jospa  pilkistaisin  hiukan  ylos,  sanoi  pieni  muurahainen. 
if-pAtake.a.look-COND-lSG  a.bit      up,    said   small  ant 
'Why  don't  I  take  a  little  look  up',  said  hule  ant 


'^  Ringrazio  Urpo  Nikanne  per  la  sua  consulenza  sull'argomento.  Gli  esempi  finlande- 
si che  mi  ha  fornito  e  che  qui  riporto  con  la  sua  traduzione  inglese  provengono  in  massima 
parte  da  conversazioni  che  chiamerei  di  "parlato  digitato"  avvenute  su  Internet. 

61 


Una  delle  funzioni  delle  ipotetiche  libere  finlandesi  con  jospA  è  quel- 
la "ottativa",  come  abbiamo  visto  per  l'italiano  e  lo  svedese: 

(16d) 

Jospa  Sina  tuntisit      Hanet,    joka  ansaitsee  kaiken  kunnian,  multa  sai  osakseen 
if-pAyou  know-COND-2SG Him/Her,  who deserves ali glory,    but  gorpart.POSS.SUFF 

meidân  hapeàmme. 
our       5/ìflme-P0SS.SUFF(lPL) 
I  wish  you  knew  him  who  deserves  ali  glory  but  has  received  our 
shame. 

(16e)  Jospa  ihmisella  ois  joulu        ainainen 

//-pA  hunian.being-P^ESSWE  be-COND  Chrìstnias  ethemal 
I  wish  people  would  have  Christmas  forever  [from  a  Christmas  song] 

Non  mancano  neppure  le  ipotetiche  libere  con  valore  di  interrogativa 
generica,  dove  jos  normalmente  è  preceduto  dalla  particella  entà.  Questo 
può  verificarsi  sia  con  l'indicativo: 

(16f)  Entà,    jos  âidin  sijaan         tuleva  isa       on  HlV-positiivinen? 

ENTÀ,  if  mother-GEN instead-of  come  father  is    HIV-positive? 
What  (will  happen)  if  the  father-to-be  and  not  mother  is  HIV-positive? 

che  con  il  condizionale: 

(16g)  Enta    jos  samaa  logiikkaa      laajennettaisiin  muihinkin  perheenjaseniin? 

ENTÀ  if  same-PART  logic-PART  extend-COND  other        family-members 
What  if  the  same  logie  was  extended  to  other  family  members,  too? 

(16h)  Enta    jos  lehmat  osais  lentââ? 

EKYkif    cows    can-CONDfìyl 
What  if  cows  could  fly? 

Il  giapponese  non  fa  eccezione  a  quella  che  possiamo  ormai  chiamare 
una  tendenza  molto  diffusa  fra  le  lingue.  Come  in  italiano,  la  funzione  più 
frequente  delle  ipotetiche  libere  giapponesi  è  quella  di  esprimere  offerta  o 
richiesta.  Ma  a  differenza  dell'italiano  il  giapponese  adopera  anche  in 
questo  caso  una  intonazione  interrogativa^"*: 

(17a)  suwareba?  suwattara? 

sedersi -CONO  sedersi-PAST-COND 

se  ti  siedi...  (=  prego,  siediti) 

Le  ipotetiche  libere  interrogative  giapponesi  possono  esprimere  la  do- 
manda generica  "che  accadrà?"  esattamente  come  quelle  italiane: 

'''Ringrazio  Shingo  Suzuki  per  la  consulenza  sul  giapponese. 
62 


(17b)  (moshi)  hayaku  tsuki      sugitara? 

(se)        presto  arrivare  esagerare-COND 
e  se  arrivo  troppo  presto? 

(17c)  (moshi)  umaku         deki  nakereba? 

(se)        bravo-AW  saper-fare  diventare-COND 
e  se  non  sono  capace  di  farlo? 

L'espressione  del  "non  luogo  a  procedere"  può  anch'essa  venire 
espressa  da  ipotetiche  libere,  che  in  questo  caso  assumono  sfumature  ulte- 
riori come  rassicurazione,  promessa  e  perfino  minaccia: 

(17d)  (moshi)  kimi-ga  zembu         ato-katazuke-o  shite         kureta  nara... 

(se)        tu  totalmente  sparecchiare     facendo  dare-PAST-COND 

se  hai  sparecchiato  completamente... 

(17e)  (moshi)  boku-ni  hanasasete        kurenakereba... 
(se)       me-a     parlare-C AUS  dare-NEG-COND 
se  non  mi  lasci  parlare... 

Con  qualche  ricognizione  su  Plauto,  Terenzio  e  Petronio,  si  scopre  che 
in  latino  abbondano  ipotetiche  libere  che  svolgono  i  principali  tipi  di  fun- 
zione semantico-pragmatica  che  abbiamo  osservato  nelle  lingue  moderne. 
Il  senso  dei  brani  in  (18a-b)  è  quel  "nessun  problema",  quel  "tutto  va  be- 
ne", che  per  l'italiano  abbiamo  segnalato  sopra  in  2.1.  ^^: 

(18a)  (Heaut.,  594) 

Ch.  Ego  istuc  carabo. 

Sy.  Atqui  nunc,  ere,  tibi  istic  adservandus  est. 

Ch.  Fiet. 

Sy.  Si  sapias;  nam  mihi  iam  minu'  minusque  obtempérât. 

Cremete  -  Me  ne  occuperò 

Siro  -  Ma  è  proprio  ora,  padrone  mio,  che  devi  tenerlo  d'occhio. 

Cremete  -  Va  bene. 

Siro  -  Se  ci  riesci:  perché,  a  me,  ormai  ubbidisce  sempre  meno. 

(18b)  (Amphitruo,  453) 

Sos.  Nonne  erae  meae  nuntiare  quod  erus  meus  iussit  licet? 
Mere.  TViae  si  quid  vis  nuntiare:  hanc  nostram  adire  non  sinam. 
Sosie  -  Je  n  'ai  pas  le  droit  d 'annoncer  à  ma  maitresse  ce  dont  mon  maitre  m 'a  chargé? 
Mercure  -  A  ta  maitresse,  tant  que  tu  voudras;  mais  pour  la  notre,  je  ne  te  lais- 
serai pas  l 'approcher 


'5  Le  traduzioni  degli  esempi  latini  e  greci  sono  di  volta  in  volta  quelle  delle  edizioni 
italiana  della  UTET,  francese  delle  Belles  Lettres  e  inglese  Loeb. 

63 


In  realtà  l'ipotetica  libera  in  (18b)  potrebbe  anche  essere  interpretata 
come  l'espressione  di  un'offerta  (vedi  sopra,  2.5.).  Lo  stesso  valore  ha 
senz'altro  il  se  non  vuoi  altro...  pronunciato  da  Periplectomeno  al  v.  185 
del  Miles: 

(18c)  {Miles,  185) 

Palaestrio.  I  sis,  iube  transire  bue  quantum  possit,  se  ut  videant  domi 
familiares,  nisi  quidem  illa  nos  volt,  qui  servi  sumus, 
propter  amorem  suom  omnes  crucibus  contubemales  dari. 

Periplectomenus.  Dixi  ego  istuc;  nisi  quid  aliud  vis. 

Pai.  Volo,  hoc  ei  dicito:  (...) 

Pal.  Please  go  teli  her  go  over  to  our  house,  sir  as  fast  as  she  can;  so  thatfolks 

there  can  see  that  she  's  at  home  -  that  is,  unless  she  wants  her  love  affair  to 

cause  ali  us  slaves  to  be  made  Companions  ofthe  Cross. 

Per.  Consider  her  told.  Anything  else  before  I  go? 

Pal.  Yes,  sir  Teli  her  this  -  (...) 

Molto  frequente  nei  testi  dialogici  latini  è  l'impiego  delle  ipotetiche 
interrogative,  con  funzione  di  domanda  generica  uguale  a  quella  vista  in 
2.3.  per  l'italiano.  In  realtà  nell'uso  latino  l'apodosi  per  lo  piti  non  è  del 
tutto  assente,  ma  è  per  così  dire  ridotta  ai  minimi  termini,  nella  forma  del 
pronome  interrogativo,  o  poco  piiì;  in  altre  parole,  si  tratta  della  domanda 
più  generica  possibile,  che  non  di  rado  i  traduttori  rendono  proprio  con 
un'ipotetica  senza  apodosi: 

(IM)  (Miles,  1417) 

Quid  si  id  non  faxis? 

Et  si  tu  manques  à  ton  serment? 

(18e)  {Heaut,  676) 

Quid  si  hoc  nunc  sic  incipiam?  Nilst.  Quid  si  sic?  Tantundem  egero. 

E  se  cominciassi  così?  Niente  da  fare.  E  così?  Non  è  possibile. 

(18f)  (Satyricon,  102,  12) 

quid  ergo  si  diutius  aut  tranquillités  nos  tenuerit  aut  adversa  tempestas? 

quid  facturi  sumus? 

qu  'adviendra-t-il  si  le  calme  ou  des  vents  contraires  nous  retiennent  en  mer? 

Que  ferons-nous  ? 

Il  senso  desiderativo  delle  ipotetiche  libere,  che  come  abbiamo  visto  è 
presente  in  varie  altre  lingue,  è  frequente  in  latino: 

(18g)  (Heaut.,  599) 

Sy.  Pessuma  haec  est  meretrix. 

Ch.  ita  videtur. 


64 


Sy.  Immo  si  scias.  Vah  vide 

quod  inceptet  facinu'. 

Siro  -  Brutta  donna,  quella  prostituta! 

Cremete  -  Così  pare. 

Siro  -  Se  tu  sapessi!  Bah!  Senti  cosa  ti  sta  combinando. 

(18h)  (Satyricon,  XLIV,  4) 

o  si  haberemus  iilos  leones,  quos  ego  hic  inveni,  cum  primum  ex 

Asia  veni.  Illud  erat  vivere. 

Ah!  si  nous  avions  encore  ces  lions  que  j'ai  trouvés  ici  quand 

j'arrivai  d'Asie.  Ça,  c'était  vivre. 

Anche  per  il  greco,  una  ricognizione  su  testi  dialogici  e  in  qualche  mi- 
sura mimetici  del  parlato  rivela  l'uso  delle  ipotetiche  libere  nelle  stesse 
funzioni.  Vi  si  trovano  esempi  della  "dichiarazione  di  non  luogo  a  proce- 
dere", di  quel  "non  c'è  niente  da  fare"  che  abbiamo  visto  per  l'italiano  in 

2.2.: 

(19a)  (Men.,  Sani.  438-439) 

{ (Mo) }  M  ôeivov  Jiéycov 

Ttpayiia  Kai  6a\)|iaoTÓv. 
{(Ni)}  £1  CToi  oeivòv  eivai  (paivExai- 

MoscfflON  -  Ô  la  terrible,  l'étonnante  nouvelle! 
NicÉRATOS  -  Si  tu  trouves  terrible... 

(19b)  (Men.,  Sam.  597-598) 

{(Ari)}  àXkà  x£{pcûv  o-ùôè  jiiKpòv  ÀKpioiOD  OTÌ7io\)08v  el- 
ei Ô'  èKeivrjv  fi^fcooe,  ttÌv  ye  aiiv- 
{(Ni)}      oi'iioi  Td?iaç  • 

DÉMÉAS  -  Mais  tu  n'as  rien  à  envier  à  Acrisios,  apparemment:  si  Zeus  a  jugé  di- 
gne de  lui  la  fille  de  cet  autre,  pour  la  tienne... 
NicÉRATOS  -  Hélas!  malheureux  que  je  suis! 

Quando  l'ipotetica  libera  è  interrogativa  non  manca,  anche  in  greco,  di 
assumere  il  senso  di  domanda  generica: 

(19c)  (Ak,  Ranae,  169) 

'Eàv  Se  ixti-opco; 

what  if  I  can't  find  one? 

(19d)  (Ar.,  Nub.  749-  753) 

{Ix.}        yvvaÌKa  cpapiiaKiô' eì  7tpidc|ievoç  Gexxa^Tìv 

Ka9é^oi|ii  vuKxcop  xriv  aeA,ìivriv,  eìxa  òr\ 

aùxTìv  KaOe{pxai)i'  èiç  Xocpeîov  oxpoyyuÀ-ov 

(oaTiep  Kocxponxov,  mxa  xripoir|v  excov. 
{1(0. }        XI  ôfjxa  xo^Gx  otv  axpeÀiioeiév  o  ; 


65 


Strepsiade  -  Si  j'achetais  une  magicienne  thessalienne,  et  si  je  faisais  descen- 
dre de  nuit  la  lune;  si  ensuite  je  l'enfermais  dans  un  étui  rond,  comme  un  miroir, 
puis  si  je  la  tenais  sous  bonne  garde? 
Socrate  -  A  quoi  cela  pourrait-il  bien  te  servir? 

(19e)  (Ar.,  TVmZ?. 768-773) 

{Z(o.}  XTiv -ua^iov  A-éyEiç; 

{Zt.}        ëycoyE-  {Pf'i]}  (pépe,  xi  òr\x  dv,  {[Sx.]  èi  xaijxrjv  ?iaPcûv, 

ÓTcóxe  Ypdcpoixo  xriv  6{Kr|v  ó  ypajifiaxeuç, 

àTtMxépco  oxaç  œôe  Tipoç  xòv  fiXiov 

xà  ypd|i|iax'  èKXTÌ^ai|ii  xfiç  è|ifiç  Ô{ktiç 
{X(o.}        aocpcoç  ye  vtî  xàç  Xdpixaç. 

(diversa  lezione:) 
Socrate  -  Le  cristal,  tu  veux  dire? 

Strepsiade  -  Oui.  Eh  bien,  que  penses-tu  de  mon  idée,  si  prenant  cette  pierre,  au 
moment  où  le  greffier  écrirait  la  plainte,  et  me  tenant  à  distance,  comme  ceci,  je 
faisais  fondre  au  soleil  le  texte  de  mon  accusation? 
Socrate  -  Très  ingénieux,  par  les  Charités! 

(19f)  {Ar.,  Nub.  1443-1451) 

{Oe.}        xfiv  iirixÉp  wanep  Kai  aè  x\)7rxTÌacu. 

{Ix.}  t{  çfiç,  x{  cpTiç  av; 

xoûG'  ëxepov  ai)  ^eîÇov  KaKov. 
{Oe.  }  XI  ô'  tÎv  ëxcov  xòv  nxxco 

^óyov  oe  viKTioctì  Xéycov 

xfiv  larixep"  cbç  x-utixeiv  xp£wv; 
{Ex.}        XI  5'  àXko  y  fi,  xaiix'  fiv  Tiofiç, 

oi)5év  oe  KM^ivaei  oeavxbv  è|iPaÀ,eîv 

eiç  XÒ  pdpaBpov  ^lexà  Z(OKpdxo\)ç 

Ktti  xòv  ?ióyov  xòv  fixxco; 
Phidippide  -  Ma  mère,  je  la  battrai  coirmie  toi. 

Strepsiade  -  Que  dis-tu?  Que  dis-tu  là?  Voilà  un  crime  pire  que  l'autre. 
Phidippide  -  Mais  quoi?  Si  avec  le  raisonnement  faible  je  te  confonds  en  te  prou- 
vant qu'il  faut  battre  sa  mère? 

Strepsiade  -  Que  dirai-je?  Si  ce  n'est  qu'après  ce  coup-là  rien  ne  peut 
t' empêcher  de  te  jeter  dans  le  barathre,  avec  Socrate  et  le  raisonnement  fai- 
ble. 

In  greco  è  presente  anche  l'uso  esclamativo-avversativo,  che  abbiamo 
segnalato  per  l'italiano  in  2.4.: 

(19g)  (Men.,  DysL,  516-518) 

è(p'  éxépav  Q-upav 
ë?i0r|i  xiç;  d^À,'  el  acpaipoiiaxova  èv  xcoi  xÓticoi 
O-UXC0Ç  éxo{|i(ùç,  xot^ieTióv. 


66 


Faut-il  aller  à  une  autre  porte?  Mais  si,  dans  le  secteur,  on  est  aussi  prompt  à 
faire  le  coup  de  poing,  fâcheux! 

Infine,  si  trovano  esempi  di  ipotetiche  libere  con  valore  desiderativo: 

(19h)  (Men.,  Epitrep.  952-955) 

{'(App)}  \iy\\iaxo\ì, 

yA,\)K\jT]aTe-  tfìc  yaiieìfìc  y\)vaiKÓc  koxx  ood 

téicvov]  ydp,  ow  àXkóicixov. 
{  '(APp)}  eì  yàp  ûxp£?i£v. 

{  '(APp)}  vf]  TTiv  (pi^riv  ATiiiTjtpa. 

Habrotonon  -  Don't  squabble,  darling.  It's  your  wife's  own  child,  not  some- 
body  else's! 

Charisios  -  How  I  wish  it  were! 
Habrotonon  -  It  is,  by  dear  Demeter! 

5.  Percorsi  di  grammaticalizzazione 

A  questo  punto  è  opportuno  porsi  una  domanda:  come  si  spiegano  la 
nascita  e  il  consolidamento  nell'uso  di  questo  costrutto?  Cercheremo  di 
rispondere  per  l'italiano,  ma  è  probabile  che  le  considerazioni  che  faremo 
sarebbero  applicabili  alle  altre  lingue  in  cui  abbiamo  visto  che  il  costrutto 
funziona  in  maniera  analoga,  e  forse  ad  ogni  lingua. 

Indubbiamente  esso  può  "funzionare"  perché  (come  abbiamo  visto)  i 
significati  che  un'ipotetica  libera  sottintende  sono  sempre  di  un  tipo  ab- 
bastanza generico  da  essere  facilmente  ricostruibile  dal  contesto.  Per 
esempio,  una  domanda  come  "che  cosa  succede?"  si  può  lasciare  ine- 
spressa con  maggiori  probabilità  di  successo  comunicativo  rispetto  a  una 
domanda  come  "a  che  ora  è  previsto  l'arrivo  del  corteo  sindacale  in  piaz- 
za Venezia?".  Questo  porta  una  precisa  conseguenza,  che  ora  vedremo. 

5.1.  L'anello  di  congiunzione?  Cambi  di  programmazione  e  interruzioni 
dialogiche. 

5.1.1.  Almeno  in  linea  di  principio,  nel  parlato  spontaneo  dovrebbe 
esistere  un'abbondante  casistica  di  clausole  ipotetiche  che,  a  differenza  di 
ciò  che  abbiamo  visto  finora,  restano  sospese  senza  che  sia  possibile  attri- 
buire un  senso  all'apodosi  mancante,  perché  questa  viene  a  mancare  in 
maniera  imprevista,  per  un  cambio  di  programmazione  da  parte  del  par- 
lante, o  perché  questi  semplicemente  perde  il  filo  del  discorso.  In  effetti  è 
così.  Questo  tipo  di  contesti  rappresentano  forse  l'anello  di  congiunzione 
fra  la  costruzione  "completa"  comprendente  protasi  e  apodosi,  e  quella 
che  stiamo  esaminando.  Con  la  prima  condividono  il  fatto  che  la  clausola 

67 


ipotetica  nel  momento  in  cui  viene  prodotta  attende  davvero  la  sua  apodo- 
si;  con  la  seconda  condividono  il  fatto  che  l'apodosi  concretamente  è  as- 
sente. La  presenza,  e  perfino  frequenza,  di  protasi  che  restano  sospese  nel 
parlato  per  cambi  di  programmazione  può  costituire  la  base  per  lo  svilup- 
parsi e  imporsi  del  costrutto  delle  ipotetiche  libere,  apparentemente  so- 
spese ma  in  realtà  bastanti  a  se  stesse. 

Vediamo  dunque  alcuni  esempi  di  cambi  di  programmazione  che  la- 
sciano la  protasi  sospesa: 

(20a)  LIP,  Ra9: 

io  personalmente  come  mio  metodo  di  insegnamento  tendo  un  po' 
a_  eh  incoraggiarli  perche'  secondo  me  e'  eh  magari  un  voto_  pe- 
ro' ecco  se  in  italiano  invece  sono  stati_  mentre  su  storia  e  geo- 
grafia magari  e'  più'  facile  che  dia  un  sette  cosi'  su  italiano  perche' 
mi  rendo  conto  che  molti  hanno  povertà'  lessicale_  sia  allo  scritto 
che  soprattutto  neirorale_  ci  sono  ancora  degli  errori  di  ortografia 
retaggi  della  scuola  media  eccetera  e  questo  e'  un  po'_  #  pero'  ec- 
co tutto  sommato  io  di  Dario  sono  abbastanza  contenta  soltanto 

(20b)  LIP,  Re2: 

stasera  lo  pagate  solo  diecimila  lire  quindi  chi  ne  ha  capito  l'im- 
portanza chi  si  e'  reso  conto  come  questo_  anche  gli  altri  vengono 
provati  prego  questo  e'  il  suo  quindi  se  avete  un  televisore  o 
grande  o  piccolo  [tossisce]  o  a  colori  o  in  bianco  e  nero  non  ha 
importanza  la  marca  non  ha  importanza  la  grandezza  perche'  l'ap- 
parecchio lo  adopereremo  in  citta'  in  paese  in  montagna  in  roulot- 
te in  campeggio  senza  avere  più'  l'obbligo  di  avere  cavi  cordone  e 
prolunga  perche'  la  prerogativa  di  quest'antenna  e'  che  può'  rice- 
vere un  segnale  che  va  dai  quaranta  ai  novecento  megahertz 

(20c)  LIP,  Md7: 

guardate  a  questo  tampone  che  entra  da  tutte  le  parti  vernicia  nel- 
l'ambo dei  lati  guardate  voi  se  volete  disegnare  qualche  piccola 
greca  sulla  vostra  parete  sulla  vostra  finestra  ma  attenzione  un  al- 
tro brevetto  incredibile  guardate  lo  stampo  e'  distanziato  in  modo 
tale  che  sulla  moquette  sul  pavimento  anche  se  lo  appoggiate  non 
cadra'  la  minima  goccia 

(20d)  LIP,  Fbl9: 

...  ma  non  non  fare  gli  asili  nido  perche'  si  pensa  che  qualcuno 

debba 

B:  si'  ho  capito  ma  questo 

A:  speculare  allora  se  c'è' 

B:  senz'  altro  codesto  va  bene  codesto  non  discuto 

A:  un  generale  che  poi  truffa  eh  la  cosa  oppure  si  può'  arrivare  in 

68 


base  al  al  modello  settecento  e  quaranta  dice  lei  guadagna  dieci 
milioni  al  mese 

(20e)  LIP,  Me6: 

io  vi  dico  che  se  dovesse  servire  mi  auguro  il  delegato  di  cantie- 
re perche'  muoia  meno  gente  magari  con  qualche_  eh  fastidio  in 
più'  per  l'imprenditore  ma  muore  meno  gente  credo  che  sia  un 
aspetto  di  civiltà'  che  va  perseguito  in  un  grande  fermento 

Nel  brano  seguente  è  possibile  vedere  la  presenza  di  un'apodosi,  forse 
due,  nelle  frasi  riportate  in  corsivo,  molto  lontane  e  quindi  non  tali  da  evi- 
tare che  la  protasi  resti  di  fatto  sospesa: 

(20f)  LIP,  Rdl7: 

...  perche'  le  cifre  in  questo  settore  sono  sempre  diffìcili  da  aggior- 
nare #  parlo  di  una  popolazione  superiore  all'intera  popolazione 
italiana  che  vive  fenomeni  di  migrazione  in  tutto  il  mondo  #  un_ 
quindici  venti  milioni  solo  di  rifugiati  politici  di  cui  si  noti  bene 
vedere  secondo  i  dati  più'  aggiornati  che  arrivano  dalla  Francia 
solo  il  diciassette  per  cento  riguarda  il  cosiddetto  primo  mondo  e 
se  di  cifre  dobbiamo  parlare  per  quello  che  riguarda  il  nostro 
stesso  paese  #  quando  ci  siamo  trovati  a  discutere  dell'approva- 
zione della  recente  legge  anche  in  quell'occasione  abbiamo  dovuto 
constatare  che  /  numeri  non  sempre  coincidono  #  che  di  fronte  ai 
seicentomila  e  poco  più'  immigrati  diciamo  registrati  una  clande- 
stinità' che  si  e'  trovata  ad  aggirare  e  forse  superare  un  milione  # 
un  fenomeno  dicevo  prima  #  col  quale  dovremo  abituarci  a  convi- 
vere e  dovremmo  apprestare  le  responsabilità'  di  amministratori  di 
legislatori  di  uomini  pubblici  di  uomini  di  cultura  dovremmo  ap- 
prestarci a  fornire  delle  risposte  che  non  siano  convincenti  l'Italia 
e  '  oggi  il_  paese  più  popoloso  che  si  affaccia  sul  bacino  del  Medi- 
terraneo fra  pochi  anni  prima  del  duemila  sarà'  il  quarto  paese  co- 
me popolosita' 

Le  protasi  che  restano  sospese  per  un  cambio  di  programmazione 
"mancano  dell' apodosi"  un  po'  più  di  quelle  che,  come  abbiamo  visto 
nelle  sezioni  precedenti,  ne  sono  di  fatto  prive  ma  sono  concepite  fin  dal- 
l'inizio per  esprimerne  il  contenuto,  e  rappresentano  in  realtà  un  enuncia- 
to indipendente.  Tuttavia  gli  esempi  appena  visti  mostrano  che  di  solito 
anche  nei  casi  di  cambio  di  programmazione  l'assenza  di  un'apodosi  non 
crea  guasti  di  rilievo  nella  comunicazione.  Questo  si  deve  al  fatto  che 
quando  viene  formulata  la  clausola  ipotetica  il  contenuto  dell'eventuale 
apodosi,  se  non  completamente  inferibile,  è  però  almeno  parzialmente 
supplito  dal  contesto.  Si  osservino  in  particolare  i  brani  (20b)  e  (20c).  E' 

69 


proprio  grazie  al  verificarsi  di  questa  condizione  che  il  parlante  può  per- 
mettersi, e  quindi  in  qualche  caso  sceglie,  di  mutare  le  proprie  intenzioni 
e  di  lasciare  l'apodosi  di  fatto  inespressa. 


5. 1 .2.  Ancora  più  bisognose  di  una  apodosi  che  è  stata  loro  sottratta  al- 
l'ultimo momento,  dovrebbero  essere  quelle  protasi  che  restano  sospese 
per  via  di  un'interruzione  dovuta  al  sovrapporsi  di  un  altro  parlante,  dopo 
la  quale  l'apodosi  non  viene  più  prodotta.  Qui  infatti  non  è  chi  ha  prodot- 
to la  protasi  che  poi  cambia  idea  e  sceglie  di  non  produrre  l'apodosi  per- 
ché si  rende  conto  che  essa  non  è  indispensabile;  c'è  invece  un  altro  locu- 
tore  che  semplicemente  si  interpone: 

(21a)  LIP,  Ra2: 

B:  questi  sali  li'  <?>  la  composizione  ah  ce  stanno  pure  i  sali  mine- 
rali [ride]  che  sei  matta 

C:  no  infatti  <?>  le  le  particelle  oligo-minerali  a  volte  se  uno  ci  ha 
che  ne  so  problemi 

B:  fa  schifo  fa  schifo  e'  pure  bruttissima  da  vedere  madonna 

mia 

D:  com'è'  che  si  chiama? 
B:  non  ce  niente  da  fa' 

D:  argilla? 

B:  argilla  verde  superventilata  # 
C:  un  cucchiaino? 

(21b)  LIP,  Rb20: 

A:  XYZ  #  a  che  ora? 

B:  quando  vuole  tanto  io  sono  casalinga  se  sono  fuori  perche'  so- 
no andata  a  fa'  spesa_ 

A:  si'  in  ogni  caso  non  questa  sera  domani  in  mattinata  o  domani 
pomeriggio  o  anche  forse  meglio  all'ora  di  pranzo 
B:        va  bene  va  bene  okay 

In  realtà,  come  si  vede  dagli  esempi  (21),  nei  fatti  anche  in  questi 
casi  non  è  detto  che  l'interruzione  giunga  del  tutto  inattesa,  e  che  dav- 
vero tronchi  un'enunciazione  che  ha  tutta  intera  l'intenzione  di  prose- 
guire con  un'apodosi.  Qualche  volta  si  ha  l'impressione  che  il  locuto- 
re  venga  interrotto  proprio  perché  l'ipotetica  che  sta  producendo  si 
presenta  come  probabilmente  sospesa,  e  dunque  per  così  dire  "invita" 
al  cambio  di  turno:  l'interlocutore  ha  ragione  di  supporre  che  l'apodo- 
si non  verrà,  o  comunque  che  non  sia  indispensabile.  Questo  è  più  evi- 
dente in  casi  come  i  seguenti,  in  cui  la  clausola  ipotetica  che  poi  viene 

70 


interrotta  è  di  fatto  già  interpretabile  come  domanda  generica  di  senso 
"che  succederà?": 

(21c)  LIP,  Rell: 

E:  ah  matto  guarda  che  t'ho  detto  me  sa  che  moro  prima  io  che  te 

D:  ma  lascia  perde 

E:    ma  lascia  perde  tu  lascia  perde  che  i  contratti  l'ho  fatti 

sem<pre> 

C:  se  dovesse  morire  facendo  le  coma 

D:  si'_  ma  io  avevo  detto  n'  altra  cosa  <???> 

ci  ho  due  figli 

C:  dovrebbe  litigare  con  i  suoi  figli  allora 

(21d)  LIP,  Mb86: 

A:  comunque_  oramai  di  sopra  ci  sono  pantofole  tutte  le  mattine 
devi  andare  a  tre  metri  di  altezza? 

B:  be'  anch'io  mi  metto  i  paletot  ma  i  paletot  poi  li  lascio  fuori  me 
lo  cambio  te  te  li  cambi  tutti  i  giorni  i  paletot? 
A:  no  infatti  io  dico  be'  ma  se  facciamo  un  attaccapanni  li'_ 
B:  appunto  voi  fate  un  attaccapanni  li'  e  ci  lasciate  quelli  che  vi 
mett<ete>  e  che  fate  tutte  le  sere  noi  non  abbiamo  neanche  l'attac- 
capanni li  [interruzione] 

L'ipotesi  di  spiegazione  che  proponiamo  è  dunque  la  seguente:  nel 
parlato,  e  particolarmente  in  quello  dialogico,  le  costruzioni  ipotetiche 
hanno  una  particolare  vocazione  ad  essere  interrotte  prima  che  venga 
espressa  la  principale.  L'interruzione  può  essere  dovuta  a  un  altro  locuto- 
re  o  al  parlante  stesso,  ma  la  ragione  è  sempre  la  stessa,  e  cioè:  spesso  l'a- 
podosi  di  una  clausola  ipotetica  è  facilmente  inferibile  dal  contesto,  e 
quindi  non  indispensabile.  In  casi  del  genere  la  semplice  spinta  economi- 
ca può  causare  l'omissione  della  principale.  Tipicamente,  se  facendoli  en- 
trare in  salotto  il  padrone  di  casa  dice  agli  ospiti  appena  arrivati:  se  vi  vo- 
lete sedere...,  davvero  non  occorre  che  concluda  aggiungendo: /ar^/o 
pure,  o  mi  farete  piacere.  Questo  porta  di  fatto,  nelle  situazioni  dialogi- 
che, a  lasciare  inespresse  molte  apodosi,  soprattutto  nei  casi  semantici 
che  abbiamo  visto,  affidando  alla  sola  protasi  di  veicolare  l'intero  signi- 
ficato. La  frequenza  con  cui  questo  avviene  sottrae  il  fenomeno  alla  sua 
natura  di  occasionale  deviazione  dalla  norma,  e  caratterizza  sempre  piiì  le 
ipotetiche  senza  apodosi  come  uno  specifico  tipo  di  enunciato  a  disposi- 
zione dei  parlanti.  Dalla  parole  il  fenomeno  entra  nella  langue.  Il  fatto  di 
economia  si  grammaticalizza,  e  il  parlato  dispone  di  clausole  ipotetiche 
indipendenti. 


71 


Quanto  alla  varietà  di  funzioni  che  le  ipotetiche  libere  possono  svolge- 
re, come  abbiamo  già  detto  essa  può  spiegarsi  con  il  tipo  di  relazione  se- 
mantica particolarmente  generico  che  ogni  ipotetica  istituisce  fra  lo  sta- 
to/evento espresso  dalla  subordinata  e  quello  espresso  dalla  principale.  E 
anzi,  questa  constatazione  suggerisce  che  l'economia  non  sia  l'unico  mo- 
vente per  l'omissione  di  una  principale  che  concluda  e  delimiti  la  referen- 
za lasciata  aperta  dall'ipotetica.  In  molti  casi  è  la  vaghezza  stessa  di  tale 
referenza  a  rappresentare  lo  scopo  comunicativo.  Si  lascia  l'enunciato 
"semanticamente  aperto"  e  "sottospecificato"  non  perché  il  suo  senso  è 
chiaro  fino  nel  dettaglio  e  ormai  la  continuazione  sarebbe  ridondante,  ma 
proprio  perché  non  si  vuole  veicolare  un  significato  troppo  dettagliato. 
Non  si  vuole  scegliere.  Tornando  all'esempio  precedente,  chi  dice:  se  vi 
volete  sedere...  può  avere  due  ragioni  per  evitare  di  continuare.  La  prima 
è  la  semplice  economia:  risparmiarsi  di  produrre  ulteriori  sillabe;  la  se- 
conda, e  forse  decisiva,  è  l'esigenza  di  vaghezza.  Qualsiasi  continuazione 
ridurrebbe  la  potenza  semiotica  dell'enunciato,  delimitandolo  inutilmente 
entro  un'unica  conclusione  ed  escludendo  tutte  le  altre  possibili:  ''...fate 
pure,  aut  mi  farete  piacere,  aut  //  divano  è  lì",  ecc.  Invece  l'assenza  di 
continuazione  consente  di  lasciare  aperte,  e  in  qualche  modo  trasmesse 
proprio  perché  inespresse,  tutte  le  possibilità:  "...  fate  pure,  vel  mi  farete 
piacere,  vel  //  divano  è  lì,  ecc."  In  un  diverso  comparto  della  grammatica, 
si  tratta  di  un'esigenza  simile  a  quella  che  è  alla  base  della  scelta  di  usare 
il  passivo  invece  dell'attivo  per  lasciare  inespresso  l'agente. 

Che  questo  processo  di  grammaticalizzazione  delle  spinte  economiche 
e  dell'esigenza  di  vaghezza  sia  molto  avanzato  in  italiano,  lo  mostrano  al- 
cuni ulteriori  fatti  che  andiamo  brevemente  ad  esaminare. 

5.2.  Cristallizzazioni.  La  frequenza  con  cui  nel  parlato  occorrono  le  ipoteti- 
che libere  con  i  valori  che  abbiamo  evidenziato  ha  fatto  sì  che  alcune  di  es- 
se stiano  avviandosi  a  rappresentare  delle  espressioni  cristallizzate,  legate  a 
precise  entrate  lessicali  e  dotate  di  un  valore  fisso.  Questo  può  dirsi  vero  al- 
meno in  parte  per  le  ipotetiche  sospese  con  se  hai/avete  bisogno,  viste  nella 
sezione  2.5.  Ed  è  ancor  più  il  caso  di  se  sapessi  o  se  ci  pensi,  cui  è  difficile 
attribuire  una  precisa  apodosi,  ma  che  esprimono  con  regolarità  un  valore 
di  stupore  esclamativo  associato  al  contenuto  espresso  subito  prima: 

(22a)  LIP,  Rell: 

D:  e  ci  ho  un  anno  un  anno  e  mezzo  più'  de  te  e  un  anno  e  mezzo 

quanto  conta  se  sapessi 

E:  poi  aspetta  un  momento  aho'  quanti  ce  n'hai? 

D:  ah  quasi  sessant ... 

72 


Un'ipotetica  sospesa  come  Se  pensi  che  X  ha  sempre  la  funzione  di 
segnalare  che  c'è  qualche  nesso  evidente  fra  X  e  un  contenuto  appena 
espresso: 

(22b)  LIP,  Ra3: 

A:  delle  delusioni  che  ci  abbiamo  quotidiane  del 

fatto  che  non  incontriamo  persone  che  ci  riesca  che  si  riesce  a  co- 
municare caro  Ugo  stiamo  freschi  questi  sono  i  veri  guai 
C:  perche' 
D:  si'  embe'  certo 
C:  perche'<?>  riferimenti  <?> 

A:  se  pensi  che  siamo  quasi  soli  ai  mondo 

C:  a  Roma  ha  vinto  la  <?> 

D:  la  cosa  poi  buffa  qual  e'  che  uno  piglia  il  congedo 

per  andare  a  a  fa'  ricerca  e'  ovvio 

A:  ah  ma  lo  so  infatti  ma  io  questo 

<?> 

5.3.  Stabilizzazione  del  costrutto.  Abbiamo  chiarito  che  le  clausole 
ipotetiche  nel  parlato  italiano  rappresentano  un  costrutto  pragmaticamen- 
te  e  semanticamente^^  completo,  i  cui  possibili  significati  (li  ripetiamo 
qui)  sono  i  seguenti:  (1)  la  "dichiarazione  di  non  luogo  a  procedere"  posi- 
tiva o  negativa  del  tipo  "è  tutto  a  posto"  o  "non  c'è  niente  da  fare";  (2)  la 
domanda  generica  del  tipo  "che  cosa  succederà?";  (3)  l'impugnazione, 
avversativa  e  in  qualche  modo  esclamativa,  della  verità  o  della  pertinenza 
di  quanto  precedentemente  detto;  (4)  l'invito  (offerta  o  richiesta),  rivolto 
all'interlocutore,  a  compiere  un'azione  suggerita  dal  contesto,  oppure 
l'offerta,  da  parte  del  locutore,  di  compiere  lui  un'azione;  (5)  il  desiderio 
che  qualcosa  sia  vero  o  si  realizzi. 

La  frequenza  e  regolarità  del  fenomeno,  la  motivazione  che  gh  abbiamo  at- 
tribuito in  termini  di  pragmatica  dell'interazione  discorsiva,  e  la  sua  completa 
assenza  dalle  forme  canoniche  dello  scritto,  fanno  sì  che  sia  possibile  proporre 
questo  costrutto  come  uno  dei  tratti  identificativi  del  parlato,  e  in  particolare 
di  quello  dialogico.  Ulteriori  ricerche  sarebbero  necessarie  per  accertare  se  e  in 
che  misura  esso  sia  presente  anche  in  altre  varietà  diafasiche  di  parlato,  oppure 
in  varietà  dialogiche  dello  scritto,  come  ad  esempio  nelle  chat  Unes,  o  simiU. 

Un  effetto  collaterale  della  situazione  che  abbiamo  descritto,  è  il  fatto 
che  in  alcuni  contesti  in  cui  compare  un'ipotetica  l'apodosi  sarebbe  in 

'*  Per  le  caratteristiche  intonative  di  questo  costrutto  sintattico  cfr.  Cresti  (2000),  Fi- 
renzuoli  (2003),  Lombardi  Vallauri  (2003). 

73 


realtà  presente,  ma  significativamente  è  introdotta  da  un  connettivo  coor- 
dinante, perché  la  cosiddetta  protasi  si  è  pienamente  grammaticalizzata  in 
un  enunciato  indipendente  ed  è  sentita  ormai  come  completa  anche  su  un 
piano  strettamente  sintattico: 

(23a)  LIP,  Ma28: 

A:  no  il  controllo  dei  dati  e'  già'  stato  fatto  non  sarebbe  possibile 

farlo  adesso 

B:mh 

A:  perche'  siamo  in  pellicola 

B:  certo 

A:  se  su  noi  abbiam  già'  visto  la  prima  e  la  seconda  bozza  di 

questa  roba  qua 

B:mh 

A:  quindi  vuol  dire  che  i  dati  sono  già'  stati  controllati  se  ci  fosse 

un  errore  #  si  può'  ancora_  #  cambiare 

(23b)  LIP,  Nb8: 

...  domani  sono  in  ufficio  più'  o  meno  tra  in  tarda  mattinata  e  tutto 
il  pomeriggio  se  mi  puoi  fare  un  colpo  di  telefono  cosi'  ne  parlia- 
mo un  attimo  se  poi  e 'hai  un  attimo  di  tempo  puoi  anche  venirmi  a 
trovare  ciao 

(23c)  LIP,  Fbl9: 

A:  no  se  no  Daniela  se  una  donna  se  una  donna  fa  la  carriera 
quindi  sulla  carta  d'  identità'  ci  gli  sarà'  riconosciuta  una  profes- 
sione ma 


74 


Bibliografia 

Cresti  E.,  2000,  Corpus  di  italiano  parlato,  Firenze,  Accademia  della  Crusca. 

Cutugno  F./Savy  R.,  2003,  Il  parlato  italiano,  Napoli,  M.  D'Auria  Editore,  Com- 
pact Disc. 

Firenzuoli  V.,  2003,  Le  forme  intonative  di  valore  illocutivo  dell'italiano  parlato. 
Analisi  sperimentale  di  un  corpus  di  parlato  spontaneo  (LABLITA),  Tesi  di 
Dottorato,  Università  di  Firenze. 

Fritsche  J.  (a  cura  di),  1981,  Konnektivausdriicke,  Konnektiveinheiten,  Grundele- 
mente  der  semantischen  Struktur  von  Texten  I  (=  "Papers  in  Textlinguistics" 
30),  Hamburg,  Buske. 

LIP  =  De  Mauro  T./Mancini  F.A^edovelli  M.A/òghera  M.,  Lessico  di  frequenza 
dell'italiano  parlato,  Milano,  ETAS  libri,  1993. 

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Roma,  Carocci. 

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nell'italiano  parlato:  le  ipotetiche  sospese,  in  Cutugno  F.  /Savy  R.  (a  cura 
di),  Il  parlato  italiano,  2003. 

Marco  Mazzoleni,  1991,  Le  frasi  ipotetiche;  le  frasi  concessive,  in  Renzi  /  Salvi 
G.,  voi.  11:751-817. 

Renzi  L./Salvi  G.,  1991  (a  cura  di).  Grande  grammatica  italiana  di  consultazio- 
ne, Bologna,  Il  Mulino. 

Rudolph  E.,  1981,  Zur  Problematik  der  Konnektive  des  kausalen  Bereichs,  in 
Fritsche  J.,  1981:  146-244. 


75 


Il  contatto  linguistico:  aspetti  teorici  e  metodologici' 

Mair  Parry  (Bristol) 


1 .  Premessa 

L'idea  del  contatto  fra  sistemi  linguistici  diversi  quale  uno  dei  motori 
del  mutamento  linguistico  ha  una  lunga  tradizione:  in  campo  italiano  si 
può  citare  a  titolo  d'esempio  la  tesi  quattrocentesca  di  Flavio  Biondo  cir- 
ca l'origine  dei  volgari  romanzi.  Al  giorno  d'oggi  l'importanza  del  con- 
tatto linguistico  viene  ampiamente  riconosciuta  come  una  delle  cause  piiì 
significative  del  mutamento  (ad  es.  Smith  1979:  52;  Thomason  2003: 
687,  Sankoff  2004:  638)^.  L'Italia  coritemporanea  offre  uà  panoramain- 
comparibilmente  ricco  di  contatti  linguistici  di  diversi  tipi:  sia  verticali, 
(conseguenze  di  espansioni  territoriali  o  di  immigrazioni  che  si  manife- 
stano in  fenomeni  di  sostrato  o  di  superstrato)  sia  orizzontali  (per  cui  ab- 
biamo fenomeni  di  adstrato).  Tali  contatti  possono  coinvolgere  sistemi 
linguistici  strutturalmente  molto  diversi  (ad  es.  fra  varietà  italo-romanza  e 
lingua  minoritaria,  storica  o  non)  oppure  molto  affini  (ad  es.  varietà  au- 
toctone geograficamente  contigue),  così  da  offrire  al  linguista  un  inesauri- 
bile banco  di  prova  che  permetta  di  vaTutafè  Ìpòtèsi  circa  la  natura  e  f 


'  Vorrei  ringraziare  gli  organizzatori  del  convegno  Lingua  e  dialetto  in  Italia  all'inizio 
del  terzo  Millennio  per  la  loro  cordiale  ospitalità  e  l'invito  a  parlare  sul  tema  svolto  da  me 
alla  giornata  di  studio  dedicata  alla  memoria  di  Joseph  Cremona  (Londra,  11.10.03).  Rin- 
grazio i  curatori  degli  Atti,  A.  L.  Lepschy  e  A.  Tosi,  per  il  permesso  di  pubblicare  qui  una 
versione  modificata  del  contributo  che  apparirà  in  inglese  nel  volume,  Rethinking  Langua- 
ges  in  Contact:  The  Case  of  Italian,  Oxford,  Legenda.  Entrambe  le  versioni  prendono  lo 
spunto  da  una  discussione  presentata  al  convegno  Italiano,  strana  lingua?  Convegno  in- 
ternazionale di  Studi,  Sappada/Plodn  (Belluno),  3-7/7/02  (si  veda  Parry  2003).  Un  sentito 
grazie  va  infine  a  Paola  Benincà  e  a  Michela  Cennamo  per  i  loro  commenti  ad  una  prima 
versione  di  questo  lavoro. 

■^  Il  lavoro  seminale  di  Uriel  Weinreich,  Languages  in  Contact  (1953),  ha  gettato  le  ba- 
si scientifiche  di  un  campo  di  studi  molto  fecondo,  come  testimoniano  le  bibliografie  dei 
lavori  citati  in  questo  contributo. 

77 


meccanismi  del  mutamento  linguistico  provocato  dal  contatto  di  lingue, 
nonché  le  probabilità  di  occorrenza  dei  vari  tipi  di  mutamenti^. 

2.  Il  mutamento  linguistico  e  il  contatto  fra  dialetti 

Distinguere  fra  causazione  intema  alla  lingua  e  estema  (contatto  con 
altre  lingue)  non  è  sempre  facile  nella  pratica  ma,  data  l'innegabile  fre- 
quenza del  secondo  tipo,  sono  state  proposte  varie  tipologie  dei  cambia- 
menti dovuti  al  contatto.  Queste,  oltre  a  distinguere  fra  i  vari  livelli  lin- 
guistici, cercano  di  individuare  meglio  (anche  tramite  una  maggiore  pre- 
cisazione terminologica,  ad  es.  Andersen  (in  e. di  s.),  Sankoff  (2002),  Tho- 
mason  /  Kaufman  (1988))  i  diversi  procedimenti  per  cui  elementi  di  un  si- 
stema B  possano  influenzare  o  essere  incorporati  in  un  sistema  A.  Tutti 
convengono  che  il  livello  più  aperto  ai  prestiti  linguistici  è  il  lessico, 
mentre  i  livelli  più  rigidamente  stmtturati  e  chiusi  sono,  come  ci  si  aspet- 
terebbe, meno  permeabili  al  prestito.  L'ultimo  bastione  stmtturale  sarebbe 
la  morfologia  flessionale,  per  cui  raramente  si  trasferiscono  elementi  di 
flessione  da  una  lingua  all'altra.  Tuttavia,  la  rassomiglianza  tipologica  fra 
le  varietà  linguistiche  a  contatto  aumenta  le  probabilità  di  trasferimento  di 
elementi  fra  di  esse.  Di  recente,  alcuni  linguisti  hanno  insistito  che  in  ulti- 
ma analisi  non  tengono  restrizioni  di  sorta  e  che  in  condizioni  sociali  pro- 
pizie tutto  può  succedere  ('anything  can  happen')  (Thomason  /  Kaufman 
1988:14-15)'^.  Tale  posizione,  considerata  oltranzista  da  alcuni  (ad  es. 
Sankoff  (2002),  che  sottolinea  l'importanza  di  analisi  quantitative),  viene 
precisata  in  Thomason  (2003),  dove  viene  ribadito  l'impatto  del  grado  di 
integrazione  stmtturale  dell'elemento  in  questione  e  della  distanza  tipolo- 
gica fra  i  sistemi  coinvolti  sulla  probabilità  che  un  dato  mutamento  si  ve- 
rifichi^. 

Naturalmente,  le  situazioni  di  contatto  intenso,  esemplificato  dal  bilin- 
guismo diffuso  (come  si  è  visto  sviluppare  tra  lingua  e  dialetto  in  Italia 
dalla  metà  del  secolo  scorso  in  poi),  portano  ad  un'incidenza  più  alta  di 
interferenza  o  di  prestiti  linguistici  che  non  quelle  meno  intense  mentre, 
come  accennato  sopra,  l'affinità  tipologica  aumenta  le  probabilità.  Tutta- 

^  Per  un  ottimo  esempio  di  questo  tipo  di  analisi  si  veda  Benincà  /  Renzi  (2004). 

■*  '[L]inguistic  contraints  on  interférence  ...  are  based  ultimately  on  the  premise  that 
the  structure  of  a  language  détermines  what  can  happen  to  it  as  a  result  of  outside  influ- 
ence. And  they  ali  fail'  (Thomason  /  Kaufman  1988:  14-15). 

^  'Among  the  more  useful  predictors  are  degree  of  bilingualism,  degree  of  linguistic 
integratedness  into  a  system,  and  typological  distance  between  source  and  receiving  lan- 
guage' (Thomason  2003:  709). 

78 


via,  per  capire  meglio  la  situazione  attuale,  può  essere  utile  rivolgere  lo 
sguardo  al  passato  per  cercare  di  valutare  non  solo  l'utilità  delle  gerarchie 
intese  a  spiegare  la  probabilità  di  prestiti  da  una  varietà  all'altra,  ma  an- 
che l'apporto  di  due  fattori  che  secondo  alcuni  studiosi  contribuiscono  in 
modo  significativo  al  mutamento  linguistico,  cioè  la  salienza  e  la  marca- 
tezza.  Mi  propongo,  quindi,  di  prendere  in  esame  un  tratto  del  continuum 
dialettale  romanzo,  quello  composto  dai  dialetti  di  crocevia  della  Val  Bor- 
mida,  situati  tra  il  Piemonte  e  la  Liguria,  classificati  a  volte  come  pie- 
montesi e  a  volte  come  liguri. 

Mancando  una  tradizione  scritta^,  l'unico  strumento  utile  per  ricostrui- 
re la  storia  linguistica  di  questa  zona  è  la  dialettologia,  che  permette  di  in- 
terpretare in  senso  storico  la  distribuzione  dei  tratti  linguistici  contempo- 
ranei^. L'intersecarsi  delle  isoglosse  rende  molto  graduale  la  transizione 
dal  tipo  piemontese  a  quello  ligure,  ma  la  prima  impressione  che  danno  i 
dialetti  valbormidesi  centrali  non  è  di  una  distribuzione  bilanciata  di  tratti 
piemontesi  e  liguri,  bensì  di  un'asimmetria  che  fa  spiccare  il  ligure  nella 
fonologia  mentre  la  sintassi  è  dominata  da  tratti  piemontesi^.  Inoltre,  col- 
pisce il  profilo  altamente  connotato  (rispetto  al  contesto  italo-romanzo)  di 
questi  dialetti,  che  sembrano  esibire  tutti  i  tratti  peculiari  di  entrambi  i 
gruppi  dialettali  egemoni.  Ciò  contrasta  con  due  fenomeni  spesso  osser- 
vati in  altre  situazioni  di  contatto  dialettale:  la  convergenza  linguistica  e 
la  formazione  di  una  koinè,  che  col  tempo  tendono  ad  eliminare  la  varia- 
zione a  favore  delle  varianti  meno  marcate,  tramite  processi  di  livella- 
mento e  di  semplificazione.  Trattandosi  di  varietà  linguistiche  affini,  biso- 
gnerà cercare  di  districare  cambiamenti  intemi  da  quelli  estemi,  tenendo 
conto  da  una  parte  del  poco  che  sappiamo  della  storia  sociale  di  questa 
zona,  e  dall'altra  dei  principi  della  linguistica  storica,  delle  tendenze  di  ti- 
po quantitativo  su  cui  si  basa  la  gerarchia  dei  prestiti  summenzionata,  e  di 
fattori  cognitivi  come  la  salienza  e  la  marcatezza^. 

*  Esiste  un  solo  testo  pre-novecentesco:  una  versione  della  Parabola  del  figliuol 
prodigo  (Biondelli  1853:  554). 

^  'Dialect  variation  brings  together  language  synchrony  and  diachrony  in  a  unique 
way.  Language  change  is  typically  initiated  by  a  group  of  speakers  in  a  particular  locale  at 
a  given  point  in  time,  spreading  from  that  locus  outward  in  successive  stages  that  reflect 
an  apparent  time  depth  in  the  spatial  dispersion  of  forms.  Thus,  there  is  a  time  dimension 
that  is  implied  in  the  layered  boundaries  or  isoglosses,  that  represent  linguistic  diffusion 
from  a  known  point  of  origin'  (Wolfram  /  Schilling-Estes  2003:  713). 

*  Per  quanto  riguarda  il  lessico,  un  confronto  fra  il  dialetto  dei  giovani  e  quello  degli 
anziani  suggerisce  un  lieve  incremento  di  elementi  liguri  negli  ultimi  decenni  (Parry 
199  la). 

^  Questi  ultimi  termini  verranno  definiti  e  discussi  al  §6. 

79 


3.  I  DIALETTI  DELLA  VAL  BORMIDA 

La  Valle  Bormida  si  trova  sul  versante  settentrionale  degli  Appennini 
nell'attuale  Regione  Liguria  (prov.  di  Savona),  ma  a  pochissimi  chilome- 
tri dal  confine  con  il  Piemonte  (e  fa  parte  della  diocesi  di  Acqui).  I  suoi 
dialetti  consistono  di  tratti  piemontesi  (della  sub-area  del  Monferrato  ca- 
ratterizzato da  influssi  lombardi)  insieme  a  tratti  liguri  occidentali.  Non 
sorprende  che  in  confronto  ai  dialetti  pili  meridionali,  quelli  più  setten- 
trionali abbiano  un'incidenza  più  alta  di  tratti  'piemontesi'.  La  mia  analisi 
si  concentrerà  sulla  distribuzione  dei  tratti  piemontesi  e  liguri  nel  dialetto 
di  Cairo  Montenotte,  la  città  più  importante  della  zona  (e.  15,000  abitanti), 
ma  si  basa  anche  su  indagini  personali  condotte  negli  ultimi  30  anni  negli 
altri  paesi  circostanti'*^. 

I  seguenti  tratti  valbormidesi  corrispondono  a  tratti  prototipici  dei 
gruppi  dialettali  ligure  e  piemontese  rispettivamente' ': 


3.1.  Tratti  tipicamente  liguri 

(a)  Palatalizzazione  di  PL  >  [tj]  BL  >  [d^],  FL  >  [J]  (Plomteux  (1975: 
7)12;  petracco  Sicardi  (1992:  19-20)): 

cairese:  ciû  [tjy]  <  plus  'più'  ;  piem.     pi  [pi] 

gianch  [d3ar)k]<  blank  'bianco'  bianch  [bjaqk] 

sciama  ['Jama]  <  flamma  'fiamma'  fiama  ['fjama] 

Nel  ligure  la  palatalizzazione  del  nesso  Cons.  -i-  [j]  è  più  estesa  che  negli  altri 
dialetti  settentrionali,  cf.  piem.  pi,  bianch,  fiama  vs.  ciamè  'chiamare'  <  clama- 
re, giàira  'ghiaia'  <  glarea,  contro  i  lig.  ciù,  gianco,  sciama,  ciamà,  giaira. 

(b)  Rotacizzazione  della  -l-  [1]  intervocalica.  Manca  la  r  al  genovese  mo- 
derno ma  si  mantiene  ancora  nei  dialetti  della  Liguria  occidentale  come 
fricativa  palatale  debole  [j](Azaretti  1977:  69);  identico  è  l'esito  della  -r- 
[r]  intervocalica: 

CakesQ-.candeira  [kaq'dejja]  <  candela  'candela'  piem.  candèila[ksLn^ de}\a] 
mòre  ['mDje]  <  ma(t)re  'madre'  mare  ['mare] 

'0  Si  vedano  Pany  (1989)  e  Parry  (2005). 

"  Si  vedano  Fomer  (1988,  1997),  Telmon  (1988),  e  Parry  (1997),  per  profili  dialettali 
di  queste  due  aree.  Non  si  tratta  evidentemente  di  aree  linguisticamente  omogenee:  quella 
piemontese  è  stata  particolarmente  soggetta  a  tendenze  centrifughe  (Telmon  1988). 

'^  'Basta  infatti  una  sola  isoglossa  a  delimitare,  sia  pure  arbitrariamente,  l'area  dialet- 
tale ligure:  sono  liguri  le  varietà  dialettali  dell'Italia  settentrionale  che  conoscono 
l'evoluzione  di  PL-  >  e,  BL-  >  g,  FL-  >  s'  (Plomteux  1975:  7). 

80 


3.2.  Tratti  tipicamente  piemontesi. 

(a)  Perdita  delle  vocali  atone  eccetto  a: 

(i)  in  posizione  finale  (tranne  le  marche  vocaliche  del  plurale  di  cer- 
te categorie  nominali):  carru  >  cair.  cher  [kaer]  'carro'  ~  gen. 
caro  ['karu]; 
(ii)  vocali  protoniche:  genuculu  >  cair.  sç-nugg  fenuds]  ginocchio' 

~  lig.  occ.  zenùgliu  [ze'nuXu];  gen.  zenoggio  [ze'nudsu] 
(iii)vocali  interne  postoniche  delle  proparossitone:  selinon  >  cair. 
scélr  [Jelr] 'sedano'  ~  vent,  ['selaju]  gen.  séllou  ['selou];  spesso 
con  la  tipica  desinenza  piem.  in  [u]  (Telmon  1988:  472):  carizu 
[ka'ridzu]  lig.  occ.  carize  [ka'ridze]  ~  gen.  càize  ['kajzej'caliggi- 
ne'; 
(iv) l'intera  sillaba  finale:  persico  >  cair.  pèrsci  'pesca'-  gen.  pèrse- 
go  ['persegui; 
(b) Infinito  della  la  coniugazione  in  -e  [e]  <  -are,  e.g.  zighè  [dzi'ge]  'gio- 
care' ~  lig.  occ.  zugà  e  gen.  zugâ  [zy'ga];sviluppo  parallelo  del  suffis- 
so -ÂRiu:/£rvè  [fer' ve]  'febbraio'  ~  lig.  occ.  e  g&n.frevâ  [fre'va]; 
(e)  Desinenza  della  la  pi.  indie,  près,  in  -[uma],  e.g.  parluma  [par'luma] 
'parliamo'  ; 

(d)  Pronome  personale  tonico  di  3a.  rafforzato  <  Eccu  ille:  chèl  [kael] 
'lui',  chila  ['kila]'lei'; 

(e)  Pronomi  complemento  enclitici  del  participio  nei  tempi  composti 
(spesso  anche  proclitici  sull'ausiliare), 

Cairese  e.g.  a  s  nun  suma  andòsne  [a  s  nur)  'suma  an'dosne] 

'ce  ne  siamo  andati'  (sci)  refi  ne  siamo  andato  refi  ne; 

(f)  Negazione  di  frase  postverbale  nen  [nei)](  spesso  con  negazione  anche 
pre  verbale): 

a  n  'eu  nèn  visc-tle  [a  n0  nen  'vijtle] 

'non  l'ho  visto'  (sci)  neg  ho  (neg)  visto-Io. 

La  distribuzione  dei  tratti  piemontesi  e  liguri  nel  dialetto  di  Cairo  vie- 
ne riassunta  nella  Tabella  1 . 

Dal  punto  di  vista  del  modello  più  semplice  di  diffusione  linguistica,  il 
cosiddetto  wave  model  (si  veda  Wolfram  /Schilling-Estes  2003),  si  può 
dire  che  la  Val  Bormida  presenta  molteplici  sovrapposizioni  di  onde  irra- 
diatesi da  piti  focolai  importanti:  Torino  verso  nord-ovest,  Milano  a  nord- 
est, e  Genova  a  sud-est.  In  realtà,  la  diffusione  del  mutamento  Hnguistico 
è  assai  più  complessa  e  sfumata  e,  secondo  il  modello  più  sofisticato  della 
gravità  le  innovazioni  tendono  a  disseminarsi  prima  nelle  grandi  concen- 
trazioni urbane,  diffondendosi  in  un  secondo  tempo  non  a  macchia  d'olio 

81 


Tabella  1  La  composizione  del  Cairese  (Parry  2001) 


Cairese 

Pied. 

Monferrato' 

Lig. 

Variabili  fonetiche 

PL>[tJ]BL>[d3]FL>[I] 

+ 

-CL-,  -TL-  >  [d3] 

+ 

+ 

-CT-,  -GD-  >  [tj],  [d3] 

+ 

-Ti>m 

+ 

-LJ-  >  Q] 

+ 

+ 

-SJ-,  -TJ-  >  [3] 

(+) 

+ 

-x->Ln 

(+) 

+ 

-L-.  -R-  [i] 

+ 

+ 

-C-  /  vocale  posteriore  >  0 

+ 

+ 

-N-  >  [n] 

+ 

Lig.  occ. 

-[d]-ripristinata 

+ 

+ 

perdita  delle  vocali  atone 

+ 

+ 

-ARE;  -ARIU  >  [e] 

+ 

+ 

Variabili  morfologiche 

plurale  dei  sostantivi  masc.  in  -/ 

+ 

plurale  dei  nomi  ambigeneri  in  -e 

+ 

Ipl.  indie,  près,  -urna 

+ 

Alessandrino 

3pl.  indie,  près,  -u 

-t- 

-1- 

estensione  di  -[s]-  nel  paradigma  condizionale 

Lomb./Piacentino 

Isg.  e  3sg.  imperf.  cong.  in  -a 

+ 

+ 

Isg.  indie,  près,  di  'avere'  e  'sapere'  in  {-)eu  [0] 

+ 

art.  def.  er,  u  +  clitico  sogg.  3msg  u 

+ 

pron.tonico  3sg.  <  ECCU  ILLE:  chèl,  chilo 

+ 

+ 

forme  allocutive  di  cortesia:  chèl,  chilo 

+ 

+ 

pron.  clitico  dativo  3p.  i  <  ILLI 

+ 

+ 

clitico  locativo  i  <  IBI,  ILLÏC,  HÏC 

+ 

+ 

avverbio  locativo  pross.  <  ECCU  HÎC 

+ 

Variabili  sintattiche 

posizione  dei  clitici  compi,  nei  tempi  composti 

+ 

+ 

posizione  della  negazione  di  frase 

+ 

+ 

distribuzione  dei  clitici  soggetto 

+ 

+ 

lig.  occ. 

assenza  di  clitico  loc.  nelle  strutture  presentative 

+ 

assenza  di  che  nelle  interrogative  WH 

+ 

assenza  dell'art,  def.  davanti  ai  nomi  propri 

+ 

Variabili  lessicali 

circa  2/3 

circa  1/3 

'  La  fonologia  dei  dialetti  monferrini  dimostra  una  certa  impronta  lombarda,  ad  es.  Lo  sviluppo 
di  -CL-,  -TL-,  -CT-,  -GD-,  -TI.  (+)  =  presenza  parziale  del  fenomeno.  Per  la  distribuzione  di  elementi 
lessicali,  si  veda  Parry  (2001)  e  (Parry  2005,  cap.  5). 


82 


ma  a  mo'  di  paracadute  in  altre  città  più  piccole  (Trudgill  (1974);  Wol- 
fram /  Schilling-Estes  (2003:723-27)).  Solo  dopo  vengono  adottate  dalla 
popolazione  della  campagna  circostante  (si  veda  la  descrizione  della  per- 
dita dell'inversione  interrogativa  in  ligure  (Fomer  1998:  328)).  La  distan- 
za e  la  densità  demografica  non  sono,  tuttavia,  gli  unici  fattori  che  influi- 
scono sulla  diffusione  delle  innovazioni;  bisogna  tener  conto  infatti,  an- 
che dei  fattori  topografici,  delle  strutture  sociali,  delle  reti  comunicative 
di  vario  tipo,  degli  atteggiamenti  dei  parlanti,  nonché  della  struttura  lin- 
guistica stessa. 

3.3.  Innovazioni  locali.  Prima  di  concludere  questo  paragrafo  occorre  ri- 
cordare che  oltre  a  mostrare  tratti  che  caratterizzano  il  gruppo  piemontese 
da  una  parte  e  il  ligure  dall'altra,  i  dialetti  valbormidesi  vantano  alcuni 
singolari  sviluppi  propri  (Parry  1991,  1997a): 

(a)  L'unico  vero  dimostrativo:  es  [(8)s],  sa  [sa],  sci  [fi],  se  [se]  deriva  da 
IPSE  non  rafforzato.  Obbligatoriamente  nell'uso  pronominale  (forme  li- 
bere), ma  opzionalmente  con  gli  aggettivi  (forme  clitiche),  si  ricorre 
agli  avverbi  di  luogo:  chi  [ki]  'qui',  lì  [lì]  iì',  là  [la]  'là',  per  ottenere 
un'opposizione  binaria  oppure  ternaria:  es  chi  [es  'ki]  'questo',  es  lì 
[£S  'li]  'quello',  es  là  [es  'la]  'quello  laggiià';  es  matót  (chì/lì/là)  'que- 
sto/quel ragazzo'. 

(b)  Ordine  eccezionale  dei  clitici  preverbali  rispetto  alla  negazione  pre- 
verbale: i  pronomi  complemento  di  la  e  2a  persona  (sg.  e  pi.)  e  3a  ri- 
flessiva precedono  la  negazione: 

a  tin  li  dag  nènt  [a  tir)  li  dag  negt] 

'non  te  lo  do'  sci  ti  non  lo  do  Neg 

u  min  piòsc  vàri  [u  mir)  'pJD3  'vdjì] 

'non  mi  piace  molto'  sci  mi  non  piace  molto. 

4.  Il  contesto  geograhco  e  storico-sociale 

La  linguistica  storica  non  può  trascurare  il  contesto  storico-sociale  in 
cui  sono  avvenuti  i  cambiamenti  da  spiegare'^  sicché,  nell'interpretazione 
delle  isoglosse  che  attraversano  la  Val  Bormida,  bisogna  tener  conto  della 
situazione  periferica  di  una  zona  cui  mancava  un  centro  così  forte  da  po- 

'^  'Linguistic  and  social  factors  are  closely  interrelated  in  the  development  of  langua- 
ge  change.  Explanations  which  are  confined  to  one  or  the  other  aspect,  no  mattar  how 
well  constructed,  will  fail  to  account  for  the  rich  body  of  regularities  that  can  be  observed 
in  empirical  studies  of  language  behaviour'  (Weinreich  /  Labov  /  Herzog  1968:  188). 

83 


ter  servire  da  indiscusso  modello  culturale  e  linguistico.  Periferica,  ma 
non  isolata,  essendo  la  Valle  attraversata  da  importanti  vie  commerciali 
che  collegavano  la  pianura  padana  al  litorale  e  lungo  le  quali  si  erano  sta- 
biliti mercati  regolari  che  attiravano  la  gente  delle  colline  e  delle  campa- 
gne circostanti  (Nada-Patrone/Airaldi  1986,  in  Hoherlein-Buchinger 
2001:  73).  La  divisione  del  territorio  nel  X  sec,  in  senso  longitudÌQalej)er 
contrastare  la  minaccia  saracena  (Olivieri  1988:  49)  e  le  difficoltà  di  pas- 
saggio che  presentavano  i  ripidi  versanti  marittimi  incoraggiavano  ulte- 
riormente i  contatti  nord-sud.  Numerosi  documenti  attestano  accordi  fra 
valbormidesi  e  liguri  della  Riviera  rispetto  al  mantenimento  della  viabilità 
delle  strade  o  alla  protezione  reciproca  (Tognoli  1971)^opo  molte  peri- 
pezie e  guerre  durante  le  quali  le  piccole  comunità  valbormidesi  hanno 
spesso  svolto  il  ruolo  di  pedine  fra  feudatari  e  marchesi,  fra  re  e  comuni, 
Cairo  nel  1690  passò  assieme  al  Monferrato  a  Casa  Savoia,  con  cui  rima- 
se dopo  la  pace  di  Utrecht,  mentre  la  vicina  Carcare  e  la  valle  della  Bor- 
mida  di  Millesimo  passarono  sotto  il  governo  della  Repubblica  di  Genova 
(Petrini  /  Vallega  1968:  34).  La  complessa  storia  di  questa  regione  si^ri- 
flette  nella  frantumazione  dialettale  e  nelF intersecarsi  delle  isoglosse-lin- 
guistiche, fenomeno  caratteristico  delle  aree  di  antico  insediamento 
(Chambers  /Trudgill  1980:  107,  127).  Data  la  mancanza  di  testimonianze 
scritte,  è  difficile  stabilire  l'evoluzione  precisa  di  questi  dialetti;  secondo 
Toso  (2001:  23),  sono  anticamente  'hguri''"*, 

5.  Il  mutamento  linguistico  nella  val  bormida 

Si  afferma  spesso  che  il  contatto  linguistico  porta  al  livellamento  e  alla 
semplificazione  strutturale  (ad  es.  Trudgill  1986:  126,  Jakobson  1929,  ci- 
tato da  Andersen  1988:  39,  Givòn  1979,  Berruto  1995:  226-27).  Tale  ge- 
neralizzazione viene  confermata  da  dati  provenienti  dalle  vicine  vallate 
dell'Oltrepò  pavese  (Zòmer  1993:  90),  ma  ciò  non  vale  per  la  Val  Bormi- 
da. Non  mancano  altri  esempi  discordanti,  come  quelli  citati  da  Thoma- 
son  /  Kaufman  (1988:30)  e  Thomason  (2001:65);  secondo  questi  ultimi 
autori,  l'esistenza  di  molteplici  fattori  che  possono  incidere  sull'esito  di 
una  situazione  di  contatto  implica  che  esso  non  è  predicibile,  ma  solo  va- 
lutabile in  termini  probabilistici.  Ciò  nonostante,  si  possono  identificare 


'''  'Pare  dunque  che  le  condizioni  più  antiche  dei  dialetti  valbormidesi  dovessero  esse- 
re caratterizzate  da  un  precoce  incontro  tra  un  arcaico  contesto  "ligure"  ("centrale"?)  e 
correnti  linguistiche  di  provenienza  padana  "lombarda",  e  che  gli  aspetti  più  vistosi  della 
"piemontesità"  si  siano  affermati  soltanto  in  un  secondo  momento'  (Toso  2001:  23). 

84 


due  parametri  principali,  uno  sociale  e  uno  linguistico,  che  determinano 
la  natura  e  la  portata  dell'influsso  di  un'altra  lingua  su  una  data  varietà 
linguistica: 

(a)  l'intensità  e  la  durata  del  contatto 

(b)  la  vicinanza  tipologica. 

Essendo  gruppi  contigui  del  continuum  dialettale  romanzo,  quello  pie- 
montese è  molto  vicino  tipologicamente  a  quello  ligure,  anche  se  si  di- 
stinguono l'uno  dall'altro,  come  si  è  visto  sopra,  per  una  serie  di  tratti 
evidenti.  Per  quanto  riguarda  il  primo  parametro,  bisogna  ricordare  che 
mentre  i  dialetti  della  Val  Bormida  sono  sempre  stati  in  contatto  con  i  dia- 
letti che  li  circondavano,  il  tipo  di  comunità  (aperta  vs.  chiusa)  è  anche 
cruciale'^.  La  maggiore  eterogeneità  linguistica  che  si  attesta  nelle  comu- 
nità urbane,  aperte,  può  condurre  all'appanarsi  delle  norme  e  alla  conse- 
guente semplificazione  dei  sistemi  sottostanti,  mentre  le  comunità  rurali  e 
periferiche,  più  chiuse,  dimostrano  di  solito  una  maggiore  conservatività 
(per  una  discussione  recente  si  veda  Andersen  1988). 

Significativa  è  anche  la  direzione  dell'influsso,  sia  che  si  tratti  di  in- 
terferenza dovuta  all'acquisizione  imperfetta  di  una  seconda  lingua  (sic- 
ché vengono  trasferiti  in  questa  vari  tratti  della  prima  lingua  del  parlante, 
il  cosiddetto  effetto  del  sostrato),  sia  che  riguardi  il  prestito  linguistico 
(ossia  l'introduzione  da  parte  del  parlante  di  tratti  caratteristici  di  una  va- 
rietà, spesso  più  prestigiosa,  in  una  lingua  che  parla  correntemente  (effetti 
di  superstrato  e  di  adstrato)y^.  Le  ripercussioni  linguistiche  dell'interfe- 
renza possono  essere  molto  estese,  in  particolare  su  fonologia  e  sintassi, 
mentre  i  prestiti,  essendo  più  soggetti  a  restrizioni  strutturali  (da  cui  deri- 
va la  gerarchia  di  permeabilità  basata  sui  livelli  linguistici)  incideranno  in 
primo  luogo  sul  lessico  (Thomason  2001:75).  Come  si  sa,  in  casi  di  sosti- 
tuzione di  lingua  (language  shift),  la  mancanza  di  prestigio  della  lingua- 
madre  può  indurre  i  genitori  a  comunicare  con  i  figli  nella  seconda  lin- 
gua, trasmettendo  loro  così  una  varietà  connotata  strutturalmente  da  tratti 
della  loro  prima  lingua  (come  nel  caso  dell'italiano  regionale). 

'^  La  sociolinguistica  degli  ultimi  decenni  ha  messo  in  evidenza  quanto  sia  fondamen- 
tale il  concetto  di  rete  sociale  per  capire  la  diffusione  di  innovazioni  linguistiche  e  conse- 
guenti cambiamenti  nel  sistema;  si  veda  Berruto  (1995:  101-5)  e  Joseph  /  Janda  (2003a: 
62-64). 

'^  Per  questa  distinzione  terminologica,  si  vedano  Thomason  /  Kaufman  (1988);  Tho- 
mason (2001:  61,  68);  Sankoff  (2004:  644).  In  un  tentativo  di  rendere  ancora  più  precise 
la  descrizione  e  la  terminologia  relative  al  mutamento  linguistico.  Andersen  (in  e.  di  stam- 
pa, §2.4,  §2.5)  distingue  ulteriormente  fra  prestito  'borrowing'  e  trasferenza  'transferen- 
ce':  'Borrowing  and  Calques  are  innovation  types  distinct  from  other  types  of  bilingual 
innovation,  Interférence  andTransference'. 

85 


La  distinzione  tra  interferenza  e  prestito  ci  costringe  a  riconoscere 
l'importanza  del  parlante  come  punto  di  partenza  del  mutamento  lingui- 
stico. Come  osserva  Croft,  ianguages  don't  change;  people  change  lan- 
guages  through  their  actions'  (Croft  1990:257;  2000:4),  e  i  cambiamenti 
risalgono  all'interazione  di  profondi  impulsi  cognitivi  e  comunicativi  con 
le  circostanze  sociali.  Inoltre,  bisogna  distinguere  fra  innovazione  e  muta- 
mento: si  può  parlare  di  mutamento  solo  dopo  che  l'innovazione  di  un  in- 
dividuo viene  adottata  da  altri  parlanti  e  diventa  parte  del  sistema  (Mc- 
Mahon  1994:  248;  landa  /  Joseph  2003:  13)'^.  Un'altra  distinzione  utile 
introdotta  da  Trudgill  (1986)  per  analizzare  i  meccanismi  coi  quali  si  in- 
troducono elementi  stranieri  nel  proprio  parlare  è  quella  fra  accomoda- 
mento e  imitazione.  Il  primo  termine  si  riferisce  alla  tendenza  a  ridurre  le 
differenze  fra  il  proprio  uso  e  quello  dell'interlocutore,  un  tipo  di  conver- 
genza che  sembra  costituire  un  tratto  universale  del  comportamento  uma- 
no. L'imitazione,  invece,  non  richiede  l'interazione  faccia-a-faccia.  Am- 
bedue questi  meccanismi  possono  agire  a  livello  sia  conscio  che  subcon- 
scio. 

Tenendo  in  mente  le  varie  distinzioni  appena  presentate,  cerchiamo 
ora  di  dedurre  dai  tratti  caratteristici  dei  dialetti  valbormidesi  i  vari  tappi 
della  loro  l'evoluzione. 


5.1.  Fonologia.  La  struttura  sillabica  dei  dialetti  ci  induce  a  collocare 
gli  antichi  valbormidesi  fra  i  gallo-italici  doc,  la  cui  lingua  fortemente  ac- 
centata avrebbe  incoraggiato  la  sincope  delle  vocali  atone  eccetto  a  (a  dif- 
ferenza delle  parlate  liguri  della  costa) ^^.  L'appartenenza  al  tipo  gallo-ita- 
lico stretto  viene  confermata  inoltre  dalla  maggior  parte  degli  altri  svilup- 
pi fonetici  illustrati  nella  Tabella  1:  si  tratta  specificamente  di  sviluppi 
monferrini  (quale  che  sia  stata  la  sua  origine,  anche  la  r  debole  caratteriz- 
za il  monferrino'^  (Berruto  1974:  32)).  E  probabile  che  l'adozione  delle 
consonanti  palatalizzate  di  tipo  'ligure'  sia  stata  la  conseguenza  di  ripetuti 
esempi  di  accomodamento  durante  il  Medioevo  verso  il  comportamento 
linguistico  degli  abitanti  della  costa.  Anche  se  non  si  può  escludere  un'o- 
rigine intema  per  queste  consonanti,  è  ragionevole  supporre  che  si  tratti 


'^  Si  vedano  Andersen  (2001b,  e  in  e.  di  stampa)  per  analisi  dettagliate  dei  vari  tipi  e 
stadi  del  mutamento  linguistico. 

'*  Se  ciò  si  possa  ricondurre  ad  un  sostrato  celtico  è  una  questione  ampiamente  dibat- 
tuta ma  non  ancora  risolta. 

'^  Merlo  (1938)  la  denominò  'acutissima  fra  le  spie  liguri',  ma  Tagliavini  (1969:  129) 
non  fu  d'accordo. 

86 


di  prestiti  dai  modelli  rivieraschi  di  prestigio  (Petracco  Sicardi  (1965:107; 
1992:  19-20),  postula  la  Liguria  centro-occidentale  del  XII  sec.  come 
centro  dell' innovazione)^^.  Non  provocò  un  aumento  nel  numero  di  fone- 
mi palatalizzati,  già  consistente  nelle  varietà  monferrine,  ma  ci  fu  un  no- 
tevole incremento  nella  loro  frequenza  e  distribuzione' ^ 

5.2  Morfologia.  La  morfologia  flessionale  (la  componente  più  rigida- 
mente strutturata  e  meno  aperta  al  prestito)  appartiene  quasi  interamente 
al  tipo  piemontese.  I  pochi  tratti  che  accomunano  il  cairese  e  i  dialetti  vi- 
cini al  tipo  ligure  possono  considerarsi  tratti  conservatori,  la  cui  persisten- 
za va  attribuita  senz'altro  al  contatto  con  il  ligure^l  Non  cade,  per  esem- 
pio, la  /  atona  finale  che  segna  il  plurale  di  molti  sostantivi  maschili,  ma 
qui  possono  anche  entrare  in  gioco  corrispondenze  morfologiche  inteme, 
di  tipo  sintagmatico  e  paradigmatico,  e  perfino  il  piemontese  ha  una  mar- 
ca plurale  in  -/  per  alcuni  aggettivi  e  per  sostantivi  che  terminano  in  -/ 
(Brero/Bertodatti  1988:  44).  Altro  tratto  apparentemente  ligure  è  la  for- 
mazione del  plurale  di  alcuni  nomi  ambigeneri  in  -e,  ma  come  nel  caso 
precedente,  potrebbe  trattarsi  di  uno  sviluppo  intemo,  ascrivibile  ad  un 
principio  di  naturalezza  morfologica,  per  cui  all'aggiunta  di  un  tratto  se- 
mantico di  pluralità  corrisponde  l'espressione  esplicita  di  una  marca  plu- 
rale-\  Quindi,  a  prescindere  dall'avverbio  deittico  chi  'qui',  presumibil- 
mente la  forma  originaria,  rimpiazzata  in  Piemonte  dal  tipo  gallo-roman- 
zo derivato  da  ecce  hìc,  tutti  gli  altri  tratti  morfologici  elencati  sopra  so- 

20  Come  nota  Andersen  (1988:  41-43),  il  prestigio  non  è  una  componente  necessaria 
per  la  diffusione  di  innovazioni  linguistiche,  ma  aiuta,  e  nel  nostro  caso  ciò  che  sappiamo 
delle  condizioni  sociali  della  regione  favorirebbe  una  tale  interpretazione. 

2'  Rispetto  al  piemontese  centrale  il  monferrino  dimostra  già  una  notevole  incidenza 
di  affricate  provenienti  dallo  sviluppo  lombardo  del  nesso  velare  +  dentale:  nocte  >  neucc 
[n0tjl  'notte',  frigidu  >frègg  [fraedsJ;  dei  nessi  -CL-,  -TL-:  ocuLU  >  [ods]  'occhio'  (que- 
sto ultimo  sviluppo  condiviso  col  ligure  centrale,  ma  non  col  lig.  occ);  dei  nessi  -SJ-,  -TJ- 
:  cair.  basçin  [ba'siq]  'bacio',  rasçun  [ra'suq]  'ragione' (lig.  boxo  ['basa],  raxon  [ra'sug], 
piem.  basin  [ba'ziq],  rason  [ra'zug])  e  di  -X-  (-[ks]-):  sibilante  palatalizzata  in  cairese, 
monferrino  e  ligure  [f],  ma  [s]  in  piemontese:  cair.  lascè  [la'Je]  'lasciare', /ra^c/w  ['fraju] 
'frassino'  (aglianese:  [la'Je],  ['frcju],  lig.  lascia  [ìa'^a],  frase  ino  ['frajinu],  piem.  lassé 
[ÌSLSQ],frasso  ['frasu]). 

22  L'effetto  del  contatto  sulla  stabilità  ha  meritato  meno  attenzione  da  parte  degli  stu- 
diosi che  non  quello  sul  mutamento  linguistico,  ma  si  veda  Benincà  (1988  e  1994:  101) 
per  l'effetto  conservatore  di  varietà  germaniche  limitrofe  sulla  preservazione  in  ladino 
della  cosiddetta  inversione  del  soggetto,  già  delle  lingue  romanze  antiche  (non  si  tratta 
quindi  di  un  prestito  sintattico  dal  tedesco).  Si  veda,  inoltre,  Joseph  /  Janda  (2003a:  124). 

23  Si  veda  Dressler  (2003)  per  la  nozione  di  iconicità  strutturale. 

87 


no  di  provenienza  settentrionale,  ad  esempio  le  desinenze  tipicamente 
piemontesi  della  Ipl.  del  presente  indicativo: 

Val  B.  [kan'tuma],  [JTcri'vuma],  [fi'nijuma]        tutte  le  coniugazioni 

finiscono  in  [-uma] 
piem.  [kan'tuma],  [skri'vuma],  [fi'njuma]  tutte  le  coniugazioni 

finiscono  in  [-uma]^'^ 
lig.  occ.  [kan'tamu],  [le'zemu],  [ky'simu]  ogni  coniugazione  ha  la 

propria  desinenza 
gen.  [kan'temu],  [ta'semu],  [ser'vimu]  la  e  2a  coniugg.  hanno 

la  stessa  desinenza 

e  il  pronome  tonico  della  3p.: 

Val  B.  [kasl],  ['kila],  [kaej],  ['kile]  <  eccu  ille 

piem.  [ksel],  ['kila],  [lur]  <  eccu  ille  (il  pi.  è  un 

prestito  italiano) 
lig.  occ.  ['elu],  ['eia],  ['eli]  ['eie]  <  ille 

gen.  3sg.  m.+  f.  [le],  3pl.[lu]  <  ille 

5.3.  Sintassi.  Tra  i  fenomeni  tipicamente  o  esclusivamente  piemontesi  si 
annoverano  la  negazione  postverbale  e  la  cliticizzazione  dei  pronomi 
complemento  sul  participio  passato  dei  tempi  composti.  I  dialetti  valbor- 
midesi  più  settentrionali  hanno  partecipato  a  questi  sviluppi  sintattici,  an- 
che se  conservano  ancora  l'elemento  preverbale: 

piem.  /  l'hai  nen  capite,  gen.  no  t'ò  capto,  cair.  a  tìn'eu  nen  capite 
'non  ti  ho  capito'; 

piem.  inizio  XVI  sec.  e  che  Verror  d'el  main  ne  sia  nent  de- 

smentià  (Comedia  de  l'homo,  G.G.  Alione). 

La  ripetizione  dei  clitici  nei  tempi  composti  potrebbe  derivare  da  un 
uso  linguistico  soggettivo  e  espressivo  (Tuttle  1992),  ma  non  bisogna  tra- 
scurare anche  altri  fattori  semantici  e  strutturali  (Parry  1995).  Si  tratta  di 
sviluppi  sintattici  abbastanza  recenti  -  la  prima  attestazione  della  negazio- 
ne postverbale  risale  al  XV  sec.  (Clivio  1976:  41),  mentre  il  primo  esem- 
pio di  un  pronome  enclitico  sul  participio  passato  si  trova  in  un  testo  del 
tardo  Seicento: 

piem.  XVII  sec.  che  fin  il  me  ceur,  m 'avrìo  brusame  {La  pastorella 

semplice,  Anon.  in  Brero  (1981:  155)) 

^"^  Per  la  complessa  situazione  monferrina,  si  veda  Telmon  (1988). 


Ancora  oggi  in  cairese  e  negli  altri  dialetti  piiì  settentrionali  della  Val 
Bormida,  che  normalmente  hanno  strutture  discontinue,  si  sentono  frasi 
con  negazione  o  pronomi  solo  preverbali.  Sembra  che  il  vicino  ligure  ab- 
bia di  nuovo  frenato  sviluppi  di  provenienza  settentrionale,  fornendoci  ul- 
teriori esempi  di  mantenimento  dovuto  al  contatto. 


6.  La  causalità  multipla  del  mutamento  linguistico 

Nella  discussione  dei  tratti  linguistici  abbiamo  già  accennato  a  vari 
fattori  che  potrebbero  aver  inciso  sul  formarsi  di  un  profilo  dialettale  for- 
temente connotato  da  tratti  caratteristici  del  piemontese  e  del  ligure.  Con- 
sideriamo ora  quali  altri  fattori  possano  aver  contribuito  a  tale  esito. 


6.\.  La  salienza.  Per  Trudgill  una  variabile  linguistica  può  diventare  sa- 
liente se  una  sua  variante  viene  stigmatizzata  dalla  comunità  sociale,  se  è 
coinvolta  in  un  cambiamento  in  atto,  se  le  sue  varianti  si  divergono  molto  dal 
punto  di  vista  fonetico  oppure  contribuiscono  al  mantenimento  di  un'opposi- 
zione fonologica  (Trudgill  1986:  11).  La  nozione  è  discussa  a  fondo  da  Ker- 
swill  e  Williams  (2002),  secondo  i  quali,  per  evitare  la  circolarità  dell'argo- 
mentazione, bisogna  tenere  distinti  i  fattori  extra-linguistici  da  quelli  intemi. 
In  ultima  analisi,  i  motori  del  mutamento  hnguistico,  tuttavia,  sono  per  questi 
autori,  i  primi,  cioè  i  fattori  extra-linguistici,  di  tipo  cognitivo,  socio-psicolo- 
gico oppure  pragmatico  (ib.:  83)  ^^.  In  una  situazione  di  contatto  i  tratti  sa- 
lienti, cioè  percettivamente  e  psicologicamente  prominenti  per  via  di  un 
qualche  contrasto,  acquistano  connotazioni  negative  o  positive  secondo  lo 
status  dei  parlanti.  Ne  consegue  stigmatizzazione  oppure  approvazione  e  l'ap- 
provazione incoraggia  l'accomodamento  e  l'imitazione.  È  ragionevole  sup- 
porre che,  come  nei  dialetti  moderni,  gli  esiti  palatali  di  pl,  bl,  fl  in  ligure 
fossero  appunto  salienti  -  i  parlanti  valbormidesi  attuali  sono  così  consci  della 
loro  insolita  distribuzione  e  frequenza  che  esistono  frasi  fatte  per  dimostrare 
agli  stranieri  questa  peculiarità  del  dialetto-^.  Con  ogni  probabilità  si  sono  dif- 
fusi gradualmente  tramite  singoU  prestiti  lessicali,  come  suggerito  anche  dallo 
studio  di  Longo  (1969-70). 

^^  'However,  it  is  the  extra-linguistic  factors  of  component  (3)  [=  extra-cognitive, 
pragmatic,  interactional,  social  psychological,  and  socio-demographic  factors  MP]  that  in 
the  end  directly  motivate  speakers  to  behave  in  a  certain  way,  and  are  therefore  centrai  to 
the  salience  notion'  (Kerswill  /  Williams  2002:  106). 

-^  Ad  es.  cair.  u  cieuv?  un  cieuv  ciû.  Sci,  u  cieuv  cian  cianin,  'piove?  non  piove  pili; 
sì,  piove  pian  pianino'. 

89 


Un  problema  che  si  pone  è  se  gli  sviluppi  morfologici  e  sintattici  va- 
dano interpretati  come  esempi  di  evoluzione  endogena  oppure  prestiti  do- 
vuti alla  salienza.  Non  si  può  escludere  un'origine  autoctona,  ma  il  fatto 
che  i  nostri  dialetti  si  trovino  alla  periferia  dell'area  caratterizzata  da  tali 
tratti,  quella  piemontese,  dove  si  trovano  stadi  di  sviluppo  più  avanzati 
(ad  es.  la  perdita  degli  elementi  pre verbali),  rende  probabile  l'origine 
estema.  La  diffusione  di  innovazioni  sorte  nelle  reti  sociali  aperte  di  città 
settentrionali  quali  Torino,  Alba,  ed  Asti  sarebbe  stata  incoraggiata  dal 
prestigio  delle  varietà  urbane  e  facilitata  dalla  vicinanza  strutturale  dei 
dialetti  circostanti.  Se  consideriamo  ad  esempio  la  negazione,  la  gramma- 
ticalizzazione  delle  strutture  discontinue  si  verifica  solo  in  quelle  varietà 
gallo-italiche  in  cui  la  marca  preverbale  si  riduce  ad  una  consonante  sola 
(non  nel  ligure  né  nel  veneto);  nei  dialetti  piemontesi  centrali  questa  fini- 
sce per  sparire  completamente,  mentre  nella  Val  Bormida  si  mantiene  sia 
per  il  ritardo  nella  diffusione  sia  per  l'influsso  conservatore  del  ligure-^. 

Secondo  Rydén  (1991,  in  Cheshire  1996:  2)  esiste  una  differenza  cru- 
ciale tra  il  mutamento  fonologico  e  quello  sintattico:  i  tratti  sintattici  han- 
no un'incidenza  molto  piiì  bassa  di  quelli  fonologici,  e  quindi  si  prestano 
meno  alla  valutazione  sociale^^.  Se  il  prestigio  sociale  è  meno  pertinente, 
quale  altro  fattore  avrebbe  potuto  incoraggiare  l'adozione  dei  tratti  sum- 
menzionati oltre  alla  spiccata  diversità  formale  dalle  strutture  originarie 
(componente  essenziale  della  salienza).  Secondo  Cheshire  la  nozione  di 
salienza  si  riallaccia  ai  concetti  dìforegrounding  e  backgrounding  (collo- 
cazione in  primo/secondo  piano)  e  ciò  spiega  la  maggiore  frequenza  di 
forme  non-standard  in  contesti  sahenti  (Cheshire  1996:  4).  La  studiosa, 
riferendosi  agli  studi  di  Ossi  Ihalainen  sui  dialetti  inglesi  (ad  es.  Ihalainen 
1991)  sostiene  che  le  frasi  interrogative  e  quelle  negative  (e  aggiungerei 
'imperative')  sono  contesti  sintattici  intrinsecamente  interattivi.  Tornando 
al  nostro  elenco  di  cambiamenti  morfologici  e  sintattici,  si  nota  che  la 
maggior  parte  di  queste  strutture  compare  in  contesti  pragmatici  di  rilievo 
che  spesso  riflettono  un  aumento  di  soggettività  o  di  modalità.  Quindi  gli 
stessi  stimoli  pragmatici  che  portano  a  rafforzamenti  linguistici  innovati- 
vi, possono  anche  contribuire  alla  loro  diffusione. 

Il  rafforzamento  della  negazione  tramite  l'aggiunta  di  un  elemento  po- 
stverbale  deriva  da  un  procedimento  enfatico,  espressivo,  ed  è  solo  in  un 

-^  I  dialetti  valbormidesi  seguono  il  piemontese  anche  nella  scelta  della  forma,  nen,  e 
meno  spesso,  pa. 

2**  Negli  studi  sociolinguistici  di  indirizzo  quantitativo  eseguiti  nella  scia  dei  lavori 
seminali  di  William  Labov  sono  stati  privilegiati  i  tratti  fonetici  a  causa  della  loro  frequen- 
za e  idoneità  come  variabili  (Chambers  2002:  350). 

90 


secondo  momento  che  la  frequenza  d'uso  ha  portato  alla  grammaticaliz- 
zazione  (Heine  2003).  La  pertinenza  della  nozione  di  prominenza  intera- 
zionale  vale  anche  per  gli  sviluppi  morfologici  esaminati: 

i)  la  desinenza  -urna  deriva  probabilmente  dall'imperativo  (sono  an- 
cora limitati  a  questo  contesto  nei  dialetti  piemontesi  del  Canavese 
(Zomer  1998:  87-8)); 

ii)  i  pronomi  personali  tonici  chèl,  chila  risalgono  al  dimostrativo,  ele- 
mento deittico  e  quindo  per  forza  pragmaticamente  prominente. 

Tuttavia,  un'innovazione  di  tipo  settentrionale  per  cui  è  stata  proposta 
un'origine  pragmatica  (Parry  2003),  non  ha  attecchito  in  Val  Bormida, 
malgrado  il  contesto  interazionale  e  prominente  in  cui  compare.  Si  tratta 
della  comparsa  del  complementatore  che  nelle  frasi  interrogative  (prima 
nelle  esclamative),  struttura  che  ha  rimpiazzato  in  gran  misura  l'inversio- 
ne interrogativa  del  piemontese  tradizionale,  ad  es.  Cosa  eh' it  fase?  ~ 
Còs  itfas-to  'Che  fai?'  (Brero  /  Bertodatti  1988:  82).  Può  darsi  che  que- 
sto sviluppo  sia  emerso  troppo  tardi  (le  prime  attestazioni  torinesi  sono 
della  fine  del  sec. XVIII)  per  poter  prevalere  sulle  influenze  unite  della 
lingua  standard  e  del  ligure  in  questa  zona  periferica.  Nell'odierna  Val 
Bormida,  come  in  Liguria,  non  c'è  nessuna  traccia  dell'inversione  inter- 
rogativa che  deve  averia  caratterizzata  nei  secoli  passati  (è  ancora  attesta- 
ta in  testi  genovese  del  tardo  Settecento  e  è  persistita  più  a  lungo  in  certe 
comunità  rurali  (Fomer  1998:  326)). 

6.2.  La  marcatezza.  In  ultima  analisi  la  nozione  di  sahenza  dipende 
forse  da  un  principio  che  secondo  Henning  Andersen  (200 la:  25)  fa  parte 
integrante  del  comportamento  umano  in  genere.  La  marcatezza,  pur  con- 
siderata da  Smith  (1981)  quasi  irrilevante  al  mutamento  linguistico,  viene 
giudicata  da  Andersen  'un  fattore  che  influisce  in  modo  significativo  sulla 
progressione  del  mutamento  linguistico'  (2001a:52).  Il  concetto  di  marca- 
tezza, come  viene  formulato  da  Trubetskoy  e  Jakobson  negli  anni  1930,  si 
riferisce  ad  un  rapporto  asimmetrico  fra  membri  di  una  data  categoria,  ad 
es.  nelle  seguenti  opposizioni  il  primo  membro  è  non-marcato  mentre  il 
secondo  è  marcato:  singolare  vs.  plurale,  maschile  vs.  femminile.  I  suoi 
riflessi  nel  linguaggio  umano  sono  molteplici:  viene  invocata  a  seconda 
del  linguista  per  spiegare  fenomeni  di  complessità  semantica,  complessità 
strutturale,  di  neutraUzzazione  in  contesti  specifici,  e  anche  vari  principi 
di  sequenza  nonché  la  frequenza  degli  elementi  linguistici.  Secondo  An- 
dersen il  concetto  di  marcatezza  è  tuttavia  logicamente  independente  da 
tutti  questi  fenomeni.  Incide  sul  mutamento  linguistico  come  segue  (An- 
dersen 200 la:  33-34,  la  traduzione  è  mia): 

91 


Nel  mutamento  intemo,  evolutivo,  probabilmente,  le  regole  d'uso 
vengono  gradualmente  aggiustate  per  incorporare  un'innovazione 
che  si  presenta  come  non  marcata  rispetto  alle  regole  produttive 
della  grammatica  di  fondo,  e  che  viene  ammessa  prima  nei  contesti 
non  marcati;  solo  quando  l'innovazione  perde  la  sua  novità,  essa  si 
diffonde  oltre  i  contesti  non  marcati  nei  contesti  marcati.  Invece, 
nel  mutamento  dovuto  a  fattori  estemi,  le  regole  d'uso  vengono 
presumibilmente  modificate  direttamente  per  conformarsi  al  mo- 
dello estemo;  l'innovazione  è  motivata  dal  punto  di  vista  pragmati- 
co e  compare  prima  nei  contesti  più  salienti,  pili  controllati  e  mar- 
cati, per  poi  diffondersi,  col  venir  meno  della  novità,  nei  contesti 
meno  salienti  e  meno  marcati^^. 

Nel  mutamento  dovuto  al  contatto,  quindi,  un  elemento  saliente  viene 
introdotto  dai  parlanti  nella  loro  varietà,  mediante  il  procedimento  del- 
l'accommodamento.  Lì  coesisterà  per  un  certo  lasso  di  tempo  con  la  for- 
ma originaria,  dando  luogo  così  alla  variazione  che  deve  precedere  qual- 
siasi mutamento  linguistico.  Inevitabilmente,  ad  ogni  variante  di  un'op- 
posizione verrà  assegnata  un  valore  diverso,  sicché  rispetto  alle  norme 
tradizionali  quella  estranea  verrà  giudicata  marcata.  In  un  primo  tempo  i 
prestiti  fonologici,  morfologici,  sintattici  e  lessicali  saranno  tutti  marcati 
rispetto  alle  varianti  indigene.  Interessante  il  fatto  che  la  maggior  parte 
dei  nostri  prestiti  possono  considerarsi  marcati  anche  dal  punto  di  vista 
della  complessità  strutturale  o  semantica,  ad  es.: 

(i)     in  confronto  alle  articolazioni  semplici  e  non-continue  le  affricate 

palatali  e  le  fricative  sono  marcate  (Hyman  1975:  152); 
(ii)    in  origine  i  pronomi  tonici  chèl,  chila,  che  derivano  dai  dimostra- 
tivi rafforzati  eccu  illu/a,  comprendevano  un  tratto  deittico  in 
più  (Renzi  1997:  8); 
(ili)  la  ripetizione  dei  clitici  complemento  nei  tempi  composti  rende 
più  complessa  la  sintassi; 


^^  'In  the  intemally  motivateci,  evolutive  change,  perhaps,  the  usage  rules  are  gradual- 
ly  adjusted  to  incorporate  an  innovation  that  is  unmarked  in  relation  to  the  productive  ru- 
les of  the  core  grammar,  and  which  is  first  admitted  to  unmarked  environments;  only  as 
the  innovation  loses  its  novelty  does  it  spread  from  unmarked  contexts  to  marked  con- 
texts.  In  the  extemally  motivated  change,  by  contrast,  usage  rules  are  presumably  directly 
modified  to  conform  to  the  extemal  model;  the  innovation  is  pragmatically  motivated  and 
occurs  first  in  the  most  salient,  most  monitored,  marked  environments,  from  which  it  may 
spread,  as  it  loses  its  novelty,  to  less  sahent,  unmarked  environments'  (Andersen  200 la: 
33-34). 

92 


(iv)  il  rafforzamento  pragmatico  della  negazione  porta  ad  un'espres- 
sione discontinua,  piià  complessa  dell'originale  dal  punto  di  vista 
sia  semantico  che  sintattico. 

Tali  correlazioni  sono  da  aspettarsi  secondo  Andersen,  il  quale  propo- 
ne un  Principio  di  accordo  rispetto  alla  marcatura  (Principle  of  Marked- 
ness  Agreement):  ciò  spiegherebbe  il  fatto  che  una  data  situazione  (non 
solo  linguistica)  tende  ad  essere  caratterizzata  da  fenomeni  tutti  marcati 
oppure  non  marcati,  a  prescindere  dai  parametri  interessati  (Andersen 
200 la:  27).  Nel  nostro  caso,  i  prestiti  sono  marcati  non  solo  struttural- 
mente o  semanticamente,  ma  anche  statisticamente,  per  via  della  loro  spe- 
cificità che  li  lega  a  contesti  particolari.  Inoltre,  dal  punto  di  vista  del 
comportamento  flessionale,  il  membro  marcato  di  un'opposizione  lingui- 
stica tende  ad  avere  meno  forme  diverse  di  quello  non  marcato  (ad  es.  pi. 
vs.  sg.)  (Croft  1990:  73).  Si  noti  che  due  delle  innovazioni  inflessionaU 
comportano  il  sincretismo:  nella  la  pi.  e  nella  3a  pi.  dell'indicativo  pre- 
sente i  dialetti  valbormidesi  non  distinguono  più  le  diverse  coniugazioni. 

Il  passaggio  da  variante  marcata  a  variante  non  marcata  si  realizza  gra- 
dualmente attraverso  un  aumento  nell'uso,  attribuibile  spesso  a  ragioni  di 
prestigio  o  di  maggiore  espressività.  Ne  consegue  una  riduzione  della 
specificità  della  variante  marcata  che  la  rende  adatta  a  contesti  sempre 
meno  specifici  o  marcati,  specialmente  da  parte  di  nuovi  parlanti.  Con 
l'abbandono  delle  vecchie  varianti  quelle  nuove  verranno  integrate  nel  si- 
stema di  fondo. 


7.  Conclusione 

Il  nostro  esame  dei  tratti  caratteristici  dei  dialetti  valbormidesi  ci  porta  a 
concludere  che  attraverso  i  secoli  i  parlanti  abbiano  preso  dalle  parlate  piti 
prestigiose  a  nord  e  a  sud  numerosi  tratti  salienti,  ma  non  in  egual  misura  e 
non  in  modo  totalmente  passivo  (viste  le  diverse  innovazioni  proprie).  Pren- 
dendo come  punto  di  partenza  la  struttura  sillabica  di  tipo  gallo-italico  e  la 
prevalenza  di  tratti  fonetici  di  tipo  monferrino  (si  veda  la  tabella  1)  si  delinea 
una  possibile  traccia  evolutiva  in  linea  con  la  gerarchia  dei  prestiti  linguistici 
(i  UvelU  più  permeabili  sono  il  lessico  e  la  fonetica,  mentre  non  ci  sono  stati 
prestiti  di  morfologia  flessionale  dal  Ugure,  tipologicamente  più  distante).  A 
parte  le  consonanti  palatali  di  tipo  ligure,  pochi  elementi  che  non  siano  sem- 
plicemente tratti  conservativi,  sono  condivisi  con  questo  gruppo^^.  La  stra- 
do Fra  questi  si  trovano  alcuni  elementi  lessicali  non  discussi  in  questa  sede,  ma  per 
quanto  riguarda  il  lessico  la  componente  più  sostanziosa  sembra  essere  quella  piemontese 
(si  veda  Parry  2001). 

93 


grande  maggioranza  dei  cambiamenti  sintattici  e  flessionali  fanno  parte  di 
sviluppi  piemontesi,  a  testimonianza  della  piij  stretta  affinità  tipologica 
con  questo  gruppo.  Il  profilo  asimmetrico  dei  dialetti  è  quindi  solo  appar- 
ente. 

Si  è  visto  che  nel  caso  della  Val  Bormida  il  contatto  non  ha  portato  al 
livellamento  e  alla  semplificazione  strutturale,  e  ciò  presumibilmente  per- 
ché non  c'è  mai  stata  (almeno  prima  del  XX  sec.)  una  situazione  di  pre- 
koine  dovuta  alla  convergenza  di  parlanti  diversi  dialetti,  che  tendono  a 
risolvere  l'eterogeneità  linguistica  scegliendo  le  varianti  non  marcate. 
Qui,  invece,  abbiamo  avuto  a  che  fare  con  la  diffusione  linguistica,  per 
cui  i  membri  di  una  comunità  periferica  e  rurale  hanno  fatto  propri  i  tratti 
salienti  delle  parlate  dei  loro  vicini  più  prestigiosi.  Nella  trattazione  un 
ruolo  chiave  è  stato  assegnato  alla  salienza,  la  quale  non  è  un  fattore  sem- 
plice ma  dipende  da  una  vasta  gamma  di  fattori  linguistici  ed  extra-lingui- 
stici (inclusa  la  nozione  di  marcatezza).  Secondo  Kerswill  e  Williams 
(2002:106)  questi  ultimi  fattori  sono  cruciali  per  il  mutamento  linguistico, 
perché  le  lingue  non  sono  organismi  e  sono  i  parlanti  umani  che  le  cam- 
biano^ ^ 


^'  Parecchie  pubblicazioni  recenti  di  linguistica  storica  hanno  sentito  la  necessità  di  in- 
sistere su  questo,  ad  es.  Croft  (2000:  4),  Andersen  {in  stampa),  and  Joseph  and  Janda 
(2003:  10). 

94 


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99 


Quale  dialetto  per  l'Italia  del  Duemila?  Aspetti  dell'italia- 
nizzazione e  risorgenze  dialettali  in  Piemonte  (e  altrove) 


Gaetano  Berruto  (Torino) 

1 .  In  un  esercizio  di  futurologia  sociolinguistica  presentato  nel  settem- 
bre 1991  alla  sezione  ''Sprachprognostik  und  das  'italiano  di  domani'" 
del  Congresso  annuale  dei  Romanisti  tedeschi  (Berruto  1994)  avevo  pro- 
vato a  configurare  alcuni  scenari  sulla  sorte  del  dialetto  in  Italia,  deli- 
neandone quattro:  il  mantenimento  dei  dialetti  ali 'incirca  nella  situazione 
in  cui  si  trovavano  ad  inizio  anni  Novanta;  quella  che  riprendendo  una  fe- 
lice metafora  del  compianto  Giuseppe  Francescato  chiamavo  la  trasfigu- 
razione dei  dialetti,  vale  a  dire  la  loro  trasformazione  in  varietà  regionali 
molto  marcate  dell'italiano  attraverso  la  'cattura'  da  parte  della  lingua 
standard;  uno  scenario  di  vera  e  propria  morte  dei  dialetti,  della  quale  ela- 
borando come  proiezioni  in  tempo  reale  i  dati  allora  disponibili  delle  in- 
chieste nazionali  Doxa  e  Istat  mi  spingevo  ad  estrapolare  possibili  date, 
che,  a  seconda  del  tipo  di  proiezione  della  curva  del  decadimento  demo- 
grafico dei  dialetti  adottata  e  dei  dati,  gli  uni  più  favorevoli  alla  dialet- 
tofonia  e  gli  altri  meno,  delle  indagini  Doxa  o  Istat,  sarebbero  state  da 
collocare  nell'ipotesi  meno  favorevole  fra  il  2060  e  il  2085  e  nell'ipotesi 
pila  favorevole  attorno  al  2350;  e  infine  uno  scenario,  compatibile  con 
realizzazioni  parziali  degli  altri  tre  scenari,  che  prevedeva  una  crescente 
differenziazione  regionale,  col  formarsi  di  Italie  piià  sociolinguisticamente 
diverse  fra  loro  di  quanto  sia  adesso  (o  fosse  quindici  anni  or  sono;  come 
vedremo,  la  parentesi  è  rilevante. .  .)• 

Che  cosa  si  può  dire  a  quasi  tre  lustri  di  distanza  circa  questi  scenari? 
Verso  quale  direzione  pare  muoversi  la  dinamica  dei  rapporti  fra  italiano 
e  dialetto  all'inizio  del  nuovo  secolo?  In  questo  contributo  vorrei  appunto 
portare,  se  non  certamente  argomenti  decisivi,  almeno  dati  empirici  e  os- 
servazioni che  consentano  di  cominciare  a  farsi  un'idea  più  precisa  di 
quale  dialetto,  quanto  e  come  sia  da  incontrare  nella  situazione  sociolin- 
guistica odierna  del  nostro  paese.  Nella  prima  parte  illustrerò  quindi, 
guardando  le  cose  dalla  specola  allobroga  dell'Italia  di  Nord-Ovest,  qual- 
che aspetto  anche  quantitativo  della  presenza  attuale  del  dialetto  in  alcuni 

101 


settori,  situazioni  e  nicchie  d'uso.  Nella  seconda  parte  tratterò  invece 
exempla  del  tipo  qualitativo  di  dialetto  che  viene  utilizzato  in  diverse  si- 
tuazioni comunicative,  con  particolare  attenzione  al  fenomeno  della  co- 
siddetta italianizzazione  dei  dialetti.  Trarrò  quindi  alcune  conclusioni  sul- 
lo stato  di  salute  del  dialetto  all'inizio  del  Terzo  Millennio. 


2.  Quanto  al  primo  punto,  occorre  anzitutto  muovere  dalla  considera- 
zione che  il  dialetto  in  Piemonte,  e  nell'Italia  di  Nord-Ovest  in  generale, 
già  dai  tempi  del  cosiddetto  miracolo  economico  non  è  mai  stato  vigoro- 
so. La  cosa  è  ampiamente  nota,  e  per  sostanziarla  adduco  qui  nelle  tabelle 
1-4  una  scelta  fra  i  dati  statistici  disponibili,  basati  sulle  autodichiarazioni 
degli  intervistati,  frutto  delle  macroinchieste  dell' Istat  e  dei  piccoli  son- 
daggi Doxa. 

tabella  1 

Come  si  parla  in  famiglia,  Italia  (%). 


1987-8 

1995 

2000 

1974 

1982 

1988 

1991 

1996 

Istat 

italiano 

41,9 

44,6 

44,1 

Doxa 

25 

29,4 

34,4 

33,6 

33,7 

dialetto 

31,9 

23,6 

19,1 

51,3 

46,7 

39,6 

35,9 

33,9 

it./dial. 

25 

28,3 

32,9 

23,7 

23,9 

26 

30,5 

32,4 

tabella  2 

Come  si  parla  in  famiglia,  Nord-Ovest  (%) 


1974 

1982 

1988 

1991 

1996 

Doxa 

ital. 

28,3 

34,7 

44,2 

44,7 

42,3 

dial. 

39 

37,2 

25 

20,2 

18,6 

it./dial. 

32,7 

28,1 

30,8 

35,1 

36,3 

tabella  3 

Come  si  parla  in  famiglia.  Regioni  (%) 


Istat,  1988^2000 

Piemonte 

Lombardia 

Campania 

Puglia 

italiano 

53,2  -^  58,6 

55,4  ^  58,3 

22^21,5 

29,5^31,6 

dialetto 

23.4-^11,4 

22.8  ^  10,7 

42.4  -^  30.5 

34.5  ^  17.7 

it./dial. 

22,8  -^  27,3 

20,9  ->  27,9 

34,4  ^  46,7 

34,2  ^  49,8 

tabella  4 

Il  dialetto  (dial.  -i-  it./dial.)  per  classi  di  età  e  situazioni  (%) 


Istat,  1988-^  2000 

in  famiglia 

con  amici 

con  estranei 

a.  6-10 

16,9  +  20.5^6,4  +  23,9 

14  +  20,3^5,9  +  23,6 

8,3  +  17,8^2,6+13,6 

a.  11-14 

20  +  20,5^9,5  +  29,2 

14,7  +  21,9^6,7  +  28,8 

5,5  +  17,2^1,3  +  12,2 

a.  15-24 

25,4  +  22,3^12,2  +  30,8 

16,6  +  24,8^7  +  30,1 

6,6+16,6^2,2+12,4 

102 


Tralasciando  qui  le  tendenze  di  grana  grossa  ben  note  rappresentate 
nei  dati  statistici,  la  differenza  regionale  appare  chiarissima  dalle  percen- 
tuali della  tab.  3':  in  Piemonte  e  in  Lombardia  la  dialettofonia  risulta  sen- 
sibilmente minore  e  l'italofonia  corrispondentemente  molto  maggiore  che 
nella  situazione  italiana  globale;  nel  2000,  per  il  Piemonte,  per  es.,  11,4% 
contro  19,1%  e  58,6%  contro  44,1%  rispettivamente;  e  la  differenza  con 
la  Campania  e  la  Puglia  diventa  macroscopica,  essendo  attestati  in  queste 
regioni  valori  di  risposte  "solo  o  prevalentemente  italiano"  del  solo 
21,5%  e  rispettivamente  31,6%.  I  dati  Doxa,  oltre  che  confermare  il  qua- 
dro, aggiungono  l'importanza  relativa  del  fattore  'grande  centro  abitato'  a 
vantaggio  dell' italofonia.  Non  solo:  se  assumiamo,  come  pare  ovvio,  che 
la  catena  della  trasmissione  generazionale  sia  la  sola  garante  del  manteni- 
mento a  lungo  termine  del  dialetto,  la  situazione  non  è  affatto  rosea,  come 
ampiamente  si  sa  e  come  mostrano  inequivocabilmente  i  dati  che  riporto 
nella  tab.  4,  relativi  alle  classi  di  età  più  giovani. 

Se  i  lineamenti  complessivi  della  questione  demografica,  quanto  a  ita- 
lofonia e  dialettofonia,  sono  chiari,  è  anche  vero,  tuttavia,  che  qua  e  là, 
guardando  bene  tra  le  cifre,  si  notano  alcune  tendenze  che  possono  far 
correggere  la  prima  impressione.  In  primo  luogo,  è  incontestabile  che  una 
parte  considerevole  della  dialettofonia  che  va  costantemente  diminuendo 
non  sparisce  semphcemente  dalla  scena,  ma  da  esclusiva  si  trasferisce  nel 
campo  dell'uso  alternato  o  frammisto  di  italiano  e  dialetto:  le  cifre  relati- 
ve a  questa  modalità  di  comportamento  linguistico  sono  costantemente  in 
crescita  in  tutte  le  situazioni  regionali,  e,  anche  se  non  si  arriva  a  compen- 
sare la  perdita  in  termini  di  dialettofonia  esclusiva,  nell'inchiesta  ISTAT 
del  2000  per  esempio  ben  la  metà  degli  intervistati  in  Puglia  arriva  a  di- 
chiarare un  uso  alternato  di  italiano  e  dialetto  (v.  tab.  3).  Inoltre,  vi  sono 
sintomi,  sia  pure  timidi  e  parziali,  di  un  arresto  dell'incremento  dell' ita- 
lofonia esclusiva:  si  veda  l'andamento  della  curva  dal  1988  al  2000  per 
l'italiano  globalmente  nell'inchiesta  Istat  (tab.  1),  confermato  pienamente 
dall'andamento  della  curva  1974-1996  della  Doxa  per  il  Nord-Ovest  (tab. 
2);  e  si  badi  anche,  marginalmente,  ai  valori  per  il  comportamento  lingui- 
stico dichiarato  (uso  unico  o  prevalente  del  dialetto  più  uso  alternato  di 
italiano  e  dialetto)  con  gli  estranei  per  la  classe  d'età  inferiore,  dai  6  ai  10 
anni,  da  ritenere  a  priori  quella  meno  dialettofona,  nell'inchiesta  Istat  m 
tab.  4. 


'  Aggiungo  anche  dati  relativi  a  Campania  e  Puglia,  per  fornire  qualche  spunto  com- 
parativo con  le  altre  situazioni  regionali  che  sono  state  oggetto  di  analisi  nel  progetto  di  ri- 
cerca di  cui  il  presente  volume  è  un  frutto. 

103 


Venendo  a  un'ottica  più  ristretta  alla  situazione  torinese,  nella  tab.  5 
riporto  alcuni  dei  pochissimi  dati  quantitativi  esistenti  circa  la  situazione 
in  città,  che  rientrano  peraltro  perfettamente  nel  ben  noto  quadro  di  forte 
decremento  della  dialettofonia  dopo  il  miracolo  economico.  A  vero  dire 
l'unico  rilevamento  con  un  campione  statisticamente  un  po'  più  ampio  è 
quello  commissionato  dal  Consiglio  Regionale  del  Piemonte  all'agenzia 
Euromarketing  (Cons.  Reg.  2000);  da  cui  appare  anche  in  maniera  lam- 
pante la  differenza  fra  la  situazione  urbana  e  quella  della  provincia:  la 
percentuale  di  chi  afferma  di  parlare  il  dialetto  in  25  comuni  della  provin- 
cia è  più  che  doppia  rispetto  a  quella  della  città  (51,7%  contro  23,1%). 
Dai  pochi  dati  degli  anni  '70  (Becchio  Galoppo  1978)  a  quelli  recenti  è 
evidentissima  la  dedialettalizzazione  della  comunità  parlante  torinese  (v. 
tab.  5). 

tabella  5 

Dialettofonia  a  Torino  (%) 


Becchio  1978 

parlo 
il  piem. 
92 

capisco 
il  piem. 
100 

non  capisco 
il  piem. 

parlo  dial. 
in  fam. 

78 

Parry  1994 

liceali 

20 

77 

10 

adulti 

<30 

30-59 

>60 

53 
71 
88 

51 

Cons.  Reg.  2000 
(Torino/Provincia) 

23,1/51,7 

37,3/34,8 

39,6/13,5 

La  fascia  d'età  cruciale  per  le  sorti  del  dialetto  è  naturalmente  quella 
giovanile.  Per  questo  sarà  opportuno  vedere  più  da  vicino  gli  adolescenti 
e  i  postadolescenti.  Abbiamo  alcuni  rilevamenti  presso  gli  studenti  delle 
scuole  medie  inferiori  e  superiori  torinesi,  di  cui  qualche  dato  in  tabella  6. 

tabella  6 
D  dialetto  presso  i  giovani  a  Torino  (%) 


De  Zuani  1998  (N  =  278) 

capisco  un  dialetto 
61,1 

parlo  un  dialetto 
19.4 

molto    poco     mai 

Ruggiero  2003  (N  =  312) 

94,9 

27,9     35,6     31,4 

competenza  del  dialetto 
socializzazione  primaria 
apprendimento  del  dialetto 
situazioni  d'uso  del  dial. 

attiva  18,9 
ital.  92,9 
nonni  31,9 
nonni  19,8 

semiattiva  24,4 
dial.  4,2 
genitori  25 
genitori  8 

passiva  5 1,6 
ital./dial.  1,9 
parenti  11,5 
cugini  6,8 

nulla  5,1 
non  so  1 
amici  7,3 
amici  6,2 

vacanza  5 

104 


De  Zuani  (1998),  incentrato  peraltro  sul  linguaggio  dei  giovani  e  non 
sul  dialetto,  rileva  un  quinto  degli  intervistati,  allievi  delle  scuole  medie 
superiori,  come  in  grado  di  pariare  un  dialetto  (data  la  composizione  della 
popolazione  torinese,  ovviamente  questo  non  vuol  dire  che  il  dialetto  in 
questione  sia  il  piemontese:  la  graduatoria  dei  dialetti  di  cui  è  stata  men- 
zionata la  competenza  vede  ai  primi  posti  il  piemontese,  43%,  il  siciliano, 
16%,  il  pugliese,  15%,  il  calabrese,  8%).  Ruggiero  (2003)  è  invece  un  ri- 
levamento intreramente  dedicato  a  far  emergere  tracce  della  dialettofonia 
fra  i  giovani  (adolescenti  e  postadolescenti)  di  Torino.  Tra  le  cifre  che  qui 
indicativamente  riporto,  merita  un  cenno  la  totale  sovrapposizione  con  il 
dato  di  De  Zuani  (18,9%  contro  19,4%)  per  la  dialettofonia  dichiarata.  Si 
noti  che  sotto  'competenza  semiattiva'  indico  i  valori  relativi  a  quelli  che 
Ruggiero  chiama  "parianti  semiattivi";  concetto  assai  simile  se  non  iden- 
tico a  quello  di  "parìanti  evanescenti"  di  Moretti  (1999)-.  In  sostanza,  si 
tratta  di  giovani  che  in  determinate  circostanze  possono  produrre,  e  pro- 
ducono, frammenti  conversazionali  in  dialetto,  ma  non  possono  essere 
considerati  dialettofoni.  E'  significativo  che  siano  un  quarto  degli  intervi- 
stati. 

In  secondo  luogo,  vengono  confermate  la  parte  ridottissima  che  il  dia- 
letto nello  scorso  ventennio  ha  avuto  nella  socializzazione  primaria  -  si 
noti  però  che  non  è  assenza  totale;  del  resto,  se  così  fosse,  ci  sarebbe  da 
chiedersi  dove  davvero  è  finito  il  dialetto...  -  e  l'importanza  della  classe 
dei  parenti  anziani  come  baluardo  del  mantenimento  del  dialetto.  Trattan- 
dosi di  parianti  fluenti,  e  che  presentano  il  massimo  grado  di  dialettofo- 
nia, sono  certo  quelli  che  possono  continuare  ad  attivare  l'uso  interazio- 
nale  del  dialetto  anche  con  parlanti  poco  competenti. 

3.  L'influsso  della  lingua  nazionale  sui  dialetti  italoromanzi,  la  cosid- 
detta 'italianizzazione  dei  dialetti',  è  da  decenni  tema  molto  presente  al- 
l'attenzione nella  dialettologia  e  sociolinguistica  italiana,  ma  i  numerosi 
lavori  ad  essa  variamente  dedicati  sono  per  la  maggior  parte  consistiti  in 
approcci  descrittivi  di  questa  o  quell'altra  situazione  regionale  o  in  meri 
elenchi  di  fenomeni.  Fra  i  tentativi  di  discussione  globale  e  interpretazio- 
ne generale  della  fenomenologia  e  di  inquadramento  complessivo  anche 
teorico  dei  fatti  e  dei  problemi  non  saprei  infatti  citare  molti  altri  inter- 


2  II  termine  di  Moretti  mette  più  l'accento  sulla  fluidità  e  l'oscillazione  della  compe- 
tenza e  delle  realizzazioni  dialettali  di  questi  parlanti,  mentre  quello  di  Ruggiero  mette  più 
l'accento  sul  grado  imperfetto  e  frammentario  della  competenza  in  dialetto. 

105 


venti  oltre  a  quelli  di  Sanga  (1985),  di  Grassi  (1993),  di  Radtke  (1995),  di 
Sobrero  (1996),  e  delle  monografie  di  Michele  Moretti  (1988)  e  Bruno 
Moretti  (1999)  su  situazioni  estrameniali;  fra  l'altro,  come  si  vede,  quasi 
tutti  lavori  non  recentissimi. 

Riprendendo  spunti  che  ho  accennato  in  un  mio  precedente  contribu- 
to sul  tema  (Berruto  1997)  e  sviluppato  in  altri  lavori  più  recenti  (Berru- 
to  2005  a,  2005  b),  la  prospettiva  teorica  generale  secondo  cui  vorrei  in- 
quadrare il  problema  dell'italianizzazione  dei  dialetti  è  quella  della  lin- 
guistica del  contatto.  Mi  baso  quindi  su  una  caratterizzazione  del  reper- 
torio (socio)linguistico  italoromanzo  medio  (escluse  in  linea  di  princi- 
pio la  Toscana  e  Roma)  come  di  un  caso^  di  "bilinguismo  (sociale)  en- 
dogeno (o  endocomunitario)  a  bassa  distanza  strutturale  con  dilalìa" 
(Berruto  1993:  5).  Bilinguismo  sociale  va  qui  inteso  nel  senso  che  un 
sottoinsieme  di  parlanti  di  ogni  comunità  linguistica  regionale  possiede 
e  utilizza  sia  l'italiano  che  il  dialetto.  'Dilalìa'  fa  riferimento  a  una  tipo- 
logia dei  repertori  (Berruto  1987,  1989,  1995:  227-250),  nella  quale  con 
tale  termine  si  designa  una  situazione  che  ha  tratti  in  parallelo  con  la  di- 
glossia classica  (nel  senso  fergusoniano),  in  cui  quindi  esistono  una  va- 
rietà alta  (H)  e  una  varietà  bassa  (L),  ma  che  da  questa  si  differenzia  per 
una  sovrapposizione  di  domini,  costituita  essenzialmente  dal  fatto  che 
la  varietà  H  (contrariamente  alla  situazione  di  'vera'  diglossia)  è  impie- 
gata anche  nella  conversazione  ordinaria  ed  è  ampiamente  lingua  della 
socializzazione  primaria. 

L'italianizzazione  sembra  collocarsi  in  questo  contesto  tra  i  fenomeni 
di  convergenza,  definiti  come  tali  in  quanto  portano  a  un  avvicinamento 
strutturale  fra  i  sistemi,  li  rendono  piià  simili.  Già  Sanga  (1985)  interpreta- 
va -  facendo  peraltro  riferimento  unicamente  a  fatti  fonetici  -  l'italianiz- 
zazione del  dialetto  come  fenomeno  di  convergenza  linguistica;  in  realtà, 
nei  termini  di  "processi  di  convergenza  linguistica,  cioè  di  avvicinamento 
strutturale  a  una  lingua-guida  egemone  (LE)  da  parte  di  lingue  subalterne 
(LS)"  che  portano  "alla  trasformazione  fonologica,  grammaticale,  lessica- 
le delle  LS  secondo  il  modello  della  LE"  (Sanga  1985:  10),  la  cosa  può 
sollevare  qualche  perplessità^.  Convergenza  dovrebbe  essere  bilaterale, 
un  processo  reciproco  di  avvicinamento  di  due  sistemi  linguistici.  Se 
sembra  assodato  che  i  sistemi  dei  dialetti  si  muovano  verso  il  sistema  del- 
l'italiano, assumendone  più  o  meno  mediatamente  forme,  strutture,  tratti, 
semantismi,  non  pare  invece  nell'insieme  che  il  sistema  dell'italiano  si 

^  Mi  sia  consentita  un'inelegante  autocitazione. 
"•  Breve  discussione  in  Berruto  (1997:  24-25). 

106 


muova  in  direzione  dei  dialetti,  con  mutamenti  che  procedano  verso  i  si- 
stemi dialettali.  L'indubbio  accoglimento  nell'italiano  standard  di  lessico 
dialettale,  e  il  formarsi  di  tanti  italiani  standard  regionali  con  caratteri 
propri  non  solo  a  livello  lessicale  e  fonetico  ma  anche  in  parte  e  marginal- 
mente morfosintattico,  non  sembra  debbano  essere  interpretati  come  mu- 
tamento dell'italiano  standard  nel  suo  complesso  in  direzione  dei  dialetti, 
ma  come  un  incremento  della  variabilità  intema  all'italiano,  con  l'affian- 
carsi all'italiano  standard  di  numerose  varietà  più  o  meno  sociolinguisti- 
camente  marcate.  Mattheier  (1996)  ha  proposto,  proprio  per  differenziare 
concettualmente  la  'vera'  convergenza  (con  avvicinamento  strutturale  at- 
traverso dinamiche  di  entrambi  i  sistemi,  che  può  portare  all'instaurazio- 
ne di  fonjie  e  varietà  intermedie  e  miste)  dalla  'convergenza  unilaterale' 
(l'avvicinamento  di  un  sistema  all'altro),  il  neologismo  Advergenz  "ad- 
vergenza"^  che  qui  adotteremo.  L'italianizzazione  strutturale  dei  dialetti 
rappresenta  quindi  un  tipico  fenomeno  di  'advergenza'. 

4.  Collocati  così  nel  loro  complesso  i  fenomeni  di  influsso  della  lingua 
standard  sul  sistema  del  dialetto  nel  contesto  dei  fatti  di  contatto  linguisti- 
co, faremo  ora  qualche  considerazione  sulle  dimensioni  del  fenomeno. 
Vorrei  anzitutto  avanzare  alcune  ipotesi  generali.  È  innegabile,  e  ovvio,  fa 
parte  anzi  dei  luoghi  comuni,  che  i  dialetti  abbiano  subito  un  processo  di 
italianizzazione.  Tale  italianizzazione  riguarda  o  ha  tuttavia  toccato  in  mi- 
sura vistosa  il  lessico,  e  in  misura  molto  minore  la  fonetica,  lasciando 
pressoché  intatti,  se  non  in  comparti  generalmente  marginali  già  dotati  di 
una  certa  variabilità  intema  e  instabilità  stmtturale,  i  settori  duri  del  siste- 
ma Hnguistico,  la  morfologia  e  la  sintassi^. 

L'italianizzazione  è  certamente  un  processo  di  lunga  durata,  che  per 
quello  che  riguarda  la  fonetica/fonologia  e  la  morfosintassi  è  iniziato  po- 
co dopo  il  porsi  dell'italiano  basato  sulle  Tre  Corone  Fiorentine  come  lin- 
gua letteraria  standard  (v.  ancora  su  questo  Sanga  1985,  che  prende  in 


5  "Die  bloBe  formale  oder  semantische  Annaherung  einer  Varietàt  an  cine  andere  da- 
durch,  daB  eigene  Formen  durch  andere  ersetzt  werden,  kònnte  man  dann  etwa  'AD-VER- 
GENZ'  nennen"  (Mattheier  1996:  34). 

^  I  parlanti  evanescenti  di  Moretti  (1999)  mostrano  fatti  molto  interessanti  alle  prese 
per  esempio  coi  pronomi  clitici  del  ticinese.  Occorrerà  qui  distinguere  fra  il  punto  di  vista 
dei  parlanti  e  dell'apprendimento  e  l'ottica  del  dialetto  in  sé:  che  parlanti  semicompetenti 
e  poco  fluenti  destrutturino  non  vuol  dire  che  il  sistema  dialettale  si  destrutturi,  a  meno 
che  non  si  formi  una  nuova  norma  sulla  base  delle  destrutturazioni  dei  parlanti  semicom- 
petenti che  vogliono  parlare  dialetto. 

107 


considerazione  però,  come  detto,  unicamente  fatti  fonetici),  e  clie  ha  per- 
corso il  suo  iter  nei  secoli  passati;  negli  ultimi  decenni,  diciamo,  se  vo- 
gliamo, nell'ultimo  cinquantennio,  nonostante  la  vistosità  dei  fenomeni 
lessicali,  l'influsso  strutturale  dell'italiano  non  sembra  piij  progredito  in 
maniera  sensibile.  E'  invece  accelerato  notevomente  e  aumentato  in  ma- 
niera vistosa  l'apporto  lessicale  dell'italiano  ai  dialetti.  La  vistosità  del  fe- 
nomeno nell'ultimo  cinquantennnio  dipende  tuttavia,  a  mio  avviso,  da 
fatti  totalmente  extralinguistici,  e  cioè  dal  moltiplicarsi  di  sfere  lessicali 
(tutte  quelle  della  società,  tecnica  ed  economia  moderne,  quelle  della  glo- 
balizzazione) per  le  quali  i  dialetti  non  avevano  le  risorse  lessicali  adatte 
e  in  cui  quindi  dipendono  totalmente  da  prestiti  dall'italiano  (a  sua  volta 
spesso  debitore  dell'inglese).  Ma  il  lessico,  da  questo  punto  di  vista,  è  la 
'buccia'  del  sistema  linguistico,  lo  strato  piià  estemo  e  quello,  quindi,  a 
pili  diretto  contatto  con  l'extralinguistico  e  meno  significativo  per  coglie- 
re le  dinamiche  inteme  del  sistema,  anche  se  il  più  appariscente  specie 
per  i  non  addetti  ai  lavori. 

Un  punto  che  a  mio  avviso  spesso  offusca  la  reale  percezione  della 
portata  del  fenomeno  dell'italianizzazione  dei  dialetti  è  il  fatto  che  si  so- 
vrappongono la  considerazione  della  mera  forma  e  stmttura  linguistica 
con  la  considerazione  dei  contenuti.  Emblematiche  a  questo  proposito  so- 
no le  parole  di  Sanga  (1985:  10-11  e  28):  "abbiamo  la  riduzione,  a  volte 
l'eliminazione,  della  diversità  linguistica  [corsivo  G.  B.]  sostanziale,  ma 
il  mantenimento  di  una  diversità  formale  relativa,  e  il  conseguente  conso- 
lidamento delle  LS  nel  proprio  molo",  "il  dialetto  (LS)  si  arricchisce,  ap- 
parentemente, di  tutto  il  lessico  italiano  (LE),  ma  la  comunicazione  si  sta- 
bilisce, in  realtà,  su  una  base  tutta  italiana,  di  cui  il  dialetto  rappresenta 
ormai  solo  la  traduzione  fonetica".  E  anche  Michele  Moretti  (1988:  81)  in 
una  bella  monografia  sulla  variabilità  intema  di  un  dialetto  mstico  ticine- 
se si  esprime  in  chiave  analoga:  le  varietà  italianizzate  del  dialetto  nasco- 
no "dall'applicazione  di  regole  fonetiche  e  morfologiche  dialettali  a  un 
tessuto  lessicale  non  dialettale,  né  linguisticamente  né  culturalmente.  Ov- 
viamente l'apporto  lessicale  dell'italiano  è  aumentato  molto  negli  ultimi 
tempi,  con  l'avanzare  e  l'affermarsi  di  quel  nuovo  tipo  di  vita  e  di  società 
che  trova  unicamente  nell'italiano  adeguati  mezzi  di  espressione". 

Ora,  la  questione  dei  contenuti,  della  sfera  semantica  e  lessicale  di  ri- 
ferimento, del  mondo  designato,  ha  certamente  grande  importanza,  ma  la 
sua  considerazione  va  tenuta  separata,  in  linea  di  principio,  dai  fatti  for- 
mali e  stmtturali  del  sistema  linguistico.  Sì,  è  vero  che  in  fondo  si  tratta 
della  vecchia  querelle  idealistica  della  'forma'  e  dello  'spirito'  della  lin- 
gua. Ma  comunque  una  spiccata  italianizzazione  della  cultura  dialettale 

10R 


non  significa  di  per  sé  implicitamente  una  altrettanto  spiccata  italianizza- 
zione del  sistema  linguistico  dialettale.  Sempre  in  un'ottica  fondamental- 
mente socioculturale,  seppur  da  un'altra  angolatura,  di  parere  diverso  ri- 
spetto agli  autori  appena  sopra  citati,  e  piti  vicina  alla  posizione  che  inten- 
do sostenere  qui,  è  per  esempio  Marcato  (2001:  47),  quando  partendo  dal- 
l'importante constatazione  deH"eteronomia',  in  senso  tecnico,  del  dialet- 
to rispetto  all'italiano  afferma  che  "potranno  cambiare  così  molte  delle 
forme  linguistiche  tradizionalmente  proprie  del  costume  locale,  ma,  indi- 
pendentemente dalla  consistenza  delle  innovazioni,  finché  si  potrà  pariare 
di  costume  linguistico  condiviso  si  dovrà  parlare  anche  di  dialetto". 

Comunque  sia,  credo  che  le  affermazioni  che  ho  fatto  possano  trovare 
sufficiente  conforto  nei  molti  lavori  di  dettaglio  disponibili  sul  tema  del- 
l'italianizzazione dei  dialetti  (anche  se  mancano  opere  che  trattino  siste- 
maticamente e  in  maniera  globale  la  questione),  che  non  per  nulla  si  in- 
centrano nella  grande  maggioranza  su  fatti  lessicali;  e  cercherò  nel  pre- 
sente contributo  di  sostanziarle  portando  qualche  argomento  in  proposito 
per  quel  che  riguarda  il  dialetto  piemontese  recente  o  'moderno'^.  La  pre- 
sentazione che  faccio  qui  è  peraltro  unicamente  esemplificativa,  e  non 
mira  a  nuli' altro  che  a  dare  un'indicazione  di  linee  di  ricerca  da  approfon- 
dire. Fornirò  fondamentalmente  materiali,  con  qualche  avvio  di  commen- 
to. 


5.  Nella  mia  esemplificazione  seguirò  anzitutto  un'ottica  opposta  a 
quella  che  normalmente  viene  adottata  nel  contesto  di  indagini  di  questo 
genere:  invece  di  prendere  campioni  normali,  per  così  dire,  di  uso  del  dia- 
letto, vale  a  dire  il  dialetto  usato  nei  settori  comuni  e  per  le  sfere  comuni- 
cative non  specialistiche  in  cui  per  certi  gruppi  di  parianti  funziona  tuttora 
da  fondamentale  varietà  pariata  colloquiale  ed  è  pienamente  funzionale,  e 
di  vedere  che  cosa  è  cambiato  rispetto  al  dialetto  d'antan,  mi  baserò  sul 
dialetto  usato  in  contesti  alti  e  tecnici  o  settoriali,  su  sfere  di  argomenti 
per  i  quali  il  dialetto  non  possiede,  o  non  dovrebbe  per  definizione  e  per 
storia  possedere,  nel  suo  patrimonio  lessicale  tradizionale,  le  risorse  ne- 
cessarie, e  cercherò  di  vedere  che  cosa  è  conservato,  del  dialetto.  Si  tratta 
dunque  di  individuare  i  settori  solidi  del  sistema  dialettale  in  campi  di  uti- 
lizzazione in  cui  il  dialetto  giocoforza  è  più  esposto  a  un  influsso  massic- 
cio dell'italiano  e  ci  sarà  una  quantità  sicuramente  alta  di  prestiti  e  neolo- 
gismi a  questo  improntati. 

''  Sul  concetto  di  'dialetto  moderno'  v.  Marcato  (2002:  53-55). 

109 


5.1.  Il  primo  brano  che  proponiamo  riguarda  il  parlare  di  calcio  in  dia- 
letto^ 

(1)  Ti  t  'teqi  par  la  ju'weqtus,  'aijke  se  1-e  'qdaje  mal  I  pa'redsO 
pe'ro  1-8  'pryma  g  kla'sifika,  1  "milarj  se'kugd,  mi  k-i  ter)  par  al 
ty'rig  'qvetje  e:  st-'ani  'qduma  'tuma  r)  'serjs  bi,  la  kurj'tinwa  a 
'perde,  'atjke  se  je:r  al  ty'rir)  al  meri'tava  da'py,  des  'gsuma  q  par 
ad  ri'gur,  'rjsuma  'minim  ug  ri'gore  al  sar)t  par  serjt  l-'ejer)  'dajlu, 
tytj  i  kumerjta'tur,  kwa'siasi  televi'zjug  j-aq  'fajlu  'v0gi  al  re'plej 
syl  ze'ru  a  ze'ru  g  ri'gur  par  al  ty'riq  [...]  'iijter  'milarj yœ  'vysda 
ma  1-ir)..  'parte  ke  a  me:  ri..  Vùjter  1-e  neq  k-ar)  'pjaza  taqt  //b'e 
kom..'kume  igpusta'sjug  d  d3œg,  sikyra'megt  e:  'ayke  se:  s  'sabat 
al  'derbi  1  'milar)  1-e  ner)  k-a  l-'abja  faj  graq  'koze,  'rjsuma  1-a  vir)'- 
silu  yr)  a  'zeru  kurj  al  ^o/  dal  sar'd3Ìnjo  //:,  al  brazi'ljaq,  x)  'pratika 
la  par'tia  j-arj  'fala  /  brazi'ljaq,  al  ri'valdo  1  'sard3Ìnjo,  poe:  1  d3y'- 
gava  1  nos  if)'za:gi,  nas  ita'ljaq,  le.,  pœ  1-a  kag'bjalu  kuq  al  tjev' 
stjegko  [...]  al  ser'tjeqko  //:,  'qsuma  des  'propi  tytJ  ij  ku'jios  neq 
par'ke  mi  1-e  ner)..  sur)  ner)  d'fuz  'jiaqka  dal  'tnilaf)  pe'ro  li:,  'gsu- 
ma  des  'propi  tytJ  ij  ku'jios  ner)  par'ke  mi  1-e  ner)..  suq  ner)  ti'fuz 
'jiagka  dal  'milarj  pe'ro  sikyra'megt  e:  1  'milatj  j-e  na..  q  grup  ad 
d3yga'dur  st-aq,  'qsuma,  o'dio  poe  ma'gari,  pe'ro:,  'qsuma,  j-a: 
di'tjamo  j-e  di  djyga'dur  ke:  'basta  na  djy'gada  o  due  ke  ri'zalv 
la.,  a  s  ri' zolf /a  par'tia  [...] 

"tu  tieni  per  la  Juventus,  anche  se  le  è  andato  male  il  pareggio  però 
è  prima  in  classifica,  il  Milan  secondo,  io  che  tengo  per  il  Torino 
invece  eh,  quest'anno  andiamo  di  nuovo  in  serie  B,  continua  a  per- 
dere, anche  se  ieri  il  Torino  meritava  di  più,  adesso  insomma  un 
paio  di  rigori,  insomma  minimo  un  rigore  al  cento  per  cento  glielo 
avrebbero  dato,  tutti  i  commentatori,  qualsiasi  televisione  l'hanno 
fatto  vedere  il  replay  sullo  zero  a  zero  un  rigore  per  il  Torino  [...] 
Inter-Milan  l'ho  vista  ma  l'In...  a  parte  che  a  me  l'Inter  non  è  che 
mi  piaccia  tanto,  cioè  com..  come  impostazione  di  gioco,  sicura- 
mente eh  anche  se  questo  sabato  il  derby  il  Milan  non  è  che  abbia 
fatto  grandi  cose,  insomma  l'ha  vinto  uno  a  zero  con  il  gol  del  Ser- 
ginho  lì,  il  brasiliano,  in  pradca  la  partita  l'hanno  fatta  i  brasiliani, 
il  Rivaldo  il  Serginho  poi  giocava  il  nostro  Inzaghi,  il  nostro  italia- 
no... poi  l'ha  cambiato  con  il  Shevchenko  [...]  il  Shevchenko  h. 


*  Si  tratta  di  un  parlante  vercellese  sessantenne  che  commenta  una  giornata  del  cam- 
pionato di  calcio  2002-2003  (ringrazio  Stefania  Ferraris  per  avermi  fornito  la  registrazio- 
ne). Trascrizione  in  IPA,  molto  larga  (non  è  per  es.  segnata  la  nasalizzazione  delle  vocali). 
Sono  in  grassetto  i  termini  in  italiano  e  in  corsivo  gli  omofoni  in  italiano  e  dialetto. 

110 


insomma  adesso  proprio  tutti  non  li  conosco  perché  io  non  è.,  non 
sono  tifoso  neanciie  del  Milan  però  lì  insomma  adesso  proprio  tutti 
non  li  conosco  perché  io  non  è...  non  sono  tifoso  neanche  del  Mi- 
lan però  sicuramente  eh  il  Milan  c'è  una.,  un  gruppo  di  giocatori 
quest'anno,  insomma,  oddio  poi  magari,  però,  insomma,  ha,  dicia- 
mo ci  sono  dei  giocatori  che  basta  una  giocata  o  due  che  risolve  la., 
si  risolve  la  partita  [...]" 

La  sfera  semantica  calcistica  non  è  certo  uno  dei  settori  in  cui  dobbia- 
mo aspettarci  che  il  dialetto  possieda  materiali  lessicali  adeguati  (anche 
se  la  chiacchiera  e  discussione  da  bar  sul  calcio  in  dialetto  ha  una  lunga 
tradizione  in  Piemonte).  Che  cosa  troviamo  tuttavia  in  questo  brano? 

I  segmenti  lessicali  commutati  dall'italiano  sono  pochissimi:  un  rigo- 
re, me,  magari,  diciamo,  e  un  come  subito  autocorretto;  vale  a  dire,  tre  in- 
cisi formulistici  (tutti  e  tre  interpretabili  come  aventi  in  fondo  valore  di 
segnali  discorsivi  o  connettivi),  una  forma  flessa  di  pronome  personale  (la 
forma  del  pronome  tonico  di  P  pers.  sing.  è  in  piemontese  sempre  mi,  sia 
nei  casi  retti  che  nei  casi  obliqui)  e  un  termine  tecnico  calcistico  (esclu- 
diamo qui  l'internazionalismo  gol).  Si  noti  però  che  il  prestito  non  adatta- 
to dall'italiano  rigore  coesiste  con  il  prestito  adattato  alla  morfonologia 
dialettale:  troviamo  una  volta  rigore,  appunto,  e  due  volte  rigur^.  Ovvia- 
mente ci  sono  italianismi  'di  necessità'  ('culturali',  secondo  Myers-Scot- 
ton  2002),  ma  di  solito  integrati  nella  veste  morfonologica  dialettale^°: 
kumentatur,  impustasjun  (  'd  gioeg).  Si  noti  anche  qui  che  i  verbi  ku- 
menté^^  e  impusté,  col  valore  concreto  di  "avviare  alla  posta"  esistevano 
già  in  dialetto.  Meno  bene  integrato  è  paregio,  con  il  solo  scempiamento 
della  consonante  doppia  (ma  l'esito  delle  parole  in  -eggio  è  in  piemonte- 
se variabile  e  non  sempre  certo,  anche  se  ci  sarebbe  forse  da  aspettare  una 
finale  in  -u  invece  che  in  -o.  O  addirittura  paregil).  Vi  sono  poi  due  casi 
di  anglismi:  replej  e  derbi.  Tutti  fatti  a  livello  lessicale.  Il  tessuto  morfo- 
sintattico,  in  particolare,  sembra  pressoché  intatto.  Si  nota,  è  vero,  qual- 
che fenomeno  di  variabilità:  per  es.,  per  la  forma  del  part.  pass,  del  verbo 
fé  "fare",  che  compare  nelle  due  varianti /fl//jr<7(+  CI).  Ma  la  grammatica  è 
pienamente  dialettale.  Si  può  altresì  segnalare  l'arcaismo  fonetico  [s]  per 
[tj]  in  l-a  vinsilu  "l'ha  vinto(lo)"  (col  raddoppiamento  del  clitico  in  posi- 
zione pre-  e  postverbale  regolare  in  dialetto  in  questo  contesto). 

^  Del  resto  rigur  esiste(va)  già  in  piemontese,  così  come  rigore  in  italiano,  col  senso 
proprio  di  "rigore,  rigidezza". 

'°  Nel  riportare  singoli  esempi  dialettali  nel  testo  adotto  una  grafia  larga  basata  su 
quella  italiana. 

"  Il  Vocabolario  del  Ponza  (1859)  riporta  anche  coumentatour. 

Ili 


5.2.  Il  secondo  ambito  che  prendiamo  esemplificativamente  in  consi- 
derazione riguarda  lo  scrivere  in  dialetto.  Il  supplemento  settimanale  lo- 
cale del  quotidiano  nazionale  La  Stampa  "Torino  Sette"  contiene  sempre 
un  articolo  in  piemontese,  spesso  costituito  da  una  recensione  di  un  volu- 
me o  da  un  commento  di  avvenimenti  culturali  o  manifestazioni  di  inte- 
resse regionale.  Ecco  un  esempio  di  una  recensione'^: 

(2)  Ij  sacociàbij  dia  Région.  Dedica  al  patrimòni  lenghistic  ël  nià- 
mer  ondes  ëd  Palass  Lascaris.  Ognidun  ant  so  vilagi/  dev  avèj  la 
gelosìa/  de  spieghesse  'nt  so  linguagi.  As  podìa  nen  trovesse  n'a- 
chit  pi  'ndovinà  che  costi  vers  d'Edoardo  Ignazio  Calvo  per  deurbe 
'1  sacociàbil  nìimer  ondes  che  '1  Consej  Régional  a  dedica  a  "Il  pa- 
trimonio linguistico  del  Piemonte".  Trantedoi  pagine,  satìe  e  bin 
samblà,  eh 'a  veulo  marché  l' anteresse  istitussional  che  la  Région  a 
l'ha  per  la  lenga  e  la  coltura  'd  nòsta  tèra.  ''Questo  tascabile  -  a 
scriv  ël  Pressident  del  Consèj  Roberto  Cota  -  intende  evidenziare 
le  caratteristiche  del  nostro  patrimonio  linguistico  e  nel  contempo 
presentare  un  bilancio  delle  varie  attività  che  la  Regione  Piemonte 
mette  in  campo  ogni  anno  per  promuoverne  la  conoscenza".  La 
difèisa  e  la  valorisassion  "dell'originale  patrimonio  linguistico", 
dia  coltura  e  dia  civiltà  locai  a  l'è  un  dij  prinsipi  die  Statut  ëd  la 
Région:  per  deje  sàiva  a  cost  prinsipi  i  Consèj,  cissà  da  le  bon-e 
bataje  'd  tante  associassion  angagià  ant  cost  travaj,  a  l'ha  aprovà 
na  prima  lege  ant  ël  1979,  peui  sostituìa  ant  ël  1990  con  la  Lege  n. 
26,  rangià  e  mijorà  ant  ël  1997  con  la  n.  37  (ant  la  plachëtta  as 
treuva  '1  test  complet  dia  Lege).  Con  cost  ëstrument  ël  travaj  per  le 
lenghe  regionaj  a  l'ha  fosonà  motobin  e  a  l'ha  dàit  d'amson  am- 
portante  [...]. 

"I  tascabili  della  Regione.  Dedicato  al  patrimonio  linguistico  il 
numero  undici  di  Palazzo  Lascaris.  Ciascuno  nel  suo  villaggio/  de- 
ve avere  l'orgoglio/  di  spiegarsi  nel  suo  linguaggio.  Non  si  poteva 
trovare  un  incipit  più  indovinato  di  questi  versi  di  E.I.C.  per  aprire 
il  tascabile  numero  undici  che  il  Consiglio  Regionale  dedica  a  "Il 
patrimonio  linguistico  del  Piemonte".  Trentadue  pagine,  fitte  e  ben 
disposte,  che  vogliono  sottolineare  l'interesse  istituzionale  che  la 
Regione  ha  per  la  lingua  e  la  cultura  della  nostra  terra.  [. . .]  -  scrive 
il  Presidente  del  Consiglio  R.  C.  -  [...].  La  difesa  e  la  valorizzazio- 
ne "dell'originale  patrimonio  linguistico",  della  cultura  e  della  ci- 
viltà locale  è  uno  dei  principi  dello  Statuto  della  Regione:  per  dare 
linfa  a  questo  principio  il  Consiglio,  stimolato  dalle  buone  batta- 


'^  Riporto  dal  supplemento  "Torino  Sette"  de  La  Stampa  (5.10.2001). 
112 


glie  di  tante  associazioni  impegnate  in  questo  lavoro,  ha  approvato 
una  prima  legge  nel  1979,  poi  sostituita  nel  1990  con  la  Legge  n. 
26,  rivista  e  migliorata  nel  1997  con  la  num.  37  (nella  placchetta  si 
trova  il  testo  completo  della  Legge).  Con  questo  strumento  il  lavo- 
ro per  le  lingue  regionali  ha  fruttato  molto  e  ha  dato  messi  impor- 
tanti [...]". 

Siamo  qui  in  presenza  di  un  uso  molto  colto  e  specialistico-letterario 
del  dialetto.  Anche  qua  i  fatti  rilevanti  riguardano  soprattutto  il  lessico. 
Notiamo  anzitutto  sacociàbil  "tascabile",  che  all'inizio  credevo  un  bell'e- 
sempio di  vitalità  dei  moduli  di  formazione  di  parola  autoctoni,  pensan- 
dolo neologismo  coniato  dall'autrice  della  recensione  Albina  Malerba, 
con  materiali  del  tutto  piemontesi:  "tasca"  è  infatti  in  piemontese  sacocia, 
e  la  derivazione  in  -àbil  salta,  come  in  italiano,  la  fase  verbale  (come  non 
esiste  *tascare,  così  non  esiste  *sacociè).  Un  esempio  di  vitalità  cioè  del 
settore  in  cui  i  dialetti  di  fatto  sembrano  strutturalmente  atrofizzati,  quello 
della  creazione  di  parole  nuove  con  materiali  autonomi.  Ma  a  pag.  XIII 
dell'edizione  critica  di  una  commedia  di  Carlo  Casalis,  autore  piemontese 
di  inizio  Ottocento,  Lm  festa  dia  pignata  (Torino,  Centro  Studi  Piemonte- 
si, 1970),  troviamo  la  citazione  di  un  Quaresimal  sacociàbil  an  vers  pie- 
monteis-italian,  con  l'aggiunta  'd  doi poemet  dello  stesso  Carlo  Casalis'^. 
Abbondano  poi  i  termini  molto  colti  e  ricercati:  achit,  satì,  sdiva,  fosonè 
e,  pili  avanti,  sislé  "sigillare".  Si  tratta  di  un  esercizio  di  bello  scrivere  in 
quello  che  i  piemontesisti  chiamano  'piemontese  illustre',  di  patina  otto- 
centesca. La  morfosintassi  appare  del  tutto  conservata,  tranne  (nella  parte 
di  testo  sopra  non  riportata)  la  cancellazione,  del  resto  marginale,  di  un 
complementatore  nella  frase  dipendente  coma  a  scriv  ël  professor  Casca, 
dove  il  piemontese  vorrebbe  piuttosto  coma  ca,  con  la  posizione  Comp 
doppiamente  riempita. 

5.3.  Dati  interessanti  per  la  nostra  prospettiva  vengono  da  un'analisi 
della  presenza  del  dialetto  in  Internet.  Dai  numerosi  materiali  dei  molti  si- 
ti dialettali  italiani'"*  esistenti  in  rete  studiati  da  Patrucco  (2001,  v.  anche 
2002),  traggo  qui  anzitutto  una  scelta  di  termini  attinenti  al  lessico  del- 
l'informatica e  di  internet  (più  latamente,  della  Computer  mediated  com- 


'^  Pubblicato  ad  Alessandria,  Stamperia  Rossi,  1805.  Ringrazio  molto  Davide  Ricca 
per  avermi  segnalato  il  reperto. 

"*  Patrucco  (2001)  ne  censiva  198,  di  cui  51  interattivi.  Nel  2004  è  stato  creato  il  sito 
<www.dialettando.com>  il  cui  forum  ospita  anche  interventi  in  dialetto  (frequenti  in  una 
visita  del  sito  fatta  nell'agosto  2004,  più  rari  nel  febbraio  2005). 

113 


munication)  e  al  linguaggio  della  globalizzazione,  vale  a  dire  di  settori 
terminologici  del  tutto  estranei  al  dialetto  tradizionale'^: 

(3)  -"sito":  lomb.  sit,  sid,  siti,  sìtt,  siit;  gen.  scitu,  scito,  saio;  piem. 
sit,  sic.  situ\ 

-"rete":  lomb.  rét,  red,  reet;  boi.  reid;  gen.  rœ,  rè;  piem.  rèj,  rèj 
web; 

-''link''':  lomb.  collegament;  gen.  connescioin,  ghidun  "bandiera, 
gagliardetto,  segnale",  link;  boi.  ligâm;  piem.  colegament;  ven.  li- 
ganbi; 

-"messaggio":  lomb.  messagg/messacc/mesacc,  gen.  messaggiu, 
piem.  messagi; 

-"cliccare":  lomb.  schiscia  "premi";  gen.  picchè  "battere";  piem. 
sgnaché  "schiacciare"; 

-"interattivo":  lomb.  interativ,  piem.  interativ; 
-''home  page  ^:  lomb.  Cà,  piem.  Pagina  'd  Cà,  ven.  kaxa; 
-lomb.:  ciciàra  per  chat,  màchin  de  cerca  "motore  di  ricerca",  el  li- 
ber di  quej  ch'hinn  vegnuu  per  guestbook,  inlinia  per  on  line;  im- 
migrazion,  inquinament,  sundacc,  informatiga; 
-piem.:  telematich,  telefonin,  globalisassion,  mondialisassion,  plu- 
ralism,  cooptassion,  concretisassion,  immigrassion,  utilisassion, 
pessimism,  intrateniment,  dissolviment,  infraross;  dësvlupèldë- 
slupèlësvilupèlsvilupé  "sviluppare"  (in  quattro  varianti); 
-gen.:  urdenatuì  per  computer,  gruppu  de  discûsciun  per  newsgroup, 
fedealiximo  "federalismo",  globalizzassion,  globalizzaçion,  anti- 
globalizzassion,  sottadesviluppœ  "sottosviluppate",  bullettin  de  ag- 
giumamentu. 

Fra  le  varie  osservazioni  che  si  potrebbero  fare,  ci  limiteremo  in  que- 
sta sede  a  rilevare  il  grado  di  autonomia  manifestato  dai  materiali  dei  siti 
dialettali,  che  in  più  di  un  caso  non  si  limitano  ad  adottare  pedissequa- 
mente un  prestito  dall'italiano  morfonologicamente  integrato  (com'è  pe- 
raltro nei  casi  di  sundacc,  messagg,  interativ,  pluralism,  dissolviment,  in- 
fraross, fedealiximo,  bullettin  de  aggiurnamentu,  ecc.),  ma  impiegano  il 
termine  dialettale  corrispondente  (red,  reid,  rèj  per  "rete";  cà,  pagina  'd 
cà  per  "home  page";  colegament  "link",  ecc.),  e  presentano  anche  calchi 
o  parziali  innovazioni  semantiche  con  materiali  indigeni  laddove  l'italia- 
no dipende  pedissequamente  dall'inglese:  si  vedano  per  es.  i  casi  di  chat, 
per  cui  in  lombardo  (sito  comasco)  troviamo  ciciàra  "chiacchiera"  (fra 


'^  Riporto  esempi  principalmente  dai  dialetti  gallo-italici,  con  qualche  escursione  nel 
veneziano,  mantenendo  la  grafia  dei  siti  originali. 

114 


l'altro  non  attestato  in  questa  forma  nei  vocabolari  dialettali;  Cherubini 
per  il  milanese  ha  ciàccera);  di  link,  per  cui  in  genovese  abbiamo,  assie- 
me ad  altri  termini,  anche  il  preziosismo  ghidun  "(letteralm.)  gagliardetto, 
bandiera,  segnale"  (un  preziosismo  ligure  sarà  anche  urdenatuì  "compu- 
ter", come  in  francese),  e  in  veneto  liganbi;  della  perifrasi  el  liber  di  quej 
eh  'hinn  vegnuu.  Significativo  è  il  caso  di  "cliccare",  per  cui  troviamo  tre 
bei  calchi  semantici  con  diversi  verbi  dialettali  appropriati:  schiscia,  im- 
perat.  da  schiscia  "premere",  in  lombardo;  picchè  "battere,  picchiare",  in 
genovese;  sgnaché  "schiacciare"  in  piemontese. 

Sarà  anche  interessante,  in  proposito,  dare  un'occhiata  al  materiale 
dialettale  prodotto  dai  'navigatori'  partecipanti  in  siti  di  discussione,  new- 
sgroups, guestbooks.  Sempre  dai  dati  di  Patrucco  (2001),  e  riassumendo 
molto,  risulta  il  quadro  generale  seguente.  Per  lombardo,  ligure  e  piemon- 
tese (se  vogliamo,  per  milanese,  genovese  e  torinese;  ma  sono  presenti 
anche  varietà  provinciali  e  locali  diverse'^)  le  strutture  morfosintattiche  di 
base  appaiono  sostanzialmente  ben  conservate,  anche  se  si  manifesta  un 
alto  tasso  di  variabilità,  con  la  coesistenza  di  diverse  forme  e  strutture  per 
la  realizzazione  della  stessa  unità  del  sistema.  E  tale  variabilità  non  sem- 
pre appare  dovuta  al  fatto  che  inevitabilmente  "la  morfologia  della  lingua 
nazionale  'fa  capolino'  tra  le  regole  di  quella  dialettale"  (Patrucco  2001: 
148).  Scegliendo  alcuni  casi  critici  (ma  cfr.  il  contributo  di  D.  Ricca  in 
questo  volume),  quali  la  forma  e  la  collocazione  della  negazione,  la  for- 
mazione del  plurale  nei  nominali,  le  forme  degli  articoli  e  delle  preposi- 
zioni articolate,  i  pronomi  clitici  soggetto,  la  coniugazione  verbale,  tro- 
viamo per  es.  accanto  alle  forme  che  ci  si  aspetterebbe  in  base  alla  gram- 
matica del  dialetto  occorrenze  come  quelle  che  esemplifichiamo  cursoria- 
mente  di  seguito. 

Lombardo/milanese.  Legiar  "leggere"  (invece  di  légg),  saress  "sarei" 
(invece  di  sariss);  non  so  mia  tant  bon  "non  sono  tanto  capace"  (invece  di 
so  mia  tant  bon:  struttura  della  negazione,  quindi,  che  somma  le  due 
strutture  dialettale,  con  mia  postverbale,  e  italiana,  con  non  preverbale;  si 
noti  che  in  dialetto  esiste  invero  una  particella  negativa  anteponibile  al 
verbo,  che  è  pero  no);  leench  "lingue"  (invece  di  lengu:  la  regola  di  for- 
mazione del  plurale  qui  applicata  è  quella  dei  sostantivi  femminili  in  -eh 
o  -ca),  tutt  "tutti"  (invece  di  tucc),  ann  "anni"  (invece  di  agn),  programm 


'^  Tralasciamo  del  tutto  qui  il  problema  dell'identificazione  della  varietà  e  del  rappor- 
to fra  dialetto  urbano  della  metropoli  o  del  capoluogo,  koinài  regionali,  dialetti  provincia- 


115 


"programmi"  invece  dell'invariabile  programma),  notizi  "notizie"  (invece 
di  notiz)\  in  la  "nella"  (invece  di  in  delà). 

Ligure/genovese.  Creddu  "credo"  (invece  di  creo),  saveivo  "sapevo" 
(invece  di  saveivo),  faieva  "farei"  (invece  di  faieiva);  a  art.  det.  femm. 
sing.  (invece  di  e);  e  ancori  non  sei  "se  ancora  non  sai"  (con  la  forma  ita- 
liana della  particella  negativa). 

Piemontese.  Scriver  inf.  (invece  di  scrive),  tse  "(tu)  sei"  (invece  di  't 
ses),fasuma  "facciamo"  (invece  ài  fonia),  l'ha  deciss  "ha  deciso"  (invece 
di  l'ha  decida);  ai piemunteis  "i  piemontesi"  (invece  di  ipiemunteis). 

Da  questa  spigolatura  molto  parziale,  appare  che  il  settore  della 
morfologia  con  la  maggior  presenza  di  varianti  e  di  fenomeni  dovuti  al- 
l'influenza dell'italiano  è  la  coniugazione  verbale.  Ma  accanto  alle  forme 
non  corrispondenti  alla  tradizionale  grammatica  dialettale  che  abbiamo 
sopra  esemplificato,  e  per  ciascun  fenomeno,  sono  presenti  numerose  for- 
me del  tutto  'regolari',  che  costituiscono  la  maggioranza  delle  occorren- 
ze. Nel  complesso,  quindi,  presso  i  frequentatori  di  pagine  web  interattive 
che  impiegano  il  dialetto,  e  almeno  per  la  situazione  gallo-italica,  la 
morfosintassi  dialettale  risulta  piuttosto  resistente,  con  alcuni  tratti  o  re- 
gole particolarmente  forti,  quali  per  esempio  la  struttura  della  negazione  e 
l'utilizzazione  dei  clitici  soggetto,  e  in  genere  il  comportamento  dei  cliti- 
ci. 

Sarà  anche  di  qualche  utilità  vedere  come  si  presentano  messaggi  in 
dialetto  nelle  interazioni  in  rete.  Riporto  sotto  (sempre  da  Patrucco  2001) 
tre  testi  esemplificativi  di  interventi  in  forum  e  newsgroup,  in  piemontese 
(4a),  lombardo  (4b)  e  ligure  (4c): 

(4)  (a)  :-))  A'm  ven  da  ride...  Mi  ca  sun  meza  piemunteisa  e  meza 
ruma  a  sun  si  ca  scriva  an  piemunteis!  Robe  di  mat!!  A'm  sentu  ri- 
dicala a  vote...:-))  Certo  cha  l'è  an  po'  dificile  capì  qaeca  ta  scrive 
perché  al  notr  dialet  a  l'è  pitost  diferent...  Ti  t'se  dal  Manfrà  mi 
dal  Canaveis. . .  :-))  Arvetze!  ! 

(b)  Ciao  Alberto  e  benvegnau,  el  tò  messagg  l'è  pien  de  notizi  inté- 
ressant e  util.  Mi  gh'ho  nò  la  toa  età,  ma  el  Richi  (l'alter  modera- 
dor  de  la  conf)  l'è  pa  o  men  tò  coetani.  Bòna  ciciarada. 

(e)  Cài  tutti,  pe  quelli  che  gh'han  coae  de  veddime  (e  de  veddise), 
mi  stasela,  se  o  tempo  o  saia  clemente,  me  attrovio  sotta  a-o  palco 
di  "Buio  pesto".  Me  raccomando,  çercaeme  viàtri  perché  mi  no  so 
che  facciaci! 

In  (4a)  è  identificabile  un  brano  scritto  in  un  miscuglio  di  varietà  rusti- 
che del  piemontese,  con  presenza  di  forme  ibride  presumibilmente  non 


116 


esistenti  in  nessuna  varietà  {ride  "ridere",  dificile,  notr  "nostro"  -  se  non 
è  errore  di  battitura) ^^;  (4b)  è  scritto  in  un  lombardo  a  volte  un  po'  impro- 
babile, ottenuto  mediante  la  cancellazione  delle  vocali  finali  diverse  da  -a 
(messagg,  pien,  intéressant,  util,  men,  ecc.);  (4c)  è  invece  in  un  buon  ge- 
novese con  qualche  inserzione  di  italianismi. 

Un  discorso  apposito  meriterebbe  l'utilizzazione  del  dialetto  nella 
pubblicità,  diventata  significativa  negli  anni  '90:  Bodini  (2000)  documen- 
ta 203  testi  pubblicitari  con  elementi  di  dialetto  o  italiano  regionale  molto 
marcato  nell'ultimo  decennio  del  secolo  contro  133  nel  complesso  dei 
quattro  decenni  precedenti,  dalla  nascita  della  televisione  al  1990'^.  Qui, 
solo  un  rapido  cenno  esemplificativo  della  qualità  del  dialetto  pubblicita- 
rio. In  (5)  riporto  testi  pubblicitari  del  CONAD  apparsi  negli  ultimi  anni 
su  periodici  nazionali  (L'Espresso  e  Panorama),  con  (a)  un  toscano  appe- 
santito da  evidenti  fenomeni  di  esagerazione  caricaturale  e  ipercorretti- 
smo  (la  gorgia  sovraestesa  a  un  contesto  che  non  le  compete,  in  con  hode- 
ste;  e  sovraestensione  per  il  rafforzamento  consonantico  o  raddoppiamen- 
to fonosintattico,  in  olive  ss 'ha  e  in  un  olio  cchè;  e  anche  de  i  mmondo  è 
un  fiorentino  un  po'  improbabile),  (b)  un  napoletano  con  qualche  proble- 
ma di  grafia,  (e)  un  bolognese  lievissimamente  zoppicante  [proprie). 

(5)  (a)  Con  hodeste  olive  ss'ha  ddaffare  un  olio  cchè  Ila  fine  de  i  mmondo. 
(b)  Io  m' aggio  accisa  è  fatica,  mò  arrecriateve  vuie! 
(e)  E  bab  de  mi  bab  al  faseva  e  proprie  acsè. 


5.4.  Che  cosa  dire,  riguardo  alla  qualità  del  dialetto  praticato  in  questi 
ambiti  in  parte  nuovi  e  alla  questione  dell'italianizzazione?  Si  potrebbero 
proporre,  allo  stato  attuale  delle  ricerche,  alcune  conclusioni  provvisorie 
in  forma  apodittica.  La  vistosità  dell'italianizzazione  dipende  totalmente 
dalle  sfere  semantiche  in  gioco  (che  attivano  un  certo  lessico).  Sono  quin- 
di numerosissimi  i  'prestiti  di  necessità';  ma  non  potrebbe  essere  altri- 


'^  Si  noti  qui  anche  l'autocompiacimento  un  po'  stupito  di  scrivere  in  piemontese.  Il 
problema  della  grafia,  nel  dialetto  nel  web  interattivo,  presenta  per  lo  scrivente  una  dupli- 
ce sfida:  da  un  lato  la  difficoltà  oggettiva  di  scrivere  una  varietà  di  lingua  essenzialmente 
parlata,  e  di  come  scriverla,  secondo  quale  norma  (orto)grafica;  e  dall'altro  l'effetto  un 
po'  straniante  dell'avere  una  produzione  scritta  in  dialetto.  Concomitantemente,  va  sotto- 
lineata la  consapevolezza  di  una  forte  componente  ludica  nell'impiego  del  dialetto,  che 
"fa  ridere". 

'*  V.  anche  Nesi  (2001),  Benucci  (2003),  Francesconi  (2002).  Il  dialetto  fa  capolino 
anche  negli  spot  televisivi  della  Svizzera  Italiana:  v.  Pandolfi  (2005). 

117 


menti,  se  il  dialetto  viene  usato  in  più  campi.  I  tratti  basilari  e  'forti'  della 
morfosintassi  sono  sostanzialmente  mantenuti  e  appaiono  solidi. 

Un  problema  da  esaminare  e  discutere  ulteriormente,  anche  in  chiave 
di  linguistica  del  contatto,  è  quello  del  rapporto  e  della  distinzione  fra  in- 
novazioni e  instabilità  inteme  al  sistema  dialettale  e  influssi  dell'italiano: 
il  tradizionale  problema  del  distinguere  (v.  su  un  aspetto  specifico  per  es. 
Thomason  2000)  nelle  dinamiche  di  mutamento  ciò  che  è  dovuto  alla  de- 
riva intema  e  ciò  che  è  dovuto  al  contatto  linguistico  diventa  particolar- 
mente pregnante  nella  situazione  italiana,  di  contatto  intimo  e  intenso  per 
vari  secoli  tra  lingua  e  dialetto.  Direi  comunque  che  nel  complesso  le  ri- 
cerche sinora  condotte  sul  tema  (da  Parry  1990  sul  piemontese  con  vena- 
ture liguri  di  Cairo  Montenotte  alla  recentissima  monografia  di  Miglietta 
2003  sul  salentino  e  altre  parlate  meridionali,  meritoriamente  incentrata 
su  fatti  morfosintattici)  mostrano  in  primo  luogo  e  in  generale,  come  ri- 
sultato dell'influenza  dell'italiano  sul  dialetto,  un  grande  incremento  della 
variabilità,  principalmente  attraverso  un  macroscopico  approfondirsi  delle 
differenze  generazionali  (fra  il  dialetto  parlato  dagli  anziani  e  quello  par- 
lato dai  piti  giovani  -  differenze  che  invece  non  si  vedono,  non  hanno 
corrispondenza  nella  lingua  standard:  in  italiano  i  giovani  non  usano,  per 
dire,  costmtti  di  realizzazione  infinitiva  di  completive  o  forme  del  partici- 
pio passato  diverse  da  quelle  degli  anziani...);  ma  non  un  deciso  trasfor- 
marsi integrale  del  dialetto  in  un'altra  lingua,  attraverso  modifiche  decisi- 
ve delle  sue  stmtture  morfosintattiche  portanti. 

6.  Nel  titolo  di  questo  intervento  si  parla  di  'risorgenze' '^  dialettali:  si- 
nora nel  panorama  che  ho  cercato  di  tracciare  di  risorgenze,  riemergenze, 
vere  rinascite  non  se  ne  sono  in  effetti  viste.  Però  ce  ne  sono.  Bisogna  an- 
darle a  cercare.  Esempi  di  emergenza  del  dialetto  in  ambiti  dove  non  ce  lo 
aspetteremmo  li  troviamo  nei  giovani  che  chattano  (v.  ora  Grimaldi 
2004),  intervengono  in  forum  e  newsgroups,  si  mandano  mail  e  sms  (v. 
Ursini  2003);  dove  cioè  vent' anni  fa  sarebbe  risultato  molto  difficile  tro- 

'^  Mi  è  venuto  spontaneo  coniare  questo  neologismo  (il  termine  non  è  attestato  nei  di- 
zionari di  consultazione),  con  ovvia  metaforizzazione  dal  fenomeno  geologico  delle  risor- 
give, per  esprimere  il  fatto  che  spesso  il  dialetto,  almeno  nella  situazione  nordoccidentale 
che  mi  è  familiare,  appare  in  gran  parte  sepolto  dagli  strati  dell'italiano  e  dei  vari  linguag- 
gi della  globalizzazione,  ma  qua  e  là  ricompare,  fa  capolino  magari  là  dove  meno  te  l'a- 
spetti, a  mo'  di  risorgiva  che  sbuca  da  una  falda  freatica  sottostante.  Ho  trovato  con  gran 
piacere  la  stessa  immagine  in  Grimaldi  (2004:  133-134):  "i  dialetti  [...]  come  un  fenome- 
no carsico,  sono  riemersi  là  dove  non  ce  li  aspettavamo". 

118 


vaili,  vuoi  per  impossibilità  oggettiva  dello  strumento  e  del  dominio  (tutta 
la  comunicazione  mediata  dal  computer)  vuoi  per  implausibilità  sociolin- 
guistica  (la  pubblicità).  Ma  ce  ne  sono  anche  altre,  di  riemergenze  dialet- 
tali in  parte  impreviste-":  polle  di  risorgive,  isolate  e  marginali  sì  ma  indi- 
cative nel  quadro  globale  che  si  delinea,  nei  fumetti-',  nell'enigmistica--, 
nei  nomi  e  insegne  di  locali,  negozi,  bar  e  ristoranti  (cfr.  Berruto  2002: 
36-37,  Telmon  2002-^);  e  grosse  risorgive  nelle  radio  e  televisioni  locali 
(Badini  1999,  Coveri-Picillo  1997),  nelle  canzoni  di  molti  gruppi  anche 
di  nome  (99  Posse,  Alma  Megretta,  Mau  Mau,  Modena  City  Ramblers; 
Coveri  2004-^),  eccetera.  Nel  complesso,  si  delinea  quindi  una  serie  di 
fatti  che  portano  a  concludere  come  la  collocazione  del  dialetto  nel  reper- 
torio della  comunità  parlante  sia  significativamente  mutata  rispetto  a  una 
ventina  d'anni  or  sono. 

A  questo  punto  del  nostro  discorso,  e  riservando  ad  altra  sede  un  ap- 
profondimento delle  presenze  dialettali  nei  diversi  ambiti  al  di  là  della 
semplice  degustazione  che  se  ne  può  proporre  qui,  occorre  cercare  di  trar- 
re qualche  conclusione,  sia  pur  provvisoria,  di  fronte  al  panorama  genera- 
le piuttosto  mosso  che  ho  cercato  di  schizzare.  Il  dialetto  è  ancora  vitale  e 
vigoroso,  o  addirittura  in  lieve  ripresa,  o  il  processo  di  regressione  conti- 
nua? Che  significa  che  diminuiscano  i  parlanti  dialetto  ma  aumentino  gli 
ambiti  e  i  campi  in  cui  il  dialetto  emerge  nell'uso-^?  Per  aiutare  a  dare 


'"  A  cui  in  parte  ho  già  accennato  in  Berruto  (2002). 

^'  Come  gioco  molto  intellettualizzato.  In  Paperinik  e  il  recupero  forzato,  "Topolino" 
n.  2476,  2003,  troviamo  per  esempio  la  sequenza:  Paperinik:  "Presa!  Addio!".  Amelia: 
"Non  andrai  lontano!".  Amelia:  "Ausa  'namu  raja!".  (Un  muro  si  alza  improvvisamente 
davanti  all'auto  di  Paperinik).  Paperinik:  "Gasp!  Questa  è  sicuramente  opera  di  Amelia!" 
[piem.:  awsa  'na  milraja!  "alza  un  muro!"]. 

^-  E.  Miola  mi  segnala  per  es.  rebus  con  la  chiave  in  italiano  e  la  soluzione  in  genove- 
se: testi  D;  E  faina  =  testi  de  faina  ("teglie  di  farinata");  o  con  entrambe  in  genovese:  A^ 
asce;  aze  NA  =  nasce  a  Zena  ("nasce  a  Genova". 

^^  Che  nota  che  le  numerose  presenze  dialettali  nell'ononomastica  della  ristorazione 
"tendono  a  specializzarsi  in  un  uso  tendenzialmente  (o  esclusivamente)  nomenclatorio",  e 
costituirebbero  quindi  la  documentazione  dello  "sfruttamento  dell'effetto  del  regresso" 
delle  parlate  locali  (Telmon  2002:  350). 

^"^  L'uso  di  un  napoletano  con  forti  tratti  di  italianizzazione  specie  nel  lessico  ma  di  ti- 
po 'quotidiano'  e  con  piena  funzionalità  comunicativa  oltreché  espressiva  è  mostrato  da 
Di  Benedetto  (1999)  in  Alma  Megretta,  99  Posse  e  altri  gruppi  campani. 

25  Si  noti  qui  l'importanza  del  fatto  che  la  presenza  del  dialetto  in  Internet  e  nella  co- 
municazione mediata  dal  computer  implica  una  motivazione  effettiva  e  notevole  negli 
scriventi  e  utenti,  tale  da  superare  per  necessità  del  mezzo  la  barriera  della  scrittura  e  dei 
problemi  di  resa  grafica. 

119 


una  prima  risposta  a  questioni  del  genere,  ho  provato  a  schizzare  lo  sche- 
ma della  tab.  7,  col  quale  intenderei  cogliere  molto  riassuntivamente  il 
valore  del  dialetto  nei  domini  e  negli  ambiti  in  cui  esso  oggi  si  trova  ad 
essere  almeno  in  parte  utilizzato. 

tabella  7 

Valori  degli  usi  del  dialetto 


valore  effettivo 
(lingua  d'uso) 

valore  espres- 
sivo /  ludico 

valore  simbo- 
lico /  ideologico 

valore  'museogra- 
fico'  /  folkloristico 

Ambiti  d'uso 

conversazione 

quotidiana 

+ 

(+) 

radio  e  televisioni 
locali 

+ 

+ 

+ 

9 

presso  i  giovani 

7 

+ 

- 

- 

internet 

7 

7 

-1- 

-1- 

comunicazione  me- 
diata dal  computer 

+ 

7 

stampa 

7 

- 

-1- 

7 

pubblicità 

- 

- 

+ 

- 

canzoni 

7 

+ 

-1- 

- 

fumetti 

- 

+ 

7 

- 

nomi  di  locali  e  negozi 

- 

- 

+ 

7 

Indico  provvisoriamente  quattro  categorie  di  valori  principali  da  attri- 
buire all'impiego  del  dialetto,  che  vanno  dal  valore  comunicativo  effetti- 
vo come  lingua  d'uso  funzionale  dell'impiego  quotidiano  al  valore  di  ri- 
sorsa espressiva  con  funzione  principalmente  ludica  e  di  vivacizzazione 
(per  così  dire)  dell'interazione  al  valore  di  rappresentazione  e  sottolinea- 
tura simbolica  e  ideologica  di  mondi  di  riferimento  e  di  valori  sociocultu- 
rali al  valore  di  mera  raccolta  di  materiali  e  tradizioni  con  intenti  folklori- 
stici  e  museografici. 

E'  evidente  che  procedendo  da  sinistra  a  destra  la  vitalità  effettiva  del 
dialetto  diminuisce  fino  ad  annullarsi:  un  dialetto  ancora  presente  come 
lingua  d'uso  della  comunicazione  quotidiana  è  membro  a  pieno  titolo  del 
repertorio  linguistico,  un  dialetto  ridotto  a  richiamo  folkloristico  locale  o 
ad  antologia  di  materiali  in  un  sito  web  non  lo  è  piiì,  e  un  dialetto  ridotto 
a  fonte  di  reperti  da  conservare  come  memoria  di  una  cultura  passata  è 
defunto  (in  un  certo  senso  la  'museizzazione'  certifica  l'estinzione).  Ho 
quindi  assegnato  un  valore  per  ciascuna  categoria,  mediante  -t-  e  -,  in  una 
scelta  di  dieci  ambiti  o  campi  di  presenza  attuale  del  dialetto.  Senza  poter 
commentare  più  da  vicino  le  valutazioni  che  propongo,  che  non  sono  nul- 
la più  che  provvisorie,  vorrei  osservare  comunque  che  compare  in  più  ca- 
si come  assai  rilevante  il  valore  che  ho  chiamato  simbolico/ideologico  del 

120 


dialetto,  che  si  trova  ad  essere  impiegato  non  in  quanto  costituisca  una 
varietà  di  lingua  referenzialmente  e  pragmatic amente  adeguata  a  bisogni 
comunicativi,  quanto  come  veicolo  di  evocazione  e  attivazione  di  mondi 
di  riferimento  e  valori  particolari,  diversi  da  quelli  associati  (o  che  si  vor- 
rebbero associare)  all'italiano  (a  volte,  certamente,  anche  in  chiave  no- 
stalgico-rivendicativa). 

7.  Dalla  carrellata  compiuta  sono  emersi  argomenti  sufficienti  per  so- 
stenere alcune  conclusioni.  Mentre  da  un  lato,  dal  punto  di  vista  demogra- 
fico, sembra  procedere  sia  pure  a  ritmo  molto  rallentato  la  tendenza  dei 
decènni  precedenti,  in  quanto  non  vi  è  traccia  statistica  di  un  incremento 
effettivo  dell'uso  del  dialetto  e  nulla  consente  di  parlare  propriamente  di 
una  ripresa  della  dialettofonia,  anche  se  vi  sono  sintomi  di  una  diminuzio- 
ne o  addirittura  cessazione  del  decremento,  dal  punto  di  vista  funzionale  e 
dei  domini  d'uso  è  cambiata  decisamente,  rispetto  a  venti/trenta  anni  or 
sono,  la  collocazione  del  dialetto  nel  repertorio.  Il  dialetto  oggi  non  risul- 
ta più  o  non  è  più  vissuto  come  codice  tipico  dei  ceti  bassi,  simbolo  di 
ignoranza  e  di  esclusione  dal  mondo  moderno,  legato  allo  svantaggio  so- 
ciale e  culturale,  portatore  di  connotazioni  socioculturalmente  negative, 
ma  si  configura  come  una  tastiera  di  arricchimento  espressivo,  accanto  al- 
l'italiano, per  tutti  i  parlanti  bilingui.  Non  è  più  stigmatizzato  socialmente 
come  varietà  unicamente  bassa,  nella  consapevolezza  e  nelle  rappresenta- 
zioni della  comunità  parlante:  sapere  un  dialetto  è  un  valore  positivo,  una 
possibilità  in  più  nel  repertorio  comunicativo  individuale,  da  sfruttare  per 
i  suoi  valori  particolari,  quando  sia  il  caso. 

Il  dialetto  non  è  più  vivo  e  vitale,  quindi,  come  varietà  linguistica  che 
copra  un  segmento  veramente  funzionale,  per  così  dire  necessario  nell'u- 
tilità quotidiana,  per  chi  lo  paria,  e  che  risponda  a  (quasi)  tutte  le  esigenze 
linguistiche  di  una  microcomunità;  ma  sembra  vivo  e  vegeto  (a  volte  sia 
pure  sotto  forma  di  frammento)  come  sistema  potenziale  aggiuntivo,  a  di- 
sposizione del  pariante,  atto  ad  entrare  in  azione  in  settori  particolari  e  a 
svolgere  funzioni  simboliche  e/o  pragmaticamente  marcate;  quasi  come 
una  sorta  di  codice  linguistico  di  nicchia.  Molto  giustamente  quindi,  cre- 
do, Grimaldi  (2004)  esaminando  la  presenza  di  dialetti  meridionali  nelle 
chat-lines  osserva  che  "stiamo  [...]  assistendo  ad  una  riconversione  d'u- 
so" dei  dialetti;  e  conclude  opportunamente  che  questa  nuova  allocazione 
di  domini  del  dialetto  e  ricollocazione  nel  repertorio  mostra  che  da  "un 
contesto  di  povertà  sociolinguistica  se  n'è  sviluppato  uno  che  palesa  una 
ricchezza  sociolinguistica,  aggiungendo  risorse  espressive  alla  conversa- 
zione" (Grimaldi  2004:  123  e  133;  corsivo  dell'originale). 

121 


Le  valutazioni  formulate  da  Grimaldi  con  argomenti  qualitativi  circa 
l'uso  di  dialetti  meridionali  in  nuovi  ambiti  coincidono  significativamente 
con  quelle  a  cui  è  giunto  un  recente  rilevamento  in  termini  quantitativi 
(Zenaro  2004)  della  situazione  sociolinguistica  di  Rivoli,  città  di  circa 
50.000  abitanti  15  km  a  ovest  di  Torino:  dalle  reazioni  dei  parlanti  al  que- 
stionario utilizzato  si  ricava  che  "l'uso  del  dialetto  non  è  incompatibile 
con  un  alto  livello  di  istruzione;  l'acquisizione  di  strumenti  culturali  su- 
periori permette  un  uso  piti  consapevole  delle  varietà  disponibili  nel  re- 
pertorio del  parlante,  le  cui  scelte  sono  'liberate'  dal  tradizionale  pregiu- 
dizio che  associa  il  dialetto  all'ignoranza  di  chi  lo  parla";  inoltre,  nei  giu- 
dizi dei  parlanti  risulta  molto  significativamente  che  "se  il  dialetto  è  una 
varietà  compresa  in  un  repertorio  variegato  all'interno  del  quale  il  parlan- 
te può  scegliere,  è  indice  di  ricchezza  culturale.  Se  invece  il  dialetto  è  la 
varietà  che  il  parlante  padroneggia  con  maggiore  sicurezza  1...],  allora  di- 
venta indice  di  ignoranza  ed  è  di  conseguenza  stigmatizzato"  (Zenaro 
2004,  52)-^^.  La  posizione  del  dialetto  nel  repertorio,  e  il  rapporto  fra  le 
varietà  di  lingua  nel  repertorio,  sono  dunque  il  fattore  cruciale  per  com- 
prendere lo  stato  delle  cose. 

Unita  a  una  buona  resistenza  strutturale  del  sistema  dialettale,  la  ricol- 
locazione del  dialetto  nel  repertorio  e  la  sua  rivalutazione  negli  atteggia- 
menti e  nelle  rappresentazioni  dei  parlanti  inducono,  almeno  per  quanto 
riguarda  la  specola  allobroga,  a  ritenere  che  -  anche  in  considerazione 
della  novità  introdotta  negli  usi  linguistici  dalla  comunicazione  mediata 
dal  computer  -  ci  stiamo  muovendo  grosso  modo  nell'ambito  del  primo 
degli  scenari  che  ipotizzavo  una  dozzina  di  anni  fa:  quello  in  cui  si  aveva 
"un  tendenziale  mantenimento  della  situazione  attuale,  che  [...]  vede  la 
coesistenza  di  italiano  e  dialetto  con  un  rilevante  spazio  di  sovrapposizio- 
ne nella  conversazione  quotidiana"  (Berruto  1994:  28-29).  Scenario  che, 
sia  detto  a  mio  scorno,  allora  ritenevo  il  meno  probabile. . . 

Certo,  rimane  l'incognita  di  che  cosa  succederà  quando  verranno  me- 
no le  ultime  generazioni  di  dialettofoni  fluenti  e  di  parlanti  che  ancora 
utilizzano  il  dialetto  in  maniera  significativa  e  per  una  gamma  ampia  di 
funzioni  (diciamo,  grosso  modo  e  per  essere  ottimisti,  gli  attuali  quaran- 
tenni), che  sono  gli  esponenti  dell'ultima  fase  di  trasmissione  diagenera- 
zionale  del  dialetto.  Le  speculazioni  sulla  sorte  dei  dialetti  vengono  natu- 
ralmente a  fondersi  qui  con  la  problematica  della  decadenza  e  morte  delle 


^^  Zenaro  (2004)  utilizza  proficuamente,  per  giungere  a  queste  conclusioni,  lo  stru- 
mento metodologico  di  un  'tasso  di  piemontesità  linguistica'  modellato  sul  'regolo  dialet- 
tometrico'  di  Lo  Piparo  (1990). 


122 


lingue.  Quanto  è  da  considerare,  in  effetti,  ancora  'vivo'  un  sistema  lin- 
guistico che  ha  solo  parlanti  semiattivi  {semispeakers)!  Si  aprono  qui 
questioni  a  cui  la  ricerca  sul  language  decay  e  language  death  non  ha  da- 
to sinora  risposte  definitive  (v.  Dressler  2003).  Mi  limito  a  segnalare  sem- 
pre su  questa  linea,  in  conclusione,  un  problema  interessante  anche  dal 
punto  di  vista  teorico  sollevato  dai  nostri  risultati.  La  decadenza  delle  lin- 
gue di  solito  è  un  fenomeno  lineare,  che  procede  e  si  attua  lungo  una  sola 
direzione,  una  linea  unica  di  progressiva  e  concomitante  (a)  perdita  di 
parlanti  nativi,  (b)  perdita  di  funzioni  svolte,  (e)  perdita  di  domini  di  im- 
piego, e  (d)  perdita  di  ricchezza  e  produttività  strutturale.  Nel  caso  dei 
dialetti  italiani,  si  ha  una  novità:  appunto,  quella  delle  risorgenze  laterali, 
marginali,  'carsiche'  che  abbiamo  esemplificato  (le  presenze  nei  nuovi 
domini  comunicativi,  dal  punto  di  vista  delle  situazioni;  e  presso  i  parian- 
ti evanescenti  o  semiattivi,  dal  punto  di  vista  dei  parianti),  che  cambiano 
le  carte  in  tavola  complicando  le  cose  quanto  almeno  ai  punti  (b)  e  (e) 
dell'elenco  appena  fatto,  e  che  configurano  un  processo  di  decadenza  che 
si  diluisce,  per  lo  meno,  in  più  direzioni  o  linee  di  sviluppo.  Che  cosa  ciò 
possa  significare  per  il  futuro  del  dialetto,  starà  a  sociolinguisti  e  ecolin- 
guisti  delle  generazioni  che  ci  seguiranno  studiare  e  valutare. 


123 


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127 


Sulla  nozione  di  dialetto  italianizzato  in  morfologia: 
il  caso  del  piemontese 


Davide  Ricca  (Torino) 

1.  Introduzione 

Di  italianizzazione  del  dialetto  si  è  scritto  in  anni  recenti  (cfr.  Sanga 
1985,  M.  Moretti  1988,  Grassi  1993,  Radtke  1995,  Sobrero  1997,  Berruto 
1997,  B.  Moretti  1999),  ma,  come  è  stato  detto  da  molti,  prevalentemente 
riguardo  ai  due  estremi  del  sistema  linguistico:  la  fonologia  da  un  lato  e  il 
lessico  dall'altro.  Meno  considerati,  e  tanto  meno  analizzati  in  modo  si- 
stematico, sono  stati  i  due  livelli  centrali  del  sistema,  la  morfologia  e  la 
sintassi,  per  le  quali  spesso  ci  si  limita  ad  affermare,  in  modo  generico, 
che  sono  meno  toccate  dall'italianizzazione.  In  questo  contributo  ci  si 
propone  di  definire  in  modo  più  preciso  e  soprattutto  piti  articolato  il  con- 
cetto di  italianizzazione  nell'ambito  della  morfologia.  Si  farà  riferimento 
a  un  particolare  sistema  dialettale,  la  varietà  urbana  torinese,  senza  pre- 
tendere, ovviamente,  che  le  considerazioni  qui  presentate  possano  essere 
automaticamente  estese  ad  altre  situazioni  nel  quadro  estremamente  com- 
plesso ed  eterogeneo  del  repertorio  linguistico  in  Italia.  L'interesse  princi- 
pale è  infatti  quello,  metodologico,  di  mostrare  come  non  si  possa  parlare 
uniformemente  di  italianizzazione  in  morfologia,  in  quanto  sottosistemi 
diversi  del  dialetto  possono  essere  molto  diversamente  reattivi  al  contatto 
linguistico. 

Rispetto  al  quadro  complessivo  riscontrabile  in  Italia,  si  può  probabil- 
mente affermare  che  le  caratteristiche  del  rapporto  tra  italiano  e  dialetto 
in  Piemonte  si  avvicinano  a  valori  estremi  rispetto  a  tre  parametri.  Coesi- 
stono infatti:  una  distanza  strutturale  dei  due  codici  particolarmente  ele- 
vata; una  vitalità  oggi  tra  le  più  basse,  per  lo  meno  nel  contesto  urbano;  e 
un  repertorio  ampiamente  articolato  all'interno  del  codice  dialetto,  che  in- 
clude una  varietà  urbana  torinese  con  un  discreto  grado  di  elaborazione  o 
Ausbau  (nel  senso  di  Kloss  1987),  utilizzata  in  passato  con  una  certa  am- 
piezza anche  in  testi  scritti  (non  solo  negli  ambiti  "classici"  della  poesia  e 
del  teatro,  ma  -  a  fine  Ottocento  -  anche  in  romanzi  popolari  e  persino  in 


129 


giornali  di  discreta  diffusione •)  e  in  possesso  di  una  ortografia  standar- 
dizzata^. In  particolare,  questa  koiné  è  stata  senz'altro  largamente  utiliz- 
zata (probabilmente  almeno  fino  alla  seconda  guerra  mondiale)  in  ogni 
forma  di  oralità,  inclusi  contesti  pubblici  e  temi  "elevati"  o  tecnici,  ed  è 
quindi  da  lungo  tempo  permeabile  al  massiccio  afflusso  di  prestiti  dal- 
ritaliano\ 

Nel  valutare  le  caratteristiche  morfologiche  di  tale  varietà  urbana,  non 
è  quindi  evidente  su  quali  dati  empirici  occorra  basarsi.  La  dimensione  e 
le  finalità  di  questo  contributo  non  permettono  di  affrontare  estesamente 
la  questione.  L'esemplificazione,  necessariamente  molto  limitata,  che  for- 
niremo, attingerà  principalmente  a  due  tipi  di  fonti  di  "piemontese  con- 
temporaneo" volutamente  divergenti:  da  un  lato  una  serie  di  interviste 
compiute  e  trascritte  da  Massimo  Bonato  (Bonato  2004),  a  8  parlanti  - 
per  un  totale  di  circa  7  ore  di  conversazione  -  provenienti  da  diverse  parti 
del  Piemonte,  ma  fondamentalmente  aderenti  alla  koiné  (anche  se  con 
tratti  locali,  che  diventano  quasi  dominanti  nel  caso  del  parlante  di  Ales- 
sandria). Alcuni  di  essi  sono  direttamente  impegnati  come  piemontesisti, 
ma  naturalmente  la  loro  produzione  orale  non  coincide  completamente 
con  la  normatività  della  variante  scritta  che  essi  stessi  propugnano.  Come 


'  Per  un  profilo  degli  autori  di  romanzi  d'appendice  in  piemontese  cfr.  Clivio  (2002: 
362-375),  e  per  i  giornali  in  piemontese  nel  secondo  Ottocento  Clivio  (2002:  357-361).  Il 
più  importante  periodico  in  piemontese,  7  Birichin,  uscì  dal  1886  al  1926  e  raggiunse  tira- 
ture di  12.000  copie  (Clivio  2002:  359). 

-  Di  questa  ortografia  si  farà  uso  nel  seguito,  per  comodità,  anche  nella  citazione  di 
esempi  da  fonti  orali.  I  tratti  più  salienti  non  coincidenti  con  l'italiano  sono:  per  le  vocali, 
o  vale  [u]/[u]  (ma  nei  prestiti  anche  [o]  atono,  vedi  3.3),  mentre  ò  vale  [o]  (solo  tonico  in 
piemontese);  u  vale  [y],  eu  vale  [0]  ed  ë  vale  [a]  (che  è  un  fonema  distinto  e  può  essere 
anche  tonico).  Per  quanto  riguarda  le  consonanti,  la  [g]  intervocalica  si  nota  con  n-  per  op- 
porla  a  [n],  scritta  n,  mentre  in  fine  di  parola  n  vale  [g]  e  nn  vale  [n];  le  affricate  [tj]  e 
[d3]  in  fine  di  parola  sono  rese  con  ce,  gg;  infine,  s  vale  [z]  in  posizione  intervocalica  e  in 
fine  di  parola,  mentre  vale  [s]  all'inizio  di  parola  seguita  da  vocale  e  dopo  consonante;  la 
grafia  segnala  però  sempre  il  contrasto  tra  i  fonemi  /s/  e  /z/,  utilizzando  ss  nei  primi  casi 
per  [s],  e  z  nei  secondi  per  [z]  . 

^  Basta  scorrere  a  questo  proposito  il  lemmario  di  Sant'Albino  (1859).  Si  noti  che, 
essendo  allora  i  parlanti  tutti  dialettofoni,  l'inclusione  in  gran  numero  di  termini  ita- 
lianeggianti  non  può  essere  motivata  -  come  lo  sarebbe  oggi  -  dall'intento  del  lessi- 
cografo di  fornire  in  qualche  modo  equivalenti  dialettali  a  termini  italiani  noti;  ma 
semmai  dall'esigenza  opposta,  di  garantire  a  utenti  incerti  nella  loro  competenza  del- 
l'italiano che  un  dato  termine,  evidentemente  considerato  non  ignoto  al  dialetto  urba- 
no, potesse  anche  essere  usato  in  "buon"  italiano  (come  risulta  chiarissimo  nella  pre- 
fazione al  dizionario). 

130 


illustrazione  di  quest'ultima,  tra  le  varie  opzioni  possibili  si  sono  scelti 
due  numeri  di  una  rivista  bimestrale  in  piemontese  appena  apparsa,  É! 
Afermativ.  Piemontèis  (il  primo  numero,  maggio-giugno  2004,  e  l'ultimo 
uscito,  marzo-aprile  2005),  perché  afferma  programmaticamente  di  voler- 
si occupare  in  piemontese  proprio  di  temi  tradizionalmente  non  dialettali, 
dalla  politica  estera  allo  sport"^,  e  quindi  costituisce  un  terreno  particolar- 
mente ricco  per  la  verifica  delle  strategie  di  adattamento  di  nuovi  prestiti. 

Poiché  per  una  varietà  urbana  come  il  torinese  la  questione  dell'italianiz- 
zazione si  pone  anche  in  tempi  molto  precedenti  a  quelli  attuali,  per  qualche 
esempio  di  confronto  si  atttingerà  per  l'Ottocento  ad  alcuni  testi  teatrali  in 
prosa  {Le  ridicole  illusioni,  commedia  anonima  databile  intomo  al  1802;  G. 
Zoppis,  Marìoma  Clarìn,  e.  1860;  V.  Bersezio,  Le  miserie  'd  monsù  Travet, 
1863),  e  per  la  metà  del  Novecento  ad  alcuni  corsivi  giomaUstici  di  Arrigo 
Frusta  (1875-1965)  apparsi  su  Ij  Brande  dal  1952  al  1955  col  titolo  Fassin-e 
'd  sabia  (i  dettagli  delle  edizioni  sono  riportati  in  bibUografia);  oltre  che  ai  di- 
zionari di  Zalh  (1830),  Ponza  (1859),  Sant'Albino  (1859)  per  l'Ottocento  e  di 
Gribaudo  (1983)  e  Brero  (2001  [1976-1982])  per  l'epoca  attuale. 

Dal  punto  di  vista  della  morfologia,  esistono  a  priori  almeno  tre  livelli 
distinti  rispetto  ai  quali  considerare  fenomeni  di  italianizzazione,  e  cioè: 

-  la  morfologia  derivazionale; 

-  la  struttura  delle  classi  flessive,  in  particolare  rispetto  ai  meccani- 
smi di  integrazione  dei  prestiti; 

-  la  morfologia  flessiva  vera  e  propria,  cioè  la  possibile  evoluzione 
dei  paradigmi  flessivi  del  dialetto,  in  particolare  per  lo  strato  lessi- 
cale autoctono,  in  senso  "italianeggiante". 

Nel  seguito  si  esaminerà  separatamente  ciascuno  di  questi  tre  livelli. 

2.  Italianizzazione  in  morfologia  derivazionale 

Nel  valutare  lo  "stato  di  salute"  della  morfologia  derivazionale  del 
dialetto  è  essenziale  distinguere  tra  regole  di  formazione  e  regole  di  anali- 

^  Nell'editoriale  del  primo  numero,  a  firma  del  direttore  responsabile  Mauro  Tosco,  si 
legge  infatti:  "É  a  nass  per  che  i  chërdoma  che  na  lenga  minoritaria,  ël  piemontèis,  che  a 
veula  esse  e  fesse  lenga  e  seurte  da  j'antrap  del  dialèt,  a  venta  dzortut  ch'a  sia  dovrà  pròpi 
an  coj  contest  e  argoment  andova  soens  fin-a  ij  piemontesista  a  l'han  gena,  o  miraco  mach 
nen  tròpa  ocasion,  ëd  dovrela  regolarment"  [É  nasce  perché  crediamo  che  una  lingua  mi- 
noritaria, il  piemontese,  che  voglia  essere  e  farsi  lingua  e  uscire  dagli  impacci  del  dialetto, 
bisogna  soprattutto  che  sia  usata  proprio  in  quei  contesti  e  argomenti  dove  spesso  persino 
i  piemontesisti  provano  imbarazzo  a  usarla  regolarmente,  o  forse  semplicemente  non  han- 
no troppe  opportunità  di  farlo  (Trad.  mia)]. 

131 


si.  Infatti,  nei  limiti  in  cui  il  dialetto  è  dncora  utilizzato,  non  è  difficile 
rintracciare  in  testi  della  koiné  contemporanea  formazioni  morfologi- 
camente analizzabili,  non  attestate  nei  dizionari  ottocenteschi,  e  nem- 
meno in  quelli  recenti  di  Gribaudo  (1983)  e  Brero  (2001).  Ad  esempio 
nei  due  numeri  di  É!  sopra  menzionati,  si  trovano,  tra  varie  altre,  pa- 
role come  le  seguenti  (citate  con  le  due  cifre  dell'annata  e  la  pagina 
della  rivista): 

(1)      teor-is-ator  (04:  7),  comersi-al-is-assion  (05:  13),  uliv-ista  (04: 
4),  volontari-à  (04:  4),  mediat-is-àbil  (04:  10) 

Parole  del  tipo  di  (1),  tuttavia,  non  provano  l'esistenza  di  regole  di  for- 
mazione di  parola  produttive  nel  dialetto  odierno,  anche  se  si  potesse  di- 
mostrare con  certezza  che  si  tratta  di  neoformazioni  (come  sarà  senz'altro 
il  caso  almeno  per  ulivista  o  mediatisàbil,  perché  sono  recenti  i  concetti 
denotati).  E  molto  più  plausibile,  infatti,  che  siano  direttamente  prestiti 
dall'italiano,  e  non  prodotti  di  regole  di  formazione  di  parola  autonome 
all'interno  del  piemontese.  Naturalmente,  l'affinità  delle  due  lingue  coin- 
volte (e  il  bilinguismo  generalizzato  dei  residui  parlanti/scriventi  del  pie- 
montese) consente  di  pensare  che  -  contrariamente  a  quanto  avviene  soli- 
tamente con  i  prestiti  tra  lingue  più  lontane  -  tali  parole  possano  essere 
analizzate  come  morfologicamente  complesse:  una  parola  come  presenta- 
tor  sarà  bimorfemica  anche  in  piemontese,  data  l'esistenza  del  voxho  pre- 
sente da  un  lato  e  di  numerosi  derivati  in  -ator  dall'altro.  Si  potrà  quindi 
senz'altro  parlare  di  suffissi  -ator,  -àbiU  -assion  ecc.;  ma,  appunto,  in  ter- 
mini di  analisi  morfologica  del  lessico,  il  che  non  implica  che  essi  siano 
disponibili  come  procedimenti  di  arricchimento  lessicale  autonomo  del 
dialetto,  indipendentemente  da  modelli  italiani. 

Come  si  può  allora  verificare  l'esistenza  di  una  morfologia  deriva- 
zionale  autonoma  per  il  piemontese?  Il  caso  più  indisputabile  sarebbe 
ovviamente  l'esistenza  nel  dialetto  di  procedimenti  derivazionali  pro- 
duttivi globalmente  privi  di  paralleli  italiani,  né  formali  né  semantici. 
Ma,  data  la  stretta  parentela  (e  il  continuo  contatto  linguistico)  tra  i 
due  codici,  casi  del  genere  non  sembrano  reperibili,  e  del  resto  sono 
abbastanza  rari  anche  confrontando  tra  loro  le  lingue  romanze  "mag- 
giori". 

Tuttavia,  se  si  prendono  in  esame  fasi  precedenti  del  piemontese 
(quindi  il  suo  lessico  consolidato,  non  eventuali  neoformazioni),  versioni 
più  deboli  del  criterio  proposto  sembrano  del  tutto  sufficienti  a  garantire 
l'autonomia  derivazionale  del  dialetto. 

132 


Per  definire  autonomi  i  due  sistemi  di  regole  derivazionali.  sarà  infatti 
senz'altro  sufficiente  l'esistenza  nel  dialetto  di  singole  formazioni  senza 
paralleli  italiani  (non  di  interi  procedimenti  come  nella  versione  più  forte 
del  criterio).  I  casi  in  (2)  illustrano  situazioni  particolarmente  chiare,  in 
cui  alla  parola  derivata  nel  dialetto  non  corrisponde  alcun  possibile  paral- 
lelo italiano:  in  altre  parole,  gli  equivalenti  italiani  o  non  sono  parole  deri- 
vate, o  hanno  comunque  una  struttura  morfologica  inconfrontabile  con 
quella  attestata  in  piemontese. 

(2)  ciapulé  'tritare'  —>  ciapul-or  'mezzaluna'  {'\tritatore,  -toio) 
stòmi  'stomaco'  -^  stomi-era  'indigestione'  (*stomachiera) 
sotré  'sotterrare'  —>  sotr-or  'becchino'  {"f sotterratore) 

Nei  casi  in  (2),  il  condizionamento  da  parte  dell'italiano  si  può  esclu- 
dere con  sicurezza  non  solo  a  livello  di  prestito,  ma  anche  di  calco:  non 
c'è  infatti  un  modello  strutturalmente  parallelo  in  italiano,  sia  pure  con 
materiale  morfologico  diverso. 

Nei  casi  in  (3),  invece,  dove  un  parallelo  semantico-strutturale  esi- 
ste, non  è  escludibile  a  priori  l'influenza  dell'italiano  a  livello  di  cal- 
co (anche  se  per  molte  parole  di  uso  comune  sembra  decisamente  im- 
probabile). In  ogni  caso,  anche  se  si  avesse  paradossalmente  a  che  fa- 
re ovunque  con  calchi,  i  derivati  in  (3)  sarebbero  comunque  da  consi- 
derare come  formati  -  a  suo  tempo  -  dai  parlanti  dialettali  in  base  al- 
la propria  competenza  morfologica  (cioè  applicando  una  regola  di 
formazione  produttiva  in  piemontese),  non  essendoci  alcuna  somi- 
glianza tra  i  significanti  italiano  e  dialettale,  sia  nella  base  che  nel 
suffisso: 

(3)  tòla  'latta'  -^  tol-é  'stagn-ino' 

ciòca  'campana'  —^  cioch-in  'campan-ello' 
gram  'cattivo'  -^  gram-issia  'cattiv-eria' 

In  misura  minore,  ma  ancora  sufficiente,  l'autonomia  della  morfologia 
derivazionale  del  dialetto  può  essere  verificata  anche  quando  uno  solo  de- 
gli elementi  in  gioco  (base  o  suffisso)  non  ha  parallelo  nel  corrispondente 
significante  italiano.  Negli  esempi  in  (4)  e  (5),  l'elemento  divergente  è 
stato  segnalato  in  grassetto: 

(4)  basi  parallele,  suffissi  distinti: 

pesant  'pesante'  —> pesant-or  'pesant-ezza' 
tabach  'tabacco'  —>  tabach-ìn  'tabacc-aio' 
pompa  'pompa'  —>  pomp-ista  'pomp-iere' 


133 


(5)      basi  distinte,  suffissi  paralleli: 

mnis  'pattume'  -^  mnis-era  'pattum-iera' 
cavagna  'cesta'  —>  cavagn-in  'cest-ino' 
sgairé  'sprecare'  —>sgair-on  'sprec-one' 
galup  'ghiotto'  -^  galup-eria  'ghiotton-eria' 
crin  'porco'  —>crìn-ada  'porc-ata' 

I  casi  in  (5)  sono  probabilmente  quelli  di  minore  autonomia  tra  quelli 
visti  fin  qui,  data  la  corrispondenza  anche  formale  nel  procedimento  deri- 
vazionale  scelto  dalle  due  lingue.  Il  tipo  è  peraltro  analogo  a  quello  di 
fonnazioni  come  ingl.  drinkable,  che  sono  sempre  state  considerate  suffi- 
cienti per  inserire  a  pieno  titolo  il  suffisso  di  origine  romanza  nell'inven- 
tario dei  suffissi  produttivi  dell'inglese. 

Riassumendo,  non  vi  sono  dubbi  che  il  dialetto  abbia  posseduto  in 
passato  una  morfologia  derivazionale  autonoma  dall'italiano,  e  ciò  vale 
per  tutto  il  periodo  in  cui  è  stato  in  grado  di  formare  parole  dei  tipi  (2)- 
(5).  Una  plausibile  datazione  di  tali  formazioni  è  ovviamente  quasi  im- 
possibile nella  maggioranza  dei  casi:  data  la  scarsità  di  documentazione 
scritta  del  piemontese  anteriormente  al  Settecento,  molte  di  esse  saranno 
ben  più  antiche  di  quanto  possa  risultare  dalle  attestazioni  testuali  o  lessi- 
cografiche. 

Per  quanto  riguarda  la  vitalità  della  morfologia  derivazionale  nel  dia- 
letto contemporaneo,  non  è  però  rilevante  sapere  quanto  siano  antiche  le 
derivazioni  in  questione  (quelle  citate  compaiono  quasi  tutte  in  Sant'Albi- 
no 1859);  al  contrario,  occorrerebbe  poter  identificare  con  sicurezza  deri- 
vati dei  tipi  (2)-(5)  come  neoformazioni.  Non  è  facile  escludere  categori- 
camente che  tali  neoformazioni  esistano,  ma  l'impressione,  scorrendo  un 
po'  di  pubblicistica  recente,  è  che  siano  quanto  meno  assai  rare^.  Il  caso 
meno  sfavorito  sembrerebbe  essere  il  tipo  (5);  ma  se  si  prova  ad  applicare 
suffissi  modellati  sull'italiano,  come  -àbil  o  -ment  avverbiale,  che  si  in- 
contrano spessissimo  in  formazioni  del  tipo  (1),  a  basi  lessicali  caratteri- 
stiche esclusivamente  del  dialetto,  i  risultati  appaiono  decisamente  inna- 
turali, come  in  (6)  -  se  non  come  gioco  linguistico  -,  quando  non  assolu- 
tamente inaccettabili,  come  è  il  caso  degli  avverbi  deaggettivali  in  -ment 
mil): 


^  In  certi  casi  può  essere  arduo  decidere  se  assegnare  una  formazione  al  tipo  (4),  o 
considerarla  prestito  adattato  del  tipo  (1):  si  pensi  al  suffisso  -é  ,  che  è  l'equivalente  eti- 
mologico e  semantico  di  it.  -aio,  ma  ne  è  forse  sincronicamente  abbastanza  lontano  per  as- 
segnare al  tipo  (4)  formazioni  relativamente  recenti  come  benzine  (in  Brero  2001). 

134 


(6)  caté  'comprare'  -^  V.catàbil 
dëstissé  'spegnere  -^  V.dëstissàbil 
dovré  'usare'  -^  V.dovràbif 
s-ciapé  'rompere'  ->  V.s-ciapàbil 
sgnaché  'schiacciare'  -^V.sgnacàbil 

(7)  bòrgno  'cieco'  -^  ""borgnament 
dësdeuit  'goffo'  -^  ''dësdeuitament 
galùp  'ghiotto'  -^  ""galupament 

s-ciass  'fitto',  'compatto'  -^*s-ciassament 

Inoltre,  quando  esistono  varianti  allomorfiche  di  uno  stesso  suffisso, 
solo  gli  al'lomorfi  "italianeggianti"  appaiono  disponibili  per  neoformazio- 
ni del  tipo  (1),  modellate  sull'italiano.  Si  considerino  ad  esempio  le  tre 
varianti  del  formante  di  nomi  deverbali  d'agente  (e  strumento)  risalente  al 
latino  -TÔR(EM):  la  (8a),  di  sicura  tradizione  diretta,  la  (8b),  presumibil- 
mente mediata  da  varietà  lombarde  (Chvio  1972  [1976:  95]),  e  la  (8c), 
più  nettamente  italianizzante: 

(8)  a.      -or/-ior^  sotré  -^  sotror,  an^ende  -^  arvendior 

b.     -ador/-idor  giughé  -^  giugador,  bate  -^  batidor 

e.      -ator/-itor  visité  -^  visitator,  vince  -^  vincitor 

Tutte  e  tre  le  varianti  del  suffisso  sono  presenti  da  lungo  tempo  nei  te- 
sti piemontesi.  Il  tipo  autoctono  si  trova  già  in  crior  'banditore'  e  rezior 
'rettore'  nei  testi  chieresi  del  1321,  il  più  antico  documento  di  sicura  data- 
zione e  localizzazione  (Gasca/Clivio/Pasero  2003:  54);  cfr.  anche  anun- 
cior  'annunciatore'  nelle  quattrocentesche  Recomendaciones  di  Saluzzo, 
(Gasca/Clivio/Pasero  2003:  115).  D'altra  parte  treytor  'traditore'  e  già  ne- 
gli stessi  testi  chieresi  (Gasca/Clivio/Pasero  2003:  59),  e  peccator  nella 
Lamentazione  di  Chien  (sec.  XV;  Gasca/Clivio/Pasero  2003:  100).  In  am- 
bito torinese,  per  -dar  si  può  citare  almeno  stampador  "^H^^^"^^"^^;*; 
tramué  'd  San  Michel  del  1663  (v.  225,  ora  in  Gasca/Clivio/Pasero  2003: 
287).  Ovviamente  sia  -dor  che  -tor  sono  poi  largamente  attestati  nella  lin- 
gua del  Settecento,  per  non  parìare  dell' Ottocento^ 

6  Può  essere  significativo  che  Brero  (2001)  s.v.  utilizzare  riporti  dovré  accanto  al  pre- 
stito utilisé,  ma  s.v.  utilizzabile  riporti  solo  il  prestito  utilisàbil  e  non  Vdovrabil. 

^  Uultenore  allomorfia  -or/-ior  e  simili  dipende  dalla  classe  flessiva  del  verbo:  a  pn- 
ma  variante  si  applica  ai  verbi  in  -.;  corrispondenti  a  quelli  latini  in  -are,  1  altra  alle  re- 

stanti  due  coniugazioni.  .    .  e     »       ^   n87- ma 

s  Come  ulterion  esempi  settecenteschi,  nell'Arpa  discordata  (ed.  Fontana  e.  1787  ma 

composta  e.  1707)  si  trovano  parole  come  govemator  (v.  1799),  imitator  (v.  649),  libera- 

135 


La  semplice  presenza  di  allomorfi  come  -ator  o  -odor  non  sarebbe  dunque 
di  per  sé  granché  dirimente  per  valutare  il  grado  di  italianizzazione  della 
morfologia  derivazionale  del  dialetto.  Ben  più  rilevante  è  il  fatto  che  la  va- 
riante autoctona  -or  non  sia  oggi  (e  in  realtà  da  lungo  tempo)  più  disponibile 
per  neoformazioni.  Dovendo  dire  in  dialetto  'calcolatore',  si  dirà  normalmen- 
te calcolator,  e  forse  è  possibile  anche  calcolador,  del  resto  attestato  già  in 
Sant'Albino  (1859)  nel  senso  [+animato]:  entrambe  le  forme,  nel  senso  di 
'computer',  sono  date  in  Brero  (2001)*^.  Certamente,  però,  non  è  possibile  de- 
rivare ^calcolar,  e  altrettanto  inconcepibili  sarebbero  forme  come  ^presentar 
'presentatore',  ^guidar  'guidatore',  e  così  via.  Considerazioni  analoghe  val- 
gono per  varianti  come  -ura/-iura  (ancora  frequente  nel  lessico  consolidato, 
cfr.  sgrafignura  'graffio',  mordiura  'morsicatura')  rispetto  ad  -adurai -idura  e 
-aturai -itura. 

In  definitiva,  si  può  dire  che  dal  punto  di  vista  della  morfologia  derivazio- 
nale l'italianizzazione  del  dialetto  appare  decisamente  avanzata,  e  ciò  si  riflet- 
te in  molti  casi  anche  nelle  scelte  lessicografiche  orientate  in  senso  relativa- 
mente puristico  come  Brero  (2001);  naturalmente  per  raggiungere  conclusio- 
ni definitive  occorrerebbero  ricerche  molto  più  ampie.  D'altra  parte  la  forma- 
zione di  parole  è  il  settore  della  morfologia  che  più  confina  con  il  lessico,  ed 
è  naturale  aspettarsi  un  maggiore  intacco.  Nelle  prossime  sezioni  si  cercherà 
di  valutare  in  che  misura  il  massiccio  contatto  lessicale  con  l'italiano  abbia  ri- 
flessi sensibili  anche  sulla  morfologia  flessiva  del  piemontese. 

3.  Integrazione  dei  prestiti  e  classi  flessive 

3.1.  Quando  una  lingua  è  esposta  all'afflusso  massiccio  di  prestiti,  la 
loro  integrazione  morfologica  può  modificare  l'organizzazione  delle  clas- 

tor  (v.  1779),  e  cassador  (v.  563),  minador  (v.  1397),  zappador  (v.  1000).  E  anche  la  lin- 
gua solitamente  molto  popolare  di  Isler  comprende  forme  come  sonador,  sfrosador  'con- 
trabbandiere', regolator  'regolatore  (in  senso  legale)'  (in  Gasca/Clivio/Pasero  2003  ri- 
spettivamente alle  pp.  377,  395,  433). 

^  Per  quanto  riguarda  la  produttività  attuale  di  -ador/-idor,  nei  due  numeri  presi  in  esa- 
me della  rivista  É  si  possono  rintracciare  forme  come:  arsercador  'ricercatore'  (04:  15), 
abonament  sostnidor  (05:  3),  esplorador  (04:  10),  organisador  (05:  8).  Non  è  chiaro  in 
che  misura  queste  possibili  neoformazioni  abbiano  davvero  corso,  e  quanto  invece  rifletta- 
no un  consapevole  sforzo  di  stabilire  una  qualche  distanza  dai  modelli  italiani.  Nessuna 
delle  quattro  forme  citate  è  in  Sant'Albino  (1859),  che  ha  invece  esplorator  e  organisator, 
e  solo  esplorador  si  ritrova  in  Brero  (2001),  accanto  alla  forma  in  -atorZ-itor  che  è  l'unica 
riportata  negli  altri  tre  casi.  Importanti  sarebbero  naturalmente  dati  della  produzione  orale. 
Nelle  interviste  di  Bonato  (2004),  un  caso  interessante  è  prosador  (intervista  del  parlante 
di  Spinetta  (CN);  registrato  anche  in  Brero  2001),  anche  se  qui  -ador  non  è  deverbale. 

136 


si  flessive,  incrementando  sostanzialmente  la  produttività  di  alcune  o  ad- 
dirittura creandone  di  nuove'°.  Per  quanto  riguarda  il  piemontese,  le  clas- 
si flessive  del  dialetto  hanno  efl'ettivamente  subito  alcune  modificazioni 
indotte  dal  contatto  con  l'italiano:  l'integrazione  dei  prestiti,  infatti,  non 
avviene  sempre  inserendoli  nelle  classi  flessive  esistenti,  ma  determina 
l'introduzione  di  alcune  classi  flessive  nuove,  parallele  ai  modelli  italiani. 
D'altra  parte,  questi  processi  non  arrivano  a  scardinare  realmente  l'im- 
pianto delle  classi  flessive  del  dialetto,  perché  non  si  assiste  a  migrazioni 
di  parole  ("metaplasmi")  dello  strato  lessicale  autoctono  verso  le  nuove 
classi  flessive  (forse  con  l'eccezione  degli  aggettivi  in  -al,  v.  3.4).  Inoltre, 
nessuno  dei  fenomeni  che  considereremo  è  specifico  del  periodo  contem- 
poraneo, essendo  tutti  largamente  attestati  nei  documenti  scritti  almeno 
dal  primo  Ottocento  (oltre  che  nei  dizionari  dell'epoca). 

Nel  seguito  si  prenderà  in  esame  separatamente  ciascuna  delle  tre  ca- 
tegorie lessicali  maggiori  (verbi,  nomi  e  aggettivi). 

3.2.  Per  quanto  riguarda  i  verbi,  le  corrispondenze  sono  automatiche.  I 
prestiti  italiani  sono  integrati  nelle  tre  omologhe  classi  flessive  del  dialet- 
to": -are  -^  [-'e],  -ere  (inclusi  i  verbi  in  -durre,  -porre  e  sim.)  -^  [-e] 
(atono),  -ire  -^  [-'i].  Non  è  facile  però  trovare  esempi  di  prestiti  di  que- 
sto tipo  che  siano  indisputabilmente  neologismi.  Verbi  come  concede, 
elude,  esige,  estrae,  incide,  indite,  ingionze,  interpon-e,  espon-e,  protège, 
tradu(v)e,  chiaramente  non  riconducibili  a  tradizione  diretta,  sono  regi- 
strati con  molti  altri  già  in  Zalli  (1830),  e  non  c'è  motivo  di  credere  che 
non  fossero  in  uso  nella  varietà  urbana  del  tempo^^,  anche  se  presumibil- 
mente avranno  avuto  una  circolazione  limitata  agli  strati  sociali  elevati  e 
alfabetizzati.  La  lista  si  amplia  ulteriormente  in  Sant'Albino  (1859).  La 


'"  Dressler/Thomton  (1996:  2-3)  considerano  la  disponibilità  di  una  classe  flessiva  ad 
accogliere  ed  integrare  i  prestiti  addirittura  come  il  criterio  prioritario  per  valutare  la  sua 
produttività;  soltanto  in  subordine  si  considerano  produttive  le  classi  flessive  in  cui  rien- 
trano solo  neoformazioni  di  carattere  derivazionale.  Questo  approccio,  peraltro,  può  dare 
esiti  problematici  proprio  nei  casi  di  contatto  tra  lingue  strettamente  imparentate,  quali  ita- 
liano e  dialetto,  come  si  vedrà  in  3.2. 

"  In  torinese  esiste  anche  un'altra  sottoclasse  residuale,  riconducibile  a  quella  in  [-e] 
atono,  ma  caratterizzata  dall'infinito  in  -èj,  che  continua  il  latino  -ère.  Oltre  a  cinque  ver- 
bi fortemente  irregolari  {avèj,  dovè],  podèj,  savèj,  vorèj),  vi  appartengono  i  due  soli  verbi 
regolari  piasèj  e  valèj,  che  oltretutto  ammettono  all'infinito  le  varianti  vale  e  piase  (cfr. 
Aly-Belfàdel  1933:  225-226). 

'^  Di  quelli  sopra  menzionati,  almeno  concede,  espon-e,  protège  si  trovano  ad  esempio 
nelle  Ridicole  illusioni. 

137 


vitalità  delle  corrispondenze  è  comunque  testimoniata  dai  verbi  inclusi  in 
Brero  (2001)  che  non  compaiono  nei  dizionari  ottocenteschi:  citiamo  per 
i  verbi  in  -are  forme  come  discriminé,  driblé,  esumé,  sgancé  o  vari  deri- 
vati come  concrétisé,  squalifiche;  per  quelli  in  -ere  conette,  omette,  e  per 
quelli  in  -ire  agredì,  inebetì.  Nei  due  numeri  di  E  ho  potuto  trovare  due 
verbi  non  registrati  neppure  in  Brero  (2001):  coinvòlze  'coinvolgere'  (04: 
4)  epërten-e  'pertenere'  (04:  6). 

I  prestiti  non  incidono  dunque  sulla  struttura  delle  classi  flessive  ver- 
bali del  piemontese;  tutt'al  piti,  possono  comportare  una  conseguenza 
problematica  per  quanto  riguarda  la  loro  produttività.  Infatti,  in  base  al 
criterio  di  Dressler/Thornton  (1996)  discusso  alla  nota  10,  si  potrebbe 
concludere  che  la  situazione  di  contatto  rende  produttiva  nel  dialetto  -  a 
differenza  che  nell'italiano  -  la  classe  in  [-e],  che,  come  si  è  visto,  è  in 
grado  di  accogliere  i  prestiti  al  pari  delle  altre  due.  Questa  affermazione 
appare  in  realtà  alquanto  controintuitiva,  e  suggerisce  che  il  ruolo  dei  pre- 
stiti come  test  cruciale  per  valutare  la  produttività  delle  classi  flessive  va- 
da precisato,  escludendo  appunto  quelli  provenienti  da  sistemi  linguistici 
geneticamente  vicini,  per  i  quali  i  parlanti  possono  essere  in  grado  di  sta- 
bilire corrispondenze  diasistemiche,  specialmente  nei  casi  di  bilinguismo 
generalizzato  tipici  del  contatto  italiano-dialetto. 

3.3.  La  situazione  è  assai  più  complessa  per  quanto  riguarda  l'integra- 
zione morfologica  dei  prestiti  nominali,  molto  piìj  rilevante  anche  sul  pia- 
no quantitativo.  Delle  due  classi  flessive  fondamentali  dell'italiano,  i  fem- 
minili in  -a/-e  non  pongono  problemi,  essendo  senza  eccezione  trasferiti 
nell'omologa  classe  del  piemontese.  Più  articolata  è  invece  l'integrazione 
dei  maschili  italiani  in  -o/-i.  La  classe  omologa  del  piemontese  in  questo 
caso  è  rappresentata  da  nomi  invariabili  uscenti  in  consonante.  Esempi  di 
accoglimento  in  questa  classe  per  il  lessico  stabilizzato  sono  riportati  in 
(9a).  Ma  questa  strategia  di  integrazione  diasistemica  è  in  regressione  ri- 
spetto ad  altre  due  soluzioni,  esemplificate  in  (9b)  e  (9c)  rispettivamente: 

(9)  Integrazione  dei  nomi  italiani  in  -o/-i: 

a.  -^      -0/-0:  agiut,  avocat,  sénat,  tabach 

b.  — >      -[u]  /-[u]:  chilo,  ebreo,  etto,  nòno,  sòcio,  treno,  tubo 

(normalmente  pronunciati  con  [u]  finale) 
e.  — >      -[o] /-[i]:  aereo,  semaforo  [se'maforo],  telefono 

[te'lefono],  gelato,  impiegato  (solitamen- 
te pronunciati  con  [o]  finale) 

138 


Oggi,  la  strategia  (9a)  non  sembra  più  molto  attiva  per  parole 
morfologicamente  non  analizzabili,  per  lo  meno  nel  parlato'^;  rimane 
però  normale  per  quelle  con  suffisso  derivazionale  identificabile  (v.  ol- 
tre). Le  strategie  (9b)  e  (9c)  sono  da  tempo  in  competizione  nella  varietà 
torinese.  La  distinzione  tra  le  due  nei  testi  scritti  è  resa  problematica  per  il 
singolare  dal  fatto  che  [u]  e  [o]  atono  (assente  in  piemontese  nel  lessico 
autoctono)  non  sono  generalmente  distinti  nella  scrittura,  essendo  entram- 
bi rappresentati  con  o.  Tuttavia,  l'esistenza  del  tipo  (9c)  già  nell'Ottocen- 
to è  garantita  dalle  attestazioni  di  plurali  in  -/,  come  in  (10): 

(10)    Elo  possibil  che  j' impiegati  a  sapio  parlé  mai  d'nen  autr?  {Jra- 
y^rlll,  5). 

Un  commento  esplicito  sulla  compresenza  delle  due  strategie  nel  tori- 
nese degli  anni  Trenta  si  trova  in  Aly-Belfàdel  (1933:  120),  che  non  uti- 
lizza la  grafia  tradizionale,  e  può  quindi  segnalare  l'esistenza  di  [o]  atono: 
"Taluno  italianizza  però  [..]:  marmu  o  marmo,  plurale  marmi  o  marmu". 

Dal  punto  di  vista  del  sistema  morfologico  del  piemontese,  i  due  tipi 
(9b)  e  (9c)  sono  molto  diversi.  In  primo  luogo,  (9b)  non  istituisce  una 
classe  flessiva  diversa  da  (9a),  in  quanto  entrambi  i  tipi  sono  invariabili. 
Inoltre,  il  tipo  (9b)  non  introduce  neppure  un  pattern  fonologico  estra- 
neo, dato  che  il  lessico  autoctono  del  piemontese  comprende  un  sia  pur 
ridotto  numero  di  maschili  invariabili  uscenti  in  -[u],  per  lo  più  corrispon- 
denti a  parole  proparossitone  latine  (e  italiane):  gomo  'gomito',  aso  'asi- 
no' ecc.  L'ingresso  di  nuovi  termini  in  questa  (sotto)classe  si  limita  ad  al- 
terare la  corrispondenza  diasistemica  per  cui  a  una  parola  parossitona  in 
-o  in  italiano  fa  riscontro  una  parola  uscente  in  consonante  in  piemontese. 

Il  tipo  (9c),  invece,  comporta  l'introduzione  di  una  nuova  classe  flessi- 
va, e  configura  pertanto  un'istanza  di  italianizzazione  anche  a  livello 
morfologico,  oltre  che  lessicale  e  fonologico,  per  la  comparsa  del  nuovo 
fono)  [o]  postonico''*. 

Va  sottolineato,  tuttavia,  che  la  nuova  classe  flessiva  in  -[o]  /-[i]  appa- 
re limitata  all'accoglimento  dei  prestiti.  Un  livello  maggiore  di  italianiz- 


'^  Nello  scritto  con  aspirazioni  puristiche  si  trovano  ancora  numerosi  casi  come  ròl 
'ruolo'  {É  04:  13;  anche  in  Brero  2001  accanto  a  ròlo,  che  è  preferito  come  lemma),  e  an- 
che telefon  {É  04:  8)  e  sit  'sito  Web'  {É  04:  14).  Per  quest'ultimo  cfr.  anche  Berruto  (que- 
sto volume). 

'''  Questo  [o]  non  configura  comunque  un  nuovo  fonema,  nonostante  la  presenza  di 
contrasti  sub-minimi  con  [u]  come  telèfono  [te'lefono]  vs.  ij  telèfono  [ij  te'lefunu]  'gli  te- 
lefono' :  infatti  [o]  atono  può  sempre  essere  visto  come  un  allofono  di  [o]  tonico,  con  cui  è 
in  distribuzione  complementare. 

139 


zazione  si  avrebbe  nel  caso  -  al  momento  non  ipotizzabile  -  che  la  nuova 
classe  attraesse  anche  parole  uscenti  in  [-u]  del  lessico  autoctono.  Finché 
ciò  non  avviene,  sarebbe  anche  possibile  negare  che  il  dialetto  abbia  acqui- 
sito una  nuova  classe  flessiva,  considerando  le  istanze  del  tipo  (9c)  sempli- 
cemente come  prestiti  occasionali  non  integrati  o  addirittura  casi  di  code- 
mixing  italiano  -  dialetto.  Ma  questa  opzione  a  mio  avviso  non  è  preferibi- 
le, tenuto  conto  che  numerose  parole  in  (9c)  appaiono  ben  acclimatate  sen- 
za avere  sviluppato  varianti  non  flesse  al  plurale  {*j' impiegato,  *ij  gelato). 
I  prestiti  italiani  in  -e  (maschili  e  femminili)  come  erede,  lege,  lòde, 
luce  ['lytse],  sede,  salute  [sa'lyte]  ecc.  seguono  un  percorso  analogo:  non 
vengono  accolti  nella  classe,  diasistematicamente  corrispondente,  degli 
invariabili  uscenti  in  consonante  (cfr.  can  'cane/i',  neuit  'notte/i'),  ma 
tendono  a  mantenere  la  -e  finale  al  singolare'^.  Anche  in  questo  caso  il 
piemontese  ha  un  piccolo  gruppo  di  termini  autoctoni  invariabili  in  -e 
(come  mare  'madre',  prèive  'prete')  che  può  servire  da  modello  per  man- 
tenere una  flessione  invariabile,  come  in  (  1 1  )-(  12): 

(11)  Per  voté  tante  mai  lege  {Fassin-e  'd  sabia,  p.  17) 

(12)  un-a  die  pi  bele  sede  d'esposission  {É  04:  14) 

Tuttavia,  forse  con  maggior  sistematicità  che  nel  caso  dei  prestiti  in  -o, 
si  registra  l'alternativa  dell'introduzione  di  una  nuova  classe  flessiva  "ita- 
lianeggiante"  in  -[e]  /-[i],  ben  attestata  già  nell'Ottocento'^: 

(13)  ubidient  a  le  legi  d'un  Goem  savi  e  modera  {Rid.  ili.  Ili,  14) 

(14)  Conpiasìsse  die  lodi  (Sant'Albino  1859,  s.v.  lode). 

Al  contrario,  i  prestiti  provenienti  dalla  classe  flessiva  dei  maschih  in  -a/-i 
(tipicamente  i  derivati  in  -ista)  non  danno  luogo  a  una  classe  flessiva  sul  mo- 
dello itahano,  ma  si  adeguano  sempre  al  paradigma  invariabile  del  dialetto:  ij 
comunista,  ij  problema  come  ij  barba  'gh  zii',  ij  giòbia  'i  giovedì'  ecc.'^ 

'^  Come  per  il  caso  precedente  dei  prestiti  in  -o,  negli  scritti  con  impronta  puristica  si 
trovano  casi  di  integrazione  nella  classe  omologa,  che  non  sembrano  avere  molti  riscontri 
nel  parlato,  comt  fras  {É  05:  8),  assente  in  Brero  (2001)  che  hdt.  frase. 

'^  In  vari  casi  i  prestiti  italiani  hanno  soppiantato  forme  autoctone  precedenti,  come  lèj 
per  'legge'  e  lus  per  'luce'.  Se  lus  ha  probabilmente  una  sua  residua  vitalità,  la  reintrodu- 
zione di  lèj  in  numerose  pubblicazioni  contemporanee  in  piemontese  (cfr.  anche  in  É  05: 
5,6,11)  ha  non  poco  di  artificioso.  Solo  lus.  ma  non  lèj,  compare  in  Brero  (2001). 

'^  Sorprendente  e  alquanto  innaturale,  almeno  per  chi  scrive,  è  la  scelta  "ipercorretta" 
di  integrare  alcuni  prestiti  in  -a  mediante  la  cancellazione  della  vocale  finale,  che  si  trova 
qualche  caso  in  É:  pianet  (04:12),  pilòt  (04:  8;  anche  in  Brero  2001  come  alternativa), 
program  (04:13),  genòm  uman  (05:  16). 

140 


Diverso  è  il  trattamento  dei  prestiti  nominali  morfologicamente  com- 
plessi, sia  uscenti  in  -o  sia  in  -e.  In  questo  caso,  prevale  il  parallelismo  tra 
i  suffissi  derivazionali,  per  cui  i  prestiti  vengono  di  norma  fatti  rientrare 
nella  classe  degli  invariabili,  al  pari  dei  derivati  già  esistenti  con  gli  stessi 
suffissi.  Si  avrà  quindi  èl/ii  versament,  V/j' assessore,  ël/ij  presentator, 
laAe  globalisassion,  la/le  lavatris,  ecc.  Lo  stesso  trattamento  può  venire 
esteso  a  parole  non  derivate  ma  terminanti  in  una  sequenza  omofona  a  un 
suffisso  derivazionale  (per  esempio  cruscòt  nelle  interviste  di  Bonato 
2004,  parlante  di  Collegno  (TO);  presente  anche  in  Brero  2001).  Questa 
strategia,  molto  rilevante  quantitativamente,  non  altera  in  alcun  modo  la 
struttura  morfologica  del  dialetto,  e  contribuisce  quindi  notevolmente  al- 
l'impressione complessiva  di  resistenza  all'italianizzazione  della  morfo- 
logia dialettale.  Si  noti  però  che  se  la  distanza  fonetica  tra  il  suffisso  ita- 
liano e  quello  piemontese  è  sensibilmente  maggiore  della  semplice  can- 
cellazione della  vocale  finale,  è  possibile  anche  la  strategia  italianizzante 
(9c):  è  il  caso  di  alcuni  nomi  in  -ato  come  impiegato  o  gelato  visti  sopra 
(dove  il  corrispettivo  piemontese  del  suffisso  è  -à). 

3.4.  È  soprattutto  nell'ambito  delle  classi  flessive  aggettivali  che  l'im- 
patto dei  prestiti  ha  conseguenze  rilevanti  che  possono  essere  lette  in  ter- 
mini di  italianizzazione.  Va  ricordato,  infatti,  che  la  situazione  di  partenza 
del  piemontese,  per  quanto  riguarda  il  lessico  di  tradizione  diretta,  non 
coincide  con  quella  italiana.  Nel  dialetto,  gli  aggettivi  risalenti  alla  secon- 
da classe  latina,  come  fort,  sono  stati  assimilati  a  quelli  risalenti  alla  pri- 
ma classe  come  aut,  introducendo  di  conseguenza  la  differenziazione  tra 
maschile  e  femminile  sia  al  singolare  che  al  plurale  (cfr.  Rohlfs  1968:  II, 
§  396).  D'altra  parte,  al  pari  dei  nomi,  le  forme  del  maschile  in  piemonte- 
se risultano  invariabili  rispetto  al  numero,  tranne  che  per  gli  aggettivi  ter- 
minanti in  -[1].  I  paradigmi  sono  riassunti  in  (15): 


sing. 

pi. 

m. 

f. 

m. 

f. 

aut  'alto' 

anta 

aut 

aute 

fort  'forte' 

fòrta 

fort 

fòrte 

bel  'bello' 

bela 

bej 

bele 

fòl  'matto' 

fòla 

fòj 

fòle 

I  prestiti  da  aggettivi  italiani  in  -e  (o  comunque  gli  aggettivi  giunti  al 
dialetto  per  tradizione  indiretta)  hanno  in  grande  maggioranza  una  struttu- 
ra morfologica:  sono  soprattutto  derivati  in  -al,  -bil,  o  -antZ-ent,  o  per  lo 


141 


meno  presentano  terminazioni  non  analizzabili,  ma  coincidenti  fonetica- 
mente con  suffissi  {comQ  federai,  nòbil,  récent).  Come  per  i  nomi  derivati 
in  -tor,  -Sion  ecc.,  anche  per  gli  aggettivi  la  presenza  di  un  suffisso  o  di 
una  terminazione  omofona  comporta  la  cancellazione  della  vocale  finale 
del  maschile,  che  si  adegua  da  questo  punto  di  vista  al  paradigma  nativo 
del  dialetto.  Tuttavia,  per  gli  aggettivi  l'adeguamento  alla  morfologia  del 
piemontese  non  è  completo:  si  registra  infatti  una  grande  oscillazione  tra 
la  flessione  secondo  il  paradigma  autoctono  in  (15)  e  una  flessione  "ita- 
lianizzata" che  neutralizza  l'opposizione  maschile/femminile  secondo  le 
forme  del  maschile.  Nella  varietà  più  familiare  a  chi  scrive,  la  tendenza  a 
seguire  il  modello  italiano  è  quasi  categorica  per  i  femminili  degli  agget- 
tivi in  -al  {11  naturala/ naturai  'naturale:?'),  estremamente  variabile  per 
quelli  in  -ib)il  {terìbila/terìbil)  e  molto  ridotta  per  quelli  in  -ant/-ent  (re- 
centall recent,  interessanta/linteressant)}^  Data  la  grande  variabilità  in 
quest'ambito,  ho  condotto  una  verifica  sistematica  del  comportamento 
degli  aggettivi  in  -al,  -bil  e  -ant/-ent  in  tutte  le  registrazioni  di  Donato 
(2004)  e  nei  due  numeri  di  E.  I  dati  orali  sono  purtroppo  scarsissimi  di 
esempi  per  il  tipo  -bil,  ma  per  gli  altri  due  tipi  rispecchiano  chiaramente 
la  tendenza  contrapposta  data  sopra.  Su  oltre  una  ventina  di  aggettivi  in  - 
al  usati  al  femminile  (come  dialetal,  musical,  régional,  tradissional,  sta- 
tai, normal,  ufissial  ecc.),  non  si  trova  nessun  caso  di  flessione  in  -a/-e, 
mentre  al  contrario  il  tipo  in  -nt,  pur  meno  frequente,  la  presenta  regolar- 
mente (con  casi  come  deficenta,  recenta,  diferenta,  amportanta/importan- 
ta,  potenta,  impressionanta,  antere  s  santa). 

Un  po'  diversi,  forse  prevedibilmente,  i  dati  dalla  fonte  scritta,  che 
coincidono  con  i  dati  orali  per  il  tipo  in  -nt,  e  mantengono  la  flessione  del 
femminile  anche  per  il  tipo  in  -bil,  qui  piìi  largamente  attestato  (cfr.  im- 
probàbila  05:  16,  sensìbila  05:  5,  amprevedìbila  04:  7,  atendìbila  04: 
15)^^,  ma  registrano  una  forte  oscillazione,  con  differenze  idiolettali  evi- 
denti, per  gli  aggettivi  in  -al,  dove  in  alcuni  articoli  gli  autori  appaiono 

'*  Delle  recenti  grammatiche  divulgative  del  piemontese,  l'unica  che  menziona  in  par- 
te la  questione  è  Villata  (1997:  66-67),  che  afferma  che  gli  aggettivi  in  -/  (dunque  sia  quel- 
li in  -bil  che  quelli  in  -al)  hanno  il  femminile  identico  al  maschile,  con  la  possibile  ecce- 
zione degli  aggettivi  in  -//  accentati  sull'ultima  sillaba,  come  gentil  (oltre  che  evidente- 
mente di  bel,  tranquil  e  sim.).  Una  nota  tempera  però  questa  affermazione,  sostenendo  che 
"alcuni  parlanti  sono  soliti  accordare  gli  aggettivi  uscenti  in  -/".  Non  si  fa  menzione  espli- 
cita degli  aggettivi  in  -nt,  che  per  default  dovrebbero  rientrare  quindi  nel  tipo  con  flessio- 
ne distinta  del  femminile. 

'^  Si  possono  segnalare  peraltro  un  paio  di  eccezioni:  biblioteca  circolant  (04:  10)  e 
j'arsorse  disponibij  (05:  4). 

142 


proporsi  di  mantenere  la  flessione  tipicamente  piemontese  in  -a/-e  {la  ge- 
mala defìnission  04:  7,  tension  internassionala  04:  8,  ëd  pitanse  normale 
05:  12),  con  risultati  peraltro  non  coerenti  nemmeno  all'interno  dello  stes- 
so testo,  come  si  vede  da  casi  come  ìj  pregiudisse  ëd  l 'industria  coltural 
ossidentala  (05:  9). 

Anche  in  questo  caso,  la  variabilità  descritta  non  è  propria  solo  del  pe- 
riodo contemporaneo,  come  mostrano  gli  esempi  ottocenteschi  seguenti: 

(16)  mi  j' era  présent  ch'i  plorava  ['piangevo'  :  parla  una  donna]  {Rid. 
ili  II,  3) 

(17)  Impertinenta\  Goardé  come  ch'i  risponde  {Travet  I,  14) 

(18)  [parla  un  contadino]  La  mastinarìa  ch'a  l'ha  fame  ancheuj  l'è 
nen  naturala  an  chila  {Rid.  ili.  II,  3) 

(19)  [parla  un  prete]  Perchè  ch'a  la  campagna  le  person-e  pi  semphci 
a  secondo  mej  '1  moviment  del  cheur  e  cola  naturai  simpatìa 
eh' as  vëddo  a  nasse  ant  ij  marior  ['i  giovani  in  età  da  matrimo- 
nio'] {Rid.  ili.  11,6) 

(20)  L'agricoltura  a  l'è  un-a  die  còse  le  pi  nòbij  e  le  pi  utij  ch'a-i  sia 
al  mond  {Travet  II,  13) 

È  anzi  probabile  che  nella  varietà  scritta  della  koiné  di  metà  Ottocento, 
priva  di  scrupoli  puristici  e  incline  al  trasferimento  massiccio  di  prestiti, 
la  flessione  di  tipo  italiano  fosse  pili  estesa  di  quanto  non  avvenga  a 
tutt'oggi  nel  parlato-^. 

La  flessione  senza  opposizione  maschile/femminile  di  aggettivi  come 
naturai  o  terìbil  ha  l'effetto  di  reinstaurare  nel  sistema  del  piemontese 
una  seconda  classe  flessiva  aggettivale  riducendo  in  questo  ambito  la  di- 
stanza strutturale  con  l'italiano,  per  cui  si  può  senz'altro  parlare  di  un 
processo  di  italianizzazione  che  coinvolge  la  morfologia  flessiva.  In  que- 
sto caso,  l'impatto  sul  sistema  del  piemontese  è  decisamente  piià  rilevante 
di  quanto  lo  fosse  per  i  nomi,  dato  che  molti  aggettivi  che  rientrano  in 
questa  classe,  sia  pur  di  tradizione  "dotta",  sono  da  lunghissimo  tempo 


^'^  Esempi  di  flessione  "italiana"  di  questi  aggettivi  si  trovano  comunque  anche  prima, 
nel  Settecento  (citiamo  da  Gasca/Clivio/Pasero  2003,  quindi  con  grafia  normalizzata):  per 
es.  in  Ventura  dona  incomparàbil  (p.  479),  e  persino  nella  lingua  di  registro  schiettamente 
popolare  di  Isler:  dota  fosonant  'dote  abbondante'  (p.  388,  in  rima).  Meno  sorprendente  è 
incontrare  il  tipo  nel  piemontese  di  corte  di  Pipino:  cfr.  Cort  rispetàbil  (p.  526),  comedia 
pastoral  (p.  528),  còsa  [...]  intéressant  (p.  530);  però  anche,  a  pochissima  distanza  nello 
stesso  testo:  paròle  [...]  provensale  (p.  525),  përson-e  ignorante  (p.  527,  529). 

143 


acclimatati  nel  piemontese  e  appartengono  indubitabilmente  al  vocabola- 
rio fondamentale  e  quotidiano  dei  parlanti.  In  particolare,  per  gli  aggettivi 
in  -al  dove  il  passaggio  appare  sostanzialmente  categorico  nel  parlato,  si 
può  parlare  di  un  processo  che  coinvolge  uno  strato  lessicale  sentito  com- 
pletamente come  nativo. 

Fonologicamente  assai  meno  integrati  sono  un  gruppo  di  aggettivi 
uscenti  in  -e,  come  capace,  felice,  grave,  velóce,  che  danno  luogo  a  una 
ulteriore  classe  flessiva  parallela  all'italiano,  con  plurale  -[i]  al  pari  dei 
nomi  come  lege,  e  naturalmente  senza  distinzione  maschile/femminile-'. 
Anche  questi,  peraltro,  si  trovano  già  nell'Ottocento,  non  solo  nei  dizio- 
nari ma  anche  nei  testi,  come  negli  esempi  seguenti  (si  noti  anche  sempli- 
ci nell'es.  19): 

(21)  Gnun,  fora  dl'amor  dia  patria,  sana  sta  capace  d'alontaneme  da 
la  mia  Nisin-a  (Rid.  ili.  1,4) 

(22)  nojautri,  so  felici  subordina  (Travet  II,  2) 

Casi  di  questo  tipo  sono  anche  rintracciabili  per  alcuni  aggettivi  in  -o 
senza  terminazioni  assimilabili  a  suffissi.  Per  esempio,  serio  è  integrabile 
secondo  le  strategie  (9b)  e  (9c).  Nel  primo  caso  sia  ha  ['serju],  invariabile 
al  maschile,  col  femminile  seria,  sul  modello  di  qualche  aggettivo  nativo 
come  bòrgno/a  'cieco/a';  nel  secondo  si  ha  la  forma  italianizzata  ['serjo], 
con  un  m.  pi.  seri  parallelo  al  tipo  gelato/i".  Un'occorrenza  del  tipo  inva- 
riabile nella  pubblicistica  degli  anni  Cinquanta  è  per  esempio: 

(23)  basta,  foma//5eno,  ch'a  ré  ora  (Fassin-e  'd  sabia,p.  5) 


4.  Autonomia  dei  paradigmi  flessivi 

Il  terzo  livello  rispetto  a  cui  verificare  l'effetto  del  contatto  linguistico 
sul  dialetto  concerne  più  direttamente  la  flessione:  non  l'organizzazione 


^'  L'adeguamento  di  questi  pochi  aggettivi  in  -e  al  paradigma  di  grand,  con  l'introdu- 
zione di  un  femminile  in  -a,  è  assolutamente  esclusa  {*felicia,*velocia  e  sim.  sono  incon- 
cepibili). Anche  per  questi  aggettivi  si  possono  trovare  nella  pubblicistica  contemporanea 
tentativi  di  integrazione  puristica  come  grav  (È:  04:  6),  assente  però  in  Brero  (2001),  che 
invece  axmnette  felice,  grave,  velóce  (anche  se  non  capace). 

^^  L'integrazione  massimamente  "nativa"  m.  sing./pl.  seri,  f.  seria  (secondo  il  modello 
autoctono  di  aggettivi  come  tëbbiltëbbia  'tiepido/a',  stofi  /stofìa  'stufo/a')  è  segnalata  in 
Sant'Albino  (1859),  con  un  rimando,  e  in  Brero  (2001)  accanto  a  serio,  ma  non  sembra 
più  granché  utilizzabile  oggi.  Gribaudo  (1983)  ha  solo  serio,  che  è  già  l'unica  forma  nel 
Monsù  Travet  (5  occorrenze). 

144 


delle  classi  flessive  vista  in  3.,  bensì  le  forme  stesse  dei  paradigmi  relativi 
allo  strato  autoctono  del  lessico.  Anche  in  questo  dominio  sarebbe  conce- 
pibile un'influenza  dell'italiano,  nel  senso  di  una  sostituzione  di  morfemi 
particolarmente  lontani  da  quelli  italiani  con  desinenze  italiane  più  o  me- 
no adattate  fonologicamente.  Non  vi  è  però  traccia  di  questa  tendenza  nei 
parlanti  intervistati  da  Donato  (2004),  il  che  conferma  quanto  emerso  in 
altri  studi  (cfr.  ora  Berruto,  questo  volume),  e  cioè  che  la  morfologia  fles- 
siva risulta  il  nucleo  di  massima  resistenza  all'italianizzazione.-^ 

n  carattere  fondamentalmente  autonomo  e  impermeabile  del  sottosi- 
stema della  morfologia  flessiva  rispetto  ai  due  livelli  precedentemente 
esaminati  è  particolarmente  chiaro  in  prospettiva  diacronica.  Si  è  visto  nei 
paragrafi  2.  e  3.  che  la  perdita  di  autonomia  della  derivazione  e  la  riorga- 
nizzazione delle  classi  flessive,  entrambe  dovute  in  definitiva  all'impatto 
dei  prestiti  lessicali  dall'italiano,  non  sono  fenomeni  solo  recenti,  ma  so- 
no largamente  presenti  per  lo  meno  in  tutto  l'Ottocento  e  anche  prima.  Al 
contrario,  nello  stesso  periodo  la  morfologia  flessiva  del  piemontese  non 
solo  conserva  la  sua  autonomia,  ma  registra  persino  un  certo  numero  di 
evoluzioni  in  senso  "anti-italianizzante"  nell'ambito  della  flessione  ver- 
bale. 

La  prima  è  la  sparizione  definitiva  del  passato  remoto,  le  cui  ultime  at- 
testazioni scritte  sono  rintracciabili  nei  primi  anni  dell'Ottocento,  per 
esempio  nelle  poesie  di  Agostino  Bosco  e  nelle  Ridicole  illusioni  (quasi 
tutte  in  bocca  ai  personaggi  contadini);  cfr.  Clivio  (1969  [1976:  75  n.3]). 

Pili  recente  è  la  regolarizzazione  dei  participi  passati  irregolari  del  tipo 
scriva  'scritto',  vincili,  'vinto',  rompu  'rotto'  ecc.  I  participi  irregolari  so- 
no stati  eliminati  quasi  completamente  nella  flessione  dei  tempi  composti 
del  dialetto  odierno  (ne  rimangono  pochissimi,  come  mòrt,  visi  oltre  a 
quelli  in  -ait  di  alcuni  verbi  ampiamente  irregolari  come  dait,  stait,  fait, 
andait),  ma  erano  ancora  ampiamente  utilizzati  (per  lo  piìi  in  alternanza 
con  le  forme  regolarizzate)  fino  a  tutto  l'Ottocento,  come  negli  esempi 
seguenti: 

(24)  Pòvr  fieul!  aj'han  un  pò  rat  la  testa  (Rid.  ili.  Ili,  1) 

(25)  j'heu<ÌMv^rr  na  sotoscrission  {Travet  11,2) 

^^  Un  caso  in  cui  si  potrebbe  forse  ravvisare  un'evoluzione  dei  paradigmi  flessivi  in 
direzione  italiana  è  costituito  dal  regresso  della  forma  contestuale/  per  l'articolo  femmi- 
nile plurale  davanti  a  vocale  (j'orije  'le  orecchie',  oggi  spesso  sostituito  da  le  orije).  Ma  la 
forma  le  (segnalata,  sia  pur  come  rara,  in  Aly-Belfàdel:  1933:  96)  è  già  attestata  accanto  a 
ì'  almeno  in  tutto  l'Ottocento.-  le  idee  {Rid.  ili.  II,  6),  le  ore  {Travet  III,  7),  le  òche  {Mario- 
ma  Clarin  I,  3)  ecc. 

145 


(26)   ...  a  t'han  imponute  'd  chité  la  società  e  a  l'han  obligate  a  lassé 
coj  ëstudi  che  fórse  a  t'avrìo  distint  (Marioma  Clarin  I,  2) 

Per  gli  anni  Trenta  del  Novecento,  Aly-Belfàdel  (1933:  221)  segnala 
che  "esistono  i  participi  irregolari,  ma  sono  di  gran  lunga  meno  usati  e  di 
uso  più  antiquato  che  non  i  regolari".^"^ 

Questo  mutamento  morfologico  ha  una  motivazione  intema  al  sistema 
del  piemontese,  in  quanto  produce  una  semplificazione  dei  paradigmi 
flessivi,  ma  sul  piano  del  confronto  italiano-dialetto  si  muove  in  direzione 
opposta  all'italianizzazione^^. 

Infine,  è  fondamentalmente  novecentesca  l'estensione  in  torinese  del- 
l'infinito in  -e  atono  tipico  dei  verbi  della  seconda  coniugazione  a  quasi 
tutti  i  verbi  in  -ì  del  tipo  di  it.  dormire,  cioè  quelli  che  non  presentano  il 
tema  in  -is-  (=  it.  -isc-)  nelle  forme  rizotoniche  (cfr.  Grassi  1993:  284). 
Gli  infiniti  cusì  'cucire',  durmì,  partì,  sentì,  surtì  'uscire'  ecc.  sono  nor- 
mali nei  testi  dell'Ottocento  e  sono  gli  unici  riportati  in  Sant'Albino 
(1859),  ma  oggi  a  Torino  esistono  quasi  solo  le  forme  innovate  cuse, 
deurme,  parte,  sente,  seurte.  Anche  qui  si  tratta  di  un'evoluzione  che  al- 
lontana le  forme  flesse  piemontesi  da  quelle  italiane. 

5.  Conclusioni 

In  questo  contributo  si  è  illustrato  come  nelle  varietà  piemontesi  il 
contatto  con  l'italiano  sia  tutt' altro  che  privo  di  conseguenze  sulla  morfo- 
logia: in  particolare,  è  dubbio  che  si  possa  parlare  ancora  di  una  morfolo- 
gia derivazionale  autonoma,  e  anche  il  sistema  delle  classi  flessive  non 
appare  impermeabile  all'italianizzazione,  particolarmente  negli  aggettivi. 
D'altra  parte,  il  nucleo  "duro"  della  morfologia  flessiva,  in  gran  parte  ver- 
bale, non  manifesta  fenomeni  di  convergenza  con  l'italiano,  e  la  sua  sta- 
bilità consente  di  ipotizzare  come  alquanto  improbabile,  nel  quadro  so- 

^'*  Molti  participi  irregolari  sono  tuttora  utilizzabili  correntemente,  ma  solo  come  ag- 
gettivi o  quanto  meno  modificatori  nominali:  z  l'hai  rompu  ël  vas  vs,  ël  vas  a  l'é  rot;  la 
fnestra  a  va  durbïa  vs.  a-i-é  na  fnestra  duverta;  a  l'ha  scriva  un  liber  vs.  un  liber  bin 
scrit.  Cfr.  Villata  (1997:  206-208). 

-^  Paradossalmente,  in  torinese  il  tipo  in  -iî  si  è  invece  esteso  nel  Novecento  al  verbo 
vnì  (in  chiaro  rapporto  di  analogia  semantica  con  andé),  che  ha  oggi  vnuit  rispetto  al  più 
antico  vnù,  e  addirittura  al  verbo  originariamente  regolare  pijé  'prendere',  nel  quale  la  for- 
ma analogica  p/a//  (cfr.  Aly-Belfàdel  1933:  220,  Villata  1997:  206)  sarà  stata  indotta  dalla 
normale  pronuncia  monosillabica  [pje]  dell'infinito,  che  apparenta  fonologicamente  il  ver- 
bo alla  serie  di  de,  fé,  sté.  Ma  anche  questa  estensione  in  controtendenza  si  caratterizza  co- 
me del  tutto  autonoma  dai  modelli  italiani,  anzi  vi  si  contrappone. 

146 


ciolinguistico  piemontese,  la  formazione  di  varietà  ibridizzate  in  cui  ven- 
ga meno  la  distinguibilità  tra  i  due  codici.  Infine,  si  è  sottolineato  il  fatto, 
peraltro  già  ben  noto  (cfr.  Berruto  1997:  14),  che  i  fenomeni  di  italianiz- 
zazione in  questione  non  appaiono  specifici  del  periodo  contemporaneo, 
ma  si  trovano  largamente  attestati  nella  varietà  torinese  urbana  -  scritta, 
ma  presumibilmente  anche  parlata  dalle  classi  elevate  -  almeno  fin  dal 
primo  Ottocento.  Non  sembra  quindi  che  la  situazione  attuale  di  grande 
marginalità  del  dialetto  (in  termini  di  numero  di  parlanti  e  di  ambiti  di  im- 
piego) stia  comportando  uno  stravolgimento  delle  caratteristiche  del  codi- 
ce qualitativamente  diverso  da  quanto  già  presente  addirittura  in  epoca 
preunitaria,  quando  il  dialetto  aveva  il  dominio  completo  dell'oralità;  se 
non,  forse,  nella  forte  riduzione  delle  potenzialità  realmente  autonome  di 
arricchimento  del  lessico,  inevitabile  conseguenza  della  perdita  da  parte 
del  dialetto  di  qualunque  dominio  di  impiego  esclusivo. 


147 


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Piemontesi,  1986. 


149 


Atteggiamenti  linguistici  e  valutazioni  dei  parlanti  in  Pie- 
monte 

Sabina  Canobbio,  Monica  Cini,  Riccardo  Regis  (Torino)' 


1.  Introduzione 

L'indagine  di  cui  si  riferiscono  qui  alcuni  risultati  aveva  lo  scopo  di 
sondare  atteggiamenti  e  opinioni  di  parianti  piemontesi  attorno  ad  alcuni 
aspetti  dell'attuale  situazione  linguistica  della  nostra  regione^  Essa  ha  ri- 
guardato in  particolare  l'uso  dei  codici  Dialetto  locale  /  Dialetto  di  koinè  / 
Lingua  italiana  nei  diversi  domini,  i  rapporti  reciproci  e  quindi  la  gerar- 
chia di  tali  codici  nel  repertorio,  il  dialetto  della  propria  comunità  rispetto 
alle  varietà  diatopiche  altre  (del  Piemonte  principalmente  ma  non  solo),  e 
si  è  svolta  dunque  nella  prospettiva  di  quella  dialettologia  percezionale^ 
che  sembra  oggi  rappresentare  un  naturale  sviluppo  dell'attenzione  al 
punto  di  vista  del  parlante  tradizionalmente  presente  nella  prassi  di  ricer- 
ca della  "scuola  di  Torino".  Un  punto  di  vista,  quello  del  pariante,  che  ov- 
viamente non  si  intende  sostituire  a  quello  del  linguista  ma  che,  ogni  vol- 
ta che  venga  ascoltato,  sembra  fornire  qualche  elemento  interessante  a 
supporto  e  complemento  di  quanto  viene  rilevato  con  altre  metodiche  e  da 
altre  prospettive'^. 

Per  compiere  l'indagine  sono  state  scelte  otto  località  del  Piemonte, 
rappresentative  delle  principali  aree  linguistiche  regionali  individuate  dal- 


'  Pur  essendo  questo  testo  frutto  di  una  riflessione  condivisa,  vanno  attribuiti  a  Sabina 
Canobbio  i  §  1  e  6,  a  Monica  Cini  il  §  5  a  Riccardo  Regis  i  §  2,  3  e  4. 

2  II  gruppo  di  lavoro  che  ha  proposto  e  poi  sviluppato  questa  parte  di  attività  all'inter- 
no dell'unità  torinese  era  formato,  oltre  che  dagli  scriventi,  anche  da  Tullio  Telmon  e  da 
Gianmario  Raimondi. 

3  Secondo  la  scelta  metalinguistica  che  Tullio  Telmon  ha  spiegato  in  Telmon  (2002), 
introduzione  agli  Atti  del  convegno  di  Bardonecchia  (Cini  -Regis  2002),  ai  quali  si  riman- 
da per  un  ampio  inquadramento  delle  tematiche  qui  toccate.  Sui  diversi  aspetti  della  "per- 
cezione" linguistica  interessanti  osservazioni  si  trovano  in  D'Agostino  (2002). 

"^  Rimandiamo  in  tal  senso  alle  equilibrate  osservazioni  di  Gaetano  Berruto,  nelle  sue 
conclusioni  del  già  citato  convegno  di  Bardonecchia  (Berruto  2002). 

151 


la  letteratura  corrente^,  con  esclusione  della  parte  montana  della  regione 
caratterizzata  dalla  presenza  di  minoranze^  e  per  questo  interessato  da  di- 
namiche del  tutto  particolari.  I  punti  di  inchiesta,  di  cui  si  può  verificare 
la  distribuzione  nella  Carta  dei  punti  (pag.  179),  sono  stati  5  per  il  Pie- 
monte caratterizzato  dalla  presenza  del  piemontese  e  delle  sue  varietà:  Te- 
stona  (frazione  collinare  di  Moncalieri),  per  l'area  (peri)torinese;  Orio  per 
quella  canavesana;  Sordèvolo  per  quella  biellese;  Alba  per  quella  langaro- 
lo-monferrina;  Verzuolo  per  quella  alto-piemontese.  Inoltre,  3  per  le  zone 
cosiddette  intermedie  e  cioè  Vercelli  per  il  Vercellese  e  Solerò  per  l'Ales- 
sandrino; infine  1,  Galliate  (Novara),  per  il  Piemonte  linguisticamente 
non  piemontese  ma  lombardo^. 

In  ciascuna  di  queste  località  sono  stati  interrogati  6  parlanti,  un  ma- 
schio e  una  femmina  per  ciascuna  delle  tre  fasce  d'età  18-30  anni  (che  ci- 
teremo qui  come  dei  "giovani",  o  I);  31-60  (degH  "adulti",  o  II);  61  e  ol- 
tre (degli  "anziani",  o  III),  per  un  totale  dunque  di  48  informanti*^  ai  quali 
è  stato  sottoposto  un  questionario  di  70  domande  (la  maggior  parte  a  scel- 
ta multipla  e  alcune  di  esse  anche  attraverso  il  confronto  con  carte  geo- 
grafiche) seguite  da  una  prova  di  riconoscimento,  e  di  comprensione,  del- 
le varietà  dialettali  delle  località  indagate  (della  propria  e  delle  altre  sette) 
sulla  base  di  campioni  di  parlato  registrato^. 

In  particolare,  la  prima  batteria  di  domande  era  tesa  a  qualificare  la 
fonte  oltre  che  anagraficamente,  rispetto  a  scolarità  e  professione,  mobi- 
lità, codice  di  formazione  primaria,  altre  competenze  linguistiche'^.  La 


5  Si  vedano  in  particolare  Berruto  (1974),  Telmon  (1988a  e  2001). 

^  Nella  fascia  occidentale  quelle  galloromanze,  più  a  oriente  quelle  alemanniche. 

^  Con  una  scelta  rivelatasi  in  realtà  non  completamente  felice  per  la  spiccata  indivi- 
dualità che,  anche  nella  nostra  indagine,  Galliate  ha  rivelato  rispetto  al  capoluogo  provin- 
ciale e  all'intera  area  novarese.  Cfr.  su  Galliate  in  particolare  Belletti  et  alii  (1984)  e  la  sua 
ricca  bibliografia. 

^  Va  da  sé  che  da  un  lato  l'esiguità  del  numero  degli  informanti  d'altro  lato  il  mancato 
bilanciamento  rispetto  ad  altri  parametri  (quali  scolarità,  professione,  ecc.)  non  ne  fa  un 
campione  sociologicamente  rappresentativo  e  di  questo  andrà  naturalmente  tenuto  conto 
in  eventuali  valutazioni  di  tipo  quantitativo,  che  non  potranno  che  essere  del  tutto  relative. 
Le  fonti  saranno  indicate  nel  testo  con  una  stringa  di  identificazione  formata  da:  indica- 
zione di  genere  (F/M)  -  fascia  d'età  (I,  II,  III)  -  nome  della  località. 

"^  In  questa  sede  vengono  riportate  per  motivi  di  spazio  le  sole  domande  coinvolte  dal- 
la trattazione. 

'°  Va  precisato  che  per  la  fascia  dei  "giovani"  non  è  stata  indicata  come  conditio  sine 
qua  non  per  partecipare  all'indagine  una  competenza  anche  attiva  del  dialetto  locale  e 
quindi  queste  fonti  non  sono  state  selezionate  sulla  base  di  tale  parametro;  rimando  a  dopo 
per  qualche  osservazione  sulle  competenze  attestate  dai  sedici  giovani. 

152 


seconda  batteria  di  domande  riguardava  i  domini  d'uso  di  italiano  e  dia- 
letto. Ne  seguivano  altre  dedicate  alla  percezione  del  dialetto  e  di  suoi 
"confini",  sia  diatopici  sia  funzionali;  alla  percezione  dell'italiano;  alla 
percezione  congiunta  di  italiano  e  dialetto;  alle  opinioni"  dei  parlanti  sul 
grado  di  bellezza,  di  simpatia  e  di  differenza  di  una  serie  di  varietà  dialet- 
tali (non  solo  del  Piemonte)  rispetto  alla  propria.  Sezione  quest'ultima  de- 
stinata evidentemente  a  stanare  gli  stereotipi  e  i  pregiudizi  dei  piemontesi 
ma,  perché  no,  anche  a  verificare  se  sono  stereotipi  quelli  sui  piemontesi 
che  li  vogliono  diffidenti  e  ostili  verso  i  meridionali  e,  per  altri  motivi, 
verso  i  lombardi,  chiusi  verso  tutti  gli  altri,  ecc.ecc.  Un  questionario  che 
comunque,  pur  prevedendo  per  una  buona  parte  almeno  delle  domande 
anche  una  semplice  apposizione  di  crocette  in  corrispondenza  di  una  delle 
risposte  previste  dai  menu,  è  stato  utilizzato  secondo  modalità  non  rigide, 
lasciando  agli  informatori  lo  spazio  per  risposte  e  valutazioni  più  articola- 
te, proprio  quelle  che  ora,  dato  che  i  rilievi  sono  stati  tutti  integralmente 
registrati '2  e  le  registrazioni  sono  state  poi  trascritte  quasi  integralmente, 
costituiscono  per  noi  la  differenza,  cioè  materiali  più  ricchi  ma  anche  più 
problematici  e  complessi  da  leggere  ed  elaborare. 

In  effetti  come  prima  valutazione  complessiva  del  rilievo  possiamo  di- 
re che,  anche  se  il  questionario  non  ha  ben  funzionato  in  tutte  le  sue  parti, 
ci  siamo  trovati  alla  fine  con  una  massa  di  dati  così  cospicua  e  complessa 
da  doverne  rimandare  una  presentazione  complessiva  e  organica  a  una  di- 
versa e  più  ampia  sede'^  Umitandoci  qui  a  riportare  alcuni  degli  spunti,  in 
particolare  attorno  alla  componente  dialettale  del  repertorio  e  sui  relativi 
giudizi  di  bellezza  e  simpatia,  che  sembrano  più  promettenti  rispetto  a  fu- 
turi approfondimenti. 

'•  Erano  queste  le  domande  di  matrice  più  propriamente  "prestoniana",  con  riferimento 
quasi  obbligato  alle  ormai  classiche  ricerche  di  Preston  e  dei  suoi  collaboratori  negli  Stati 
Uniti  (cfr.  Niedzielski-Preston  2000)  ma  la  consapevolezza  del  contesto  in  cui  quegli  studio- 
si hanno  lavorato  (e  altri  prima  di  loro  altrove),  ben  diverso  da  quello  di  lingua  cum  dialectis 
che  è  il  nostro,  giustifica  la  solo  parziale  fruibilità  di  quelle  esperienze  e  infatti  non  a  caso  il 
nostro  questionario  è  in  realtà  debitore  anche  e  soprattutto  rispetto  ad  altri  modelli  e  ad  altre 
ricerche  appartenenti  ad  ambiti  a  noi  più  vicini.  Per  una  prima  rassegna  bibliografica  specifi- 
ca rimando  a  Canobbio  /  lannàccaro  (2000  e  2002),  ma  è  doverosa  ahneno  la  citazione  espU- 
cita  di  nomi  quali  quello  di  Nora  Galli  de'  Paratesi  (1984),  di  Léo  Léonard  (1987),  di  Ga- 
briele lannàccaro  e  di  Vittorio  deU'Aquila  (1998),  di  Laura  Ajnardi  (1999/2000). 

'^  90'  circa  di  registrazione  per  ciascun  parlante. 

'3  Si  segnala  che  un  ampio  resoconto  su  quanto  raccolto  a  proposito  della  percezione  dei 
rapporti  tra  dialetto  e  italiano  è  stato  presentato  da  Tullio  Telmon  ad  un  recente  convegno  pa- 
lermitano (Telmon  2005),  mentre  brevi  anticipazioni  su  alcuni  aspetti  della  ricerca  sono  state 
fatte  da  Sabina  Canobbio  al  Deutscher  Romanistentag  di  Kiel  (Canobbio  in  stampa). 

153 


2.    Il  sentimento  dell'onnipotenza  semantica 

Vediamo  in  primo  luogo  quali  opinioni  manifestano  i  nostri  informato- 
ri sul  dialetto.  Dalle  reazioni  alla  domanda  15,  "Crede  che  in  dialetto  si 
possa  parlare  di  qualsiasi  cosa?",  cui  soltanto  8  intervistati  su  48  hanno  ri- 
sposto negativamente,  si  deduce  che  essi  credono  abbastanza  fermamente 
nell'onnipotenza  semantica  del  codice  locale;  un  atteggiamento  simile  si 
è  riscontrato  di  fronte  alle  domande  16,  "Crede  che  qualsiasi  testo  (anche 
letterario)  possa  essere  tradotto  in  dialetto?",  e  28bis,  "Crede  che  in  dia- 
letto si  possa  scrivere  qualsiasi  cosa?",  che  hanno  totalizzato  rispettiva- 
mente 10  e  13  risposte  negative.  Come  già  faceva  notare  Telmon  (2002: 
XIII),  "il  paradigma  dialettofobico  che  in  Italia  ha  percorso  per  lo  meno 
l'ultimo  secolo  e  mezzo"  non  ha  attecchito,  o  ha  attecchito  soltanto  in  mi- 
sura ridotta,  nella  coscienza  del  parlante  comune.  Certamente,  nel  valuta- 
re le  possibilità  comunicative  del  dialetto,  svolge  un  ruolo  non  secondario 
la  variabilità  diamesica;  ed  in  effetti,  passando  dal  mezzo  orale  al  mezzo 
scritto,  i  giudizi  degli  informatori  si  "raffreddano"  (le  risposte  negative 
salgono,  come  si  è  già  ricordato,  da  8  [domanda  15]  a  13  [domanda 
28bis]).  Questo  dato  andrà  tuttavia  letto  non  già  come  una  denuncia  delle 
lacune  lessicali  del  dialetto,  bensì  come  l'ammissione  delle  difficoltà  ma- 
teriali che  la  scrittura  del  dialetto  comporta  (F-I-Alba  afferma  significati- 
vamente che  il  "dialetto  è  più  da  parlare  che  da  scrivere").  Una  categoria 
intermedia  fra  mezzo  scritto  e  mezzo  orale  è  rappresentata  dalla  "tradu- 
zione", che  può  evidentemente  interessare  entrambi  i  canali;  anche  il  giu- 
dizio degli  informatori  è  in  questo  caso  interlocutorio,  con  10  risposte  ne- 
gative. 

Può  essere  interessante  evidenziare  che  i  più  scettici  circa  le  potenzia- 
lità del  dialetto  sono  stati  gli  intervistati  al  di  sotto  dei  30  anni,  i  quali 
hanno  spesso  posto  in  rilievo  come  le  lingue  locali  rivelino  carenze  sul 
versante  della  terminologia  tecnica  (informatica,  in  primis):  da  questa  fa- 
scia d'età,  sono  giunte  ben  18  risposte  negative  su  31.  Occorrerà  d'altro 
canto  sottolineare  che  fra  gli  assertori  più  convinti  dell'onnipotenza  se- 
mantica del  dialetto  vanno  annoverati  gli  ultrasessantenni,  che  soltanto  in 
5  casi  hanno  dato  parere  negativo  sull'uso  del  codice  regionale  per  parla- 
re, tradurre  o  scrivere  di  qualsiasi  cosa. 

I  dati  più  significativi  ci  giungono  però  dal  confronto  simultaneo  fra  le 
risposte  fomite  alle  domande  15,  16  e  28bis.  Assumendo  l'implicazione 
oraloscritto,  in  base  alla  quale  l'impiego  del  dialetto  per  scrivere  di  qua- 
lunque argomento  è  subordinato  al  suo  utilizzo  per  parlare  di  qualsiasi  co- 
sa, si  arriva  ad  una  serie  di  combinazioni  di  risposte  più  o  meno  corrette. 
Sarà  ad  esempio  non  corretta  la  combinazione  SNS  (ovvero  Sì  alla  do- 

154 


manda  15,  No  alla  domanda  16  e  Sì  alla  domanda  28bis):  attestata  per  3 
dei  nostri  informatori,  essa  è  alquanto  improbabile  poiché,  se  si  dichiara 
che  il  dialetto  non  può  essere  usato  per  parlare  o  scrivere  di  qualsiasi  co- 
sa, risulta  poi  arduo  dimostrare  le  ragioni  del  suo  impiego  per  tradurre 
(oralmente  o  per  iscritto)  qualunque  testo.  Andrà  invece  considerata  cor- 
retta la  combinazione  SSN,  riscontrabile  nell'intervista  a  M-I-Orio:  Sì  al- 
la domanda  15,  Sì  alla  domanda  16  (ma,  precisa  l'informatore,  soltanto 
nell'orahtà).  No  alla  domanda  28bis.  In  base  ai  criteri  ora  illustrati,  si  so- 
no registrate  5  combinazioni  non  corrette  (4  del  tipo  SNS,  1  del  tipo  NSS, 
1  del  tipo  NSN). 

3.  La  percezione  in  diatopia 

3.1.  Per  quanto  riguarda  la  percezione  in  diatopia,  e  piìi  precisamente  nel- 
r  indicare  da  quali  tratti  sia  riconoscibile  la  propria  parlata  (domanda  21)  ri- 
spetto alle  altre,  gli  intervistati  fanno  grande  uso  degli  aggettivi  "largo"  e 
"stretto"^"^:  F-IH-Solero  caratterizza  il  proprio  dialetto  come  "più  largo"  ri- 
spetto ai  dialetti  limitrofi,  e  a  quello  di  Quargnento  in  particolare,  che  "è  piii 
stretto,  [..]  più  italiano";  la  parlata  di  Vercelli  è,  nel  contempo,  più  larga  del 
torinese  (F-III- Vercelli)  e  più  stretta  delle  parlate  dei  paesi  vicini  (M-III- Ver- 
celli); e  la  Usta  potrebbe  proseguire  con  l'albese  ("più  largo  del  torinese;  me- 
no cantilenante  del  cuneese":  M-I-Alba)  e  con  la  varietà  di  Orio  (che  è  ''mol- 
to larga"  [F-I-Orio]  e  ''molto  differente  dalla  parlata  torinese,  che  è  molto  più 
stretta"  [M-H-Orio]). 

Non  mancano  poi  esempi  concementi  il  lessico  (cil  e  cila,  'lui'  e  'lei'  sono 
indicati  da  più  di  un  informatore  come  tipici  del  solerino;  nin  'non'  è  avver- 
bio prettamente  oriese,  ecc.),  né  annotazioni  fantasiose  (presenza  di  slavismi 
nel  vercellese  o  di  accenti  tedeschi  nel  galliatese).  In  particolare,  desta  una 
certa  curiosità  il  fatto  che  l'intercalare  neh,  spesso  utilizzato  dai  non  piemon- 
tesi per  parodiare  la  parlata  regionale,  venga  nominato  in  più  di  un'occasione 
come  caratteristico  delle  singole  varietà  pedemontane:  F-III- Alba  sostiene 
che  "lo  diciamo  solo  qui  nell'Albese";  M-I-Verzuolo  ne  rivendica  la  tipicità 
nel  dialetto  del  suo  paese;  F-III- Vercelli  cita  l'espressione  varda  neh  ('guarda 
eh')  come  emblematica  della  "larghezza"  del  vercellese. 

3.2.  Possono  essere  fatte  rientrare  nell'ambito  della  percezione  in  dia- 
topia anche  le  complesse  dinamiche  che  si  delineano  tra  varietà  locali  e 

'"  Per  il  significato  di  queste  attribuzioni  si  rimanda  a  Telmon  (1988b). 

155 


koinè  i=  piemontese  di  Torino).  Nel  valutare  il  proprio  dialetto  rispetto  al 
torinese  (domanda  31),  gli  informatori  scelgono  molto  spesso  l'opzione 
"più  rozzo",  cui  vengono  però  spesso  associati  gli  altri  comparativi  "piii 
simpatico"  e  "più  genuino".  Pare  insomma  di  capire  che  la  categoria 
"rozzezza"  sia  una  specie  di  vox  media,  alla  quale  i  parlanti  attribuiscono 
tendenzialmente  una  serie  di  valori  positivi. 

Gli  albesi  sono  quelli  che  giudicano  in  modo  più  positivo  la  loro  parla- 
ta, asserendone  variamente  la  simpatia,  il  calore  e  la  bellezza;  Galliate, 
Solerò  e  Sordevolo  sono  invece  le  uniche  tre  località  (non  a  caso  periferi- 
che) a  presentare  un  informatore  (M-III-Galliate,  M-III-Solero,  M-II-Sor- 
devolo)  che  definisce  più  brutto  il  dialetto  locale  rispetto  al  torinese.  A 
Testona,  prevedibilmente,  3  intervistati  su  6  non  distinguono  o  considera- 
no molto  simile  al  torinese  la  propria  varietà  . 

Il  dialetto  del  capoluogo  regionale  veicola  giudizi  e  associazioni  al- 
quanto variegati:  si  spazia  dalla  simpatia  (F-II-Sordevolo)  all'antipatia 
(M-II-Sordevolo;  M-I-/  M-II-/F-III-Alba);  si  va  dall'idea  di  raffinatezza 
(forse  il  sentimento  più  attestato  e  diffuso)  a  richiami  di  tipo  storico  (la 
tradizione  ottocentesca  [F-I-Solero],  i  Savoia,  Cavour  [F-I-/M-II- Vercel- 
li]), sociale  (la  borghesia  [M-I-Orio,  M-III-Sordevolo,  M-II-  Vercelli])  e 
turistico-folklorico  (la  Mole  [M-I-Testona],  Gianduia  [F-III-Solero,  F-III- 
Vercelli]).  Benché  sia  molto  difficile  trovare  delle  tendenze  unitarie,  è  uti- 
le sottolineare  che  coloro  che  valutano  più  positivamente  il  proprio  dialet- 
to (come  detto,  gli  albesi)  sono  pure  quelli  che  giudicano  con  maggiore 
durezza  il  torinese;  al  di  fuori  di  ogni  considerazione  si  pone  invece  il  ca- 
so di  Testona,  essendo  la  sua  varietà  in  buona  parte  coincidente  con  la 
parlata  del  capoluogo,  anche  se  con  alcuni  tratti  che  la  accomunano  ad  al- 
tre del  contado  e  in  particolare  dell'area  collinare. 

Va  ancora  detto  che  cinque  degli  intervistati  di  Alba  fanno  riferimento 
al  loro  dialetto  come  al  "più  bello"  del  Piemonte,  mentre  l'orgoglio  locale 
(o  il  lealismo)  degli  altri  centri  si  attesta  su  valori  più  bassi  (3  preferenze 
a  Galliate,  Orio,  Testona,  Solerò  e  Verzuolo,  2  a  Vercelli,  1  a  Sordevolo); 
sempre  a  livello  di  bellezza,  il  torinese  riscuote  favori  in  quasi  tutti  i  punti 
di  inchiesta  (2  preferenze  a  Galliate,  Solerò,  Verzuolo  e  Vercelli  [in  que- 
st'ultimo caso,  a  pari  merito  con  vercellese  e  alessandrino],  1  ad  Alba, 
Orio  e  Testona,  0  a  Sordevolo). 

Ma  il  dato  forse  più  peculiare  riguarda  le  reazioni  alla  domanda  37, 
"Esiste  un  dialetto  che  Le  permetterebbe  di  essere  compreso  in  tutta  la  re- 
gione?": se  è  vero  che  le  risposte  affermative  sono  state  26,  è  altrettanto 
vero  che  ben  pochi  informatori  hanno  attribuito  al  torinese  il  ruolo  di  lin- 
gua franca.  E  abbastanza  normale  che  a  Testona  2  informatori  (sui  5  del 

156 


Carta  dei  punti  d'in- 
chiesta. 


partito  del  "Sì")  indichino  la  propria  varietà  come  spendibile  in  tutta  la 
regione,  ma  è  decisamente  curioso  che  a  Galliate  addirittura  4  intervistati 
scelgano  per  adempiere  tale  funzione  il  novarese  (2),  il  novarese  e  il  tori- 
nese messi  assieme  (1)  o,  addirittura,  il  dialetto  locale  (1)  (ricordiamo  an- 
cora che  novarese  e  galliatese  sono  parlate  gallo-italiche  di  tipo  lombar- 
do). 

Continuando  a  spigolare  tra  le  risposte  degli  informatori  piiì  campa- 
nilisti, possiamo  citare  le  posizioni  di  F-III-/M-III-Alba  e  F-I-Vercelli, 
che  candidano  la  propria  varietà  a  koinè  regionale;  si  orientano  invece 
sul  torinese  tre  parlanti  di  Sordevolo,  tre  di  Orio,  due  di  Solerò,  appena 
uno  di  Alba  e  di  Verzuolo.  Due  intervistati,  M-I-Orio  e  F-I-Verzuolo,  di- 
chiarano che  "no,  neppure  il  torinese"  sarebbe  intelligibile  in  tutto  il 
territorio  regionale;  due  altri,  F-II-Solero  e  F-III- Vercelli,  si  mantengo- 
no su  posizioni  vagamente  utopiche,  dicendo  che  una  varietà  di  piemon- 
tese super  partes  non  c'è  ma  andrebbe  creata.  Sulla  stessa  lunghezza 
d'onda  è  F-I-Orio,  che  auspica  la  nascita  di  una  sorta  di  "esperanto  del 
piemontese". 

157 


Affiora  talvolta  l'idea  di  una  koinè  presente  nei  fatti,  ma  non  coinci- 
dente con  il  torinese:  F-II- Vercelli  sostiene  che  "ognuno  sa  il  suo  [dialet- 
to] e  può  essere  capito";  del  medesimo  avviso  sembra  essere  M-I-Testo- 
na,  per  il  quale  esiste  una  non  meglio  precisata  "base  comune",  che  per- 
metterebbe l'intercomprensione  fra  parlanti  di  aree  diverse.  Probabilmen- 
te, anche  gli  intervistati  albesi,  galliatesi  e  vercellesi  che  promuovono  la 
loro  parlata  a  possibile  mezzo  di  comunicazione  regionale  andrebbero  in- 
seriti fra  gli  assertori  della  koinè  di  fatto.  Resta  da  capire  quale  tipo  di  va- 
rietà utilizzerebbero  questi  informatori  nel  parlare  con  piemontesi  di  altre 
zone,  se  cioè  il  dialetto  rustico  o  un  dialetto  già  "addomesticato",  in  cui  i 
tratti  più  forti  siano  stati  eliminati  o  perlomeno  attenuati. 

4.  Opinioni  su  correttezza/scorrettezza  e  percezione  del  cambiamento 

4.1.  La  dinamica  centro-periferia  o,  se  si  preferisce,  il  rapporto  varietà 
\oca\e-koine  traspare  anche  da  alcune  delle  risposte  alla  domanda  27 
("Esiste,  secondo  Lei,  un  modo  più  giusto  per  parlare  il  dialetto?").  A 
questo  proposito,  è  interessante  citare  le  opinioni  di  F-II-Orio  e  F-III-Te- 
stona:  per  il  primo,  esistono  delle  regole  solo  "se  si  tratta  del  piemontese- 
torinese",  non  "se  si  tratta  dei  dialetti  locali";  per  la  seconda,  che,  come  si 
è  già  detto,  parla  una  varietà  assimilabile  al  torinese,  "l'è  giust  col  che 
Toma"  ('è  giusto  quello  che  abbiamo'),  lasciando  trapelare  la  consapevo- 
lezza di  possedere  il  piemontese  "ufficiale"'^.  Altri  intervistati,  forse  col- 
piti nel  vivo  del  loro  Sprachgefuehl,  si  sono  espressi  in  modo  piuttosto 
forte:  F-I-Vercelli  dichiara  che  "il  dialetto  non  ha  regole  precise  come  l'i- 
taliano", mentre,  per  F-III-Vercelli,  "dipende  da  come  uno  l'ha  imparato: 
non  c'è  una  grammatica";  se  M-I-Orio  sostiene  che  esiste  solo  "una  nor- 
ma orale,  che  non  si  può  insegnare  né  codificare",  M-II-Orio  risponde  al- 
la domanda  con  un  "No"  reciso,  "perché  il  dialetto  non  è  una  lingua". 
Non  mancano  però  nemmeno  atteggiamenti  relativistici:  da  un  lato,  F-I- 
Alba  propone  una  normatività  modulare,  dicendo  che  "ci  può  essere  un 
dialetto  corretto  per  i  giovani,  un  dialetto  corretto  per  gli  anziani,  ecc."; 
dall'altro  lato,  M-II-Testona  azzarda  che  ogni  paese  abbia  i  suoi  parametri 
di  correttezza. 

In  totale,  la  domanda  27  ha  veicolato  25  "Sì",  che  sono  da  confrontare 
con  le  33  risposte  negative  alla  domanda  24  ("Secondo  Lei,  nel  Suo  pae- 


'^  Ma  l'espressione  di  F-III-Testona  potrebbe  anche  essere  interpretata  come  "per  ogni 
paese  è  giusta  la  propria  varietà",  che  è  il  contrario  dell'atteggiamento  normativo  sopra  ri- 
levato. 

158 


se/nella  Sua  città,  parlano  tutti  correttamente  il  dialetto?");  aggiungiamo 
che  la  scorrettezza,  secondo  gli  intervistati,  si  riconosce  o  dai  vocaboli  o 
dalla  pronuncia  o  da  entrambi  i  fattori.  Ovviamente,  ci  saremmo  aspettati 
che  chi  aveva  deciso  di  barrare  la  casella  del  "No"  al  quesito  24  avrebbe 
risposto  automaticamente  "Sì"  al  quesito  27;  ciò  che,  invece,  non  è  avve- 
nuto. Molto  alto,  quindi,  il  numero  di  contraddizioni'^:  se,  per  la  coppia 
di  domande  27/24,  le  combinazioni  corrette  erano  SS  (5  informatori)  e 
SN  (19  informatori),  sono  fioccate  le  combinazioni  di  tipo  NN  (12  infor- 
matori) e  NS  (6  informatori). 

4.2.  I  sentimenti  di  correttezza/scorrettezza  solo  legati  a  doppio  filo 
alla  percezione  del  cambiamento  (domanda  45,  "Pensa  che  il  dialetto  stia 
cambiando  molto?"):  in  prima  istanza,  un  dialetto  che  cambia  è  general- 
mente un  dialetto  contaminato,  meno  corretto;  in  secondo  luogo,  i  tratti 
diagnostici  della  scorrettezza  possono  coincidere  in  larga  misura  con  i  se- 
gni del  cambiamento.  Non  ci  si  dovrà  perciò  stupire  se  gli  informatori  (28 
su  48)  che  hanno  risposto  positivamente  alla  domanda  individuano  princi- 
palmente nel  lessico,  meno  frequentemente  negli  aspetti  fonetici,  le  avvi- 
saglie del  cambiamento;  tuttavia,  quando  si  chiede  loro  da  quali  lingue 
provengano  le  parole  nuove  del  piemontese,  emergono  nuovamente  delle 
incongruenze:  M-I-Solero  e  M-II-Testona,  ad  esempio,  sostengono  contem- 
poraneamente che  il  dialetto  a)  sta  cambiando  nei  vocaboli  e  b)  non  acco- 
glie parole  nuove.  Fra  le  lingue  da  cui  giungono  le  parole  nuove,  compare 
quasi  sempre  l'italiano,  spesso  accompagnato  da  altri  codici  (il  francese, 
l'inglese,  il  greco  [F-III-Galliate]  e  il  torinese  [M-II-Sordevolo]).  Riguardo 
al  francese,  occorre  aggiungere  che  gli  intervistati  avvertono  spesso  un  for- 
te legame  culturale  e  genealogico  tra  esso  e  il  piemontese. 

5.  Giudizi  sul  grado  di  differenza,  bellezza  e  simpatia  di  alcune  va- 
rietà 

In  quest'ultima  parte  ci  concentreremo  su  un  aspetto  particolare  della 
nostra  ricerca,  analizzando  le  risposte  a  tre  domande  poste  a  conclusione 
del  questionario: 

-  la  domanda  numero  68  con  cui  si  chiede  di  indicare  //  grado  di  dif- 
ferenza fra  il  dialetto  proprio  e  alcune  altre  varietà:  all'informato- 
re è  stata  sottoposta  una  lista  di  varietà  inteme  alla  regione  (ales- 


'^  Sulla  contraddittorietà  della  coscienza  linguistica  si  vedano  Scherfer  (1983)  e  Tel- 
mon  (2002  e  2005). 

159 


sandrino,  biellese,  canavesano,  langarolo,  monferrino,  torinese, 
valsesiano,  vercellese  e  inoltre  occitano  e  francoprovenzale),  va- 
rietà limitrofe  e  settentrionali  (lombardo,  ligure,  emiliano  e  vene- 
to), varietà  centro-meridionali  (napoletano,  pugliese,  romanesco, 
sardo,  siciliano  e  toscano)  e,  infine,  l'italiano  e  il  francese.  Ovvia- 
mente tale  domanda  presuppone  anche  un'attenzione  alla  domanda 
precedente  (numero  67)  nella  quale  si  chiede  di  indicare  all'interno 
delle  varietà  pedemontane  date  come  opzioni  quale  si  ritiene  di 
parlare.  Per  garantire  una  certa  omogeneità  è  stata  fornita  una  scala 
di  differenziazione  dal  "quasi  uguale"  al  "molto  differente"  passan- 
do per  "un  poco"  o  "piuttosto  differente"; 
-    le  domande  numero  69  e  70  con  le  quali  si  chiede  di  indicare,  per 
ciascuna  delle  varietà,  //  grado  di  simpatia  e  //  grado  di  bellezza:  le 
varietà  sono  le  stesse  della  domanda  precedente  e  l'informatore 
può  scegliere  anche  in  questo  caso  all'interno  di  una  scala  che 
comprende  il  "molto  antipatica/brutta",  "antipatica/brutta"  e  "piut- 
tosto antipatica/brutta"  per  la  parte  negativa,  con  i  corrispondenti 
gradi  nella  parte  positiva,  con  la  possibilità  di  esprimere  anche  un 
giudizio  apparentemente  neutro  come  "indifferente" •''. 
Per  analizzare  i  giudizi  fomiti  dagli  informatori  si  è  deciso  di  raggrup- 
pare le  varietà  in  base  al  criterio  di  distanza  spaziale  dai  dialetti  presenti 
in  Piemonte:  si  analizzeranno  quindi  innanzitutto  i  dialetti  più  lontani  fino 
ad  avvicinarsi  a  quelli  all'interno  della  regione  stessa'^. 


5.1.  In  linea  generale  si  può  dire  che  se  emerge  una  compattezza  di 
giudizio  che  rivela  una  chiara  percezione  della  differenza  tra  i  dialetti 
pedemontani  e  le  varietà  centro-meridionali  proposte'^,  sono  invece  più 
frammentati  i  giudizi  che  riguardano  la  simpatia  e  la  bellezza:  innanzi- 
tutto si  può  rilevare  che  i  giudizi,  complessivamente,  non  sono  mai 


"  È  stato  necessario  far  riferimento  anche  ad  altre  domande  sparse  nel  questionario 
che  hanno  fornito  indicazioni  sui  giudizi  di  diversità,  simpatia  e  bellezza,  in  particolare  al- 
la domanda  40  "qual  è  il  dialetto  più  bello  del  Piemonte?",  alla  41  "come  considera  il  dia- 
letto della  Liguria?"  e  alla  42  "come  considera  il  dialetto  della  Lombardia?". 

'**  Non  si  prenderanno  qui  in  considerazione  i  giudizi  sulle  lingue  nazionali  in  quanto 
alcune  osservazioni,  soprattutto  riguardo  al  rapporto  con  l'italiano,  sono  presenti  in  Tel- 
mon  (2005). 

'^  L'unica  eccezione  è  rappresentata  dagli  informatori  adulti  di  Alba  che  hanno  giudi- 
cato, in  maniera  stravagante,  il  loro  dialetto  poco  differente  rispetto  al  siciliano  e  rispetto 
al  sardo. 

160 


estremi  né  in  positivo  né  in  negativo,  ma  si  addensano  intorno  al  "piut- 
tosto" simpatico/antipatico  e  "piuttosto"  bello/brutto  con  una  netta  pre- 
valenza di  giudizi  positivi  in  entrambi  i  casi;  infatti  a  Galliate,  Orio  e 
Vercelli,  ma  anche  Alba,  Verzuolo'^  la  maggioranza  degli  informatori  ha 
giudicato  piuttosto  simpatiche  e  belle  le  varietà  dialettali  centro-meri- 

dionali-^ 

Al  di  là  del  caso  specifico  si  aprono  qui  due  considerazioni  di  carattere 
generale:  la  prima  è  che  si  conferma  come  i  giudizi  di  simpatia  e  bellezza 
nei  confronti  di  una  stessa  varietà  a  volte  non  coincidano-;  la  seconda 
considerazione  deriva  dal  valore  da  dare  a  "indifferente"  che  potrebbe  es- 
sere un  giudizio  scaturito  da  una  parziale  conoscenza  della  varietà  (per 
esempio  F-I-Alba  che  risponde  "indifferente"  alla  domanda  41  sul  dialet- 
to ligure  con  la  spiegazione  "perché  lo  conosco  pochissimo")  oppure  da 
una  reticenza  nell' esprimere  giudizi  negativi  (F-II-Sordevolo  che  alla  do- 
manda 42  "come  considera  il  dialetto  della  Lombardia?"  risponde  "indif- 
ferente" ma  alla  domanda  69  dichiara  una  forte  antipatia,  così  come  il  M- 
Ill-Sordevolo  che  indica  come  "rozzo"  il  lombardo  alla  domanda  42,  ma 
alla  69  dice  che  gli  è  indifferente;  ed  ancora  F-II-  Sorde  volo  che  definisce 
il  lombardo  antipatico  (domanda  42),  ma  indifferente  alla  domanda  69  ). 

Vale  la  pena  rilevare  anche  che  durante  le  inchieste  nasce  l'impressio- 
ne che  in  realtà  non  ci  sia  una  reale  conoscenza  delle  varietà  dialettali  su 
cui  si  richiede  un  giudizio,  ma  che  gli  informatori  facciano  riferimento  al- 
la varietà  di  italiano  regionale.  A  quest'ultimo  proposito  si  veda  ad  esem- 
pio M-I- Vercelli  che  dicendo,  in  una  frase  in  italiano,  "è  simpetico"  (sic!), 
allude  a  un  tratto  tipico  della  fonetica  dell'italiano  pugliese,  non  a  caso 
sottolineato  caricaturalmente  da  certi  comici  in  televisione. 

5.2.  Prendendo  in  esame  il  gruppo  dei  dialetti  settentrionali,  il  grado  di 
differenziazione  percepito  tra  questi  e  il  dialetto  che  si  è  riconosciuto  co- 


20  Bisogna  precisare  che  ad  Alba  il  giudizio  negativo  colpisce  solo  il  pugliese,  mentre 
a  Verzuolo  è  considerato  antipatico  il  pugliese  e  brutto  il  romanesco. 

21  Ovviamente  ci  sono  delle  eccezioni,  per  altro  difficilmente  valutabili  a  causa  del 
campione  non  rappresentativo  e  dell'incidenza  della  soggettività  sulla  risposta;  è  il  caso, 
per  esempio,  dell'informatore  M-III-Galliate  che,  in  controtendenza  con  gli  altri  informa- 
tori della  stessa  località,  giudica  antipatico  il  napoletano,  il  pugliese,  il  sardo  e  il  siciliano; 
i  giudizi  risultano  parzialmente  diversi  per  quanto  riguarda  la  bellezza:  "piuttosto  brutto" 
per  napoletano  e  pugliese  e  "indifferente"  per  sardo  e  siciliano. 

22  Un  altro  esempio  è  rappresentato  dagli  informatori  di  Testona  che  giudicano  com- 
plessivamente simpatici  ma  brutti  i  dialetti  in  oggetto. 

161 


me  proprio  è  molto  alto:  il  dialetto  giudicato  più  distante  è,  come  era  pre- 
vedibile, il  veneto,  mentre  il  giudizio  sulle  altre  varietà  si  addensa  intomo 
al  valore  "piuttosto  differente".  È  opportuno  soffermarsi  sul  caso  dei  par- 
lanti di  Galliate,  in  quanto,  come  è  noto,  nelle  aree  di  confine  e  di  contat- 
to si  verificano  le  dinamiche  più  interessanti  e,  presumibilmente,  le  pres- 
sioni più  forti  sulla  coscienza  linguistica  dei  parlanti;  significativa,  infatti, 
è  la  valutazione  che  gli  informatori  galliatesi  danno  rispetto  al  lombardo: 
esso  è  percepito  piuttosto  differente  dal  galliatese,  al  quale  sarebbe  più  vi- 
cino il  ligure.  Bisogna  sottolineare  che  gli  informatori  di  Galliate  sono 
stati  gli  unici  a  non  voler  individuare  tra  le  varietà  pedemontane  proposte 
una  che  potesse  rappresentare  il  loro  dialetto,  ma  hanno  ribadito  di  parla- 
re "galliatese". 

Per  inciso  si  può  dire  che  alla  domanda  numero  4,  "che  cosa  si  parla 
qui?"  le  risposte  in  genere  sono  state  "italiano"  e  "dialetto"  oppure  "ita- 
liano e  vercellese  /  solerino  /  alla  moda  di  Orio",  ecc.,  ma  nessun  infor- 
matore rifiuta  di  indicare  alla  domanda  67  una  varietà  compresa  nell'e- 
lenco proposto;  a  Galliate,  al  contrario,  alla  stessa  domanda  gli  informa- 
tori hanno  sempre  risposto  "italiano  e  galliatese",  non  trovando,  come  già 
accennato,  nell'elenco  fornito  nessuna  varietà  che  li  soddisfacesse-^  Una 
qualche  affinità  del  galliatese  con  il  lombardo  è  accennata  da  F-I-Galliate 
(che  specifica  che  i  vocaboli  sono  simili,  ma  l'accento  è  diverso)  e  dagh 
informatori  anziani,  mentre  F-II-Galliate  dice  che  il  galliatese  "non  c'en- 
tra niente  con  il  vercellese,  con  il  torinese.,  neppure  con  il  lombardo:  non 
ci  assomiglia  proprio... il  galliatese  è  diverso  anche  dal  novarese"-"^.  Quel 
che  emerge  dunque  è  la  percezione  da  parte  dei  galliatesi  di  avere  un  dia- 
letto diverso  da  varietà  quali  il  vercellese  o  il  torinese,  ma  sostanzialmente 
non  sembra  esserci  percezione  dell'affinità  con  il  lombardo.  Del  resto  se 
Galliate  ha  da  sempre  avuto  una  storia  legata  a  uno  spirito  indipendenti- 
sta-^,  tuttavia  l'opinione  di  non  appartenere  linguisticamente  al  dominio 
lombardo,  ma  a  quello  piemontese  pur  con  qualche  diversità,  sembra  esse- 
re oggi  molto  diffusa  nell'intera  area  novarese  e  quindi  sembra  essere  il 
sentimento  dell'appartenenza  amministrativa  a  svolgere  un  ruolo  decisivo. 

Per  quanto  riguarda  la  valutazione  complessiva  degli  altri  dialetti 
emerge  una  percezione  positiva  dell'emiliano  soprattutto  per  quanto  ri- 

^^  Nella  lista  non  è  stato  compreso  il  novarese,  tuttavia  alla  domanda  del  raccoglitore 
"se  ci  fosse  stato  il  novarese,  lo  avrebbe  indicato?",  solo  gli  informatori  più  giovani  affer- 
mano che  avrebbero  optato  per  questa. 

^''  Si  veda  quanto  già  detto  in  §  1  a  proposito  della  situazione  linguistica  di  Galliate. 

^5  Per  notizie  riguardanti  la  storia  locale  di  Galliate,  e  per  la  sua  vicenda  linguistica,  si 
veda  Belletti  et  alii  (1984). 

162 


guarda  la  simpatia,  seguito  a  ruota  dal  ligure  che  non  registra  complessi- 
vamente nessun  dato  negativo.  Forse  piià  interessanti  per  gli  stereotipi  che 
da  sempre  si  intrecciano  nel  rapporto  tra  piemontesi  e  lombardi,  e  tra  tori- 
nesi e  milanesi  in  particolare,  sono  i  risultati  ottenuti  dal  lombardo:  esso  è 
certamente  varietà  che  riscuote  meno  successo  delle  altre,  ma  non  nella 
misura  che  ci  si  sarebbe  potuta  aspettare.  In  dettaglio  si  può  notare  che  il 
lombardo  è  giudicato  piuttosto  antipatico  a  Testona  (quindi  a  ridosso  di 
Torino),  a  Verzuolo  e  a  Orio,  risulta  pressocché  "indifferente"  a  Sordevo- 
lo,  Galliate,  Vercelli-^,  mentre  i  giudizi  sono  positivi  a  Solerò  e  a  Alba. 
Minore  successo  riscuote  il  lombardo  sul  piano  della  bellezza. 

In  realtà,  e  questo  è  un  discorso  generale  che  può  valere  per  ogni  giu- 
dizio espresso  dagli  informatori,  si  trova  una  conferma  a  quanto  già  rile- 
vato da  Nora  Galli  de'  Paratesi  (1984)  riguardo  alla  sovrapposizione  tra  il 
dialetto  e  chi  lo  parla  e  soprattutto  il  giudizio  che  si  dà  nei  confronti  delle 
persone  che  si  conoscono  e  che  parlano  quel  certo  dialetto;  in  modo  parti- 
colare il  lombardo  può  risultare  simpatico  perché  si  è  tifosi  del  Milan  (M- 
I-Galliate)  o  al  contrario  può  subire  un  giudizio  negativo  perché  non  si  è 
tifosi  del  Milan  o  dell'Inter  né  di  Berlusconi  (M-III-Testona).  Anche  gli 
informatori  se  ne  rendono  conto:  per  esempio  F-I-Galliate  dice  di  consi- 
derare ridicolo  il  lombardo,  ma  aggiunge  "forse  piti  per  il  loro  modo  di 
fare  che  per  il  loro  modo  di  parlare"  ed  ancora  F-III-Orio  che  afferma  "i 
lombardi  mi  sembra  che  si  ritengano  un  po'  superiori  agli  altri".  Il  tutto 
viene  confermato  anche  da  alcune  risposte  fomite  alla  domanda  42  in  cui 
vengono  utilizzati  aggettivi  che  non  si  riferiscono  alla  lingua  ma  a  chi  la 
parla:  spocchioso  (M-II-Alba),  altezzoso  (F-II-Alba),  raffinato  (F-I-Sole- 
ro),  rozzo  (M-III-Solero;  M-III-  Sordevolo),  borioso  (F-III-Vercelli), 
odioso  (M-I-Orio). 

5.3.  Se  per  i  codici  presi  precedentemente  in  esame  la  possibilità  di 
conoscenza  poteva  essere  dovuta  anche  a  fattori  diversi  dal  diretto  contat- 
to con  la  parlata,  e  mi  riferisco  soprattutto  agli  stereotipi  regionali  che 
vengono  trasmessi  tramite  i  media,  per  quanto  riguarda  le  varietà  del  Pie- 
monte la  conoscenza  non  può  essere  che  quella  diretta. 

Tracciando  una  linea  longitudinale  che  tagli  il  Piemonte  all'altezza  di 
Torino,  si  nota  un'evidente  frattura  tra  il  Nord  del  Piemonte  e  il  Sud  e  vi- 
ceversa; infatti  oltre  a  rilevare  il  numero  crescente  del  valore  "non  cono- 
sce" rispetto  alla  conoscenza  reciproca  dei  piemontesi  appare  evidente 

^^  In  realtà  a  Vercelli  alla  domanda  42,  "come  considera  il  dialetto  della  Lombardia?" 
si  ha  una  prevalenza  di  risposte  negative. 

163 


che  nelle  località  poste  a  nord  della  linea  tracciata  sono  meno  noti  i  dia- 
letti del  sud  (a  Sordevolo  e  a  Vercelli  non  sono  conosciuti  i  dialetti  posti 
nel  sud  del  Piemonte  quali  alessandrino,  langarolo  e  occitano,  così  come 
a  Galliate-^),  specularmente  le  località  poste  a  sud  non  conoscono  il  ver- 
cellese, il  valsesiano,  il  biellese  il  canavesano.  Poco  note,  con  l'eccezione 
di  Alba  e  Verzuolo,  le  minoranze  galloromanze  e  si  noti  che  il  francopro- 
venzale è  identificato  quasi  ovunque  con  i  patois  della  Valle  d'Aosta. 

Un  caso  a  sé  è  quello  di  Testona,  a  ridosso  quindi  di  Torino:  è  la  loca- 
htà  in  cui  gli  informatori  hanno  risposto  "non  conosco"  alla  maggioranza 
delle  parlate  indicate  (biellese,  canavesano,  francoprovenzale,  monferri- 
no,  occitano,  valsesiano  e  vercellese). 

Le  modalità  di  attribuzione  di  giudizi  positivi  o  negativi  sono  simili  a 
quelle  già  messe  in  evidenza  per  gli  altri  gruppi,  e  quindi  legati  a  fattori 
extralinguistici'^^. 

Tra  i  diversi  risultati  ottenuti  ci  pare  interessante  soffermare  l'attenzio- 
ne sui  giudizi  espressi  riguardo  al  torinese,  alla  luce  del  fatto  che  è  la  va- 
rietà che  tutti  affermano  di  conoscere,  ma  anche,  e  di  conseguenza,  sui 
giudizi  riguardanti  il  proprio  dialetto.  Nel  complesso  il  torinese  è  consi- 
derato simpatico  e  piuttosto  bello  in  tutte  le  località  tranne  che  ad  Alba, 
dove  si  registra  un  valore  negativo  per  la  simpatia  e  un  "indifferente"  per 
la  bellezza.  Questa  negatività  può  essere  associata  all'antipatia  che  spesso 
viene  dichiarata  nei  confronti  di  coloro  che  emigrati  a  Torino  (ci  riferia- 
mo in  particolare  all'emigrazione  per  lavoro  degli  anni  Cinquanta  -  Ses- 
santa) e  poi  ritornati  al  paese,  avevano  un  atteggiamento  di  superiorità  ri- 
spetto a  chi  era  rimasto,  un  atteggiamento  che  linguisticamente  si  palesa- 
va parlando  torinese^^. 

Come  si  è  già  accennato,  il  valore  più  alto  per  la  simpatia  /  bellezza  del  to- 
rinese è  registrato  a  Testona  e  nella  stessa  località  è  anche  il  valore  piià  alto  in 
assoluto,  poiché  è  la  varietà  che  gli  informatori  hanno  dichiarato  di  parlare. 
Può  sembrare  un'osservazione  scontata,  ma  non  è  così  se  rapportata  alle  ri- 
sposte delle  altre  locahtà.  Ci  si  aspetterebbe  infatti  che  il  dialetto  più  bello  e 
simpatico  della  regione  fosse  il  proprio,  ma  in  realtà  così  non  è:  si  mettano  in- 
fatti a  confronto  i  valori  delle  domande  dirette  su  simpatia  e  bellezza  e  la  do- 
manda 40  "qual  è  il  dialetto  più  bello  del  Piemonte?".  D  caso  emblematico  è 


^^  In  questa  località  bisogna  aggiungere  biellese  e  canavesano. 

^^  Si  prenda  ancora  come  esempio  la  frase  di  M-I- Vercelli  che  giudica  il  francoproven- 
zale "antipatico"  perché  "la  montagna  è  inospitale". 

^^  Ciò  si  ritrova  anche  nelle  parole  dell'adulto  di  Solerò  che  non  vede  di  buon  occhio 
le  persone  che  sebbene  solenne  parlano  torinese  "per  darsi  un  tono". 


164 


Sordevolo  dove  solo  un  informatore  risponde  che  il  oiù  bello  di  tutti  è  il  sor- 
devolese  (M-II-Sordevolo)  seguito  da  una  risposta  per  il  biellese  (F-III-Sor- 
devolo);  gli  altri  informatori  rispondono  che  "non  ce  ne  sono  di  più  belli"  (M- 
I-Sordevolo),  oppure  "non  so"  (F-I-Sordevolo),  o  ancora  che  i  più  belli  sono 
l'occitano  e  il  vercellese  (M-HI-Sordevolo).  Confrontando  questi  risultati  con 
i  valori  dati  alle  domande  simpatia  /  bellezza  troviamo  che  il  biellese,  vale  a 
dire  la  parlata  indicata  come  la  propria  dagli  informatori  nella  domanda  67, 
ottiene  valori  molto  alti  sia  per  simpatia  sia  per  bellezza  tranne  che  nelle  ri- 
sposte di  M-II-Sordevolo  che  dà  un  giudizio  cautamente  positivo,  "piuttosto 
simpatico  e  piuttosto  bello",  e  si  ricorderà  che  proprio  M-II-Sordevolo  era 
stato  l'unico  informatore  a  indicare  come  il  più  bello  il  "sorde volese". 

Di  Galliate  si  è  già  detto,  ma  vale  la  pena  sottolineare  che  non  tutti  gli 
informatori  rispondono  "galliatese"  alla  domanda  40  (M-I-Galliate  dice  il 
dialetto  di  Trecate;  il  torinese  F-II-Galliate  e  M-III-Galliate)  e  che  il  gra- 
do maggiore  di  simpatia  e  bellezza  è  riservato  al  torinese. 

Ad  Orio  gli  informatori  si  dividono:  M-I-Orio,  F-I-Orio  e  F-II-Orio  ri- 
spondono "l'oriese";  gli  informatori  anziani  "il  torinese"  e  il  M-II-Orio 
"il  langarolo"  (che  dice  di  trovare  "spassoso");  ricordo  che  nella  scelta 
tutti  gli  informatori  locali  hanno  risposto  di  parlare  il  canavesano  che  nei 
valori  di  simpatia  e  bellezza  raggiunge  i  valori  relativi  più  alti,  ma  ancora 
una  volta  un  informatore  che  aveva  risposto  l'oriese  prima,  ora  ci  dice 
che  il  canavesano  gli  è  indifferente  (M-I-Orio). 

Nelle  inchieste  di  Vercelli,  di  Alba,  di  Testona  e  di  Verzuolo  invece  i 
dati  concordano  in  quanto  il  dialetto  giudicato  più  bello  da  ciascun  infor- 
matore, è  anche  quello  che  riscuote  i  valori  più  alti  di  simpatia  e  di  bellez- 
za. A  Solerò  la  maggioranza  degli  informatori  risponde  che  il  dialetto  più 
bello  è  il  solerino,  ma  F-II-Solero  e  M-III-Solero  indicano  il  torinese:  nei 
dati  su  simpatia  e  bellezza  il  torinese  è  più  simpatico  dell'alessandrino, 
anche  se  entrambi  registrano  valori  simili  e  superiori  alle  altre  varietà. 

5.4.  Le  conclusioni  che  si  possono  trarre  da  queste  ultime  osservazio- 
ni sono  di  ordine  diverso:  la  prima  è  metodologica  e  riguarda  la  domanda 
67  che  impone  una  forzatura  agli  informatori  nello  scegliere  di  etichettare 
il  proprio  dialetto  con  un  iperonimo.  Si  è  visto  che  i  galliatesi  hanno  rifiu- 
tato tutti  questa  operazione,  gli  informatori  di  Testona  e  di  Vercelli  non 
hanno  avuto  invece  problemi  perché  sentivano  possibile  l'identificazione 
tra  le  loro  varietà  locale,  rispettivamente,  il  torinese  e  in  vercellese,  men- 
tre gli  altri  informatori,  pur  compiendo  l'operazione  di  inclusione  del  pro- 
prio dialetto  nella  denominazione  più  larga,  sono  caduti  in  alcune  con- 

165 


traddizioni  nell' esprimere  successivamente  i  giudizi  di  simpatia  e  bellez- 
za. 

La  seconda  considerazione  è  di  carattere  linguistico  e  riguarda  la  koinè 
dialettale  su  base  torinese:  si  è  già  visto  che  la  percezione  della  sua  esi- 
stenza è  pressocché  nulla-^^,  ma  il  risultato  qui  evidenziato,  cioè  che  tutti 
in  tutte  le  località  riconoscono  la  varietà  torinese,  è  una  prova  indiretta 
del  contrario.  Inoltre  è  interessante  ribadire  l'atteggiamento  nei  confronti 
del  torinese  che  in  generale  è  visto  in  modo  positivo  (tanto  da  preferirlo  al 
proprio  dialetto  e  forse  potrebbe  essere  una  spia  del  prestigio  goduto  dal 
dialetto  del  capoluogo  il  fatto  che  tali  risposte  siano  state  date  dagli  anzia- 
ni e  da  qualche  adulto),  ma  che  può  risultare  antipatico  proprio  a  causa  di 
quel  prestigio  di  cui  gode. 

Si  può  dunque  confermare  che  i  piemontesi  in  effetti  sembrano  cono- 
scere poco,  almeno  da  un  punto  di  vista  linguistico,  la  loro  regione  e  il 
dato  forse  più  interessante  è  che  la  mancata  conoscenza  coinvolge  oltre  ai 
giovani,  cioè  i  meno  dialettofoni,  e  agli  informatori  più  anziani  (che,  tra- 
dizionalmente, hanno  viaggiato  di  meno  e  hanno  intessuto  minori  reti  so- 
ciali esteme)  anche  i  parlanti  di  mezz'età. 

Altre  possibili  considerazioni  possono  essere  fatte  riguardo  ai  criteri 
che  portano  a  un  giudizio  positivo  o  negativo:  per  quanto  concerne  la 
simpatia  si  è  visto  che  i  fattori  che  determinano  il  giudizio  sono  esclusi- 
vamente extralinguistici,  mentre  per  quel  che  riguarda  la  bellezza  si  pos- 
sono rilevare  criteri  di  tipo  estetico  (un  tratto  fonetico  può  essere  sgrade- 
vole come  per  esempio  la  "r  moscia"  del  francese)  e  criteri  legati  alla 
comprensione,  cioè  la  bruttezza  di  una  lingua  è  data  dalla  difficoltà  di 
comprenderla  (si  vedano  le  frasi  "è  brutto  perché  non  lo  capisco"  degli 
adulti  di  Sordevolo  e  del  M-II-  Solerò). 

Infine  si  veda  il  caso  della  F-I- Vercelli,  studentessa  universitaria  con 
padre  vercellese  e  madre  sarda:  le  sue  risposte  denotano  una  netta  diffe- 
renza di  atteggiamento  e  di  giudizio  tra  la  varietà  pedemontana  (che  con- 
sidera brutta  perché  è  un  dialetto,  che  spera  scompaia  insieme  agli  al- 
tri...) e  il  sardo  (che,  dice,  è  una  lingua  e  non  scomparirà  mai).  Tuttavia  la 
risposta  alla  domanda  su  qual  sia  il  dialetto  più  bello  del  Piemonte  indica 
"il  dialetto  di  Oleggio"  -  che  in  realtà  è  di  tipo  lombardo  -  perché  era 
quello  di  sua  nonna.  Appare  evidente  che  per  motivi  difficilmente  rico- 
struibili e  certamente  legati  alla  storia  e  ai  rapporti  personali  dell'infor- 
matrice si  è  sviluppato  un  sentimento  diverso  nei  confronti  delle  varietà 
linguistiche  di  famiglia,  frutto  di  quella  mescolanza  di  culture  e  di  dialetti 

^^  Cfr.  quanto  rilevato  in  §  3.2. 
166 


che  è  forse  il  tratto  più  riconoscibile  della  famiglia  italiana  oggi,  o  almeno 
lo  è  certamente  in  Piemonte. 


6.   Conclusioni 

In  chiusura  vale  forse  la  pena  di  riportare  qualche  indizio  attorno  a 
quella  che  potremmo  chiamare  la  "speranza  di  vita"  del  dialetto  nella  no- 
stra regione,  quella  ipotizzabile  sulla  base  di  dati  oggettivi  e  quella  (pro- 
babilmente) costruita  su  base  affettiva  e/o  ideologica  dai  parlanti. 

Nel  questionario  era  presente  una  domanda  specifica  (la  47)  che  solle- 
citava un'opinione  a  questo  riguardo:  "Pensa  che  il  dialetto  stia  sparen- 
do?". Per  essa  era  offerta,  oltre  all'opzione  No/Sì,  la  possibilità  per  coloro 
che  rispondessero  "Sì"  di  quantificare  la  sopravvivenza  in  10,  25,  50, 
100,  150  anni  o  più.  Ebbene,  su  48  informatori  34  hanno  risposto  chiara- 
mente "Sì",  9  chiaramente  "No",  mentre  5  hanno  fornito  risposte  un  po' 
ambigue  o  non  collocabili  con  certezza:  "Sparisce  sì  e  no...",  "Come  si  fa 
a  dire...",  "Si'  ma  ne  possono  venire  di  completamente  diversi",  "Spero 
di  no"  e  (particolarmente  significativa)  "Sì... ma  spero  di  no".  Per  quanto 
riguarda  i  parlanti  che  hanno  chiaramente  risposto  "Sì",  16  di  essi  hanno 
scelto  per  la  sopravvivenza  dei  dialetti  l'opzione  25  anni  (e  non  sfuggirà 
la  ragionevolezza  di  questa  scelta  che  corrisponde  più  o  meno  alla  dimen- 
sione di  una  generazione);  9  hanno  indicato  una  tenuta  di  50  anni;  6  di 
100  anni;  2  di  150  anni.  Un'informatrice  ha  distinto:  "nelle  città  10  anni, 
nei  paesi  anche  50",  mentre  un'altra^'  ipotizzando  100  anni  di  sopravvi- 
venza, ha  tenuto  a  precisare  "dipende  dalle  zone,  il  sardo  non  morirà 
mai!".  Per  quanto  riguarda  invece  i  "No",  vale  la  pena  di  riportare  le  os- 
servazioni che  accompagnano  alcuni  di  essi  e  che  sembrano  mostrare  una 
buona  consapevolezza  da  parte  dei  parlanti  di  alcune  dinamiche  in  atto 
negli  ultimi  anni  nel  nostro  paese:  "No... per  me  c'è  un  ritorno",  " 
No... anzi,  rischia  di  diventare  lingua  colta";  "No,  anzi  è  ricercato";  "No, 
tanti  lo  stanno  recuperando",  "No,  si  sta  trasformando". 

Passiamo  ora  a  un  altro  tipo  di  "risposta",  quella  che  viene  cioè  dalle 
competenze  linguistiche  dei  giovani^^,  di  coloro  dai  quali  nei  fatti  dipen- 


31  F-I- Vercelli.  Il  profilo  biografico  di  questa  fonte,  ma  anche  numerose  tra  le  sue  ri- 
sposte, mostrano  una  identità  linguistica  complessa,  divisa  tra  la  componente  piemontese 
e  quella  sarda,  alla  quale  sembrano  andare  le  sue  preferenze  in  considerazione  di  un  diver- 
so prestigio  della  "lingua"  sarda  rispetto  al  "dialetto"  piemontese.  Cfr.  §  5.4. 

^^  Non  dimentichiamo  autovalutate  dagli  informatori  ma  da  noi  non  verificate  nel  cor- 
so della  ricerca  che  non  era  a  questo  finalizzata.  Va  anche  avvertito  che  la  domanda  previ- 

167 


derà  nel  futuro  la  sopravvivenza  o  meno  dei  dialetti.  Pur  non  essendo  sta- 
ta richiesta  alla  fascia  giovanile  dei  nostri  informatori,  come  già  avvertito, 
una  specifica  competenza  dialettale  per  partecipare  al  rilievo,  tutto  som- 
mato dalle  loro  note  di  presentazione  ne  è  emersa  più  di  quanto  ci  aspet- 
tassimo. In  particolare,  sui  16  parlanti  giovani,  solo  1  ha  escluso  di  posse- 
dere qualunque  competenza  dialettale,  2  hanno  dichiarato  di  averla  solo 
passiva,  4  hanno  confessato  un  uso  del  dialetto  sporadico  e  modesto, 
mentre  i  9  rimanenti  hanno  affermato  di  averne  una  competenza  anche  at- 
tiva. Anzi  ben  5  di  questi  ultimi  hanno  fatto  esplicito  riferimento  al  dialet- 
to come  "prima  lingua  imparata"^^  anche  se  3  di  essi  hanno  in  realtà  atte- 
stato di  italiano  e  dialetto  un  apprendimento  contemporaneo.  Interessante, 
in  quanto  ci  riporta  a  un  modello  familiare  che  ha  caratterizzato  fortemen- 
te l'Italia  degli  ultimi  decenni,  la  loro  comune  spiegazione  di  questo  ruolo 
del  dialetto  nella  loro  formazione  primaria  e  cioè  l'essere  stati  nei  primi 
anni  della  loro  vita,  a  causa  dell'attività  lavorativa  di  entrambi  i  genitori, 
allevati  per  buona  parte  del  tempo  dai  nonni,  evidentemente  dialettofoni 
come  è  ancora  comune  per  la  generazione  degli  attuali  "anziani".  D'altra 
parte,  e  come  era  prevedibile,  la  famiglia  è  stata  attestata  come  luogo  in 
cui  il  dialetto  è  ancora  codice  di  comunicazione  corrente  anche  da  altri 
giovani,  che  pure  hanno  affermato  di  non  avere  praticamente  altre  occa- 
sioni di  impiegarlo  negli  altri  domini.  Solo  in  un  paio  di  casi^"*  l'acquisi- 
zione di  una  competenza  dialettale  è  stata  invece  attestata  fuori  dalla  fa- 
miglia, cioè  all'epoca  dell'ingresso  nella  scuola  e  quindi  dell'inserimento 
nel  gruppo  dei  pari^-\  Altrettanto  prevedibili,  ma  comunque  significative, 
le  numerose  affermazioni-^^  di  uso  dialettale  con  funzioni  ludico  -  espres- 
sive (quando  ci  si  arrabbia,  per  scherzare,  per  imprecare,  per  parlare  con 
gli  animali)  in  quella,  cioè,  che  sembra  essere  in  effetti  oggi  in  buona  par- 
te di  Italia  una  delle  sacche  di  resistenza  e  di  riassestamento  dei  dialetti 
per  giovani  che  ne  hanno  una  competenza  anche  molto  parziale  e  relativa. 


sta  dal  questionario  non  richiedeva  esplicitamente  di  distinguere  tra  competenza  dialettale 
attiva  e  passiva,  precisazione  che  è  però  emersa  in  alcuni  casi  con  chiarezza  dalle  parole 
degli  informatori  mentre  in  altri  casi  è  stata  recuperabile  attraverso  l'analisi  delle  risposte 
alle  domande  sull'uso  di  italiano  e  dialetto  nei  diversi  domini. 

"  F-I-Sordevolo,  M-I-Testona,  M-I-Sordevolo,  M-I-Orio,  M-I-Galliate. 

^'^  M-I-Verzuolo  e  M-I-Vercelli,  certo  non  a  caso  maschi  entrambi,  dal  momento  che 
altre  ricerche  ci  hanno  mostrato  come  la  sopravvivenza  di  uso  del  dialetto  nella  comunica- 
zione giovanile  sia  appannaggio  particolarmente  della  componente  maschile. 

^^  Osserva  M-I-Vercelli:  "Da  piccolo  non  lo  impari  mica". 

^^  Ricavabili  anch'esse  dalla  batteria  di  domande  sull'uso  di  lingua  e  dialetto  nei  di- 
versi domini. 

168 


com'è  indubbiamente  ormai  il  caso  di  quelli  di  buona  parte  della  nostra 
regione. 

Da  notare  infine,  a  margine,  che  nessuno  dei  giovani  intervistati,  come 
del  resto  è  stato  per  i  parlanti  delle  altre  fasce  generazionali,  ha  ammesso, 
a  fronte  di  una  domanda  esplicita  a  riguardo  (la  18),  di  essersi  mai  vergo- 
gnato del  dialetto;  le  risposte  negative  a  riguardo  sono  state  anzi  in  genere 
ferme  e  fiere,  tanto  che  la  portata  di  questo  entusiasta  lealismo  ci  porta  a 
leggerlo,  nella  sua  compattezza,  come  probabile  frutto  di  un  attuale,  gene- 
ralizzato condizionamento  ideologico  che  sembra  del  resto  essere  alla  ba- 
se di  molte  delle  "risorgenze""*^  dialettali  che  abbiamo  visto  manifestarsi 
in  questi  ultimi  anni  anche  nella  nostra  regione. 


^^  Citando  un  termine  usato  da  Gaetano  Berruto  anche  in  questa  sede  procidana. 

169 


BlBLIOGRAHA 

AA.VV.,  1988,  Elementi  stranieri  nei  dialetti  italiani.  Atti  del  XIV  Convegno  del 
CSDI  (Ivrea  17-19  ottobre  1984),  Pisa,  Pacini. 

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171 


Routines  conversazionali  monolingui  e  mistilingui  in  Pie- 
monte 

Silvia  Dal  Negro  (Vercelli) 


1.  Introduzione 

In  un  contesto  di  italofonia  ormai  generalizzata,  i  processi  di  language 
shift  che  avrebbero  dovuto  portare  alla  rapida  scomparsa  dei  dialetti  in 
Italia  sembrano  essersi  arrestati  o  comunque  avere  rallentato  il  loro  corso 
e  non  sono  giunti  a  completamento  nemmeno  in  quelle  regioni  (come  ad 
esempio  la  Lombardia  e  il  Piemonte)  nelle  quali  il  fenomeno  di  forte  re- 
gressione dei  dialetti  appariva,  fino  a  uno  o  due  decenni  fa,  irreversibile. 
In  realtà,  l'impressione  che  si  ricava  dall'osservazione  diretta  e  da  una 
scorsa  alla  bibliografia  italiana  più  recente  (per  l'area  piemontese  cfr.  ad 
esempio  Berruto  2002  e  Cerniti  2003)  è  che  i  dialetti  si  stiano  ritagliando 
nuovi  spazi  e  stiano  assumendo  funzioni  in  parte  diverse  rispetto  a  quella 
tradizionale  che  li  vedeva  come  codice  primario  di  comunicazione  per  la 
maggior  parte  della  popolazione  ^ 

Da  un'analisi  dei  dati  ISTAT  sugli  usi  linguistici  della  popolazione  re- 
lativa all'anno  2000  si  osserva  che,  pur  diminuendo  l'uso  esclusivo  del 
dialetto  (ma  appunto  a  ritmo  meno  sostenuto  che  in  passato),  aumenta 
l'uso  alternato  dei  due  codici  nei  tre  macro-ambiti  considerati  (famiglia, 
con  gli  amici,  con  estranei).  Si  tratta,  come  si  può  intuire,  di  un  nuovo  ti- 
po di  dialettofonia,  caratterizzata  dalla  coesistenza,  virtualmente  presso 
tutti  i  parianti  dialettofoni  e  in  tutte  le  situazioni  comunicative,  del  dialet- 
to con  la  lingua  nazionale.  Questo  fatto,  unito  alla  distanza  strutturale  re- 
lativamente bassa  fra  i  due  codici  e,  di  conseguenza,  all'alto  grado  di  in- 
tercomprensibilità,  fa  sì  che  l'uso  dell'uno  o  dell'altro  possa  emergere  in 
un'ampia  gamma  di  situazioni  e  di  domini  che  a  prima  vista  non  sembre- 
rebbero del  tutto  appropriati. 

1  II  cambiamento  funzionale  del  dialetto  all'interno  del  repertorio  linguistico  appare  in 
modo  molto  chiaro  nei  dati  raccolti  da  Cerniti  (2003),  dai  quali  emerge  come  l'uso  dialet- 
tale spontaneo  delle  generazioni  più  anziane  sia  stigmatizzato  e  rifiutato  dai  parlanti  gio- 
vani che  ne  prediligono  invece  un  uso  intenzionale  e  controllato. 

173 


L'obiettivo  di  questa  ricerca  è  proprio  quello  di  indagare  l'interazione 
fra  i  codici  compresenti  localmente  in  un  contesto  nel  quale  l'uso  del  dia- 
letto sia  considerato  sociolinguisticamente  marcato,  per  lo  meno  in  Pie- 
monte. Si  tratta  di  brevi  interazioni  linguistiche  caratterizzate  da  un  grado 
molto  basso,  praticamente  nullo,  di  familiarità  fra  gli  interlocutori,  da  no- 
tevole ritualità  e  prevedibilità,  dalla  funzione  prevalentemente  transazio- 
nale e  dal  contesto  pubblico  e  anonimo  nel  quale  si  svolgono.  Partendo 
dunque  da  una  prospettiva  fortemente  sfavorevole  all'attivazione  del  dia- 
letto, si  voleva  innanzitutto  verificarne  la  presenza.  Inoltre,  data  la  preve- 
dibilità del  tipo  di  interazione,  è  stato  possibile  controllare  una  serie  di 
variabili  contestuali  potendosi  invece  concentrare  su  un  numero  ridotto  di 
queste  e  sulla  loro  correlazione  con  la  presenza  del  dialetto. 

Per  questa  indagine  sono  state  raccolte  oltre  500  brevi  registrazioni 
anonime  (con  durata  media  dai  pochi  secondi  ai  2-3  minuti)  di  richieste  di 
indicazioni  stradali  rivolte  a  sconosciuti  nell'area  del  Piemonte  nord- 
orientale da  parte  di  studentesse  della  Facoltà  di  Lettere  e  Filosofia  di 
Vercelli,  da  alcuni  collaboratori  e  da  me  stessa  tra  il  2001  e  il  2003;  una 
trentina  di  registrazioni  sono  invece  tratte  da  un  corpus  più  recente  rac- 
colto con  la  collaborazione  di  Alessandro  Vietti  per  ovviare  ad  alcuni  sbi- 
lanciamenti nelle  variabili  indipendenti  scelte-.  La  ricerca  presentata  in 
queste  pagine  si  limita  all'analisi  di  una  selezione  di  400  registrazioni 
tratte  dal  corpus  completo. 

Dati  raccolti  con  tecniche  e  in  situazioni  comunicative  analoghe  sono 
già  stati  utilizzati  in  lavori  volti  ad  indagare  la  scelta  dei  codici  e  delle  va- 
rietà in  comunità  bilingui  o  dilaliche,  come  è  il  caso  presentato  qui.  Si  ve- 
dano ad  esempio  Gardner-Chloros  (1985),  Dittmar  /  Schlobinski  /  Wachs 
(1988),  Miglietta  (1994  e  1996),  e  soprattutto  Sobrero  (1992a  e  1992b). 
Dal  punto  di  vista  metodologico,  la  tecnica  di  elicitazione  dei  dati  scelta 
rientra  nei  "rapid  and  anonymous  observations"  à  la  Labov,  elaborata  per 
indagare  la  stratificazione  sociale  di  singoli  fenomeni  linguistici  su  un 
ampio  campione  di  parlanti  (cfr.  ad  esempio  il  notissimo  Labov  1972a 
sulla  variabile  'r'  nell'inglese  newyorkese  elicitato  da  commessi  di  tre  de- 
partment  stores).  L'utilizzo  di  un  corpus  con  queste  caratteristiche  pre- 
senta indubbi  vantaggi  per  gli  obiettivi  posti  nelle  premesse  al  lavoro.  La 
brevità,  l'anonimato,  la  neutralità  dell'argomento  e  la  non  marcatezza 
della  situazione  permettono  di  raccogliere  molti  dati  in  un  tempo  relativa- 

^  Ringrazio  per  la  preziosa  ed  entusiastica  collaborazione  Carla  Lorizzo  e  Marco  Alle- 
gra, oltre  alle  (allora)  studentesse  Vania  Caliaro,  Annalisa  Carta,  Lorenza  Cattaneo,  Mi- 
chela Cerniti  Rigozzi,  Romina  Deasti,  Elisa  Gallone,  Anna  Viola  e  Silvia  Zanella. 

174 


mente  breve  e  di  registrare  a  microfono  nascosto,  controllando  al  tempo 
stesso  alcune  variabili  (il  che  garantisce  un  buon  grado  di  comparabilità 
dei  dati  e  la  possibilità  di  formulare  generalizzazioni).  Ma  ciò  che  più 
conta  ai  fini  di  un'indagine  sulla  scelta  dei  codici  è  che  i  dati  elicitati  so- 
no del  tutto  spontanei.  Al  momento  della  richiesta,  infatti,  l'interlocutore 
era  inconsapevole  di  essere  registrato^,  per  cui  vengono  quasi  annullate  le 
note  distorsioni  dovute  alla  situazione  di  elicitazione  e  registrazione.  Ciò 
non  vale  invece  per  i  turni  del  rilevatore,  le  cui  scelte  linguistiche  sono  in 
larga  parte  controllate  e  prevalentemente'^  indipendenti  dalle  altre  variabi- 
li contestuali. 

Un  corpus  siffatto  non  è  naturalmente  esente  da  limiti,  innanzitutto  la 
cattiva  qualità  di  molte  delle  registrazioni,  che  è  stato  necessario  scartare, 
quindi  la  mancanza  di  informazioni  sulle  persone  registrate,  la  difficoltà 
nella  ricostruzione  del  contesto  e  di  conseguenza  nell'interpretazione  dei 
comportamenti  linguistici.  Va  notato,  infine,  che  sebbene  non  si  sia  opera- 
ta una  campionatura  probabilistica  (anche  per  la  difficoltà  oggettiva  di  in- 
dividuare una  popolazione  di  riferimento^),  come  si  vedrà,  il  campione 
appare  tutto  sommato  abbastanza  ben  proporzionato  nella  sua  stratifica- 
zione. 


2.  Il  Piemonte  nord-orientale  come  area  linguistica 

L'area  nella  quale  è  stato  raccolto  il  corpus  è  compresa  nelle  quattro 
province  di  Vercelli,  Biella,  Novara  e  Verbano-Cusio-Ossola,  un  territorio 
che  appartiene  amministrativamente  al  Piemonte  ma  che  costituisce,  dal 
punto  di  vista  storico,  culturale  e  linguistico,  una  tipica  area  di  transizio- 
ne, dai  confini  sfumati,  tra  Piemonte  e  Lombardia. 

Consideriamo  qui  brevemente  la  disomogeneità  dal  punto  di  vista  lin- 
guistico, cioè  dei  dialetti  tradizionalmente  parlati  in  questa  zona.  Per  una 

^  Né  le  reali  intenzioni  dello  scambio  linguistico  sono  state  rivelate  in  un  secondo  mo- 
mento. Si  ritiene  tuttavia  che  il  tipo  di  scambi,  brevissimi,  del  tutto  neutrali  riguardo  al- 
l'argomento, e  la  casualità  con  la  quale  sono  state  fermate  le  persone  per  strada,  garanti- 
scano il  completo  anonimato  delle  stesse. 

■*  In  realtà  l'alto  numero  di  collaboratori  ha  reso  piuttosto  difficile  un  controllo  totale 
delle  variabili  indipendenti.  Si  consideri  che  il  rilevatore  è  nella  maggior  parte  dei  casi  un 
membro  della  comunità  linguistica  in  esame  e  parte  attiva  dell'evento  sociolinguistico  che 
osserva  e  perciò  non  può  essere  del  tutto  libero  dalle  influenze  del  contesto  sulle  sue  stes- 
se scelte  linguistiche. 

'  Cfr.  però  De  Masi  (1992:  173)  che  considera  come  popolazione  di  riferimento  per  un 
campione  analogo  al  mio  l'insieme  degli  individui  che  con  qualche  probabilità  si  incontra- 
no per  strada  a  certe  ore  del  giorno. 

175 


prima  ricognizione  delle  suddivisioni  dialettali  può  bastare  il  confronto  di 
alcune  carte  dell'AIS  e  dell'ALI,  le  quali  permettono  di  seguire  la  distri- 
buzione di  tratti  linguistici  secondo  un  modello  a  strati,  per  cui  muoven- 
dosi da  ovest  verso  est  la  presenza  di  tratti  tradizionalmente  classificati 
come  lombardo-occidentali  aumenta  progressivamente  sostituendosi  a 
tratti  più  tipici  delle  parlate  piemontesi.  Il  dato  più  interessante  che  emer- 
ge da  una  prima  ricognizione,  pur  approssimativa,  riguarda  la  distribuzio- 
ne delle  isoglosse  lungo  assi  nord-sud  in  corrispondenza  del  corso  dei  fiu- 
mi e  dei  torrenti  principali  e  delle  rispettive  valli.  In  particolare  emerge 
una  nutrita  serie  di  isoglosse  che  si  infittiscono  seguendo  il  corso  del  Se- 
sia dividendo  l'area  in  esame  in  due  sub-regioni:  variabili  come,  per  cita- 
re solo  alcuni  esempi  tra  i  tanti  disponibili,  il  tipo  lessicale  lavor-  (est)  vs. 
il  tipo  traval-  (ovest);  la  forma  della  particella  di  negazione,  mìa  o  niit/nut 
(est)  vs.  net)  (ovest);  la  forma  dei  pronomi  personali  di  terza  persona, 
lu(i),  le  (est)  vs.  cél,  cela  (ovest).  Altre  isoglosse,  invece,  includono  o 
escludono  quasi  interamente  il  territorio  nell'area  dialettale  piemontese, 
caratterizzandolo  di  fatto  come  tipica  zona  di  transizione.  Due  esempi  del 
primo  tipo  sono  l'inclusione  di  buona  parte  del  territorio  (ne  restano 
escluse  frange  nella  zona  del  Verbano  e  a  est  di  Novara)  nell'area  interes- 
sata dall'uscita  in  -è  degli  infiniti  della  prima  coniugazione  e  dall'esito 
velarizzato  di  -al-  (tipo  aut  vs.  alt  'alto').  Un  esempio  del  secondo  tipo  è 
invece  l'esclusione  di  tutta  l'area  dalla  palatalizzazione  di  -cl-  di  tipo 
piemontese  (tipo  vej  vs.  vec  'vecchio'). 

Il  continuum  dialettale  che  emerge  anche  dal  confronto  di  pochi  tratti 
linguistici,  si  riflette  nell'italiano  parlato  in  quest'area,  di  gran  lunga  il 
codice  più  documentato  in  tutte  le  registrazioni  raccolte.  Se  i  fenomeni 
più  appariscenti  si  riconoscono  a  livello  prosodico,  con  un'intonazione  di 
tipo  lombardo  nell' Ossola  e,  più  a  sud,  a  est  della  linea  Borgomanero-No- 
vara,  si  possono  riconoscere  anche  altri  tratti,  ad  esempio  relativi  all'aper- 
tura /  chiusura  delle  vocali  medie  e  all'arretramento  di  /a/. 

Più  rilevanti  per  la  presente  ricerca  sono  però  le  differenze  di  carattere 
sociolinguistico  fra  le  due  aree  comprese  in  questa  parte  del  Piemonte, 
una,  di  carattere  più  urbano  e  industriale,  gravitante  attorno  a  Novara  e 
proiettata  verso  la  Lombardia  con  il  potente  polo  di  attrazione  di  Milano; 
l'altra  più  rurale,  più  periferica  e  forse  maggiormente  caratterizzata  come 
piemontese.  L'ipotesi,  che  come  vedremo  troverà  conferma  nei  nostri  da- 
ti, è  che  l'area  orientale,  confinante  con  la  Lombardia,  risulti  meno  dialet- 
tofona  nel  contesto  specifico  oggetto  di  questa  indagine,  proprio  per  il 
suo  carattere  più  schiettamente  urbano  e  per  la  sua  vocazione  come  area 
di  scambio  e  transizione,  mentre  nei  centri  agricoli  (di  varia  dimensione) 

176 


del  vercellese  e  del  biellese  la  presenza  del  dialetto  dovrebbe  emergere 
con  maggior  forza  all'interno  di  comunità  (almeno  apparentemente)  più 
radicate  sul  territorio. 


3.  Dati  quantitativi 

Si  considerino  ora  alcuni  aspetti  generali  che  caratterizzano  il  corpus 
dal  punto  di  vista  quantitativo  e  che  permettono  già  di  intravedere  alcune 
regolarità  che  emergeranno  però  in  modo  piìi  evidente  con  un'analisi 
multi  variata  dei  dati. 

Avendo  la  ricerca  come  scopo  principale  quello  di  verificare  la  presen- 
za del  dialetto  nel  nostro  corpus  di  indicazioni  stradali  e  di  valutare  il  pe- 
so relativo  di  diversi  fattori  sulle  scelte  linguistiche  dei  rispondenti,  il  co- 
dice usato  nella  risposta  costituisce  la  variabile  dipendente  dell'analisi 
quantitativa.  Per  semplificare  l'analisi,  tuttavia,  è  stato  necessario  ridurre 
la  varietà  di  casi  di  compresenza  di  italiano  e  dialetto,  troppo  dispersiva,  a 
due  sole  varianti,  e  cioè  all'uso  esclusivo  dell'italiano  e  alla  presenza, 
seppur  minima,  del  dialetto  nei  turni  dell'interrogato.  In  seguito  si  mo- 
strerà come  questo  'uso  del  dialetto'  corrisponda  in  realtà  ad  un'ampia 
gamma  di  possibilità  linguistiche  e  discorsive,  la  cui  varietà  è  però  diffi- 
cilmente riconducibile  ad  un'analisi  quantitativa  e  che  verrà  perciò  recu- 
perata in  un  secondo  tempo  (vedi  §  4). 

Per  quanto  riguarda  le  variabili  indipendenti,  cioè  i  fattori  potenzial- 
mente significativi  nel  descrivere  e  spiegare  il  comportamento  linguistico 
dei  parlanti,  si  è  preso  in  considerazione  il  sesso  e  l'età  dell'informatore^, 
il  sesso  del  rilevatore,  la  località  nella  quale  è  avvenuto  lo  scambio  (se 
città,  paese  o  centro  di  media  grandezza^),  l'area  (occidentale,  province  di 
Vercelli  e  Biella,  o  orientale,  province  di  Novara  e  Verbania)  e  il  codice 
usato  dal  rilevatore  (anche  in  questo  caso  esclusivamente  italiano  vs.  dia- 
letto o  misto  italiano  e  dialetto).  Per  quanto  riguarda  l'età,  le  diverse  fasce 
che  erano  state  registrate  in  un  primo  momento  sono  state  accorpate  in 
due  grosse  fasce  (+/-  40  anni  approssimativi)  per  evitare  la  dispersione 
dei  dati.  Infine,  altre  variabili  situazionali,  quali  ad  esempio  il  fatto  che 
l'informatore  fosse  in  compagnia  e  interagisse  dunque  anche  con  un'altra 
persona,  o  che  il  rilevatore  fosse  locale  o  meno,  sono  state  escluse  dall'a- 

^  Per  l'inserimento  del  parlante  in  una  fascia  d'età  ci  si  è  dovuti  basare  ovviamente 
sulla  sola  valutazione  soggettiva  del  rilevatore. 

^  A  questo  fine  mi  sono  rifatta  ai  dati  demografici  dell' ISTAT  relativi  al  2000  e  ho 
classificato  i  comuni  al  di  sotto  dei  5.000  abitanti  come  'paese',  quelli  tra  i  5.000  e  i 
10.000  come  'centro  di  media  grandezza'  e  quelli  superiori  ai  10.000  come  'città'. 

177 


nalisi  quantitativa  e  verranno  recuperate  nell'ambito  di  un'analisi  piti 
puntuale  di  alcune  registrazioni  significative. 

Tab.  1  II  campione 


Risposte 

TOTALE 

% 

solo  italiano 

anche  dialetto 

Domanda  in  italiano 

278  (92%) 

21  (7%) 

299 

74% 

Domanda  in  dialetto 

41  (40%) 

60  (59%) 

101 

25% 

Rilevatore  M 

113(86%) 

18(13%) 

131 

32% 

Rilevatore  F 

225  (83%) 

44(16%) 

269 

67% 

Città 

165  (93%) 

11  (6%) 

176 

44% 

Centro  medio 

89  (83%) 

17(16%) 

106 

26% 

Paese 

84(71%) 

34  (28%) 

118 

29% 

Zona  est 

181  (91%) 

17  (8%) 

198 

49% 

Zona  ovest 

157(77%) 

45  (22%) 

202 

50% 

Informatore  M 

154(81%) 

35(18%) 

189 

47% 

Informatore  F 

184(87%) 

27(12%) 

211 

52% 

Inform.  <40  a. 

172(95%) 

8  (4%) 

180 

45% 

Inform.  >40  a. 

166  (75%) 

54  (24%) 

220 

55% 

TOTALE 

340  (85%) 

60(15%) 

400 

100% 

Come  si  può  osservare  dai  dati  riportati  nella  Tab.  1,  non  tutti  i  fattori 
all'interno  di  ciascun  gruppo  sono  parimenti  rappresentati,  ciò  vale  so- 
prattutto per  il  caso  della  prima  variabile,  quella  della  lingua  usata  dal  ri- 
chiedente, per  la  quale  il  numero  di  richieste  in  dialetto  copre  solo  un 
quarto  dell'intero  campione.  In  generale,  però,  la  distribuzione  dei  dati 
appare  del  tutto  accettabile  trattandosi  di  un  corpus  spontaneo,  con  fina- 
lità essenzialmente  esplorative.  Da  una  prima  lettura  dei  valori  assoluti  e 
percentuali  si  può  osservare  che  l'uso  del  dialetto  da  parte  dell'interroga- 
to sembra  correlato  alla  richiesta  in  dialetto,  a  un  contesto  non  urbano 
nella  parte  occidentale  dell'area  in  esame,  e  all'età  piti  anziana  dell'inter- 
rogato. Invece,  il  sesso  del  richiedente  e  dell'interrogato  non  sembrano 
correlare  con  la  scelta  del  codice. 

A  partire  da  questi  dati  è  possibile  costruire  un  modello  probabilistico 
che  misuri  il  peso  relativo  delle  variabili  indipendenti  sull'incidenza  del- 
l'uso del  dialetto  da  parte  dei  nostri  inconsapevoli  informatori,  che  esclu- 
da quelle  variabili  che  non  sono  statisticamente  significative  (individuan- 
do eventuali  interferenze  reciproche  fra  variabili)  e,  infine,  che  calcoli  la 
probabilità  di  occorrenza  di  un  dato  fenomeno  (nel  nostro  caso  l'uso  del 
dialetto)  a  parità  di  tutti  gli  altri  fattori  (annullandone  cioè  il  peso  relati- 
vo). Tale  modello,  applicato  ad  un  campione  come  il  nostro  e  relativa- 
mente ad  una  variabile  quale  la  presenza  o  meno  del  dialetto  nel  parlato 

178 


spontaneo,  non  può  naturalmente  avere  valore  predittivo  in  senso  forte;  si 
tratta  però  di  un  potente  strumento  descrittivo  che  permette  una  lettura 
più  dinamica  dei  dati. 

Per  questo  tipo  di  analisi  mi  sono  avvalsa  di  VARBRUL,  il  program- 
ma pili  diffuso  per  l'analisi  multi  variata  nella  sociolinguistica  quantitati- 
va, elaborato  da  Sankoff  alla  fine  degli  anni  '70  e  di  cui  esiste  ora  una 
versione  aggiornata  (GOLD VARE;  cfr.  Robinson  /  Lawrence  /  Taglia- 
monte  2001),  piià  intuitiva  e  dunque  di  più  facile  utilizzo.  Rispetto  ad  altri 
programmi  di  analisi  statistica,  Varbrul,  che  si  avvale  di  un  modello  di  re- 
gressione logistica,  si  presta  particolarmente  bene  alla  sociolinguistica  e 
in  particolare  all'analisi  di  campioni  raccolti  sul  campo,  tipicamente  più 
sbilanciati  e  con  minor  controllo  sulle  variabili  rispetto  a  campioni  co- 
struiti in  laboratorio^. 

In  una  prima  fase  dell'analisi  (analisi  step-up-step-down)  vengono  in- 
dividuati i  fattori  che  non  contribuiscono  in  modo  significativo  alla  varia- 
zione, che  possono  così  essere  eliminati  dal  modello  finale.  Nel  nostro  ca- 
so l'analisi  giudica  non  significativo  il  sesso,  sia  dell'interrogato  sia  del 
richiedente,  mentre  la  variabile  relativa  all'area  geografica  (orientale  e 
occidentale)  appare  poco  significativa  ma  non  viene  comunque  rifiutata 
dal  modello. 

Il  modello  che  ne  risulta  è  riportato  nella  Tab.  2  nella  quale  sono  indi- 
cati i  valori  percentuali  di  applicazione  della  regola  (presenza  del  dialetto 
nella  risposta)  per  ognuno  dei  fattori  considerati,  i  valori  attesi  in  base  al 
modello  e  il  peso  relativo  dei  fattori.  A  questo  proposito  va  ricordato  che 
un  valore  superiore  a  0.5  corrisponde  ad  un'influenza  positiva  di  quello 
specifico  fattore  affinché  la  regola  si  applichi  (cioè  che  emerga  il  dialet- 
to), mentre  valori  al  di  sotto  di  0.5  indicano  un'influenza  negativa,  cioè 
un'alta  probabilità  che  la  regola  non  si  applichi.  Fattori  che  presentano 
valori  attorno  allo  0.5,  infine,  sono  meno  influenti  nell'applicazione  o 
meno  della  regola.  Da  ultimo  viene  riportato  il  valore  Pg  con  il  quale  si  in- 
dica la  probabilità  media  di  applicazione  della  regola  all'interno  del  cor- 
pus annullando  il  peso  dei  diversi  fattori^. 


*  Per  questa  parte  di  analisi  dei  dati  un  contributo  decisivo  mi  è  stato  dato  da  Alessan- 
dro Vietti.  Sull'applicazione  di  Varbrul  alla  ricerca  in  sociolinguistica  cfr.  Paolillo  (2002), 
Bayley  (2002),  Vietti  (2005). 

^  Come  si  può  osservare,  pO  corrisponde  ad  una  percentuale  deir8%,  notevolmente  in- 
feriore alla  percentuale  di  effettive  risposte  parzialmente  dialettali  elicitate  (15%,  vedi 
Tab.  1). 


179 


Tab.  2  Peso  relativo  dei  fattori 


risposta  anche  in  dialetto 

valori  attesi 

peso  del  fattore 

Codice 
domanda 

anche  dialetto 
solo  italiano 

0.41 
0.07 

0.26 
0.05 

0.798 
0.386 

Località 

paese 

centro  medio 
città 

0.29 
0.16 
0.06 

0.14 
0.09 
0.05 

0.645 
0,525 
0.387 

Età  interrogato 

>40 
<40 

0.25 
0.04 

0.16 
0.03 

0.681 
0.284 

Area 

ovest 
est 

0.22 
0.09 

0.11 
0.06 

0.586 
0.412 

400  tokens 
Pg!  0.082 

A  parità  di  significatività  la  presenza  del  dialetto  nei  turni  del  richie- 
dente risulta  il  fattore  più  "pesante"  nel  determinare  la  presenza  del  dia- 
letto nella  risposta,  seguito,  ad  una  certa  distanza,  dall'età  più  anziana 
dell'interrogato  e  dal  fatto  di  trovarsi  in  un  piccolo  centro  abitato.  A  que- 
sto proposito  va  ricordato  che  la  variabile  'località'  è  di  tipo  contestuale  e 
non  demografico,  riguarda  cioè  dove  avviene  l'interazione  e  non  il  luogo 
di  residenza  o  di  origine  dell'informatore  (che  non  ci  è  dato  sapere"^).  Ciò 
sembra  comunque  rilevante  perché,  se  l'informatore  è  dialettofono,  sarà 
con  maggiore  probabilità  in  un  piccolo  centro  che  questa  dialettofonia  po- 
trà emergere.  Viceversa,  tra  i  "pesi"  negativi,  l'età  più  giovane  dell'inter- 
rogato è  il  fattore  che  con  maggiore  forza  impedisce  l'applicazione  della 
regola,  cioè  l'emergere  del  dialetto  nella  risposta,  seguito  con  valori  quasi 
identici  dal  contesto  urbano  e  dalla  richiesta  formulata  in  italiano.  L'ana- 
lisi multivariata  prodotta  da  Varbrul  sembra  invece  escludere  come  non 
significativa  la  variabile  sesso '^ 

"^  In  diverse  registrazioni,  tuttavia,  l'informatore  dichiara  la  propria  estraneità  alla  lo- 
calità nella  quale  avviene  l'interazione,  spesso,  ma  non  necessariamente,  per  evitare  di 
fornire  una  risposta:  indicativamente  potrebbe  essere  in  questa  direzione  nella  piazza  lì  + 
perché  lì  e  'è  la  piazza  +  per  cui_  +  però  io  non  sono  di  Trecate.  Oppure,  con  risposta  in- 
teramente in  dialetto:  mi  so  mia  +  so  mia  perchè  mi  +  su  mia  da  ki  mi  'non  lo  so  perché 
non  sono  di  qui,  io'. 

"  Un  confronto  diretto  con  i  dati  discussi  in  Sobrero  (1992a  e  1992b)  è  possibile  solo 
in  parte  per  la  maggiore  ampiezza  del  corpus  salentino  e  per  il  numero  maggiore  di  varia- 
bili considerate  in  quello.  Anche  in  quel  caso,  comunque,  la  scelta  del  dialetto  è  correlata 
positivamente  con  l'ambiente  rurale  (paese),  con  l'età  più  elevata  (e  più  ancora  con  ceto  e 
grado  d'istruzione  bassi)  e  con  l'uso  del  dialetto  nella  domanda,  notando  una  convergenza 
soprattutto  nei  primi  turni  dell'interazione.  Anche  qui  il  sesso  non  risulta  significativo 
(Sobrero  1992a:  167). 

180 


Tuttavia,  un'analisi  piiì  attenta  dei  dati  ottenuta  incrociando  due  varia- 
bili alla  volta  ha  fatto  emergere  modelli  di  variazione  almeno  in  parte  di- 
versi per  le  donne  e  per  gli  uomini,  mettendo  in  evidenza  come  la  variabi- 
le del  genere  risulti  invece  significativa  tenendo  conto  della  strutturazione 
intema  dei  due  gruppi  presi  individualmente  piuttosto  che  dal  confronto 
diretto  dei  due  generi  considerati  come  fattori  della  stessa  variabile. 

Dividendo  il  corpus  in  due  sottocampioni  (uno  per  genere),  i  dati  sui 
quali  effettuare  l'analisi  si  restringono  ulteriormente  provocando  una  ri- 
duzione dei  fattori  che  continuano  a  risultare  significativi:  in  particolare, 
come  si  può  osservare  dalla  Tab.  3,  il  modello  esclude  l'area  geografica 
per  il  sottogruppo  delle  donne  e  la  località  per  il  sottogruppo  degli  uomi- 
ni. 

Tab.  3  Variabile  sesso 


Donne 

Uomini 

Codice 
domanda 

anche  dialetto 
solo  italiano 

0.910 
0.316 

0.725 
0.418 

Età  interrogato 

>40 
<40 

0.771 
0.231 

0.613 
0.328 

Località 

paese 

centro  medio 
città 

0.763 
0.571 
0.290 

Area 

ovest 
est 

0.616 
0.378 

Donne: 

Uomini: 

211  tokens 

\m  tokens 

p^:  0.026 

p^:  0.142 

Il  primo  dato  che  emerge  con  evidenza  osservando  i  valori  riportati 
nella  Tab.  3  riguarda  la  percentuale  di  applicazione  della  regola  annullan- 
do il  peso  di  tutti  i  fattori  (il  valore  Pq),  che,  come  si  può  notare,  per  le 
donne  è  inferiore  di  6  punti  rispetto  al  valore  riscontrato  sul  campione  in- 
tero, mentre  per  gli  uomini  è  addirittura  superiore  di  6  punti.  Questo  spie- 
ga perché  la  variabile  sesso  venisse  rifiutata  dal  primo  modello:  i  due  sot- 
togruppi si  annullano  a  vicenda,  probabilmente  interagendo  con  altre  va- 
riabili in  modo  però  diverso  l'uno  dall'altro.  Nel  campione  delle  donne  le 
tre  variabili  che  risultano  significative  presentano  una  polarizzazione  dei 
valori  molto  maggiore  di  quella  risultante  nel  campione  degli  uomini,  co- 
sì come  di  quella  relativa  all'intero  campione.  Ciò  è  vero  in  particolare 
per  l'età  e  per  il  codice  usato  nella  richiesta,  dove  il  valore  relativo  a  'do- 
manda in  dialetto'  ha  un'incidenza  fortissima  nella  probabilità  che  l'infor- 

181 


matrice  usi  a  sua  volta  il  dialetto  nella  risposta.  Per  gli  uomini,  viceversa, 
il  fattore  contestuale  del  codice  usato  dall'interlocutore  ha  un  peso  molto 
minore,  così  come  è  minore  la  polarizzazione  rispetto  alle  due  fasce  d'età. 

Quanto  alle  altre  due  variabili  geografico-territoriali,  esse  sembrano 
fare  da  sfondo  alle  considerazioni  appena  esposte:  il  modello  emerso  per 
le  donne  (forte  sensibilità  a  fattori  contestuali  e  polarizzazione  delle  due 
fasce  d'età)  vale  soprattutto  in  contesto  rurale  (paese),  mentre  per  gli  uo- 
mini un  modello  di  dialettofonia  piti  diffusa  in  parte  indipendente  da  altri 
fattori,  emerge  forse  con  maggior  forza  nell'area  del  vercellese  e  del  biel- 
lese. 

In  conclusione,  questa  analisi  differenziata  per  i  due  generi  permette  di 
dare  una  lettura  piij  articolata  alla  variabile  indipendente  'sesso':  da  una 
parte  l'uso  del  dialetto  per  le  donne  sembra  maggiormente  condizionato 
dall'età  di  quanto  non  lo  sia  per  gli  uomini,  dall'altra  le  donne  risultano 
mediamente  molto  più  sensibili  degli  uomini  nelF  adeguarsi  alla  scelta  del 
codice  del  loro  interlocutore.  Più  in  generale  si  può  affermare  che  per  le 
donne  del  campione  l'incidenza  delle  variabili  (in  particolare  il  codice 
usato  dall'interlocutore)  sia  molto  maggiore  che  non  per  gli  uomini. 

4.  Per  una  tipologia  degli  scambi  linguistici 

Come  è  emerso  con  grande  evidenza  dall'analisi  quantitativa  dei  dati, 
la  variabile  che  sembra  pesare  maggiormente  sulle  scelte  linguistiche  dei 
nostri  anonimi  interlocutori  è  quella  relativa  al  codice  usato  dal  richieden- 
te, una  variabile  che,  nel  caso  delle  donne,  è  risultata  ancora  più  significa- 
tiva. Ciò  presuppone  un  bilinguismo  potenziale  italiano-dialetto  diffuso 
sul  territorio  che  può  essere  attivato  o  meno  dal  parlante  a  seconda  del 
contesto.  Il  tipo  di  dati  raccolti,  che  azzera  di  fatto  la  variazione  in  rela- 
zione alla  situazione,  all'argomento  e  al  grado  di  familiarità  tra  gli  inter- 
locutori, rende  a  maggior  ragione  evidente  come  i  parlanti  si  pongano  di 
fronte  ad  un  particolare  evento  comunicativo,  per  quanto  neutro  e  poco 
significativo,  interpretandolo  e  attualizzando  in  modi  anche  molto  diversi 
il  repertorio  linguistico  di  cui  essi  dispongono. 

Dell'interlocutore  (richiedente)  si  è  messa  in  evidenza  soprattutto  la 
scelta  linguistica,  in  quanto  statisticamente  significativa  e  facilmente  ri- 
conducibile a  due  varianti  contrapposte.  Va  tuttavia  ricordato  che  l' inter- 
locutore-richiedente, sebbene  invariabilmente  sconosciuto  all'inconsape- 
vole informatore,  si  presenta  in  realtà  come  un  fascio  di  tratti  sociali,  geo- 
grafici e  anagrafici  che  possono  essere  riassunti  almeno  in  due  figure  con- 
trapposte. Da  una  parte  quella  dell'individuo  che  si  muove  all'interno  del- 

182 


la  propria  comunità  (intesa  in  senso  lato,  come  microregione),  dall'altra 
quella  dell'estraneo,  di  passaggio  nella  località  dove  avviene  l'incontro. 
E'  chiaro  che  un  lavoro  di  interpretazione  di  questo  insieme  di  fattori  da 
parte  dell'interpellato  può  influenzare  in  maniera  decisiva  le  proprie  scel- 
te linguistiche. 

A  questo  proposito  si  vedano  due  esempi  a  confronto.  Un  interlocuto- 
re-richiedente tipicamente  locale  (si  tratta  di  una  studentessa  residente 
nella  zona),  la  cui  richiesta  presuppone  una  certa  familiarità  con  il  territo- 
rio (es.  1)  può  elicitare  una  risposta  mista  italiano-dialetto  pur  parlando 
solo  in  italiano,  cosa  che  difficilmente  potrebbe  avvenire  con  un  interlo- 
cutore-richiedente palesemente  non  locale  (es.  2). 

(1)  Carisio  (VC):  studentessa  e  donna  anziana 

\St\  buongiorno  mi  scusi,  sa  mica  dirmi  dov'è  la  raymond  qua  a  Ca- 
risio? 
MA  buìjdì ...  uh  sì ...  alóra,  cela  l-a  d-arjdé  sempe  dricia 

'Buongiorno,  allora,  Lei  deve  andare  sempre  dritto' 
\St\  eh 
\F\  poi  dopo  ad  uq  certo  pugto  la  gira  a  sinistra,  s-a  sbaglia 

gnarjca  sa  la  vor 

'Poi  ad  un  certo  punto  gira  a  sinistra,  non  si  sbaglia  neanche  se 

vuole' 
\St\  mh  [RIDE] 
\R  perché  ...  lei  prosegue  sempe  dric' 

'Perché,  Lei  prosegue  sempre  dritto' 
\St\  sì 
\F\  a  la  prima  via  a  sinistra  ...la  gira  la  s-cera  scrit  raimor)...  sa 

sbaglia  nerj 

'Alla  prima  via  a  sinistra,  gira,  vede  scritto  Raymond,  non  si 

sbaglia' 
\St\  ah  va  bene,  grazie  mille,  buona  giornata 
\F\  grazie 

(2)  Livorno  Ferraris  (VC):  SDN  e  due  donne  anziane 

\Sil\  scusate 

\F\  prego 

\Sil\  c'è  un  supermercato  qua  vicino? 

\F\  eh  qua  vicino  &no& 

\F2\  &deve  andare  in  fon/& 

\PA  &al  fondo  al  fondo  del  viale 

\Sil\  ah  ho  capito  ...  è  lontano? 

\F\  ma  no  no 


183 


\Sil\  adesso  vedo 

\F\  si  vede  la  fine  di  qua 

\F2\  dove  c'è  il  monumento  poi 

\Sil\  ah 

\F2\  si  trova  il  monumento  alla  sua  sinistra,  gira  così  c'è  il  &su/ 

supermercato 
\F\  &il  supermercato 

\Sil\  vado  giù  di  qui 
\F2\  eh  sì 
\Sil\  grazie 

Come  si  è  già  anticipato,  la  presenza  del  dialetto  nei  turni  dell'interro- 
gato può  variare  in  modo  considerevole.  Calcolando  il  numero  di  parole  o 
di  morfemi  in  entrambi  i  codici  è  teoricamente  possibile  ordinare  le  regi- 
strazioni in  base  alla  percentuale  di  dialetto  presente  in  ognuna  delle  regi- 
strazioni. Tuttavia  una  procedura  di  questo  genere  non  ci  direbbe  nulla  su 
come  il  dialetto  si  colloca  all'interno  di  questi  brevi  scambi,  né  se  il  suo 
rapportarsi  all'italiano  possa  dirsi  in  qualche  modo  significativo.  Sempre 
appoggiandosi  a  criteri  oggettivi  le  registrazioni  miste  italiano-dialetto  si 
possono  invece  classificare  a  seconda  che  la  commutazione  di  codice  sia 
di  tipo  inter-  o  intrafrasale,  cioè  rispettivamente  come  casi  di  commuta- 
zione di  codice  vera  e  propria  (vedi  ess.  3-4)  o  come  casi  meglio  definibi- 
li come  enunciazione  mistilingue  (vedi  ess.  5-6). 

(3)  Trecate  (NO):  SDN  e  due  donne  anziane 

\F2\  allora  lei  quando  arriva- 
VF  1\  la  prima/  praticamente  trova  la  prima  via  sulla  destra 
\F2\  sì 

\F1\  in  fondo  alla  via  sbuca  dove  c'è  la  piazza 
\Sil\  grazie 
\F1\  va  sempre  dritto 
\F2\  eh  ...  sbaglia  mia 

'Non  sbaglia' 
\Fl\ehsì 
\Sil\  grazie 
\F2\  arrivederci 

(4)  Novara,  rilevatore  e  tre  anziani 

\M\  deve  fare  ...  seicento  metri 

\M2\  sempre  diritto 

\M\  se  vuol  prendere  il  pulman  prende  il  tre,  il  cinque 

184 


\Ril\  però  a  piedi  sono  seicento  metri? 

\M2\  seicento  metri  ...  /m  l-è  giiien,  dés  miniit  l-è  là 

'Seicento  metri,  Lei  (lett.:  lui)  è  giovane,  in  dieci  minuti  è  là' 
'\F\  eiì  l-è  gióvéne 
Eh,  è  giovane" 

r      "> 
L---J 

(5)  Santhià  (VC):  studentessa  e  uomo  di  mezza  età 

\St\  buonasera  scusi,  volevo  chiedere  se  sa  mica  dov'è  il  comune? 

\M\  buonasera,  eh  ...  /-municipio? 

\St\  sì 

\M\  municipio  ...  dritti  a  la  rotunda,  a  la  rotonda  giri  a  snistra 

\St\  mh 

\M\  la  prima  via  a  destra/  l-second  fabricato  a  destra  è  /-municipio,  prima 

dia  piassa 
\St\  ah,  va  bene,  va  bene 
\M\  buonasera 
\St\  grazie 

(6)  Livorno  Ferraris  (VC):  studentessa  e  uomo  anziano 

\St\  [...]  non  sa  mica,  /  cercuma  ël  museo  ferraris 

'Non  sa,  cerchiamo  il  museo  Ferraris' 
\M\  il  museo? 
\St\  sì 
\M\  là  ...  nt-è  cula  ...  quella  casa  là  eh  già/  gialla  no? 

'Là  dove  c'è  quella,  quella  casa  gialla' 
\St\  ah  quella  giaunal 

'Quella  gialla?' 
\M\  eh,  e  sótaj-è  na  porta  dencó  ...  duèrta 

'E  sotto  c'è  anche  una  porta,  aperta' 
\St\  mhm 
\M\  entra  h  dentro  l-è  il  museo 

'Entra,  lì  dentro  è  il  museo' 

A  questo  punto  è  interessante  capire  come  queste  diverse  possibilità  di 
combinazione  di  italiano  e  dialetto  si  inseriscano  nello  schema  piuttosto 
rigido  e  prevedibile  delle  richieste  di  indicazione  stradale,  schema  ben  il- 
lustrato in  Sobrero  (1992a),  al  quale  rimando. 

Si  considerino  qui  alcuni  tipi  ricorrenti  per  quanto  riguarda  la  presenza 
del  dialetto  nei  nostri  dati.  Nei  casi  in  cui  il  richiedente  usa  il  dialetto  in 
apertura,  marcando  dunque  da  subito  l'interazione  come  dialettofona,  la 
prima  reazione  dell'interlocutore  può  essere  del  tutto  divergente,  presen- 
tando un  uso  esclusivo  dell'italiano: 

185 


(7)  Crova  (VC):  studentessa  e  donna  giovane 

\St\  buongiorno,  c-a  ma  sciisa,  sa  pô  di-mi  nte  c-a  l-è  al  bar  nôu  c- 
a  I-arj  duerîà  chi  a  crova? 

'Buongiorno,  mi  scusi  mi  può  dire  dov'è  il  bar  nuovo  che  han- 
no aperto  qui  a  Crova?' 

\F\  prosegua  dritto  fino  alla  fine  del  paese,  dopo  la  chiesa  sulla  destra 

\St\  grazie 

Con  pili  probabilità,  però,  l'interpellato  reagisce  con  una  risposta  dia- 
lettale (es.  8)  o  mistilingue  (es.  9  e  anche  6  pila  sopra),  anche  quando  l'in- 
terlocutore non  è  evidentemente  in  grado  di  sostenere  l'intera  spiegazione 
in  dialetto  (es.  10). 

(8)  Bìanzè  (VC):  due  studentesse  e  donna  anziana 

\Stl\  c-a  ma  scusa  ...sa  di-m  nte  c-a  l-è  la  stasiùìj? 

'Buongiorno,  può  dirmi  dov'è  la  stazione?' 
\F\eh? 
\Stl\  la  stasiùr)  ...  nte  c-a  l-è? 

'La  stazione,  dov'è?' 
\F\  eh  la  stasiùr)  fé  che  tume  ëndëréra,  quarj  ch-i  rìvaj  diijt  al  bivio 

arjdòj  dric  ' 

'La  stazione  dovete  tornare  indietro,  quando  arrivate  al  bivio 

andate  dritto' 
\Stl\  va  beg  grazie 
\St2\  grazie 

(9)  Cigliano  (VC):  studentessa  e  donna  anziana 

\St\  c-a  ma  sciisa  madamiï),  nte  c-a  i  sufjje  scòli  médje? 

'Mi  scusi  signora,  dove  sono  le  scuole  medie?' 
\F\  ahye  scòle  médje _  oh  i  sur)  da  l-auta  part  del  pais  ...  alùra, 

adès  qui  trovi  ël  sens  Unie,  quindi, 

giri  la  tua  destra,  passi  davanti  l-uspidal,  vai  avagti  fino  al  se- 
maforo [...] 

'Ah,  le  scuole  medie,  sono  dall'altra  parte  del  paese,  allora, 

adesso  qui  trovi  il  senso  unico,  quindi 

giri  sulla  destra,  passi  davanti  all'ospedale,  vai  avanti  fino  al 

semaforo  ...' 

(10)  Bellinzago  (NO):  rilevatore  e  uomo  anziano 

\Ril\  scusi 
\M\  dica 

\Ril\  sa  mia  ndua  l-è  la  stasior)? 
'Non  sa  dov'è  la  stazione?' 


186 


\M\  eh  la  stasiorj  è  un  pu  luntarj 

'Eh  la  stazione  è  un  po'  lontano' 
\Ril\  lontano? 

\M\  sì,  deve  prendere  sta  strada  qui,  deve  fare  circa  un  chilometro 
a  piedi  [...] 
L'apertura  in  dialetto  viene  dunque  interpretata,  nel  nostro  campione, 
come  una  richiesta  di  (o  la  disponibilità  a)  condurre  l'interazione  in  dia- 
letto, richiesta  che  può  essere  accolta  o  meno.  Manca,  invece,  in  questo 
tipo  di  interazioni,  un  uso  funzionale  della  commutazione  di  codice,  più 
probabile,  come  si  vedrà  sotto,  all'interno  di  dialoghi  prevalentemente  in 

italiano. 

Si  noti  che  nell'intero  corpus  non  si  è  riscontrato  un  solo  caso  di  rea- 
zione (positiva  o  negativa  che  sia)  a  queste  aperture  in  dialetto,  tutte  effet- 
tuate, inoltre,  da  individui  giovani  e  in  prevalenza  di  sesso  femminile. 
Questo  fa  pensare  ad  una  non  marcatezza  del  dialetto  in  interazioni  con 
estranei  nell'area  orientale  del  Piemonte,  un  fatto  che  mi  sembra  indicati- 
vo di  una  dialettofonia  più  diffusa  e  pervasiva  di  quanto  non  si  sia  soliti 

pensare'^. 

Ancora  più  frequente  appare  la  scelta  (convergente)  di  usare  il  dialetto 
in  risposta  ad  ulteriori  richieste  di  chiarimento  nell'ultima  parte  dell'inte- 
razione dedicata  alle  spiegazioni,  soprattutto  nelle  fasi  cosiddette  di  con- 
trollo o  di  commento  (cfr.  Sobrero  1992a): 

(11)  Sali  (VC):  studentesse  e  uomo  anziano 

\St\  buongiorno 

\St2\  buongiorno 

\St\  è  per  di  qua  che  si  va  a  sali? 

\M\sì 

\St\  dobbiamo  sempre  andare  dritto? 

\M\  aha  eh  eh  ottocento  metri  è  sali 

\St\  ah  l-è  facil  parèj ?  <— 

'Ah  è  così  facile?' 
\M\  oh  l-è  un  chilometro  e  sinsent  metrë  dal  casil  da  strà 

'Oh,  è  un  chilometro  e  cinquecento  metri  dal  casello  della  strada' 
\St\  ah  [RIDE] 
\St2\  [RIDE]  va  bene,  grazie 
\M\  prego 

'2  Questi  risultati  contrastano  invece  con  le  reazioni  anche  molto  negative  raccolte  da 
Massimo  Cerniti  nel  corso  di  una  ricerca  analoga  effettuata  a  Torino  (comunicazione  per- 
sonale). Cfr.  anche  Berruto  (2004:  54-55)  per  un  commento. 

187 


(12)  Fontaneto  (NO):  rilevatore  e  donna  di  mezza  età 

\Ril\  eh-,  senta  io  devo  andare  verso  cressa 

\F\allora  trenta/  deve  tornare  indietro  ...  e-  fa  il  ponte  lì 

\Ril\  sì 

\F\  arriva  là  all'incrocio  della  statale.  ìattraversa!  la  statale,  sempre 

dritto  arriva  &a  cressa& 

\Ril\  &ma-&  l-è  mia  <—  luntàrj? 

'Ma  non  è  lontano?' 
VPA  !no!-  dii-  dii  miniit  l-è  le 

'No!  Due  minuti  è  lì' 
\Ril\  bene  [RIDE]  grazie 

I  casi  di  commutazione  di  codice  interfrasale  sembrano  invece  occor- 
rere solo  su  iniziativa  dell'interrogato  e  in  genere  ai  confini  tra  le  diverse 
fasi  in  cui  si  articola  l'interazione,  ad  esempio  in  coincidenza  con  la  fine 
della  parte  dedicata  alle  indicazioni  e/o  introducendo  una  valutazione  (in 
genere  positiva)  sul  percorso: 

(13)  Valstrona  (BI):  studentessa  e  uomo  giovane 

L...J 

\M\  allora  da  qui,  da  campore  prosegue  sempre  dritto,  passa  il  pon- 
te, fa  un  paio  di  tornanti  e  poi  c'è  un  incrocio,  si  tiene  sulla  si- 
nistra, la  va  avarjti  'ciijcét  metër,  l-ariva  alfrére      <r- 
'...  va  avanti  cinquecento  metri  e  arriva  al  "Frére"' 

\St\  grazie 

\M\  buongiorno 

(14)  Bianzè  (VC):  studentesse  e  uomo  anziano 

\M\  la  prima  strada,  a  sinistra  ...  comunque  vengo  anch'io,  se  voj 
veni  après  [RIDE] 
'...  se  volete  seguire' 
\St\  grazie  [RIDE] 

E'  dunque  possibile  individuare,  in  questi  esempi  di  commutazione  di 
codice,  una  funzione,  ad  esempio  relativa  all'organizzazione  testuale-di- 
scorsiva,  nel  passaggio  dall'italiano  al  dialetto,  il  che  è  appunto  coerente 
con  il  loro  statuto  di  commutazioni  vere  e  proprie.  Come  già  altre  ricer- 
che sul  code-switching  hanno  messo  in  rilievo'\  la  commutazione  di  co- 


'^  Cfr.  ad  esempio  i  diversi  saggi  contenuti  in  Auer  (1998)  e  in  particolare  l'introdu- 
zione al  volume  a  cura  di  Auer  stesso. 

188 


dice  segnala  spesso  il  passaggio  da  un  nucleo  tematico  ad  un  altro,  da  un 
atto  linguistico  ad  un  altro,  sfruttando  il  cambiamento  di  codice  come  ce- 
sura conversazionale  forte.  Trattandosi,  per  il  nostro  corpus  di  richieste  di 
indicazioni  stradali,  di  interazioni  strutturate  in  modo  molto  rigido  e  ri- 
corrente è  interessante  notare  come  la  disponibilità  di  due  codici  ben  di- 
stinti nel  repertorio  linguistico  della  comunità  venga  utilizzata  secondo 
modi  e  forme  abbastanza  ricorrenti  e  almeno  in  parte  prevedibili. 

Una  questione  che  si  pone  con  questi  nuovi  scenari  di  persistenza  del 
dialetto,  pure  a  fronte  di  un'italofonia  generalizzata,  riguarda  i  valori  o  le 
funzioni  proprie  che  si  possano  attribuire  al  dialetto,  indipendentemente 
dai  valori  conversazionali  appena  visti,  quasi  assimilabili  a  quelli  di  se- 
gnale di  articolazione  del  discorso.  Si  consideri  ad  esempio  la  preferenza 
del  dialetto  a  ricorrere  in  concomitanza  ai  commenti;  si  può  aggiungere 
che  in  questi  contesti  il  passaggio  al  dialetto  (o  l'uso  di  frammenti  in  dia- 
letto) coincide  anche  con  un  cambiamento  della  chiave,  nel  senso  di  un 
aumento  della  familiarità,  in  parallelo  ad  una  indubbia  riduzione  della  di- 
stanza fra  gli  interlocutori,  altrimenti  perfetti  estranei.  Inoltre,  al  dialetto 
si  associa  indubbiamente  una  forte  componente  locale  che,  come  è  noto, 
può  essere  utilizzata  sia  in  senso  positivo,  per  coinvolgere  l'interlocutore 
(v.  es.  15),  anche  qui  con  un  cambiamento  della  chiave  oltre  che  dell'ar- 
gomento, sia  negativo,  per  distanziarsene  del  tutto  (es.  16). 

(15)  Cureggio  (NO):  rilevatore  e  due  donne  anziane 

\F1\  ecco-  lì  dove  c'è  la  posta  lei  va  avanti  lì  dove  c'è  la  posta  giri 

a  destra,  lo  vede 
\F2\  &e  lo  vede& 
\Ril\  &/-è  mia  luntarj?& 

'Non  è  lontano?' 
\Fl\eh? 

\Ril\  l-è  mia  luntarj? 
'Non  è  lontano?' 
\Fl\!noo,  mano! 
\Ril\  chi  visir)_ 

'Qui  vicino' 
\Fl\sì-  chi  visir)  l-è  da  da  turbane  arjca  liii ...  o  no? 

'Sì,  "chi  visir)'"  è  di  Borgomanero  anche  lui,  o  no?' 
\Ril\  sur)  da  briga 

'Sono  di  Briga' 
\F1\  ah  tó  mi  sur)  da  burbané  e  lóra-  a  gh-è  pòc  ...  ecco  ...  là  in 
fondo 

'Ah  bè,  io  sono  di  Borgomanero  e  allora  c'è  poca  (differenza), 
ecco,  là  in  fondo' 

189 


(16)  Arona  (VB):  rilevatore  (18  anni)  e  uomo  anziano 

\Ril\  sa  dov'è  un  tabacchino  per  caso? 

\M\  no,  no  no,  mi  so  mia  ...  so  mia  perchè  mi ...  su  mia  da  chi  mi 
'No,  no  no,  io  non  lo  so,  non  lo  so  perché  io  non  sono  di  qui,  io' 

Funzioni  analoghe  del  dialetto  sono  state  riscontrate  anche  nell'analisi 
di  corpora  di  parlato  meno  strutturati  del  nostro.  Ad  esempio,  nei  suoi  da- 
ti di  parlato  spontaneo  raccolti  in  un  gruppo  di  adolescenti  piemontesi  (di 
area  vercellese-biellese).  Scaglia  (2002:  85-87)  osserva  che  i  prestiti  oc- 
casionali dal  dialetto  e  gli  episodi  di  commutazione  di  codice  funzionano 
come  segnali  di  cortesia  supportiva,  in  particolare  come  in-groiip  identity 
markers.  Tra  le  funzioni  conversazionali  più  evidenti,  si  nota  ad  esempio 
l'uso  del  dialetto  in  ordini  e  richieste,  ottenendo  come  effetto  una  mitiga- 
zione degli  stessi:  cfr.  ad  esempio  ciao,  fami  viighi  'fammi  vedere',  'ndu- 
ma  sia  murëta  'andiamo  sul  muretto'.  Non  molto  diversamente.  Cerniti 
(2003:  47)  nota  come  il  dialetto  funzioni,  nel  suo  corpus  di  parlanti  più 
giovani,  tra  l'altro  per  attenuare  i  rifiuti. 

5.  Conclusioni 

Italiano  e  dialetto  emergono  con  modi  e  proporzioni  molto  diversi  nei 
dati  spontanei  raccolti  chiedendo  indicazioni  stradali  a  sconosciuti  in  nu- 
merose località  del  Piemonte  nord-orientale.  A  fronte  di  un'italofonia  pre- 
ponderante, il  dialetto  fa  comunque  la  sua  comparsa  ritagliandosi  anche 
in  questo  ambito  decisamente  sfavorevole  il  suo  spazio  (con  una  media 
dell' 8%  circa,  annullando  l'effetto  delle  diverse  variabili).  In  piccoli  cen- 
tri, in  risposta  a  richieste  dialettali  o  miste,  l'interlocutore  anziano  o  di 
mezza  età  utilizza  il  dialetto,  sebbene  quasi  sempre  affiancato  all'italiano. 

L'analisi  quantitativa  dei  dati  condotta  sul  corpus  ha  permesso  di  indi- 
viduare interessanti  correlazioni  fra  alcune  variabili  indipendenti.  Come 
si  è  visto,  la  variabile  che  sembra  avere  un  peso  maggiore  sulla  selezione 
del  dialetto  da  parte  dell'interrogato  è  l'uso  del  dialetto  da  parte  del  ri- 
chiedente, un  peso  che  si  fa  ancora  più  significativo  per  gli  interrogati  di 
sesso  fenmiinile. 

Un'osservazione  più  attenta  di  questi  scambi  bilingui  ha  anche  per- 
messo di  individuare  alcuni  schemi  ricorrenti  di  compresenza  dei  due  co- 
dici e  del  passaggio  dall'uno  all'altro  ricoprendo  funzioni  conversazionali 
o  sociali,  come  quella  di  segnalare  la  cesura  fra  le  diverse  parti  che  strut- 
turano questi  mini-dialoghi  molto  prevedibili  e  convenzionalizzati,  oppu- 
re il  passaggio  ad  un  altro  tipo  testuale  o  ad  una  diversa  chiave  con  lo 
scopo,  ad  esempio,  di  diminuire  le  distanze  fra  gli  interlocutori. 

190 


In  sintesi,  la  probabilità  che  emerga  il  dialetto  in  questi  scambi  dipen- 
de da  una  serie  di  variabili  controllabili  e  da  molte  altre  di  tipo  contestua- 
le, più  difficilmente  quantificabili,  quali  ad  esempio  l'aspetto  esteriore 
(tratti  somatici,  abbigliamento)  del  richiedente,  il  tipo  di  richiesta,  la  com- 
presenza di  pili  persone,  e  da  altre  ancora  di  natura  testuale  e  conversazio- 
nale.  Tutti  questi  fattori  spingono  l'interìocutore  verso  un'interpretazione 
della  situazione  come  piti  o  meno  locale,  piià  o  meno  familiare,  favorendo 
così  usi  linguistici  verosimilmente  diversi.  Non  si  può  infine  escludere  un 
ruolo  più  attivo  degli  interiocutori  i  quali  non  sono  solo  interpreti  di  una 
situazione  ma  sono  anche  in  grado  di  modificare  la  stessa,  ad  esempio  tra- 
sformando uno  scambio  anonimo  e  di  natura  transazionale  in  una  piace- 
vole conversazione  di  paese  fra  (quasi)  conoscenti  proprio  per  mezzo  del- 
la scelta  del  dialetto  o  della  commutazione  di  codice. 


191 


BroLIOGRAFIA 

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193 


Dialetto  e  processi  di  italianizzazione  in  un  habitat  del 
Sud  d'Italia! 

Rosanna  Sornicola  (Università  di  Napoli  Federico  II) 


1.  Il  concetto  di  habitat  e  l'habitat  procidano 

In  questo  lavoro  si  presentano  alcuni  risultati  di  una  indagine  effettua- 
ta sull'arco  di  un  triennio  nell'isola  di  Procida,  con  due  gruppi  di  parlanti 
diversi  per  mestiere,  grado  di  istruzione  ed  età.  Si  tratta  di  pescatori,  ma- 
rinai e  capitani  di  lungo  corso,  di  età  compresa  tra  ottantatré  e  ventisette 
anni,  il  cui  grado  di  istruzione  varia  tra  la  terza  elementare  e  il  diploma 
dell'Istituto  nautico.  I  due  gruppi  sono  costituiti,  uno,  da  persone  che  pro- 
vengono da  famiglie  procidane  da  molte  generazioni,  l'altro  da  discen- 
denti di  un  nucleo  di  pescatori  napoletani  stabilitisi  a  Procida  durante  la 
seconda  guerra  mondiale.  Obiettivo  del  lavoro  è  stato  lo  studio  dei  pro- 
cessi di  italianizzazione  in  questi  parlanti,  in  rapporto  alle  loro  varietà 
dialettali  di  base.  L'indagine  si  inserisce  in  una  ricerca  dialettologica  e  so- 
ciolinguistica  di  più  lungo  periodo  sul  territorio  flegreo,  a  ridosso  del 
Golfo  di  Napoli,  di  cui  sono  state  presentate  altrove  le  linee-guida  e  studi 
relativi  a  singoli  fenomeni-.  L'area  ha  un  considerevole  interesse  storico  e 
pone  problemi  teorico-metodologici,  situata  com'è  al  margine  settentrio- 
nale della  grande  conurbazione  napoletana,  ma  ben  diversa  da  questa  per 
facies  linguistica,  tradizioni,  stili  di  vita,  mentalità  e  in  alcuni  casi  -  come 
a  Procida  -  per  il  profondo  radicamento  di  una  identità  storica  che  si  rive- 
ste di  toni  di  contrapposizione  rispetto  a  quella  napoletana.  Questa  situa- 
zione mostra  un  aspetto  della  complessità  sociolinguistica  della  metropoli 


'  Desidero  ringraziare  Maddalena  e  Michele  Ambrosino  dell'aiuto  che  mi  hanno  ge- 
nerosamente dato  per  stabilire  contatti  sul  territorio  ed  inserirmi  nella  realtà  procidana,  in 
particolare  alla  Corricella.  La  loro  consapevolezza  metalinguistica  delle  varietà  dialettali 
dell'isola  è  stata  una  fonte  molto  utile  per  la  ricerca.  All'amico  e  collega  Gianni  Romeo 
devo  informazioni  storiche  preziose.  Desidero  inoltre  ringraziare  Valentina  Retaro  e  Gio- 
vanni Abete  per  l'assistenza  nella  preparazione  delle  rappresentazioni  grafiche  dei  dati. 

^  Cfr.  Sornicola  1999,  Sornicola  2005c  e  relativa  bibliografia. 

195 


partenopea  e  delle  zone  ad  essa  adiacenti.  L'applicazione  indiscriminata 
del  modello  centro-periferia  rischierebbe  di  appiattire  un  quadro  molto 
pili  sfaccettato.  Per  questo  motivo  nella  ricerca  si  è  ritenuto  piti  opportuno 
fare  ricorso  ad  una  nozione  di  area  "peri-urbana"  intesa  come  sede  di  uno 
o  più  centri  di  conservazione  e  persino  di  elaborazione  ed  irradiazione  di 
norme  linguistiche. 

Ma  la  situazione  napoletana  chiama  in  causa  anche  altre  questioni.  I 
modelli  sociolinguistici  tradizionalmente  sviluppati  in  ambiente  anglo- 
americano fanno  ricorso  a  rappresentazioni  come  quella  di  "rete"  sociale, 
che  si  ispirano  ad  una  sorta  di  atemporale  geometria  delle  interazioni  so- 
ciah  e  linguistiche,  genericamente  applicabile  a  gruppi  diversi,  in  condi- 
zioni storiche  diverse.  E  legittimo  chiedersi  se  la  matrice  in  ultima  analisi 
positivistica  del  modello  sociologico  di  rete  sociale  possa  rappresentare 
quanto  di  particolare  e  caratteristico  si  muove  in  società,  comunità  e 
gruppi  di  spazi  storici  come  quelli  europei.  La  questione  potrebbe  essere 
riformulata  in  altri  termini:  può  un  modello  globale  rappresentare  le  sin- 
golarità locali  così  rilevanti  per  comprendere  dinamiche  sociolinguisti- 
che?  Si  dirà  che  questo  è  solo  un  altro  modo  di  guardare  all'antico  proble- 
ma del  rapporto  tra  teoria  e  storia.  Se  anche  fosse  così,  tuttavia,  ciò  non  ci 
esimerebbe  dal  cercare  altri  strumenti  analitici. 

Il  modello  che  ha  informato  la  ricerca  sui  pescatori,  marinai  e  capitani 
di  Procida  è  quello  di  "habitat  sociolinguistico".  Con  questa  espressione 
si  intende  uno  spazio  geografico  definito  da  attività  socio-economiche, 
comportamenti  e  atteggiamenti  culturali  che  hanno  implicazioni  per  lo 
studio  della  variazione  linguistica.  La  nozione  di  habitat  che  qui  si  propo- 
ne non  si  ispira  ad  una  ecologia  linguistica  di  tipo  biologico- 
naturahstico^,  ma  si  fonda  piuttosto  sulla  tradizione  di  una  geografia  sto- 
rica o  di  una  storia  geografica,  in  quanto  riguarda  le  condizioni  geografi- 
che (ambientali)  e  storiche  che  spesso  condizionano  il  destino  di  un'area 
e  dei  gruppi  umani  che  la  abitano.  In  questo  modo  essa  si  pone  come  un 
modello  non  solo  descrittivo,  ma  anche  interpretativo,  di  dinamiche  so- 
ciali e  linguistiche  in  cui  particolarità  di  spazio  e  tempo  giocano  un  ruolo 
importante.  L'habitat  sociolinguistico  definisce  le  condizioni  esteme  della 
possibilità  di  variazione  linguistica  di  gruppi  sociali. 

Il  ricorso  al  modello  dell'habitat  si  è  rivelato  utile  anche  come  alterna- 
tiva al  problematico  concetto  di  comunità  linguistica.  Ampiamente  impie- 

^  Nelle  discussioni  contemporanee  di  ecologia  linguistica  si  fa  spesso  ricorso  ad  un 
quadro  teorico  biologico-naturalistico,  il  che  sembra  molto  discutibile.  Per  un  esame  criti- 
co di  questi  modelli  si  veda  Dressler  2003. 

196 


gato  in  dialettologia  classica,  quest'ultimo  può  essere  di  controversa  ap- 
plicazione alle  situazioni  contemporanee.  Interessante  a  questo  proposito 
è  la  critica  che  tende  a  storicizzare  il  concetto  di  comunità  come  il  prodot- 
to di  una  ideologia  romantica  (cfr.  Busino  1978;  Bagnasco  1999).  Per 
quanto  riguarda  l'indagine  svolta  a  Procida,  molti  parlanti  del  piccolo  nu- 
cleo abitativo  della  Marina  della  Corricella,  nei  periodi  in  cui  non  sono 
imbarcati  su  navi  mercantili,  trascorrono  insieme  buona  parte  del  loro 
tempo  di  lavoro  (su  barche  da  pesca,  di  notte)  e  di  riposo  (sulla  banchina 
del  porticciolo,  di  mattina  e  di  pomeriggio),  ma  non  è  chiaro  fino  a  che 
punto  essi  si  percepiscano  come  un  gruppo  che  costituisce  una  comunità. 
Dai  loro  racconti  emerge  che  nei  periodi  piià  o  meno  lunghi  in  cui  sono 
lontani  dall'isola  vivono  una  forte  nostalgia  della  famiglia  e  dello  spazio 
fisico  e  culturale  del  piccolo  porto  su  cui  sono  costruite  le  loro  case,  delle 
abitudini  quotidiane,  in  cui  rientrano  anche  i  lunghi  pomeriggi  sul  molo  a 
guardare  il  mare  e  chiacchierare  con  i  compagni  di  lavoro.  In  questo  spa- 
zio e  tempo  vissuti  e  condivisi,  che  scandiscono  i  turni  di  lavoro  di  notte  e 
quelli  di  riposo,  i  parlanti  realizzano  gran  parte  della  loro  dimensione  lo- 
cale di  individui  sociali.  A  livello  di  micro-storia,  il  piccolo  villaggio  che 
oggi  ospita  non  più  di  una  trentina  di  famiglie  si  può  considerare  un  habi- 
tat come  luogo  di  abitudini  che  si  ripetono  ogni  giorno,  e  che  diventano 
quasi  ritualizzate"^. 

Ma  l'isola  di  Procida,  e  in  particolare  il  villaggio  della  Corricella,  pos- 
sono essere  considerati  degli  habitat  anche  rispetto  a  caratteristiche  stori- 
che strutturali  di  più  lungo  periodo,  in  rapporto  alle  tradizionali  attività 
marinare  e  della  pesca.  Sia  pure  con  alterne  vicende,  l'isola  ha  avuto  a 
partire  dalla  seconda  metà  del  XVII  secolo  una  situazione  economica  ab- 
bastanza prospera,  con  tratti  specifici  rispetto  all'intera  area  napoletana^. 

Tre  caratteristiche  sono  da  molto  tempo  distintive  dell'habitat  socio- 
linguistico  procidano.  La  prima  caratteristica  cospicua,  che  Procida  con- 
divide con  altre  realtà  isolane  diverse  (cfr.  i  contributi  del  bel  volume  di 
King  &  Connell  1999,  ed  in  particolare  l'introduzione  di  Connell  & 
King),  è  l'apertura  ad  un  mercato  del  lavoro  intemazionale.  Delle  antiche 
e  tradizionali  attività  marinare  si  ha  documentazione  storica  già  per  il  XV 
secolo  (cfr.  Di  Taranto  1985).  Nel  Novecento,  per  molti  decenni  un'aha 
percentuale  della  popolazione  maschile  attiva  dell'isola  ha  fornito  equi- 
paggi a  navi  mercantili  italiane  e  di  altri  paesi.  In  particolare,  nel  Nove- 


^  La  nozione  di  "habitat  sociolinguistico"  sarà  discussa  in  maggior  dettaglio  in  un  la- 
voro in  preparazione  per  il  Bollettino  Linguistico  Campano. 
5  Cfr.  Di  Taranto  1985. 


197 


cento  l'Istituto  Nautico  di  Procida,  uno  dei  più  antichi  d'Italia,  ha  prepa- 
rato macchinisti,  ufficiali  e  capitani  della  marina  mercantile  italiana  e  di 
quelle  di  altri  paesi.  Caratteristico  è  stato  per  i  procidani,  come  per  i  mon- 
tesi  e  gli  ischitani,  il  lavoro  su  petroliere  e  navi  che  trasportano  gas.  Ciò 
ha  garantito  un  notevole  livello  di  prosperità  economica  dell'isola,  non 
privo  di  costi  sociali,  dal  momento  che  i  prolungati  periodi  di  assenza  de- 
gli uomini  adulti  hanno  creato  famiglie  con  vuoti  psicologici  e  traumi 
emotivi.  La  seconda  caratteristica  riguarda  il  fatto  che  le  attività  marinare 
hanno  assunto  la  forma  di  una  emigrazione  periodica  di  marinai  e  ufficia- 
li, con  turni  di  imbarco  su  rotte  intemazionali  variabili  da  qualche  anno 
ad  alcuni  mesi.  Si  tratta  di  un  tipo  particolare  di  transnazionalismo  che, 
accanto  ai  costi  umani  e  sociali  poco  fa  menzionati,  ha  avuto  effetti  cultu- 
rali rilevanti.  I  marinai  e  gli  ufficiali  procidani  hanno  l'isola  come  bari- 
centro emotivo,  ma  si  sono  confrontati  già  da  decenni  con  il  complesso  e 
contraddittorio  equilibrio  tra  cultura  locale  e  cultura  globale  che  contrad- 
distingue l'epoca  contemporanea.  La  terza  caratteristica  è  la  forte  e  gene- 
ralizzata propensione  all'istruzione,  delineabile,  in  base  a  fonti  orali,  già 
per  la  prima  metà  del  Novecento  ^.  Essa  ha  costituito  un  fattore  di  rinfor- 
zo dei  comportamenti  italianizzanti  che  i  parlanti  più  anziani  del  gruppo 
indigeno,  anche  poco  scolarizzati,  attestano  già  per  la  metà  del 
Novecento^. 


2.  Presupposti  teorici  e  metodologici 

2.  1.  Obiettivi  del  lavoro.  Questo  lavoro  ha  avuto  come  obiettivo  lo 
studio  delle  differenze  interindividuali  nelle  produzioni  parlate  di  soggetti 
con  diverso  retroterra  dialettale  (procidano  e  napoletano).  Sebbene  siano 
stati  esaminati  sia  fenomeni  fonetici  che  sintattici,  in  questa  esposizione 
per  motivi  di  spazio  si  presenteranno  solo  alcuni  risultati  relativi  ai 
primi^. 

Il  ricorso  a  due  gruppi  di  parlanti  con  diverso  retroterra  dialettale  è 
stato  preordinato  allo  scopo  di  controllare  eventuali  reazioni  diverse  ri- 

''  Alcuni  dei  pescatori  e  marinai  intervistati  testimoniano  che  i  loro  genitori  avrebbero 
voluto  studiare,  ma  non  ne  avevano  la  possibilità  economica.  Molti  parlanti  inoltre  hanno 
esplicitamente  dichiarato  di  aver  considerato  molto  importante  che  i  figli  studiassero. 

^  Questa  tendenza  è  confermata  per  l'area  vicina  di  Monte  di  Procida  anche  dai  risul- 
tati del  lavoro  di  Como  (2004). 

^  Alcuni  risultati  sui  processi  sintattici  sono  stati  presentati  nella  relazione  tenuta  al 
Congresso  di  Procida.  Aspetti  diversi  di  questa  casistica  sono  discussi  in  Somicola  2005a 
e  Somicola  2005b. 

198 


spetto  al  dialetto  di  base  nel  passaggio  all'italiano.  Si  voleva  infatti  verifi- 
care quanto  i  processi  che  si  determinano  nelle  produzioni  in  italiano  fos- 
sero dovuti  a  contatto  con  il  dialetto  e  quanto  fossero  da  questo  indipen- 
denti. Come  è  noto,  questo  problema  è  stato  a  lungo  discusso  nella  dialet- 
tologia e  nella  sociolinguistica  italiane  (cfr.  Sobrero  1988,  specie  735  e 
739,  e  relativa  bibliografia;  Telmon  1993).  Esso  trova  un  interessante  pa- 
rallelo nelle  discussioni  sui  caratteri  del  francese  regionale  (cfr.  i  contri- 
buti di  Tuaillon,  Taverdet  e  Straka  in  Taverdet  et  Straka  1977;  Muller 
1985:  157-168;  Taverdet  1990,  specie  706-709).  In  questi  studi  si  è  ripe- 
tutamente segnalato  che  alcuni  fenomeni  che  contraddistinguono  le  va- 
rietà regionali  non  possono  essere  imputati  al  contatto  con  i  dialetti  o  con 
i  patois,  e  che  sono  invece  delle  innovazioni  che  si  determinano  nel  pas- 
saggio alla  lingua  nazionale.  Ma  di  che  natura  sono  queste  innovazioni? 
Non  poche  di  esse  hanno  l'aspetto  di  fenomeni  generali,  che  ricorrono 
poligeneticamente  in  molte  lingue.  Non  è  chiaro  tuttavia  se  questo  carat- 
tere di  per  sé  consenta  di  pensare  a  fenomeni  non  marcati  di  semplifica- 
zione, come  è  stato  suggerito  da  piìi  parti.  Per  certi  versi,  si  potrebbe  so- 
stenere che  le  innovazioni  abbiano  qualcosa  di  "misterioso",  che  contri- 
buisce a  dare  alle  varietà  regionali  di  lingua  conformazioni  non  chiara- 
mente definite.  Abbiamo  liste  di  fenomeni  che  le  caratterizzano,  ma  gli 
assetti  complessivi  e  le  loro  ragioni  ci  sfuggono. 

Si  tratta  evidentemente  di  risvolti  della  piìj  ampia  problematica  del 
contatto  e  del  cambiamento,  a  lungo  discussi  anche  in  lavori  di  orienta- 
mento teorico  (cfr.  Thomason  &  Kaufmann  1988;  Silva-Corvalan  1994), 
con  conclusioni  che  lasciano  giustamente  il  varco  ad  interpretazioni  non 
univoche.  In  ogni  caso,  bisogna  notare  che  il  problema  della  reazione 
contattuale  è  stato  studiato  in  passato  piuttosto  in  chiave  di  interferenza 
comunitaria  o  sistemica  piuttosto  che  di  reazioni  individuali.  Tuttavia  al- 
cuni approcci  sono  in  interessante  controtendenza  rispetto  a  questa  impo- 
stazione. Essi  indicano  nuove  prospettive  sulla  variazione  individuale,  al- 
l'interno di  sequenze  o  stadi  di  acquisizione  dalle  caratteristiche  tenden- 
zialmente regolari  (cfr.  Klein  e  Perdue  1992  e  i  numerosi  lavori  di  ricerca 
della  équipe  sull'acquisizione  di  L2  che  fa  capo  al  Max  Planck  Institut). 

È  possibile  in  effetti  che  l'analisi  della  variabilità  inter-individuale  di 
processi  più  o  meno  generali  possa  contribuire  a  comprendere  alcuni 
aspetti  del  problema  che  ci  concerne.  Nel  lavoro  qui  condotto  sia  le  rea- 
zioni di  contatto  o  transfer  che  quelle  innovative  nel  parlato  italiano  o  ita- 
lianizzante^ sembrano  comportare  dimensioni  chiaramente  differenziate 

^  Userò  questo  termine  per  identificare  in  maniera  generica  produzioni  miste  di  vario  tipo. 

199 


individualmente,  sia  pure  all'interno  di  dinamiche  di  vario  grado  di  rego- 
larità. I  fenomeni  caratteristici  del  dialetto  locale  procidano  sono  ben  con- 
servati nelle  produzioni  dialettali  di  tutti  i  marinai  e  pescatori  della  Corri- 
cella'^  e  le  differenze  individuali  a  questo  riguardo  sono  relativamente 
esigue.  Parafrasando  la  conclusione  di  Gauchat  per  Charmey  si  potrebbe 
dire  che  sono  stati  esaminati  vari  parlanti  e  che,  a  parte  le  oscillazioni  nel 
vocalismo  tonico,  si  è  trovato  poco  di  individuale.  Tuttavia,  nelle  produ- 
zioni in  italiano  degli  stessi  parlanti,  la  variabilità  è  cospicua  e,  come  ve- 
dremo, non  può  semplicemente  essere  addebitata  a  ovvi  fattori  sociolin- 
guistici,  come  l'istruzione,  l'età,  il  livello  sociale  familiare  e/o  personale, 
l'attaccamento  alla  cultura  locale. 

Ma  non  è  solo  la  dimensione  della  variabilità  inter-individuale  che  può 
contribuire  ad  un  ripensamento  delle  tradizionali  prospettive  sull'interfe- 
renza per  contatto  e  l'innovazione  non  marcata.  Altre  due  scelte  possono 
essere  utili:  (a)  l'esame  della  natura  e  del  tipo  di  processo  e  (b)  l'esame 
della  distribuzione  di  ogni  processo  tra  produzioni  in  dialetto  e  produzio- 
ni in  italiano. 

Un  punto  sembra  particolarmente  problematico.  Dietro  le  concezioni 
classiche  dell'interferenza  per  contatto  risiede  l'idea  che  le  abitudini  arti- 
colatorie  di  uno  strato  linguistico  si  riproducano  piij  o  meno  meccanica- 
mente su  un  altro.  Questa  idea  offre  il  fianco  a  critiche  per  diverse  ragio- 
ni: 

(1)  presuppone  che  tutti  i  fenomeni  dello  strato  dialettale  siano  piena- 
mente automatizzati  a  livello  del  parlante  e  pienamente  stabilizza- 
ti a  livello  di  gruppo  sociale  (anche  se  così  fosse,  peraltro,  rimar- 
rebbe da  dimostrare  l'impatto  di  queste  caratteristiche  sul  trasferi- 
mento allo  strato  linguistico  italiano  o  italianizzante); 

(2)  presuppone  un  modello  di  produzione  parlata  uniforme  tra  dialet- 
to e  italiano,  nel  senso  che  entrambe  le  dinamiche  siano  uguali  o 
seguano  le  stesse  traiettorie. 

I  risultati  che  emergono  dal  lavoro  su  Procida  mostrano  che  entrambe 
queste  assunzioni  sono  discutibili.  Alcuni  processi  caratterizzano  solo  le 
produzioni  in  dialetto,  altri  solo  quelle  in  italiano.  L'allungamento  delle 
vocali  pretoniche,  ad  esempio,  si  determina  solo  nelle  produzioni  in  ita- 
liano, ed  è  in  totale  controtendenza  con  i  processi,  cristallizzati  in  dialet- 
to, per  cui  le  vocali  delle  sillabe  pretoniche  tendono  ad  innalzarsi  o  a  cen- 


'"  Si  tratta  dei  parlanti  A  -  L:  cfr.  2.4. 
200 


tralizzarsi  (cfr.  inoltre  la  discussione  in  2.  2.  3.).  Più  interessante  sembra  il 
fatto  che,  persino  quando  un  fenomeno  occorre  in  entrambi  gli  strati  di 
produzione,  la  dinamica  con  cui  si  realizza  può  non  essere  la  stessa.  Ad 
esempio,  la  velarizzazione  di  /a/  in  alcuni  soggetti  aumenta  quando  questi 
parlano  in  italiano,  come  se  volessero  scandire  e  differenziare  meglio 
l'articolazione.  D'altra  parte,  nel  dialetto  di  base  la  velarizzazione  di  /a/ 
non  è  una  caratteristica  regolare  e  stabile  (cfr.  3.  1.  e  3.  2.). 

Ma  anche  le  innovazioni  di  natura  generale  pongono  problemi,  come 
dimostrano  alcune  dinamiche  di  movimento  vocalico.  Nonostante  la  loro 
generalità,  esse  sono  tutt' altro  che  regolari  sia  nelle  produzioni  in  dialetto 
che  in  quelle  in  italiano  (cfr.  3.  1.  e  3.  2.). 

Una  questione  non  meno  spinosa,  infine,  riguarda  il  rapporto  tra  stabi- 
lizzazione di  processi  di  natura  generale  in  alcune  varietà  e  loro  perma- 
nenza allo  stato  latente  in  altre.  Che  la  resa  approssimante  di  Ivi,  fenome- 
no non  caratteristico  del  napoletano,  ma  presente  in  modo  irregolare  in 
procidano,  compaia  nei  parianti  napoletani,  in  buona  parte  semi-analfabe- 
ti, più  frequentemente  che  in  quelli  procidani,  dimostra  che  la  compren- 
sione di  alcuni  sviluppi  va  cercata  nelle  dinamiche  individuali  piuttosto 
che  nei  fenomeni  macroscopici  che  caratterizzano  un  gruppo  sociale  o 
un'area  linguistica. 

2.  2.  Alcuni  motivi-guida  del  lavoro.  Sembra  utile  esplicitare  prelimi- 
narmente alcuni  motivi  di  fondo  che  hanno  informato  la  ricerca.  Il  primo 
riguarda  le  difficoltà  di  capire  il  presente  e  le  conseguenti  cautele  che  do- 
vrebbero scaturirne.  Questa  assunzione  non  è  del  tutto  scontata,  dal  mo- 
mento che  si  trova  spesso  contraddetta  da  procedure  metodologiche  e  in- 
terpretazioni di  più  ampio  respiro  in  lavori  sincronici  di  vario  orientamen- 
to. 

Il  secondo  motivo  di  fondo  riguarda  il  problematico  rapporto  tra  di- 
mensione locale  e  nazionale.  Il  lavoro  che  qui  si  presenta  ha  come  obietti- 
vo lo  studio  della  transizione  dal  dialetto  alla  lingua  come  sviluppo  stori- 
co su  scala  locale,  e  ciò  ovviamente  comporta  problemi  e  metodi  diversi 
da  quelli  che  riguardano  la  transizione  come  sviluppo  storico  su  scala  na- 
zionale. Tuttavia,  l'analisi  del  pariate  di  singoli  individui  può  fornire  al- 
cune chiavi  interpretative  di  movimenti  di  più  vasta  dimensione.  In  effet- 
ti, i  dati  statistici  su  larga  scala,  pur  interessanti,  hanno  bisogno  del  con- 
fronto e  del  correttivo  di  singoli  studi  microscopici  e  con  analisi  in  detta- 
glio di  comportamenti  effettivi.  Il  quadro  che  emerge  dalle  indagini  del- 
l'ISTAT  per  la  dialettofonia  e  l'italofonia  nell'Italia  degli  ultimi  anni  (cfr. 
i  lavori  di  Berruto  e  Moretti  in  questo  volume)  indica  tendenze  generali 

201 


che  un  lavoro  su  piccola  scala  come  quello  su  Procida  conferma  e  le  cui 
dinamiche  può  in  parte  contribuire  ad  articolare  e  comprendere. 

Il  terzo  motivo  di  fondo  riguarda  le  modalità  di  transizione  dal  dialetto 
alla  lingua  nazionale.  Come  i  due  precedenti,  anche  questo  ha  implicazio- 
ni per  la  teoria  del  rapporto  tra  sincronia  e  diacronia,  e  in  particolare  per 
la  teoria  del  cambiamento  linguistico.  L'ipotesi  a  cui  si  è  dato  credito  è 
che  la  transizione  non  avvenga  per  salti,  ma  che  lasci  dei  residui  notevoli. 
In  effetti,  ciò  è  evidentissimo  per  il  lessico  e  la  sintassi  (cfr.  Puolato,  in 
questo  volume;  Somicola  2005a  e  2005b).  Il  concetto  di  "residuo"  però 
non  va  inteso  solo  come  possibile  effetto  del  contatto  lingua-dialetto,  ma 
anche  (il  che  forse  costituisce  un  aspetto  più  interessante)  come  l'affiora- 
re di  fenomeni  che  sono  potenzialmente  sempre  presenti  e  che  spesso 
hanno  una  distribuzione  trasversale  tra  le  varietà  del  repertorio  dei  parlan- 
ti. Nelle  condizioni  storiche  italiane,  e  in  particolare  in  quelle  italiane  me- 
ridionali, una  transizione  rapida  su  larga  scala  da  livelli  dialettali  a  livelli 
genericamente  definibili  di  italiano  sembra  poco  probabile.  Una  serie  di 
domande  si  impongono.  Quanto  può  essere  rapida  l'uscita  del  dialetto 
dalla  competenza  attiva  dei  parlanti  che  lo  presentano  come  prima  o  come 
seconda  varietà?  E  quanto  può  essere  rapida  l'uscita  del  dialetto  dalla  loro 
competenza  passiva?  Certo,  con  "transizione  rapida"  potrebbero  intender- 
si modelli  di  cambiamento  diversi.  Misurato  sulla  scala  della  storia  lin- 
guistica di  una  nazione,  un  secolo  può  essere  un  tempo  breve.  Sulla  mi- 
cro-scala di  un  piccolo  gruppo  sociale,  come  una  famiglia,  o  un  minusco- 
lo nucleo  abitativo  come  il  villaggio  della  Corricella,  un  secolo  è  un  pe- 
riodo lungo. 

Alcuni  modelli  plausibili  prevedono  la  coesistenza  attiva  di  dialetto  e 
italiano  o  il  monolinguismo  italiano  attivo  con  la  retrocessione  del  dialet- 
to a  liveUi  di  competenza  passiva  di  varia  consistenza  (cfr.  Moretti  1999). 
Queste  dinamiche  possono  determinarsi  singolarmente  all'interno  di  alcu- 
ne famiglie  o  gruppi,  persino  nel  giro  di  una  generazione,  ma  rimane  da 
vedere  quale  sia  l'effettiva  articolazione  e  tenuta  dell'italiano  che  viene 
acquisito  a  partire  da  contesti  familiari  prevalentemente  dialettofoni. 
Mancano  studi  ad  ampio  spettro  su  famiglie,  tali  da  permettere  generaliz- 
zazioni, ma  numerosi  dati  lasciano  supporre  che  l'italiano  rapidamente 
acquisito  in  tali  condizioni  sia  tutt' altro  che  lessicalmente  ricco  e  gram- 
maticalmente differenziato  ed  elaborato.  Tutto  ciò,  come  è  ovvio,  non 
esclude  che  ci  possano  essere  dinamiche  individuali  in  controtendenza.  È 
interessante  inoltre  chiedersi  quanto  diffusa  possa  essere  la  situazione 
prevista  dal  modello  che  ipotizza  per  la  seconda  generazione  di  parlanti 
che  provengono  da  famiglie  dialettofone  una  italianizzazione  massiccia 

202 


con  perdita  del  dialetto  o  una  sua  rapida  regressione  a  livelli  "evanescen- 
ti". 

L'esame  di  un  contesto  economicamente  e  culturalmente  dinamico  co- 
me quello  procidano  conferma  che  non  bisogna  lasciarsi  sedurre  dall'im- 
piego indiscriminato  di  modelli  del  cambiamento  del  tempo  breve.  Una 
molteplicità  di  condizioni  sociali,  culturali  e  linguistiche  lo  impedisce. 
Per  quanto  riguarda  le  prime,  mi  limito  qui  a  menzionare  un  aspetto  che 
nel  contesto  procidano,  come  in  altri  meridionali,  è  di  fondamentale  im- 
portanza, ovvero  l'attaccamento  profondo  alle  radici,  alla  famiglia,  al  luo- 
go di  origine.  Questo  atteggiamento  culturale  che  accomuna  tutti  i  parlan- 
ti da  me  intervistati,  di  età,  istruzione  e  classe  sociale  diversa,  è  un  fattore 
che,  sia  pure  con  differenze  dovute  alle  specifiche  caratteristiche  indivi- 
duali, sembra  favorire  la  conservazione  del  dialetto  locale,  attiva  o  passi- 
va. Nei  capitani  del  campione,  ad  una  diversa  competenza  del  dialetto  lo- 
cale si  aggiunge  una  tendenza  attiva  al  mantenimento  di  una  facies  dialet- 
tale genericamente  definibile  napoletana,  che  talora  fa  irruzione  nel  testo 
parlato  con  code-switchings  e  interferenze  sistematiche  a  livello  fonetico 
talora  massicce. 

Ma  i  modelli  del  cambiamento  del  tempo  breve  sono  implausibili  so- 
prattutto per  ragioni  di  linguistica  intema.  Il  punto  critico  sembrano  i  con- 
cetti di  'saper  parlare  italiano'  e  di  'imparare  a  parlarlo'.  Troppo  spesso 
negli  studi  sul  bilinguismo  e  l'acquisizione  di  lingue  seconde,  non  meno 
che  in  quelli  sul  rapporto  lingua-dialetto,  si  trascura  che  saper  parlare  una 
lingua  è  una  condizione  dinamica  e  precaria,  per  la  natura  stessa  dell'atto 
di  parlare.  L'acquisizione  dell'italiano  parlato  che  si  assume  in  molta  bi- 
bhografia  è  come  quella  di  un  prodotto  finito,  preesistente  all'acquisizio- 
ne da  parte  dei  parlanti.  Essa  è  concepita  come  il  raggiungimento  di  un 
target  conseguito  una  volta  per  tutte.  Dietro  tale  idea  c'è  evidentemente 
una  rappresentazione  della  lingua  parlata  come  un  oggetto  statico,  la  cui 
natura  di  "schema"  o  grammatica  non  è  dopotutto  dissimile  da  quella  che 
si  può  postulare  per  la  lingua  scritta.  L'italiano  parlato  è  molto  meno  del- 
l'itaHano  scritto  un  target  definibile  a  priori,  una  volta  per  tutte  e,  aspetto 
ancor  piij  problematico,  esso  non  è  un  target  unitario  e  immobile. 

2.  3.  //  modello  di  parlato  come  processo.  Regole  di  processo  e  regole 
di  grammatica.  Il  modello  di  parlato  che  qui  si  assume  si  può  definire 
"processuale",  in  quanto  è  incentrato  sulla  nozione  di  processo.  La  scelta 
di  questo  modello  si  coniuga  con  un'altra  assunzione,  la  centralità  asse- 
gnata alla  sintagmatica  rispetto  alla  paradigmatica.  Per  quanto  rilevante 
sia  quest'ultima,  si  ritiene  che  la  considerazione  del  parlato  come  produ- 

203 


zione  e  processo  debba  essere  sempre  preliminare  e  concomitante  a  quel- 
la delle  strutture  in  cui  esso  prende  forma.  In  un  certo  senso  si  potrebbe 
dire  che  la  sintagmatica  ha  ragioni  che  la  paradigmatica  non  conosce.  È 
nella  dimensione  sintagmatica  e  processuale  che  si  creano  molti  fenomeni 
di  parlato,  è  qui  che  essi  trovano  giustificazione.  Questa  prospettiva  per- 
mette di  riposizionare  il  problema,  a  lungo  dibattuto,  della  grammatica 
del  parlato.  È  possibile  che  la  questione  se  l'italiano  parlato  abbia  un'altra 
grammatica  sia  semplicemente  mal  posta,  nel  senso  che  in  questi  termini 
è  insolubile.  Il  motivo  potrebbe  risiedere  nel  fatto  che,  anche  se  compia- 
mo l'operazione  nduziomstica  di  formalizzare  il  parlato  in  termini  di 
grammatica  (qualunque  grammatica  o  sistema,  dopotutto,  è  inevitabil- 
mente una  operazione  riduzionistica),  avremo  scavalcato  la  dimensione 
processuale  di  fondo  di  qualunque  produzione  parlata.  Questo  natural- 
mente non  vuol  dire  che  non  si  debba  pensare  a  regole,  ma  che  le  regole 
devono  essere  concepite  come  determinazioni  di  dinamiche  processuali,  e 
non  di  tipi  grammaticali  cristallizzati,  come  regole  di  processo  e  non  co- 
me regole  di  sistema. 

Analogamente,  il  vecchio  problema  della  collocazione  del  parlato  tra 
competenza  ed  esecuzione  va  riconsiderato  criticamente.  L'impostazione 
in  termini  di  processo  e  di  regola  di  processo  va  di  pari  passo  ad  una  criti- 
ca della  concezione  che  dicotomizza  regole  (in  rapporto  al  sapere)  e  uso. 
Per  quanto  riguarda  quest'ultimo,  alcuni  decenni  di  ricerca  sociolinguisti- 
ca  hanno  contribuito  a  superarne  la  visione  semplicistica  come  qualcosa 
di  anomico,  non  regolato.  Tuttavia,  il  concetto  di  regola  (o  regolarità)  di 
uso  sviluppato  in  vari  ambienti  sociolinguistici  non  è  andato  oltre  una 
rappresentazione  meramente  frequentistica  dell'accadimento  di  fatti,  per 
cui  si  sono  cercate  giustificazioni  puramente  esteme,  o  più  recentemente 
inteme  (come  la  semplificazione). 

Regole  di  competenza  (sapere)  e  regole  di  uso  (fare)  non  possono  cat- 
turare la  specificità  della  produzione  di  parlato.  Alcuni  risultati  interes- 
santi che  vengono  dagli  studi  di  acquisizione  di  lingue  seconde  in  conte- 
sto scolastico  (guidato)  mostrano  che  un  punto  critico  nella  acquisizione 
riguarda  la  sfasatura  tra  il  sapere  le  regole  ed  essere  in  grado  di  usarle.  Ri- 
sultati simili  sembrano  emergere  per  l'apprendimento  dell'italiano  a  par- 
tire da  contesti  di  dialettofonia  o  di  "italiano  ridotto".  Ancora  piiì  com- 
plesso sembra  il  caso  di  parlanti  in  condizioni  di  bassa  o  inesistente  scola- 
rizzazione, che  di  per  sé  non  favoriscono  la  formazione  né  rinforzano  la 
consapevolezza  di  regolarità  linguistiche.  La  ricerca  sulla  produzione  di 
parlato  richiede  logiche  psicolinguistiche  che  vanno  oltre  la  dicotomia  di 
conoscenza  ed  esecuzione,  sapere  e  realizzazione.  Centrale  appare  la  no- 

204 


zione  di  'saper  fare',  che  contiene  qualcosa  in  più  del  semplice  sapere, 
come  risulta  chiaro  osservando  in  varie  forme  di  attività  persone  che  san- 
no, ma  non  sanno  fare. 

Uno  dei  fattori  fondamentali  in  rapporto  al  saper  fare  riguarda  l'auto- 
matizzazione di  abilità  o,  se  si  vuole,  l'automatizzazione  di  regole  di 
competenza  e  di  regole  di  comportamento.  Si  tratta  di  un  problema  com- 
plesso, che  non  sembra  aver  ricevuto  sufficiente  attenzione  in  sociolin- 
guistica^l  Mi  limito  qui  a  menzionare  due  suoi  aspetti  cruciali  per  la  lin- 
guistica della  variazione.  Il  primo  è  che  i  parìanti  di  una  lingua  o  varietà 
seconda,  e  persino  quelli  di  una  lingua  o  varietà  prima,  che  hanno  interio- 
rizzato regole  di  competenza  simili  possono  differire  sensibilmente  ri- 
spetto al  livello  di  automatizzazione  delle  regole  di  uso.  Il  secondo  è  che 
non  esistono  condizioni  di  automatizzazione  totale  né  delle  regole  di  uso 
né  di  quelle  di  competenza.  Per  quanto  riguarda  le  prime,  anche  livelli  alti 
di  automatizzazione  possono  regredire  sotto  particolari  condizioni  di  pro- 
duzione. 

In  realtà,  se  si  ammette  che  il  parìato,  ancor  più  che  lo  scritto,  ha  una 
cospicua  dimensione  di  processo,  e  un  processo  di  natura  particolare  per 
cui  nessuna  produzione  di  uno  stesso  pariante  è  mai  esattamente  simile  ad 
un'altra  (il  cosiddetto  principio  della  instabilità  del  parìato),  non  dovreb- 
bero sembrar  strane  alcune  implicazioni  che  da  ciò  si  possono  trarre  per 
quanto  riguarda  l'imparare  a  parìare  italiano.  Saper  parìare  (qui  inteso  co- 
me saper  fare)  è  una  abilità  precaria,  persino  per  le  persone  scolarizzate. 
È  un'abilità  che  può  regredire  più  o  meno  facilmente,  a  seconda  di  un 
gran  numero  di  condizioni.  A  maggior  ragione,  può  comportare  instabilità 
e  precarietà  anche  imparare  a  parìare  una  lingua  a  partire  da  contesti  di 
dialettofonia,  di  italianizzazione  ridotta,  o  di  esposizione  plurima  a  va- 
rietà diverse  e  compresenti  nel  repertorio.  In  altri  termini,  non  si  impara 
mai  a  parlare  italiano  una  volta  per  tutte. 

//  concetto  di  processo.  La  definizione  generale,  non  scientifica,  di  proces- 
so come  "the  course  of  becoming  as  opposed  to  being  the  action  or  fact  of 
going  on  or  being  carried  on;  progress,  course",  data  daW  Oxford  English 
Dictionary,  può  essere  assunta  come  convenzionale  punto  di  partenza'-.  Que- 

'1  Questo  problema  era  stato  ampiamente  discusso  nella  ricerca  psicologica  e  psico- 
patologica francese  tra  XIX  e  XX  secolo,  e  aveva  influenzato  la  riflessione  linguistica 
francese  (cfr.  Somicola  2002). 

•2  Ma  la  storia  del  termine  è  antica  e  molto  complessa  poiché  attraversa  numerose  di- 
scipline (si  veda  la  voce  Prozess  dello  Historisches  Worterbuch  der  Philosophie,  Bd.  7: 
1543-1562. 

205 


sta  definizione  riflette  solo  minimalmente  i  nuclei  concettuali  attorno  a 
cui  si  sono  sviluppate  le  diverse  nozioni  di  "processo"  nella  storia  della 
linguistica.  Per  Sapir  (1921,  cap.  4)  il  termine  ha  il  significato  di  'tecnica, 
metodo',  e  questa  modellizzazione  ha  probabilmente  avuto  una  influenza 
sulle  successive  concezioni  generative,  in  cui  processo  può  essere  consi- 
derato un  sinonimo  informale  di  'regola'.  Particolare  importanza  ha  il  ter- 
mine in  varie  tradizioni  di  fonologia,  in  cui  un  processo  fonologico  /  fo- 
netico è  definito  come  una  "modificazione  subita  da  un  suono  linguistico 
o  da  una  sequenza  di  suoni  linguistici"  (Loporcaro  1989).  In  questo  ambi- 
to particolarmente  utile  è  la  distinzione  tra: 

processi  che  alterano  una  articolazione  primaria; 

processi  che  aggiungono  o  modificano  una  articolazione  secondaria. 

In  tale  modellizzazione  si  assume  che  ci  siano  articolazioni  basiche, 
che  possono  essere  rappresentate  come  forme  soggiacenti,  e  articolazioni 
aggiuntive  o  accessorie,  che  possono  deformare  le  prime  e  dar  luogo  a 
rappresentazioni  derivate.  Nella  modellizzazione  che  qui  si  assume,  il 
concetto  di  processo  ricopre  fenomeni  fonetici  e  fonologici,  ma  esso  po- 
trebbe essere  ripensato  in  maniera  più  ampia  anche  per  fenomeni  di  altri 
livelli  di  analisi,  come  quelli  morfologici  e  sintattici.  Così,  accanto  ai  più 
tradizionali  esempi  di  processo,  come  quelli  che  si  determinano  nel  rag- 
giungimento di  un  target  psicomotorio  o  nel  mantenimento  di  un  piano 
psicomotorio  durante  l'articolazione  di  foni,  si  potrebbero  concepire  pro- 
cessi di  sviluppo  di  piani  micro-  e  macro-testuali,  intesi  come  traiettorie 
di  linearizzazione  di  unità  di  contenuto  interrelate. 

Nel  concetto  di  processo  qui  utilizzato  sono  contenute  diverse  compo- 
nenti: 

(a)  l'idea  che  nessun  fenomeno  sia  rappresentabile  come  istantaneo 
(principio  della  non  istantaneità); 

(b)  L'idea  dell'esistenza  di  strutture  seriali  specifiche.  Sebbene  un 
processo  possa  operare  su  una  o  più  unità  (di  vario  livello  di  ana- 
lisi), bisogna  in  ogni  caso  rappresentare  il  dominio  del  processo 
come  una  sequenza  di  fasi  di  produzione  tra  loro  interrelate  (ge- 
stures  o  componenti  di  gestures,  di  un  piano  di  produzione  più 
ampio;  alcune  di  queste  gestures  possono  essere  simultanee,  altre 
no). 

In  base  a  ciò  si  può  dire  che  il  concetto  di  processo  rimanda  sempre 
a  rappresentazioni  relazionali,  ovvero  strutture  i  cui  elementi  contraggono 
rapporti  seriali. 

206 


Caratterizzazione  dei  tipi  di  processo.  Si  possono  riconoscere  due  coppie 
di  proprietà  che  sembrano  utili  per  la  descrizione  di  dati  di  produzione  di 
parlato  spontaneo  e  per  lo  studio  delle  dinamiche  sincroniche  di  contatto 
di  varietà.  Per  quanto  la  loro  caratterizzazione  richieda  un  ulteriore  affi- 
namento, se  ne  può  tentare  una  prima  provvisoria  caratterizzazione.  Una 
prima  tassonomia  riguarda  l'entità  del  processo.  A  questo  riguardo  si  han- 
no: 

1)  Processi  microscopici,  debolmente  percepibili  all'analisi; 

2)  Processi  macroscopici,  chiaramente  o  fortemente  percepibili  al- 
l'analisi. 

Una  seconda  tassonomia,  che  può  ulteriormente  differenziare  le  moda- 
lità della  prima,  riguarda  la  dinamica  e  la  temporalità  intrinseca  dei  pro- 
cessi. A  questo  riguardo  si  possono  avere: 

3)  Processi  quiescenti  o  cristallizzati  all'interno  di  una  varietà.  So- 
no spesso  macroscopici  e  si  accompagnano  ad  una  elevata  con- 
sapevolezza da  parte  dei  parlanti.  Caratterizzano  inoltre  un  inte- 
ro gruppo  sociale  in  maniera  piuttosto  regolare.  A  livello  teorico 
possono  essere  in  parte  associati  a  regole  morfologiche, 
morfofonologiche,  fonologiche  obbligatorie  che  hanno  una  rap- 
presentazione lessicale.  Si  noti  che  quiescenza  o  cristallizzazio- 
ne non  è  sinonimo  di  grammaticalizzazione,  ma  semmai  di  feno- 
meni diacronici  che  hanno  cessato  di  essere  attivi  o  produttivi. 
Esempi  di  processi  quiescenti  nell'area  flegrea  sono  l'innalza- 
mento delle  vocali  toniche  medie  in  sillaba  aperta,  la  metafonia 
vocalica,  i  processi  di  alterazione  delle  laterali  geminate  (che  si 
rotacizzano,  ovvero  diventano  approssimanti)  in  alcune  catego- 
rie grammaticali  come  l'articolo,  i  pronomi  dimostrativi  e  i  pro- 
nomi personali.  Sono  processi  che  tendono  a  non  ripercuotersi 
trasversalmente  tra  le  varietà  del  repertorio,  ma  si  annidano  in 
lessemi  morfologicamente  integrati  nel  dialetto.  Ciò  comporta 
che  essi  compaiano,  in  linea  di  massima,  in  produzioni  parlate  in 
italiano  solo  per  interferenza  o  code-switching,  veicolati  dal  les- 
sema in  cui  si  annidano^^. 


^^  Tuttavia  i  soggetti  in  fasi  iniziali  di  acquisizione  dell'italiano,  come  il  parlante  E 
del  campione,  mostrano  eccezioni  rispetto  a  questo  principio.  Essi  mostrano  processi 
del  tipo  in  questione  anche  in  lessemi  morfologicamente  non  riconducibili  al  dialetto 
(cfr.  4.). 

207 


4)  Processi  attivi  (non  quiescenti).  Hanno  una  forte  dinamica  intema 
e  possono  essere  microscopici  o  macroscopici,  ma  in  generale  so- 
no meno  percepibili  di  quelli  quiescenti.  A  livello  teorico  sono 
rappresentati  da  regole  post-lessicali.  Presentano  spesso  irregola- 
rità di  distribuzione  strutturale  e  sono  tendenzialmente  non  rego- 
lari e  uniformi  anche  attraverso  i  contesti  diafasici  e  i  gruppi  so- 
ciali. Tendono  a  rimanere  produttivi  attraverso  le  varietà  del  re- 
pertorio. Si  dividono  in  due  sottotipi,  differenziati  soprattutto  in 
base  al  livello  di  percepibilità: 

(4a)  Processi  attivi  manifesti,  chiaramente  percepibili  o  macro- 
scopici; 

(4b)  Processi  attivi  latenti  all'interno  di  una  varietà.  Sono  frequen- 
temente microscopici  e  si  accompagnano  caratteristicamente  ad  un 
basso  grado  di  consapevolezza  da  parte  dei  parlanti.  Piti  sporadica- 
mente possono  assumere  un  aspetto  macroscopico.  A  livello  teorico 
la  rappresentazione  tradizionale  che  piià  approssima  questo  tipo  di 
processo  è  quella  delle  regole  variabili.  Tuttavia  tale  rappresenta- 
zione è  per  certi  versi  insoddisfacente.  Essa  presuppone  comunque 
una  polarizzazione  di  presenza  e  assenza,  che  si  tratti  di  fenomeni 
discreti  o  continui.  La  nozione  di  latenza  è  invece  incompatibile 
con  questa  dicotomia  (si  veda  la  discussione  in  6.). 

2.  4.  //  corpus  e  la  metodologia.  Il  corpus  della  ricerca  è  costituto  da 
19  interviste  di  parlato  spontaneo  e  semi-spontaneo,  condotte  con  tecni- 
che di  intervista  libera  e  in  alcuni  casi  semi-guidata,  alla  Marina  della 
Corricella  e  alla  Marina  di  Sancio  Cattolico,  nell'isola  di  Procida.  Le  in- 
terviste sono  di  durata  variabile,  da  un  minimo  di  venti  minuti  ad  un  mas- 
simo di  un'ora.  Durante  la  fase  di  raccolta  dei  dati,  sono  state  effettuate 
anche  rilevazioni  e  annotazioni  su  atteggiamenti  e  comportamenti  cultu- 
rali e  linguistici  che  emergevano  nell'interazione  con  i  parlanti,  sia  in  fa- 
se di  intervista  che  al  di  fuori  di  essa.  Nei  tre  anni  della  ricerca  il  lavoro 
sul  campo  si  è  protratto  per  circa  quindici  settimane. 

I  parlanti  sono  stati  divisi  in  due  gruppi.  Il  gruppo  1  è  costituito  da 
persone  di  famiglia  preponderantemente  procidana  da  molte  generazioni. 
Tale  gruppo  presenta  una  composizione  sociale  variegata.  Sebbene  sia 
molto  comune  nella  popolazione  maschile  attiva  il  doppio  mestiere  di 
marinaio  e  pescatore,  oggi  in  fasi  diverse  dell'anno,  si  sono  ulteriormente 
ripartiti  i  parlanti  a  seconda  dell'attività  prevalente,  in  pescatori,  marinai 
e  capitani: 

208 


Gruppo  1 

Pescatori  della  Marina  della  Corricella 

A:  83  anni,  pescatore,  scolarità  terza  elementare.  Figlio  di  pescato- 
re. Da  giovane  per  tre  anni  è  stato  marinaio  su  navi  mercantili. 

B:  78  anni,  pescatore,  scolarità  prima  elementare.  Figlio  di  pesca- 
tore. Il  padre  è  emigrato  a  Marsiglia  per  cinque  anni,  senza  la  fa- 
miglia. Non  è  mai  stato  imbarcato  su  navi  mercantili. 

C:  64  anni,  pescatore  e  oggi  padrone  di  una  attività  di  costruzione 
e  riparazione  di  reti;  è  proprietario  di  una  pescheria.  Scolarità  terza 
elementare.  Figlio  di  pescatore  (il  padre  ha  lavorato  a  Trieste  per 
molti  anni).  Da  giovane  è  stato  marinaio  su  navi  mercantili  per  otto 
anni  e  mezzo. 

E:  50  anni,  pescatore,  scolarità  terza  elementare.  Non  dà  informa- 
zioni sulla  famiglia  di  origine.  È  stato  imbarcato  come  mozzo  su 
navi  mercantili  per  molti  anni. 

F:  46  anni,  pescatore.  Scolarità  scuola  media  inferiore. 

G:  31  anni,  operaio  edile,  pescatore  a  giornata  per  alcuni  periodi 
dell'anno.  Scolarità  scuola  media  inferiore. 

Marinai  della  Marina  della  Corricella 

H:  63  anni,  marittimo  (motorista).  Ha  frequentato  l'istituto  tecnico. 
Figlio  di  pescatore.  Da  ragazzo  ha  fatto  il  pescatore  con  il  padre,  a 
Fiumicino.  Ha  lavorato  per  diciannove  anni  nella  marina  mercanti- 
le ed  ora  è  in  pensione. 

I:  49  anni,  ha  il  diploma  dell'Istituto  Nautico  e  per  due  anni  ha  fre- 
quentato l'Università.  Per  alcuni  anni  ha  lavorato  su  navi  mercanti- 
li come  ufficiale  di  macchina.  Ormai  ha  smesso  di  navigare,  è  pro- 
prietario di  un  grosso  motopeschereccio  con  dodici  uomini  di  equi- 
paggio, e  lavora  attivamente  alla  gestione  della  sua  impresa  di  pe- 
sca. 

L:  42  anni,  ha  frequentato  l'Istituto  Nautico.  Per  alcuni  anni  è  stato 
imbarcato  su  navi  mercantili  come  macchinista.  Oggi  lavora  come 
marinaio  e  pescatore  sul  motopeschereccio  di  I. 

Capitani  di  lungo  corso 

M:  circa  70  anni,  ha  il  diploma  dell'Istituto  Nautico  ed  è  stato  ca- 
pitano superiore  di  lungo  corso.  Ha  guidato  grandi  navi  della  mari- 
na mercantile  italiana,  come  la  Michelangelo.  Oggi  vive  in  pensio- 


209 


ne  in  una  città  del  Nord,  ma  toma  spesso  a  Precida.  Viene  da  una 
famiglia  di  armatori. 

N:  63  anni,  ha  il  diploma  dell'Istituto  Nautico  ed  è  stato  capitano 
superiore  di  lungo  corso.  Ha  guidato  petroliere  di  vari  paesi.  Viene 
da  una  famiglia  di  pescatori.  Oggi  è  in  pensione. 

O:  55  anni,  ha  il  diploma  dell'Istituto  Nautico  ed  è  stato  capitano 
superiore  di  lungo  corso.  Ha  lavorato  per  molti  anni  in  America. 
Oggi  è  in  pensione  e  svolge  altre  attività. 

Il  gruppo  2  è  formato  da  parlanti  che  provengono  da  due  famiglie  di 
origine  napoletana.  Alla  Corricella,  le  famiglie  di  questa  provenienza  so- 
no in  numero  non  trascurabile,  tanto  da  dare  al  piccolo  centro  una  facies 
linguistica  ibrida,  in  cui  la  componente  napoletana  è  ancora  sensibile  nel- 
le generazioni  più  giovani.  Una  famiglia,  in  particolare,  ha  avuto  molti  di- 
scendenti e  presenta  un  interesse  linguistico  speciale,  perché  è  possibile 
seguire  attraverso  le  sue  diramazioni  la  perdita  di  tratti  napoletani  e  l'ac- 
quisizione di  tratti  procidani,  ben  netta  in  alcuni  membri  e  ibridizzata  in 
altri.  Il  capostipite,  P,  un  pescatore  napoletano  di  S.  Lucia,  si  è  trasferito  a 
Procida  da  giovane  durante  la  seconda  guerra  mondiale,  insieme  alla  mo- 
glie, per  cercare  rifugio  e  migliori  condizioni  di  vita.  Uno  dei  figli,  S,  pre- 
senta ancora  una  facies  dialettale  fortemente  napoletana.  Nella  famiglia  di 
P,  le  condizioni  di  dialettofonia  sono  del  tutto  prevalenti  in  P  e  U,  mentre 
S  e  soprattutto  T,  il  parlante  piti  scolarizzato,  hanno  un  repertorio  diffe- 
renziato in  dialetto  e  italiano.  L'altra  famiglia  napoletana  è  costituita  da 
due  fratelli,  Q  e  R,  il  cui  dialetto  ha  tratti  napoletani,  con  qualche  ibridiz- 
zazione  procidana  in  Q.  Entrambi  questi  parlanti  (soprattutto  R,  che  pure 
è  scarsamente  scolarizzato)  presentano  nell'intervista  una  facies  di  italia- 
no relativamente  avanzata.  Nello  sviluppo  del  loro  repertorio  il  lavoro  co- 
me marinai  può  aver  avuto  una  notevole  importanza. 

Gruppo  2 

P:  93  anni,  analfabeta,  pescatore.  Si  è  trasferito  a  Procida  da  Mer- 
gellina  durante  la  seconda  guerra  mondiale,  con  il  suo  nucleo  fami- 
liare. Non  è  mai  stato  imbarcato.  I  figli  e  i  nipoti  sono  proprietari 
di  motopescherecci  con  cui  conducono  una  piccola  azienda  fami- 
liare. 

Q:  83  anni,  scolarità  elementare.  Ha  lavorato  come  marinaio  per 
qualche  anno,  da  giovane,  quindi  ha  fatto  il  pescatore  sino  alla 
pensione. 


210 


R:  circa  70  anni,  è  fratello  di  Q,  ha  la  licenza  elementare.  Ha  lavo- 
rato per  cinque  anni  su  navi  passeggeri,  quindi  come  pescatore. 

S:  63  anni,  è  uno  dei  figli  di  P,  non  è  andato  a  scuola,  ha  sempre 
fatto  il  pescatore.  È  comproprietario  con  il  fratello  di  alcuni  grossi 
motopescherecci. 

T:  42  anni,  è  nipote  di  P,  ha  frequentato  l'Istituto  Nautico,  è  stato 
imbarcato  su  navi  mercantili  come  macchinista,  e  oggi  lavora  nel- 
l'azienda peschereccia  di  famiglia. 

U:  30  anni,  è  nipote  di  P,  ha  la  terza  elementare.  Ha  sempre  lavora- 
to nell'azienda  familiare. 

2.  5.  Elenco  dei  processi  fonetici  considerati.  I  processi  fonetici  presi 
in  considerazione  come  rilevanti  per  lo  studio  del  rapporto  tra  produzioni 
in  dialetto  e  produzioni  in  italiano  sono  qui  di  seguito  riportati.  Alcuni  di 
essi  hanno  una  natura  generale  e  ricorrono  in  italiani  regionali  diversi,  al- 
tri sono  pila  locali. 

Processi  vocalici. 

(la) Allungamento  cospicuo  delle  vocali  toniche:  ita'lja::na  (E), 
um'me::se  (L),  'koiisa  (N); 

(Ib) Allungamento  delle  vocali  atone,  specie  pretoniche:  i:ta:li:'ano 

{B),fa;'stidjo  (L),  kom'dotta  (N); 

(2)  Innalzamento  delle  vocali  atone,  sia  pre-  che  post-toniche: 
paru'lattjd  (C),  spu'sato  (C),  'pikkuld  (C),  'isula  (D),  mi'stjerd  (E); 

(3)  Centralizzazione  delle  vocali  atone,  specie  in  sillaba  finale; 

(4)  Sviluppo  di  un  "legamento"  w  o  a  tra  una  Consonante  (Occlusiva 
o  Fricativa)  e  una  Vocale  (in  sillaba  tonica  e  talora  atona): 

(4a) Struttura  C  ^  V:  mm^'e  (B),  bb'^vm'b'ind  (F),  ajfon'd^vnda  (F), 
'le'vna  (G),  attiviTv  (L),  çitTv  (N); 

(4b)  Struttura  C  '  V:  'm'o^^d  (A),  Vvm,  Fv  (L),  'bb^ene  (M),  s'i  (N); 

(5)  Dittongazioni 

(5a)  Dittongazione  spontanea  discendente  (in  sillaba  tonica  e  talora  in 
sillaba  atona),  preponderantemente  in  sillaba  aperta 

(5b)o  — >  o"  /  ou:  ni'po"t3  (A)  [processo  presente  in  tutti  i  parlan- 
ti]; 


211 


(5c)  e  ^  e'  /  ei:  vo'leivd  (A)  [processo  presente  in  tutti  i  parlanti]; 

(5d)  Dittongazione  e  -^  (eA,  a)  (Vocali  toniche  e  talora  atone,  in  conte- 
sto predominante  di  sillaba  chiusa):  settanta' ss'^ttd  (B),  vapo'rsAtti 
(C),  'pAntso  (F); 

(5e)  Dittongazione  e  -^  (e,  sa,  a,  aì)  (Vocali  toniche  e  talora  atone  in 
contesto  predominante  di  sillaba  liberà):  fa'cAVAiìd  (B),  ri'pAta 
(F); 

(6)  Nasalizzazione  di  vocali  sia  in  contesto  di  nasale  adiacente  (prece- 
dente o  successiva)  sia  in  contesto  non  nasalico:  kom'pàjijid, 
T'vttjDiG); 

Nei  contesti  non  nasali  questo  processo  potrebbe  essere  un  effetto  col- 
laterale di  un  setting  fortemente  velare; 

(7)  Palatalizzazione  di  [a]  tonica  e  atona: 
'^rae/a  (A),  'ssekrifiço,  sen'dasre,  'mxjiga  (E); 

(8)  Velarizzazione  di  [a]  tonica:  gwv'dvjijia  (F),  'vnni  (L),  responsabbili'to 

(N); 

Processi  consonantici 

(9)  Sonorizzazione  di  Consonante  sorda  dopo  nasale; 

(10) Desonorizzazione  di  Consonante  sonora  dopo  nasale:  man'tfare 
(E),  man'd^are  (M); 

(11)  Lenizione  o  sonorizzazione  di  Consonante  sorda  -i-  Vocale  in  con- 
testo di  sillaba  iniziale  e  di  Consonante  sorda  intervocalica:  'Janna 
(E),  'karikd,  peskc'^'e'renjo  (F),  'kariko  (M); 

(12)  Assimilazioni 

(12a) Assimilazioni  di  liquida  vibrante  e  liquida  laterale  alla  Consonante 
successiva 

(12al)  r  +  C  ^  ^  +  C,  CC:  pe"ke  (C),  'pa'li  (D),  /  k'kariko  (E),  dis'ko'so 

(N); 

(12a2)  1  -I-  C  ^  '  +  C,  CC:  /  rristo'rante  (D),  /  ttubbo  (E),  albergo  (F), 
'vohe  (in  pili  parlanti); 

(12b)  Assimilazione  di  Consonante  occlusiva  dentale  sorda  alla  frica- 
tiva dentale  precedente  (s  +  t  — >  s\  ss):  'smesso,  'kwes'o,  'kwesso  (in 
più  parlanti); 

212 


(13) Velarizzazione  di  [1]  e  [-11-]:  vafori,  raffa'elto,  Itv  (N); 

(14) Passaggio  ad  approssimante  di  [-v-]:  llawo'rare,pru'wiste  (E); 

(15) Passaggio  ad  approssimante  di  [r]:  'eja,  pijka'toue  (D),  'kauiko 

(E); 
(16)  Palatalizzazione  di  fricativa  dentale  nel  contesto  di  Consonante 

labiale  o  velare  successiva:  fpeçalid'dzatd  (E),  'Jkwola  (F). 

2.  6.  La  metodologìa  di  analisi.  Per  studiare  la  distribuzione  inter-indivi- 
duale  dei  processi  si  sono  costituite  delle  tavole,  relative,  rispettivamente, 
al  vocalismo  e  al  consonantismo  nelle  produzioni  in  italiano  o  italianiz- 
zanti, che  rendono  conto  della  presenza,  latenza  e  assenza  di  ogni  proces- 
so per  ciascun  parlante  (cfr.  Tab.  1-4)'^  In  base  all'esame  di  queste  distri- 
buzioni si  sono  costruite  gerarchie  di  frequenza  di  processi,  distinte  per  i 
due  gruppi  (cfr.  Fig.  1-4)'^  Si  è  quindi  esaminato  il  rapporto  tra  processi 
presenti  o  manifesti  e  processi  latenti  per  pariante,  separatamente  per  il 
vocalismo  e  per  il  consonantismo  e  per  ognuno  dei  due  gruppi  (cfr.  Fig. 
5-8).  Si  sono  infine  costruiti  alcuni  indici,  ritenuti  significativi  per  lo  stu- 
dio delle  dinamiche  interindividuali: 

-  L'indice  di  presenza  di  processi  sia  vocalici  che  consonantici  (I 
(V  +  C),  cfr.  Tab.  5  e  6); 

-  L'indice  del  rapporto  tra  presenza  di  processi  vocalici  e  di  proces- 
si consonantici  (Indice  V/C,  cfr.  Tab.  5  e  6); 

-  L'indice  di  latenza  assoluta,  che  esprime  il  numero  di  processi  la- 
tenti per  parlante  (cfr.  Tab.  5  e  6); 

-  L'indice  di  latenza  relativa,  ovvero  il  rapporto  tra  processi  latenti 
e  processi  manifesti  (sia  vocalici  che  consonantici)  (I  (L))  (cfr.  6. 
l.eó.  2.,cfr.  Fig.  11). 

i"*  Un  processo  che  ha  da  una  a  tre  occorrenze  è  stato  rappresentato  con  '+',  un  pro- 
cesso con  un  numero  di  occorrenze  superiore  a  tre,  ma  non  regolare,  è  stato  rappresentato 
con  '++',  un  processo  che  compare  in  maniera  regolare  è  stato  rappresentato  con  '+++'.  Si 
noti  che  all'aumentare  della  regolarità  si  riscontra  quasi  sempre  un  aumento  di  forza  del 
processo,  che  diventa  pertanto  cospicuo  percettivamente  o,  nella  terminologia  qui  usata, 
macroscopico.  I  processi  latenti  (cfr.  6.)  sono  stati  rappresentati  con  '*'.  L'assenza  di  pro- 
cesso è  ovviamente  rappresentata  con  '-'. 

15  Assegnando  un  punto  a  ciascun  processo  presente  in  un  parlante,  indipendentemen- 
te dalla  sua  regolarità  e  dalla  sua  forza,  e  mezzo  punto  a  ciascun  processo  latente,  il  pun- 
teggio totale  di  ogni  processo  è  stato  ottenuto  in  base  alla  sua  frequenza  in  ognuno  dei  due 
gruppi. 

213 


I  primi  due  indici  e  l'ultimo  sono  stati  parametrizzati.  L'indice  di  pre- 
senza dei  processi  vocalici  e  consonantici,  I  (V+C),  ha  un  livello  nullo  o 
minimo  (da  zero  a  2),  un  livello  medio  (da  3  a  9)  e  un  livello  alto  (da  10 
verso  l'alto).  L'indice  di  rapporto  tra  processi  vocalici  e  processi  conso- 
nantici, V/C,  varia  da  valori  positivi,  a  zero  a  negativi.  I  valori  positivi  in- 
dicano ovviamente  una  prevalenza  di  processi  vocalici,  quelli  negativi 
una  prevalenza  di  processi  consonantici.  L'indice  di  latenza  relativa,  I 
(L),  ha  un  livello  basso,  da  0  a  20%,  medio  dal  21%  al  39%,  alto  dal  40% 
al  60%. 


3.  Analisi  dei  processi  vocalici 

3.  1.  Gerarchie  di  frequenza  dei  fenomeni  vocalici  nei  due  gruppi.  I 
processi  vocalici  sono  distribuiti  secondo  gerarchie  di  frequenza  diverse 
nei  due  gruppi  di  parlanti  (cfr.  Tab.  1  e  2).  Non  è  chiaro  sino  a  che  punto 
queste  differenze  lascino  affiorare  condizioni  caratteristiche  dei  diversi 
retroterra  dialettali  (si  confrontino  le  Fig.  1  e  2).  Fenomeni  molto  genera- 
li, come  le  dittongazioni  discendenti  [ei],  [ou]  delle  vocali  medie  semi- 
chiuse /e/  e  loi,  che  compaiono  spontaneamente  in  varietà  parlate  di  nu- 
merose lingue,  occupano  nel  gruppo  1  i  due  ranghi  più  alti,  e  ciò  potrebbe 
essere  dovuto  al  contatto  con  le  varietà  dialettali  procidane,  dove  il  pro- 
cesso è  molto  più  cospicuo  e  stabilizzato  che  nelle  varietà  napoletane  (cfr. 
Sornicola  2003a,  2005c).  L'ipotesi  dell'influenza  dialettale  sembra  in 
questo  caso  ricevere  sostegno  dal  confronto  con  il  gruppo  2,  in  cui  i  due 
processi  dittongali  menzionati  occupano  un  rango  inferiore.  L'interferen- 
za dialetto-lingua  può  giustificare  anche  la  diversità  di  rango,  nei  due 
gruppi,  dell'abbassamento  e  dittongazione  di  /e/  in  [e],  [eA],  [a],  [aì].  Tale 
processo  è  infatti  macroscopicamente  caratteristico  delle  varietà  procida- 
ne e  più  in  generale  dell'area  flegrea  (cfr.  Sornicola  2001  e  2003a),  men- 
tre non  si  riscontra  in  napoletano  (ma  si  vedano  anche  le  osservazioni  in 
3.3.). 

Altri  risultati  sono  più  problematici  da  analizzare.  La  nasalizzazione  di 
vocali  e  la  palatalizzazione  di  /a/'^  si  trovano  in  entrambe  le  gerarchie  ai 
ranghi  più  bassi,  pur  trattandosi  di  due  fenomeni  di  diverso  statuto  varia- 
zionistico.  Il  primo,  in  effetti,  è  un  processo  di  natura  stilistica,  con  debo- 
le regolarità  in  procidano,  più  radicato  invece  in  alcuni  stili  di  parlato  di 


'^  Uso  qui  la  terminologia  nota  in  dialettologia  romanza.  Da  un  punto  di  vista  foneti- 
co il  processo  è  meglio  descritto  in  termini  di  anteriorizzazione  e  innalzamento  della  vo- 
cale. 

214 


Tab.  1 
Distribuzione  dei  processi  vocalici  (gruppo  indigeno) 


Parlanti 

e' 

O" 

D 

C'V 

ditt.  e 

ditt.  e 

C*V 

V 

£e 

A 

+ 

+ 

- 

+ 

- 

- 

- 

- 

* 

B 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

L. 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

* 

- 

- 

D 

+ 

+ 

+ 

+ 

* 

+ 

- 

- 

E 

+ 

+ 

+ 

- 

* 

* 

- 

- 

++ 

F 

+ 

+ 

+++ 

+ 

++ 

++ 

+++ 

- 

- 

G 

+ 

+ 

++ 

++ 

+ 

+   ~ 

+++ 

+ 

- 

H 

+ 

+ 

+ 

* 

+ 

+ 

* 

- 

- 

I 

+ 

+ 

+ 

* 

+ 

+ 

* 

- 

- 

L 

+ 

+ 

+ 

* 

- 

- 

* 

- 

- 

M 

+ 

+ 

++ 

+ 

- 

- 

+ 

- 

- 

N 

+ 

* 

- 

* 

+ 

+ 

- 

- 

- 

O 

+ 

+ 

+++ 

++ 

+ 

+ 

+ 

- 

- 

Tab.  2 
Distribuzione  dei  processi  vocalici  (gruppo  napoletano) 


Parlanti 

D 

Cwy 

O" 

C"V 

e' 

ditt.  e 

V 

se 

ditt.  e 

P 

+ 

+ 

+ 

* 

* 

* 

+ 

- 

- 

Q 

++ 

+ 

+ 

* 

* 

+ 

+ 

- 

- 

R 

+ 

* 

* 

* 

- 

+ 

- 

* 

- 

S 

* 

* 

. 

. 

- 

- 

- 

- 

- 

T 

+ 

+ 

+ 

* 

+ 

- 

- 

- 

- 

U 

+++ 

+++ 

+ 

++ 

+ 

* 

++ 

- 

- 

varietà  napoletane.  Diverso  e  più  complesso  è  il  caso  della  palatalizzazio- 
ne di  /a/  in  una  gamma  di  varianti  [ae],  [e],  [e],  a  prima  vista  riconducibi- 
le senza  difficoltà  ad  una  giustificazione  interferenzialistica  dal  momento 
che  un  processo  simile  non  è  osservabile  in  napoletano,  ma  è  presente 
nelle  varietà  dialettali  procidane  e  montesi.  Tuttavia  in  tali  varietà  il  feno- 
meno è  fondamentalmente  di  natura  metafonetica,  e  ha  inoltre  un  alto 
grado  di  morfologizzazione  per  la  codifica  del  genere  e  del  numero  di  no- 
mi, aggettivi  e  participi  (cfr.  Milano  2002;  Somicola  2005c). 

Nelle  produzioni  in  italiano,  o  orientate  sull'italiano,  la  palatalizzazio- 
ne di  /a/  compare  come  processo  puramente  fonetico  solo  in  tre  parlanti, 
in  due  (A  e  R,  entrambi  anziani  e  con  bassa  scolarità)  in  maniera  del  tutto 
sporadica  ed  inoltre  latente.  Il  parlante  E  è  l'unico  che  lo  presenta  in  ma- 
niera del  tutto  manifesta  e  cospicua.  Si  tratta  di  un  uomo  con  un  compor- 
tamento sociale  e  linguistico  di  grande  insicurezza,  che  lo  distingue  netta- 
mente dagli  altri  intervistati,  sia  del  gruppo  1  che  del  gruppo  2.  La  scola- 

215 


rizzazione  pressoché  inesistente  si  accompagna  ad  un  evidente  forte  desi- 
derio di  riscatto  sociale,  che  lo  conduce  a  inserirsi  spesso  nella  conversa- 
zione di  gruppo  per  raccontare  la  sua  storia.  Il  suo  parlato  è  quello  in  cui 
maggiormente  numerosi  e  strutturalmente  più  differenziati  sono  i  feno- 
meni di  italianizzazione  del  dialetto  e  di  "invenzione"  dell'italiano  (fre- 
quenti sono  ad  esempio  ipercorrettismi  e  malapropismi)^^. 

È  interessante  che  nella  casistica  del  parlante  E  ora  descritta  si  produ- 
cano processi  che  non  appartengono  né  all'italiano  né  al  dialetto,  ma  che 
si  configurano  come  innovativi,  a  non  alta  stabilità,  o  se  si  vuole  effimeri. 
La  palatalizzazione  spontanea  di  /a/  tonica  si  può  per  l'appunto  inserire 
tra  questi.  Il  fatto  che  si  tratti  di  un  processo  puramente  fonetico,  e  non 
morfofonologico  e  morfologico  come  in  procidano,  potrebbe  essere  un 
argomento  contro  l'ipotesi  che  esso  sia  imputabile  al  retroterra  dialettale. 
D'altra  parte,  diversi  ordini  di  dati  fanno  propendere  per  la  tesi  che  esso 
abbia  un  carattere  naturale.  In  effetti,  l'anteriorizzazione  e  l'innalzamento 
di  /a/  sono  due  dei  non  numerosi  movimenti  che  può  seguire  la  dinamica 
di  /a/  nel  parlato  spontaneo  (una  discussione  di  questa  tesi  è  stata  presen- 
tata in  Somicola  2003b).  Questa  considerazione  è  congruente  con  il  fatto 
che  il  fenomeno  in  questione  si  presenta  come  una  innovazione  effimera. 
Altro  indizio  significativo  sembra  che  i  due  parlanti  in  cui  il  processo  è 
latente  provengano  da  retroterra  dialettali  diversi ^*^,  uno  con  e  l'altro  sen- 
za alcun  tipo  di  palatalizzazione.  Si  può  pertanto  concludere  che  il  deter- 
minarsi della  palatalizzazione  di  /a/  come  processo  puramente  fonetico 
nelle  produzioni  in  italiano  o  italianizzanti  dei  parlanti  procidani  sia  indi- 
pendente dal  retroterra  dialettale. 

La  velarizzazione  di  /a/  mostra  per  un  altro  verso  la  genesi  complessa 
di  alcuni  processi  di  parlato  tra  dialetto  e  italiano'*^.  Essa  è  presente  in  en- 
trambe le  varietà  dialettali  procidana  e  napoletana,  ma  non  in  maniera  re- 
golare e  stabile.  Il  processo  occupa  nelle  due  gerarchie  ranghi  con  un  pic- 
colo scarto.  Ma  ciò  potrebbe  avere  interpretazioni  opposte:  dare  plausibi- 
lità all'ipotesi  interferenzialistica  o,  al  contrario,  mostrare  l'indipendenza 
di  questo  processo  dalle  varietà  dialettali  di  base.  Un'analisi  piiì  micro- 

'^  Per  una  analisi  dettagliata  della  interessante  produzione  parlata  del  testo  di  E  rinvio 
a  Somicola  2005b. 

'*  In  P  il  processo  ricorre  esclusivamente  in  un  lapsus. 

'^  Ancora  una  volta  non  è  chiaro  se  gli  scarti  minori  tra  le  due  gerarchie  siano  dovuti 
alle  differenze  tra  le  varietà  dialettali  di  base.  Le  differenze  di  rango  della  palatalizzazione 
di  5  +  Occlusiva  labiale  o  velare,  nelle  gerarchie  dei  due  gruppi,  potrebbero  riflettere  il 
fatto  che  il  processo  è  meno  cristallizzato  nella  varietà  procidana  rispetto  a  quella  napole- 
tana. 

216 


n   r 


Gerarchia  di  presenza  dei  processi 
vocalici  -  Gruppo  indigeno 


(1)  Dittongazione  e' 

(2)  Dittongazione  o" 

(3)  Velarizzazione  di  /a/  =  [d] 

(4)  Sviluppo  di  legamento  3  C    V 


(5)  Dittongazione  Iti  -^  (ea,  a) 

/e/  -^  (e,  EA,  A,  aì) 

(6)  Sviluppo  di  legamento  w  C    V 


(7)  Nasalizzazione  di  V 


(8)  Palatalizzazione  di  /a/ 


Gerarchia  di  presenza  dei  processi 
vocalici  -  Gruppo  napoletano 


(1)  Velcirizzazione  di  /a/  =  fol 


(2)  Sviluppo  di  legamento  w  C    V 


(3)  Dittongazione  o" 


(4)  Sviluppo  di  legamento  9  C    V 


(5) 


Dittongazione  e' 


Dittongazione  /e/  ->  (ea,  a) 


(6)  Nasalizzazione  di  V 


(7)  Palatalizzazione  di  /a/ 


(8)  Dittongazione  /e/  -^  (e,  e  a,  a,  aì) 


Figura  1 


Figura  2 


scopica  della  distribuzione  del  processo  nei  due  gruppi  e  della  sua  regola- 
rità aiuta  forse  a  trovare  una  conclusione.  La  velarizzazione  di  /a/  compa- 
re nelle  produzioni  in  italiano  o  italianizzanti  di  quasi  tutti  i  soggetti  inter- 
vistati. Nel  gruppo  1  è  del  tutto  regolare  in  F  e  O,  e  sembra  in  via  di  rag- 
giungere questo  stadio  in  G  e  M.  I  parlanti  A  e  N  invece  non  ne  hanno 
traccia.  Nel  gruppo  2,  eccezion  fatta  per  U  e  in  misura  minore  per  Q,  il 


217 


processo  è  molto  frequente  anche  se  non  del  tutto  regolare.  In  P  la  vela- 
rizzazione  si  determina  solo  nei  monosillabi  (come  la  forma  verbale  fa), 
un  contesto  caratteristico  di  alcune  varietà  stilistiche  napoletane.  E  inoltre 
latente  in  R  e  S,  entrambi  parlanti  al  di  sopra  dei  60  anni,  con  scolarizza- 
zione infima  o  nulla. 

Il  processo  in  esame,  ad  ogni  modo,  occorre  in  soggetti  di  classe  sociale, 
istruzione  ed  età  sensibilmente  diverse  ed  è  particolarmente  cospicuo  nei 
due  capitani  di  lungo  corso  (M  e  O)  che  provengono  da  famiglie  scolarizzate 
e  che  hanno  ricoperto  incarichi  di  alto  hvello  nella  marina  mercantile  itaha- 
na  e  in  quelle  di  altri  paesi.  Si  può  pertanto  escludere  l'ipotesi  che  si  tratti  di 
una  caratteristica  socialmente  e  culturalmente  condizionata.  D'altra  parte,  il 
fatto  che  il  processo  sia  presente  in  due  individui  situati  vicino  al  limite  su- 
periore e  a  quello  inferiore  di  età  (M  e  G)  fa  escludere  che  si  tratti  di  una  ca- 
ratteristica che  ha  acquistato  peso  solo  nelle  generazioni  più  giovani.  Che  in 
parlanti  come  M  ed  O  la  velarizzazione  sia  ancora  piià  cospicua  nelle  produ- 
zioni in  italiano  rispetto  a  quelle  in  dialetto  e  mostri  un  netto  aumento  di  for- 
za nei  contesti  in  cui  maggiore  è  la  focalizzazione  di  costituenti,  induce  ad 
ipotizzare  che  il  processo  abbia  almeno  in  parte  una  genesi  stilistica.  In  effet- 
ti, in  tutti  i  soggetti  con  velarizzazione  si  riscontra  un  setting  fortemente  ve- 
lare (cfr.  3.  2).  In  aggiunta  a  ciò,  in  M  e  O  si  nota  una  tendenza  alla  iperarti- 
colazione  di  parlato,  specialmente  visibile  nelle  produzioni  in  italiano.  Del 
resto,  se  in  tutti  i  soggetti  che  presentano  la  velarizzazione,  questa  fosse  do- 
vuta meccanicamente  all'esposizione  ad  un  ambiente  Unguistico  circostante, 
perché  essa  manca  del  tutto  in  alcuni  parlanti  (A  e  N),  ed  è  molto  meno  co- 
spicua in  altri?  Si  potrebbe  dunque  ipotizzare  che  il  processo  risieda  in  dina- 
miche di  produzione  individuah  e  stiUstiche,  che  si  assestano  poi  in  diverso 
modo  nel  dialetto  e  nelle  varietà  di  italiano.  In  base  alle  considerazioni  ora 
svolte,  si  può  inoltre  concludere  che,  in  questo  caso,  la  prossimità  di  rango 
gerarchico  nelle  scale  (cfr.  Fig.  1  e  2)  non  dipenda  in  senso  stretto  dall'inter- 
ferenza con  le  varietà  dialettali:  piuttosto,  si  tratta  di  un  processo  che  attra- 
versa produzioni  in  dialetto  e  produzioni  in  itahano,  ma  che  ha  una  genesi  in 
un  certo  senso  indipendente  dalle  une  e  dalle  altre  (cfr.  anche  3.2.). 

Che  l'uguaglianza  o  la  prossimità  di  rango  nelle  gerarchie  non  siano  il 
riflesso  immediato  di  uguali  situazioni  dei  retroterra  dialettali,  lo  si  può 
vedere  anche  in  base  alla  dittongazione  e  abbassamento  della  vocale  me- 
dia semi-aperta  /e/,  che  occupa  nelle  gerarchie  dei  due  gruppi  ranghi  mol- 
to simili  (cfr.  Fig.  1  e  2),  sebbene  si  tratti  di  un  processo  presente  in  proci- 
dano  (come  in  altre  varietà  campane)  e  solo  latente  in  napoletano  (cfr. 
Somicola  e  Maturi  1993).  Analogamente,  lo  sviluppo  del  legamento  [a]  è 
un  processo  regolare  in  molte  varietà  precidane,  mentre  in  napoletano 

218 


compare  in  forma  latente,  ed  è  maggiormente  percepibile  in  alcuni  stili 
parlati  trascurati.  Come  interpretare  allora  il  fatto  che  il  processo  occupa 
lo  stesso  rango  nelle  due  scale? 

La  diversità  di  rango,  in  effetti,  può  richiedere  una  interpretazione  che  ten- 
ga conto  non  solo  della  distribuzione  areale,  ma  anche  delle  caratteristiche 
stilistiche  dei  processi  coinvolti,  come  si  vede  nei  risultati  relativi  agli  svilup- 
pi del  legamento  [w].  Questo  è  un  fenomeno  endemico  nell'area  flegrea, 
mentre  in  napoletano  compare  solo  in  parlanti  con  forte  setting  velare  e  in  sti- 
li enfatici.  Tuttavia  esso  occupa  un  rango  più  elevato  nella  gerarchia  del  grup- 
po 2,  rispetto  a  quello  della  gerarchia  del  gruppo  1  (cfr.  Fig.  1  e  2).  È  infatti 
presente  in  maniera  abbastanza  regolare  nei  parlanti  napoletani,  mentre  è 
confinato  solo  ad  alcuni  parlanti  procidani  (cfr.  Tab.  1  e  2). 

3.  2.  Validità  circoscritta  delle  scale  di  implicazione  e  loro  basi  natu- 
rali. L'analisi  della  distribuzione  e  frequenza  dei  processi  (cfr.  Tab.  1-4) 
mostra  che  il  modello  della  scala  di  implicazione  non  ha  validità  generale 
né  per  il  vocalismo  né  per  il  consonantismo.  Esso  risulta  applicabile  solo 
limitatamente  ad  alcuni  fenomeni  e  ad  alcuni  parianti.  Il  quadro  è  ulte- 
riormente complicato  dalle  caratteristiche  di  latenza  (per  cui  cfr.  6.). 

Per  quanto  riguarda  il  vocalismo,  si  possono  fare  le  seguenfi  osserva- 
zioni (cfr.  Tab.  1  e  2).  Nel  Gruppo  1,  solo  i  parianti  con  indici  alti  di  pro- 
cessi presenti  (B,  F,  G  e  O)  hanno  una  distribuzione  di  dinamiche  vocah- 
che  rappresentabili  attraverso  una  scala  di  implicazione.  Nel  gruppo  2,  il 
modello  implicazionale  potrebbe  valere  solo  se  le  caratteristiche  latenti  si 
considerassero  del  tutto  equivalenti  a  quelle  manifeste. 

Ciò  che  sembra  interessante,  ad  ogni  modo,  è  l'esistenza  di  relazioni 
circoscritte  tra  processi  che  hanno  una  affinità  (solidarietà)  articolatoria 
naturale.  Si  può  individuare,  ad  esempio,  una  solidarietà  tra  la  velarizza- 
zione  di  /a/  e  lo  sviluppo  del  legamento  [w]  nel  contesto  C  _  V,  secondo 
la  relazione  di  implicazione  bicondizionale: 

Se    [d]     3     [wl  e         Se    [w]     3      [d] 

(Se  si  determina  velarizzazione  di  /a/  si  determina  anche  lo  sviluppo  del 
legamento  [w],  e  viceversa) 

Questa  regolarità  è  assente  nel  solo  parlante  E,  che  mostra  velarizzazione 
di  /a/  senza  sviluppo  del  legamento. 

La  relazione  tra  i  due  fenomeni  potrebbe  giustificarsi  in  base  alla  pre- 
senza di  un  setting  articolatorio  fortemente  velare-^,  di  cui  entrambi  sono 

20  Per  la  nozione  di  setting  rinvio  a  Laver  1994:  115-116  e  152-155. 

219 


una  manifestazione.  Nei  soggetti  di  bassa  estrazione  sociale  e  con  stili  di 
parlato  fortemente  enfatici  (come  F,  G,  U),  l'implicazione  assume  una  for- 
ma particolare:  ognuno  dei  due  processi  solidali  è  molto  cospicuo,  il  che  fa 
ipotizzare  che  in  alcuni  casi  la  relazione  implicazionale  non  riguardi  solo  la 
dicotomia  di  presenza  vs  assenza,  ma  coinvolga  anche  la  forza  o  grado  di 
manifestazione  dei  processi.  Questa  ipotesi  potrebbe  dare  ulteriore  fonda- 
mento all'idea  che  esista  una  giustificazione  articolatoria  naturale  dei  rap- 
porti osservati.  La  relazione  di  solidarietà  di  grado  potrebbe  ricevere  soste- 
gno anche  in  base  ai  dati  del  parlante  S,  che  esibisce  latenza  di  entrambi  i 
fenomeni.  Ma  altri  dati  sono  in  controtendenza  rispetto  alla  regolarità  ipo- 
tizzata. Nei  capitani  M  e  O,  i  parlanti  di  classe  sociale  piià  elevata  del  grup- 
po 1,  i  due  processi  in  esame,  pur  essendo  solidali,  non  mostrano  la  stessa 
forza.  Analoga  considerazione  vale  per  il  parlante  Q,  del  gruppo  2. 

I  testi  prodotti  da  altri  soggetti  (B,  G  e  U)  forniscono  indizi  a  sostegno  di 
un  rapporto  tra  la  velarizzazione  di  /a/,  lo  sviluppo  del  legamento  [v^]  e  la  na- 
sahzzazione  vocaUca.  Si  tratta,  in  effetti,  di  tre  dinamiche  che  attivano  due  re- 
gioni hmitrofe  dell'apparato  fonatorio,  la  regione  velare  e  le  cavità  nasali,  in 
questo  caso  non  si  hanno  al  momento  dati  sufficienti  a  delineare  il  tipo  di  re- 
lazione, ma  gh  indizi  sono  interessanti  come  ulteriore  conferma  di  sinergia  tra 
processi  con  una  evidente  affinità  fonetica  naturale-'. 

Non  sembra  invece  sussistere  rapporto  implicazionale  generalizzato  tra  la 
velarizzazione  di  /a/  e  l'abbassamento  e  dittongazione  delle  vocali  medie  an- 
teriori, nonostante  si  tratti  di  movimenti  vocalici  con  una  certa  affinità.  Ac- 
canto ad  un  certo  numero  di  parlanti  che  esibiscono  entrambi  i  processi,  ci  so- 
no individui  (come  L  e  M)  che  hanno  la  velarizzazione  di  /a/,  ma  non  l'abbas- 
samento e  dittongazione  delle  vocali  medie.  Si  potrebbe  ipotizzare  che  questi 
ultimi  fenomeni  impUchino  il  primo,  ma  non  viceversa.  Ma  tale  ipotesi  sareb- 
be del  tutto  artificiosa;  essa  non  sarebbe  inoltre  vahda  per  tutti  i  soggetti  (è 
contraddetta  da  N).  Ma  il  motivo  più  importante  per  cui  il  modello  implica- 
zionale non  sembra  proponibile  risiede  nel  fatto  che  i  due  tipi  di  processo  non 
hanno  lo  stesso  statuto  stilistico.  Ad  esempio,  durante  l'intervista,  i  parlanti  H 
e  I  esibiscono  l'abbassamento  e  dittongazione  in  pochi  contesti  in  cui  allenta- 
no l'autocontrollo,  ma  hanno  la  velarizzazione  sia  in  questi  che  nelle  produ- 
zioni autocontrollate.  È  possibile  dunque  che  il  dinamismo  delle  vocah  medie 
sia  meno  regolare  e  stabilizzato  rispetto  alla  velarizzazione  di  /a/. 

^'  Tale  situazione  strutturale  è  ben  compatibile  con  il  fatto  che  nelle  varietà  napoleta- 
ne urbane  la  nasalizzazione  sia  un  fenomeno  tipico  di  stili  enfatici  ipertrofizzati,  descrivi- 
bili rispetto  a  parametri  sociolinguistici  (si  riscontrano  specialmente  in  parlanti  di  bassa 
condizione  sociale  e  culturale),  ma  caratterizzano  anche  stili  di  canto  tradizionali  (si  pensi 
ad  esempio  a  Sergio  Bruni  e  Mario  Merola). 

220 


3.3.  Differenze  tra  parlanti.  Il  quadro  ora  delineato  contiene  ulteriori 
elementi  di  disomogeneità,  che  riguardano  le  condizioni  strutturali  di  di- 
stribuzione e  quelle  di  repertorio.  Nel  gruppo  1,  lo  sviluppo  del  legamen- 
to [w]  è  definito  dal  contesto  C  _  V,  in  cui  C  è  una  Occlusiva  (labiale, 
dentale  o  velare,  oppure  una  fricativa  labio-dentale)  e  V  è  la  Vocale  /a/^^. 
Questa  doppia  condizione  sugli  intomi  di  sinistra  e  di  destra  si  riscontra 
anche  in  Q,  che  appartiene  al  gruppo  napoletano.  Tuttavia  in  altri  parlanti 
del  gruppo  2  (P  e  T)  il  processo  ha  una  distribuzione  determinata  solo  dal 
contesto  consonantico  precedente.  Esso  si  realizza  infatti  solo  quando  la 
consonante  che  precede  è  una  nasale  bilabiale. 

Alcuni  processi  sono  disomogenei  rispetto  alla  distribuzione  nel  reper- 
torio. L'abbassamento  e  la  dittongazione  delle  vocali  medie  anteriori,  ad 
esempio,  si  verificano  nel  pariante  B  soprattutto  nelle  porzioni  di  testo  in 
cui  egli  ha  produzioni  in  italiano  o  italianizzanti,  piuttosto  che  in  quelle  in 
dialetto.  Viceversa,  nel  pariante  H  le  vocali  medie  anteriori  sono  più  sta- 
bili nelle  produzioni  in  italiano  che  in  quelle  in  dialetto.  Questi  dati  appa- 
rentemente contraddittori  potrebbero  significare  che  i  processi  vocalici  in 
questione  non  si  determinino  in  maniera  automatica  per  interferenza  dia- 
letto-lingua. In  altri  termini,  il  parlante  non  riproduce  necessariamente 
una  abitudine  articolatoria  del  dialetto,  trasferendola  in  maniera  meccani- 
ca alla  dinamica  del  suo  pariato  in  italiano.  I  risultati  emersi  indicano  an- 
cora una  volta  una  ricreazione  indipendente  di  dinamiche  che,  peraltro, 
nello  stesso  dialetto  sono  tutt' altro  che  stabili  e  regolari. 


4.  I  PROCESSI  CONSONANTICI 

Come  nelle  gerarchie  vocaliche,  anche  in  quelle  consonantiche  i  ran- 
ghi superiori  sono  occupati  da  processi  che  hanno  un  alto  grado  di  natura- 
lezza e  generalità.  Si  tratta  delle  assimilazioni  (di  sonorità  o  di  luogo  di 
articolazione)  e  della  lenizione  in  contesto  intervocalico.  I  fenomeni  più 
marcati  e  "locali",  come  la  labializzazione  di  Ivi  e  la  velarizzazione  di  /!/, 
occupano  i  ranghi  inferiori  per  entrambi  i  gruppi,  ma  presumibilmente  per 
motivi  diversi  (cfr.  più  avanti).  Complessivamente,  le  due  scale  ottenute 
per  il  gruppo  1  e  il  gruppo  2  presentano  tra  loro  gerarchizzazioni  più  si- 
mili rispetto  a  quelle  ottenute  per  il  vocalismo.  I  processi  ai  ranghi  alti 
occorrono  tendenzialmente  in  tutti  i  parlanti,  sia  nelle  produzioni  in  dia- 
letto che  in  quelle  in  italiano  (cfr.  Tab.  3  e  4  e  Fig.  3  e  4).  Quelli  ai  ranghi 

'"  Ma  nel  parlante  B  si  ha  sviluppo  di  legamento  anche  nel  monosillabo  me,  un  intor- 
no che  presenta  condizioni  simili  a  quelle  vahde  nel  gruppo  2. 

221 


bassi  non  sono  altrettanto  omogeneamente  ripartiti.  Come  per  il  vocali- 
smo, tuttavia,  anche  nel  consonantismo  le  gerarchie  non  sono  immediata- 
mente significative  delle  differenze  degli  strati  dialettali  di  base. 

Le  assimilazioni  progressive  nei  contesti  /-C  e  r-C  e  i  loro  ranghi  relativa- 
mente alti  nelle  gerarchie  dei  due  gruppi  sollevano  alcune  questioni  interes- 
santi. Nell'itahano  parlato  a  Napoli,  pronunzie  come  [aTco],  [akko]  'arco'  so- 
no caratteristiche  regolari  di  alcuni  stili  la  cui  distribuzione  socioUnguistica 
non  è  del  tutto  chiara.  Esse  si  possono  infatti  osservare  in  parlanti  con  grado 
di  istruzione  non  alto,  ma  hanno  anche  costituito  uno  stereotipo  di  affettazio- 
ne aristocratica^^.  Analoghe  considerazioni  valgono  per  l'assimilazione  pro- 
gressiva l-t,  come  in  [a'to],  [atto]  'alto'.  Si  noti  tuttavia  che  a  Napoli  questi 
processi  non  si  riscontrano  sempre  in  maniera  ben  percepibile  (macroscopi- 
ca). Bisogna  inoltre  tenere  in  conto  che  nelle  varietà  dialettali  napoletane,  i 
contesti  -It-  sono  indisponibili,  perché  sono  stati  eliminati  da  sviluppi  diacro- 
nici. Si  pensi  ai  tipi  ata  'altro',  vota  'volta',  awtd  'alto',  che  mostrano  dileguo 
della  laterale  o  sua  vocalizzazione-'^.  I  contesti  -rp-,  -rb-,  -rd-,  -rt-,  -rk- 
(kworpa,  garbd,  sarda,  mworta,  pworkB)  non  sembrano  attivare  assimilazione 
manifesta,  neppure  in  stili  particolarmente  trascurati-^  (sull'assimilazione  r-C 
in  area  italiana  meridionale  si  veda  Rohlfs  1949-1954, 1,  §§  262  e  263).  Ci  sa- 
rebbero dunque  argomenti  per  sostenere  che  si  tratti  di  processi  che  in  manie- 
ra macroscopica  si  producono  indipendentemente  nel  passaggio  all'italiano. 
Ma  il  fatto  che  nel  dialetto  napoletano  ci  sia  una  sorta  di  intolleranza  ad  alcu- 
ni contesti  Liquida  -i-  Occlusiva  condurrebbe  anche  a  concludere  che  lo  strato 
dialettale  sia  comunque  in  qualche  modo  coinvolto,  sia  pure  come  una  condi- 
zione negativa  o  di  impedimento. 

La  situazione  di  Precida  non  sembra  diversa  da  quella  napoletana,  se 
non  per  il  fatto  che  i  processi  assimilativi  di  Liquida  +  Occlusiva  si  esten- 
dono ad  un  maggior  numero  di  parlanti  e  di  contesti  stilistici  in  produzio- 
ni in  italiano  o  italianizzanti.  Non  è  privo  di  interesse  che  l'unico  soggetto 
del  gruppo  2  che  presenta  l'assimilazione  r-C,  in  contesti  distribuzional- 
mente limitati*^^,  sia  il  pili  giovane  della  generazione  dei  napoletani  proci- 
danizzati,  ma  anche  l'unico  che  non  è  andato  a  scuola  (U). 

^^  Si  pensi  alle  pronunzie  di  Carlo  Croccolo  e  Totò  quando  recitano  la  parte  di  perso- 
naggi nobili. 

-''  Un  ulteriore  sviluppo  è  rappresentato  dal  tipo  ava/a  'alto',  con  evoluzione  della  vo- 
cale posteriore  alta  in  una  fricativa  labio-dentale  e  proliferazione  di  una  vocale  anaptittica. 

^^  Una  apparente  eccezione  è  costituita  da  ^ciakké  'perché',  parola  che  però  esibisce  il 
processo  assimilativo  in  molti  dialetti  meridionali,  anche  in  assenza  di  condizioni  genera- 
lizzate di  assimilazione.  È  possibile  che  la  struttura  metrica  della  parola,  ossitona,  favori- 
sca lo  sviluppo. 

^^  Nel  contesto  in  cui  C  =  Idi,  ma  non  in  quello  in  cui  C  =  /k/,  /g/. 

222 


Tab.3 
Distribuzione  dei  processi  consonantici  (gruppo  indigeno) 


Pari. 

sonor. 
C/C 

nas— 

assim. 

st 

assim. 
1  +  C 

assim. 
r  +  C 

palat. 

s/_C 

leniz. 
son.  C 

deson. 
C/C 

nas— 

V^W 

r->j 

velariz. 

1 

A 

+ 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

B 

+ 

+ 

. 

- 

+ 

- 

- 

- 

- 

- 

C 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

- 

D 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

- 

++ 

- 

E 

+ 

+ 

++ 

++ 

+ 

+ 

+ 

++ 

+ 

- 

F 

+ 

+ 

++ 

++ 

++ 

++ 

+ 

+ 

- 

- 

G 

+ 

++ 

++ 

++ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

+ 

H 

* 

* 

* 

* 

- 

- 

* 

- 

- 

- 

I 

+ 

+ 

* 

* 

- 

* 

- 

- 

- 

- 

L 

+ 

+ 

+ 

_ 

+ 

* 

- 

- 

- 

- 

M 

+ 

* 

* 

* 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

N 

++ 

+ 

++ 

++ 

+ 

+ 

+ 

- 

- 

- 

0 

+ 

* 

* 

* 

- 

- 

- 

- 

- 

++ 

Tab.4 
Distribuzione  dei  processi  consonantici  (gruppo  napoletano) 


Pari. 

sonor. 
C/C 

nas— 

assim. 
st 

palat. 

s/_C 

assim. 
1  +  C 

leniz. 
son.  C 

r^j 

velariz. 
1 

assim. 
r  +  C 

V— >w 

deson. 
C/C 

nas— 

P 

+ 

* 

+ 

- 

- 

+ 

+ 

- 

- 

- 

Q 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

* 

* 

- 

* 

* 

R 

++ 

- 

++ 

+ 

* 

- 

- 

- 

- 

- 

S 

+ 

+ 

* 

+ 

* 

- 

- 

- 

- 

- 

T 

+ 

+ 

* 

- 

* 

- 

- 

- 

* 

- 

U 

+ 

++ 

++ 

++ 

- 

+ 

- 

+ 

- 

- 

Meritano  un  rapido  esame  anche  le  distribuzioni  nel  repertorio  di  alcu- 
ni processi  che  nella  varietà  procidana  sono  presenti  in  maniera  irregola- 
re, come  la  labializzazione  di  NI  e  la  approssimantizzazione  di  Ivi.  Il  pri- 
mo è  raro  o  assente  in  napoletano.  Nel  gruppo  di  origine  napoletana,  in 
effetti,  manca  del  tutto  (cfr.  Tab.  4).  Nel  gruppo  procidano,  è  caratteristico 
solo  di  parlanti  poco  scolarizzati  (cfr.  Tab.  3).  In  alcuni  (C,  F)  ricorre  solo 
nelle  produzioni  in  dialetto,  mentre  in  E  si  riscontra  sia  in  dialetto  che  in 
italiano.  In  quest'ultimo  tuttavia  tale  distinzione  può  esser  tracciata  con 
difficoltà,  dal  momento  che  nel  suo  parlato  il  confine  di  varietà  appare 
pressoché  privo  di  compartimentalizzazione. 

Per  quanto  riguarda  la  resa  approssimante  di  Ivi,  nella  varietà  dialettale 
procidana  questo  processo  fonetico  si  manifesta  in  maniera  non  uniforme, 
come  una  caratteristica,  piij  o  meno  regolare,  limitata  ad  alcuni  parlanti. 

223 


Gerarchia  di  presenza  dei  processi 

consonantici  -  Gruppo  indigeno 

(1)  Sonorizzazione  di  C/C„3^_ 

(2)  Assimilazione  st 

(3)  Assimilazione  1  +  C 

Assimilazione  r  +  C 

(4)  - 

Palatalizzazione  di 

^^-^     /velare 
[labiale 

(5)  Lenizione/sonorizzazione  di  C  sorda 
(  V_V,  son  _V  ) 

(6)  Desonorizzazione  di  C  sonora  /C„^_ 

(7)  Passaggio  ad  approssimante  di  /v/ 

^  Passaggio  ad  approssimante 

^  Velarizzazione  di  /l/ 

Gerarchia  di  presenza  dei  processi 

consonantici  -  Gruppo  napoletano 

(1)  Sonorizzazione  di  C/Cn33_ 

(2)  Assimilazione  st 

(3)  Palatalizzazione  di  s/_C    C^i^^^ 

[labiale 

(4)  Assimilazione  1  +  C 

Leniz./son.  di  C  sorda 

^^  (  V  V,  son    V  ) 

(5)  ^ 

Passaggio  ad  approssimante 

di/r/ 

(6)  Velarizzazione  di  /l/ 

Assimilazione  r  +  C 

(7)  ^^ 

Passaggio  ad  approssimante 

di/v/ 

(8)  Desonorizzazione  di  C  sonora  /C^_ 

Figura  3 


Figura  4 


In  napoletano,  in  cui  il  fenomeno  non  è  osservabile,  possono  determinarsi 
processi  spontanei  di  approssimantizzazione  di  /r/,  che  tuttavia  non  si  fis- 
sano in  una  caratteristica  stabile.  Quest'ultima  casistica,  in  effetti,  si  ri- 
scontra in  non  poche  varietà  parlate  di  lingue  diverse,  specie  in  stili  non 


224 


accurati.  Uno  sguardo  alla  distribuzione  della  resa  approssimante  di  Ivi  al- 
l'interno dei  due  gruppi  mostra  che  in  entrambi  i  casi  il  processo  occorre 
in  due  soli  parlanti  (D  ed  E  nel  gruppo  1,  P  e  U  nel  gruppo  2,  cfr.  Tab.  3  e 
4).  È  interessante  che  questi  siano  tutti  soggetti  con  scolarità  infima  o  nul- 
la, e  in  vario  modo  molto  ancorati  alla  cultura  e  alla  identità  locali.  Tutta- 
via le  loro  caratteristiche  di  età  e  di  storia  linguistica  personale  sono  ben 
diverse.  Accanto  a  produzioni  in  dialetto,  alcuni  soggetti  (D  ed  E)  mostra- 
no sviluppi  testuali  in  italiano  con  notevole  interferenza  dal  dialetto  di  ba- 
se (o  fenomeni  di  innovazione  indipendenti).  Non  è  dunque  strano  trovare 
in  questi  parìanti  un  processo  per  certi  versi  residuale  come  l'approssi- 
mantizzazione.  Il  caso  di  E  merita  un  ulteriore  commento.  Si  tratta  infatti 
di  una  persona  che  nella  lunga  marcia  di  avvicinamento  dal  dialetto  all'i- 
taliano ha  raggiunto  a  cinquant'anni  solo  uno  stadio  iniziale  di  italianiz- 
zazione, presumibilmente  ormai  fossilizzato.  La  permanenza  di  un  feno- 
meno residuale  in  una  facies  linguistica  come  quella  ora  descritta  testimo- 
nia quanto  possano  essere  resistenti  i  processi  del  dialetto  locale  in  condi- 
zioni di  italianizzazione  ridotta. 

Diversa  è  l'interpretazione  della  resa  approssimante  nei  due  parlanti 
del  gruppo  napoletano  (P,  di  93  anni  e  U,  di  30  anni).  Il  loro  pariato  è  pre- 
ponderantemente dialettale.  P  ha  una  varietà  napoletana  per  nulla  ibridiz- 
zata  con  quella  procidana,  nonostante  i  sessanta  anni  trascorsi  sull'isola, 
mentre  U  che,  come  si  è  detto,  rappresenta  la  terza  generazione  di  mem- 
bri della  famiglia  di  P,  mostra  una  varietà  dialettale  in  cui  i  tratti  procidani 
sono  ormai  piuttosto  cospicui.  Pertanto,  se  in  D,  E  e  U  l'approssimantiz- 
zazione  di  /r/  può  essere  dovuta  ad  una  interferenza  col  dialetto  locale, 
per  P  sembra  più  plausibile  che  la  resa  approssimante  sia  indotta  da  un  fe- 
nomeno di  fricativizzazione  spontaneo.  Il  quadro  delineato,  ad  ogni  mo- 
do, costringe  ad  essere  cauti  nello  scegliere  una  ipotesi  o  l'altra. 

Altri  problemi  riguardano  caratteristiche  distribuzionali  e  di  setting 
che,  pur  avendo  un  ovvio  fondamento  articolatorio,  sono  irregolarmente 
ripartite  tra  i  parianti.  Ad  esempio,  in  alcuni  (G  e  O)  si  ha  solidarietà 
tra  un  processo  consonantico  come  la  velarizzazione  di  l\l  e  il  setting 
velare/faringale  che  li  contraddistingue.  Altri  (F,  U),  che  pure  mostrano 
vistosamente  tale  setting,  non  presentano  velarizzazione.  Un  caso  inte- 
ressante è  quello  di  un  processo  di  coarticolazione  della  laterale  rispetto 
al  contesto  successivo,  che  occorre  in  maniera  macroscopica  solo  in  P: 
l\l  si  velarizza  nei  contesti  di  vocale  posteriore  o  /a/,  mentre  si  palata- 
lizza quando  segue  una  vocale  palatale.  Si  tratta  di  un  processo  naturale 
di  armonizzazione  che  ha  riscontri  in  diverse  lingue.  Ma  come  mai  oc- 
corre in  maniera  manifesta  solo  in  P? 

225 


5.  Differenze  di  distribuzione  dei  processi  vocalici  e  consonantici 

I  processi  vocalici  mostrano  alcune  differenze  rispetto  a  quelli  conso- 
nantici: essi  hanno  una  diffusione  ampia,  anche  se  non  sempre  uniforme, 
tra  i  parlanti  di  entrambi  i  gruppi  (cfr.  Tab.  1  e  2  e  Fig.  1  e  2)  e  tendono  a 
mantenersi  maggiormente  anche  attraverso  la  scolarizzazione  e  la  mobi- 
lità sociale  verso  l'alto.  Quest'ultima  caratteristica  è  particolarmente  evi- 
dente nei  soggetti  con  il  diploma  dell'Istituto  nautico  le  cui  famiglie  di 
origine  sono  poco  o  per  niente  scolarizzate  (H,  I  e  N).  Come  si  è  detto, 
tuttavia,  anche  i  capitani  che  provengono  da  famiglie  scolarizzate  e  bor- 
ghesi e  che  hanno  avuto  carriere  con  aperture  sociali  intemazionali  (M  e 
O)  presentano  un  vocalismo  ricco  di  dinamiche.  Questo  risultato  sembra 
congruente  con  il  fatto  che  le  caratteristiche  di  vocalismo  in  italiano  par- 
lato siano  uno  degli  indicatori  pili  emblematici  della  localizzazione  regio- 
nale. 

La  variabilità  dei  processi  vocalici  è  condizionata  da  fattori  multi- 
pli, come  il  desiderio  del  parlante  di  presentarsi  in  maniera  socialmen- 
te distinta  o  la  sua  indifferenza  a  ciò,  l'insicurezza  o  l'orgoglio  della 
propria  appartenenza  sociale,  l'attaccamento  al  luogo  di  origine  e,  in 
una  certa  misura,  il  livello  di  scolarizzazione.  Un  parlante  scolarizza- 
to, con  un  comportamento  socialmente  non  sicuro,  come  H,  mostra 
nella  produzione  in  italiano  un  autocontrollo  e  una  riduzione  dei  pro- 
cessi vocalici  maggiore  rispetto  ad  O,  di  livello  sociale  più  alto,  so- 
cialmente sicuro  e  disinvolto.  I  parlanti  F  e  G,  piìi  giovani,  con  minore 
scolarizzazione  e  retroterra  sociale  basso,  mostrano  un  autocontrollo 
minimo  e  una  bassissima  accuratezza.  L'analisi  della  conversazione 
presenta  molti  indizi  che  fanno  pensare  ad  una  sorta  di  orgoglio  occul- 
to del  proprio  status.  In  questi  soggetti  i  fattori  ora  menzionati  posso- 
no contribuire  a  giustificare  la  cospicua  presenza  di  numerosi  processi 
vocalici  di  vario  tipo.  Ma  bisogna  osservare  anche  che,  a  parità  delle 
condizioni  sociolinguistiche  sopra  menzionate,  rimane  un  margine  di 
variabilità  inter-individuale  che  non  è  facile  giustificare,  se  non  in  ba- 
se a  fattori  idiosincratici.  Il  parlante  N,  ad  esempio,  sembra  avere  di- 
namiche vocaliche  numericamente  esigue  ed  intrinsecamente  deboli 
(cfr.  Tab.  1). 

Nel  consonantismo  il  livello  di  istruzione  sembra  avere  un  ruolo  pili 
dominante  che  nel  vocalismo  per  giustificare  la  variabilità  inter-indivi- 
duale (cfr.  Tab.  3  e  4  e  Fig.  3  e  4).  Esso  è  infatti  il  fattore  primario  di  dif- 
ferenziazione dei  parlanti.  Specialmente  nel  gruppo  1,  i  processi  conso- 
nantici mostrano  un'alta  concentrazione  nei  soggetti  poco  scolarizzati,  di 
età  inferiore  ai  65  anni  (C,  D,  E,  F  e  G:  cfr.  Tab.  3  e  4).  Con  l'eccezione 

226 


del  solo  N-^,  nei  soggetti  con  diploma  di  scuola  media  superiore  si  osser- 
va invece  una  netta  caduta  dei  processi  consonantici.  Che  la  regressione 
dei  processi  consonantici  sia  in  rapporto  alla  scolarizzazione  è  conferma- 
to anche  dalle  differenze  che  emergono  tra  T  (scolarizzato)  e  U  (non  sco- 
larizzato) del  gruppo  2,  simili  a  quelle  che  si  riscontrano  tra  C  e  D  (non 
scolarizzati)  e  H,  I,  M,  O,  e  in  minor  misura  L  (scolarizzati),  del  gruppo 
1. 

Il  fatto  che  i  due  soggetti  più  anziani  del  gruppo  1  (A  e  B),  caratteriz- 
zati da  bassa  scolarizzazione,  abbiano  una  mappa  che  assomiglia  mag- 
giormente a  quella  dei  soggetti  scolarizzati  farebbe  ipotizzare  che  le  assi- 
milazioni, la  lenizione  o  sonorizzazione  di  consonante  e  la  palatalizzazio- 
ne di  /s/  +  Consonante  siano  processi  attivati  nelle  generazioni  più  giova- 
ni, specie  nel  passaggio  a  produzioni  in  italiano  o  tendenzialmente  tali^^. 
Sebbene  il  quadro  complessivo  offerto  dal  gruppo  2  sia  meno  chiaro-^, 
questa  conclusione  sembra  confermata  (o  quanto  meno  non  invalidata) 
anche  dai  risultati  ottenuti  per  gli  anziani  di  origine  napoletana. 

5.  1.  I  parlanti  con  coejficienti  negativi  di  rapporto  Vocale  /  Conso- 
nante. Esaminiamo  ora  i  risultati  relativi  all'indice  V/C  (cfr.  Tab.  5).  I 
parlanti  con  scolarizzazione  medio-alta  (H,  I,  M  e  O,  del  gruppo  1,  e  T, 
del  gruppo  2)  hanno  coefficienti  positivi,  prevalgono  cioè  i  processi  voca- 
lici (cfr.  2.  6.).  I  parlanti  con  scolarizzazione  infima  o  nulla  (C,  D,  E,  del 
gruppo  1,  e  R  e  S,  del  gruppo  2)  e  i  parlanti  con  scolarità  media  inferiore 
(F,  G,  L),  hanno  un  coefficiente  negativo,  prevalgono  cioè  i  processi  con- 
sonantici. Questi  risultati  inducono  a  ritenere  che  l'indice  V/C  possa  esse- 
re specialmente  sintomatico  del  livello  di  scolarizzazione^*^. 


-^  Già  in  precedenza  di  questo  parlante  si  sono  riscontrate  alcune  corrispondenze  con 
il  gruppo  dei  non  scolarizzati. 

^*  Si  noti  che  A  non  esibisce  alcun  processo,  se  non  quello  di  rango  pili  alto,  ovvero  la 
sonorizzazione  consonantica  dopo  nasale. 

^^  L'unico  parlante  scolarizzato  è  T,  il  cui  indice  ricade  nell'intervallo  dei  parlanti 
scolarizzati  del  gruppo  1 .  Gli  indici  di  P  e  di  Q,  i  due  parlanti  più  anziani  del  gruppo  2,  si 
accostano  maggiormente  a  quelli  dei  soggetti  anziani  e  scolarizzati  del  gruppo  1. 

^"Non  è  chiara  tuttavia  l'interpretazione  del  coefficiente  zero  emerso  per  tre  parlanti 
del  gruppo  napoletano,  P,  Q  e  U,  di  età  molto  diversa,  ma  accomunati  dall'analfabetismo  o 
semi-analfabetismo.  Questo  risultato  richiede  forse  una  ulteriore  analisi  in  base  alle  carat- 
teristiche intrinseche  alle  famiglie  napoletane  di  Procida. 

È  possibile,  in  ogni  caso,  che  l'indice  V/C  sia  in  minor  misura  correlato  anche  ad  altri 
fattori,  come  il  livello  culturale  della  famiglia  di  origine  e  il  desiderio  di  acquisire  status 
sociale  e  prestigio.  Questo  potrebbe  giustificare  l'indice  negativo  di  N,  un  capitano  con 

227 


L'asimmetria  rilevata  tra  la  distribuzione  dei  processi  vocalici  e  quella 
dei  processi  consonantici  sembra  interessante.  Ma  a  che  cosa  può  essere 
dovuta?  Perché  in  primo  luogo  la  scolarizzazione  e  in  secondo  luogo  l'ac- 
curatezza o  l'autocontrollo  indotti  da  desiderio  di  prestigio  fanno  regredi- 
re maggiormente  le  dinamiche  consonantiche  rispetto  a  quelle  vocaliche? 
Una  risposta  può  essere  cercata  nella  fondamentale  differenza  di  produ- 
zione di  processi  vocalici  e  consonantici.  Come  è  noto,  i  primi  sono  di 
durata  relativamente  maggiore  e  richiedono  gestures  in  cui  i  vari  organi 
fonatori  sono  attivati  dall'inizio  alla  fine  dell'articolazione  in  maniera  più 
libera,  mentre  i  secondi  sono  di  durata  relativamente  minore  e  coinvolgo- 
no gestures  più  circoscritte  e  vincolate.  I  primi  sono  più  lenti,  i  secondi 
più  veloci,  precisi  e  forse  complessi.  Sebbene  queste  differenze  di  per  sé 
non  chiariscano  l'asimmetria  rilevata,  possono  aiutare  a  formulare  delle 
ipotesi  per  ulteriori  indagini.  Si  potrebbe,  ad  esempio,  ipotizzare  che  il 
controllo  della  produzione  parlata  agisca  meglio  in  gestures  rapide,  anche 
se  complicate  dall'integrazione  di  vari  movimenti  che  richiedono  accura- 
tezza, di  quanto  non  avvenga  in  gestures  lente,  i  cui  movimenti,  forse  di 
minore  precisione  o  comunque  con  un  arco  di  libertà  maggiore,  devono 
essere  monitorati  più  a  lungo. 


6.  Il  fattore  latenza 

Un  problema  che  sembra  cruciale  riguarda  una  gamma  di  processi  dal 
controverso  statuto  in  sede  di  osservazione  e  di  analisi  interpretativa,  la 
cui  esistenza  deve  tuttavia  essere  riconosciuta  sia  a  livello  empirico  che 
teorico.  Si  tratta  di  processi  latenti,  debolmente  percepibili  all'osservazio- 
ne, ma  che  non  possono  sfuggire  a  chi  sia  esperto  dell'area  ed  abbia  orec- 
chio fonetico  allenato^^  Del  resto,  la  loro  esistenza  è  del  tutto  prevedibile 
a  livello  teorico,  a  partire  dalla  nozione  stessa  di  processo  fonetico.  Se  in- 
tendiamo quest'ultimo  come  un  insieme  di  eventi  articolatori  (gestures) 
più  o  meno  sincronizzati  e  dotati  di  automatismo,  appare  molto  improba- 


scolarità  media  superiore.  A  differenza  degli  altri  due  capitani  esaminati.  N  viene  da  una 
famiglia  non  scolarizzata.  A  differenza  di  H  e  I,  anch'essi  provenienti  da  famiglie  non  sco- 
larizzate, non  mostra  ambizione  sociale.  Questo  atteggiamento  di  mancanza  di  ambizione 
sociale  accomuna  N  a  tutti  i  parlanti  non  scolarizzati. 

^'  Sebbene  in  questa  fase  della  ricerca  non  siano  state  ancora  effettuate  misurazioni,  i 
risultati  di  analisi  spettroacustiche  condotte  in  altri  lavori  sull'area  napoletana,  per  proces- 
si con  queste  caratteristiche,  confermano  la  realtà  empirica  di  tale  fenomenologia  e  la  sua 
postulabilità  (cfr.  Somicola  e  Maturi  1993). 

228 


Tab.  5 

Indici  di  presenza  e  di  latenza  dei  processi  vocalici  e  consonantici 

(gruppo  indigeno) 


Parlanti 

V 

C 

I  (V+C) 

Latenza 

(V) 

Latenza 

(C) 

(LV+LC) 

V/C 

A 

3 

1 

4 

1 

0 

1 

2 

B 

8 

3 

11 

0 

0 

0 

5 

C 

6 

8 

14 

1 

0 

1 

-2 

D 

5 

7 

12 

2 

0 

2 

-2 

E 

4 

8 

12 

2 

0 

2 

-4 

F 

7 

8 

15 

0 

0 

0 

-1 

G 

8 

9 

17 

0 

0 

0 

-1 

H 

5 

0 

5 

2 

5 

7 

5 

I 

5 

2 

7 

2 

3 

5 

3 

L 

3 

4 

7 

2 

1 

3 

-1 

M 

5 

1 

6 

0 

3 

3 

4 

N 

3 

7 

10 

2 

0 

2 

-4 

0 

7 

2 

9 

0 

3 

3 

5 

Tab.  6 

Indici  di  presenza  e  di  latenza  dei  processi  vocalici  e  consonantici 

(gruppo  napoletano) 


Parlanti 

V 

C 

E  (V+C) 

Latenza 

(V) 

Latenza 

(C) 

E 
(LV+LC) 

V/C 

P 

4 

4 

8 

1 

3 

4 

0 

Q 

5 

5 

10 

4 

2 

6 

0 

R 

3 

2 

5 

1 

4 

5 

1 

S 

3 

0 

3 

2 

2 

4 

3 

T 

4 

2 

6 

3 

1 

4 

2 

U 

6 

6 

12 

0 

1 

1 

0 

bile  che  esso  si  dissolva  mai  del  tutto  in  uno  stesso  individuo,  anche  sotto 
condizioni  inibenti.  In  altri  termini,  permangono  dei  residui  in  un  certo 
senso  "cronici",  che  possono  slatentizzarsi  sotto  particolari  circostanze. 
In  effetti,  nella  dinamica  di  produzione  di  parlato,  si  possono  osservare 
molti  processi  che  passano  dallo  stato  "attuale",  in  cui  essi  si  determinano 
a  pieno  regime,  ovvero  al  massimo  della  loro  forza  potenziale,  ad  uno 
stato  al  limite  della  loro  potenzialità,  virtuale  o  latente,  in  altri  termini, 
sotto  modi  di  funzionamento  ridotto. 

Questa  modellizzazione  presuppone  un  rapporto  più  stretto  tra  manife- 
stazione e  latenza  di  un  processo  di  quanto  non  sia  quello  tra  latenza  e  sua 
assenza.  Si  assume,  in  altri  termini,  in  un  dato  parlante  la  sussistenza  di 
un  fenomeno  che  non  scompare,  piuttosto  che  la  sua  instaurazione  in  for- 
ma ridotta  ex  nihilo.  Ciò  comporta  una  rappresentazione  di  cambiamento 
per  declino  piuttosto  che  di  cambiamento  innovativo.  È  un'onda  decre- 


229 


6  -| 

5  - 

4 

3 

2 

1  -I 

0 


0 


Vocalismo  (gruppo  indigeno) 


LN 
♦  ♦ 

A  ♦ 


I  DH 

♦♦♦  C 

M  ♦ 


FO 


BG 
4^ 


3  4  5  6 

indice  di  presenza  dei  fenomeni 


7 


Figura  5 


6 
5 

4  - 
3  - 
2  - 
1  - 
0 


0 


Vocalismo  (gruppo  napoletano) 


S 

♦ 
R  ♦ 


U 


3  4  5  6  7 

indice  di  presenza  dei  fenomeni 


Figura  6 

scente  piuttosto  che  montante.  In  questo  senso,  il  modello  di  parlato  come 
insieme  di  processi  dinamici,  potenziali,  può  comportare  che  un  processo 
non  scompaia  del  tutto,  ma  si  riduca  funzionalmente^-^.  Tuttavia,  sebbene 

^^  La  latenza  di  un  particolare  fenomeno  può  non  essere  una  caratteristica  stabile  di 
un  parlante.  Essa  dipende  dai  contesti  pragmatici  e  stilistici.  Pertanto,  il  carattere  latente  si 
deve  considerare  come  l'opposto  di  quello  manifesto  solo  rispetto  ad  una  situazione  prag- 
matica costante,  nel  nostro  caso  l'intervista.  In  tale  situazione  alcuni  parlanti  mostrano 
una  inibizione  sistematica  di  processi,  per  cui  questi  appaiono  sotto  forma  latente. 


230 


Consonantismo  (gruppo  indigeno) 

6  -. 

H 

5  - 

♦ 

4  - 

M 

IO 

3  - 

♦ 

♦♦ 

2  - 

L 

1  - 

A 

B             ♦ 

DN 

FCE 

G 

n 

♦ 

t 

♦  ♦ 

♦t* 

t 

0 

T 

1 

2             3             4             5             6 
indice  di  presenza  dei  fenomeni 

7 

8 

9 

Figura  7 


Consonantismo  (gruppo  napoletano) 

6  n 

5  - 

R 

4  - 

♦                          P 

3  - 

S 

♦             Q 

2  - 

♦ 

T                                           ♦             U 

1  - 

♦                                                         ♦ 

u  T- 

0             1 

filili 
2             3             4             5             6             7 

indice  di  presenza  dei  fenomeni 

8             9 

Figura  8 

tale  rappresentazione  nella  maggior  parte  dei  parlanti  sembri  congruente 
con  la  tipologia  dei  processi  esaminati,  il  modello  potrebbe  non  essere  del 
tutto  generale.  In  alcuni  casi  sembra  plausibile  l'ipotesi  che  piuttosto  che 
di  mantenimento  sotto  forma  ridotta,  si  tratti  dell' attualizzazione  di  vir- 
tualità in  principio  sempre  presenti-^\ 

^^  Ad  esempio,  nel  parlante  A,  che  ha  l'indice  più  basso  di  processi  manifesti,  quello 
più  alto  di  processi  assenti  e  un  solo  processo  latente  e  del  tutto  sporadico  (la  palataUzza- 
zione  di  /a/),  questo  potrebbe  trovare  giustificazione  in  tal  modo. 


231 


L'analisi  della  distribuzione  inter-individuale  di  frequenze  di  proces- 
si manifesti,  latenti  e  assenti  mostra  una  ovvia  relazione  inversa  fra  i  tre 
stati:  all'aumentare  dell'uno  diminuiscono  gli  altri  due,  ma  in  maniera 
non  lineare  (cfr.  la  Fig.  9  e,  per  il  rapporto  tra  presenza  e  latenza,  la  Fig. 
10). 

6.  1.  Distribuzione  della  latenza  tra  vocalismo  e  consonantismo.  Un 
contributo  ai  problemi  ora  sollevati  può  venire  dall'esame  più  particola- 
reggiato della  distribuzione  di  tipo  e  frequenza  dei  processi  latenti.  Nel 
vocalismo,  un  maggior  numero  di  parlanti  ha  processi  latenti  rispetto  al 
consonantismo,  con  indici  non  elevati.  Nel  consonantismo,  viceversa,  un 
minor  numero  di  parlanti  ha  processi  latenti,  con  indici  alti  (cfr.  Fig.5- 
8)34. 

I  parlanti  con  indici  di  latenza  relativa^^  più  alti  sono  quelli  la  cui  pro- 
duzione parlata  mostra  un  maggiore  autocontrollo.  Questo  dato  conferma 
il  modello  di  latenza  come  inibizione  di  processi  attivi  che  si  attutiscono 
sino  a  diventare  poco  osservabili.  La  scolarizzazione  e  l'autocontrollo 
non  li  eliminano,  li  nascondono. 

Ma  non  tutti  i  processi  si  latentizzano.  L'analisi  della  distribuzione 
della  latenza  rispetto  alla  tipologia  dei  processi  e  alle  loro  gerarchie  mo- 
stra che  sono  le  dinamiche  naturali  o  spontanee  che  occupano  ranghi  rela- 
tivamente alti  a  subire  questa  sorte.  Nel  vocalismo,  si  tratta  delle  ditton- 
gazioni delle  vocali  medie  e  dello  sviluppo  di  legamenti.  La  nasalizzazio- 
ne  vocalica  non  ha  invece  latenza  (cfr.  Tab.  1  e  2).  Nel  consonantismo  so- 
no le  assimilazioni  e  le  lenizioni  che  tendono  maggiormente  a  latentizzar- 
si,  mentre  i  processi  "locali"  come  la  velarizzazione  di  /l/,  la  labializza- 
zione di  /v/  e  l'approssimantizzazione  di  /r/  non  mostrano  latenza,  soprat- 
tutto all'interno  del  gruppo  1  (cfr.  Tab.  3  e  4).  Ciò  significa  presumibil- 
mente che  si  tratta  di  processi  abbandonati  senza  tracce  o,  secondo  la  ter- 
minologia qui  adoperata,  di  processi  quiescenti.  Che  al  riguardo  ci  siano 
delle  differenze  tra  il  gruppo  1 ,  complessivamente  con  un  maggior  nume- 
ro di  parlanti  scolarizzati,  e  il  gruppo  2,  con  un  minor  numero  di  parlanti 
scolarizzati,  conferma  che  l'istruzione,  i  viaggi  di  lavoro  e  le  esperienze 
di  vita  al  di  fuori  delle  realtà  locali  sono  fattori  che  influiscono  sulla  re- 
trocessione di  processi  "locali". 


^'*  Questa  situazione  è  in  parte  dovuta  alla  distribuzione  asimmetrica  di  processi  voca- 
lici e  consonantici  precedentemente  esaminata. 
35  Cfr.  2.  6. 

232 


6.2.  Distribuzione  della  latenza  tra  i  parlanti.  Possiamo  ora  analizza- 
re la  variazione  inter-individuale  rispetto  agli  indici  di  presenza  e  di  laten- 
za discussi  in  2.  6  (cfr.  Fig.  9-11).  I  parlanti  con  valori  alti  dell'indice  di 
presenza  di  processi  vocalici  e  consonantici  (B,  C,  D,  E,  F,  G,  U),  hanno 
valori  nulli  (B,  F,  G)  o  minimi  (C,  D,  E,  U)  dell'indice  di  latenza  relativa. 
Si  tratta  di  soggetti  con  bassa  scolarizzazione  e  comportamento  linguisti- 
co poco  autocontrollato.  Il  loro  italiano  mostra  una  interferenza  con  il 
dialetto  ancora  molto  sensibile,  con  frequenti  code-switchings.  La  varia- 
zione stilistica  è  pressoché  inesistente  e  gravita  del  tutto  verso  il  polo  del- 
la informalità.  L'indice  di  latenza  è  basso  anche  in  N,  il  capitano  di  cui  si 
è  già  riscontrata  l'affinità  di  alcuni  comportamenti  con  i  soggetti  poco 
scolarizzati. 

Più  complesso  è  il  quadro  dei  parlanti  con  valori  medi  dell'indice  di 
processi  manifesti.  I  valori  di  latenza  relativa  più  alti  (tra  il  40%  e  il  60%) 
si  osservano  in  H,  I,  R,  S,  T.  Le  loro  condizioni  di  scolarizzazione  sono 
diverse:  H,  I,  T  hanno  il  diploma  di  scuola  media  superiore,  R  e  S  sono 
senza  alcuna  istruzione.  Tuttavia,  durante  le  interviste,  R  e  in  minima  mi- 
sura S  hanno  prodotto  testi  in  un  italiano  con  qualche  livello  di  articola- 
zione sintattica  e  lessicale-^^.  Ma  soprattutto  traspare  in  loro  con  chiarezza 
il  desiderio  di  parlare  italiano,  molto  più  di  quanto  non  avvenga  nella 
maggior  parte  dei  soggetti  con  latenza  bassa  o  nulla.  L'italiano  dei  parlan- 
ti scolarizzati,  H,  I  e  T,  ha  pochi  code-switchings  con  il  dialetto  e  un'arti- 
colazione strutturale  e  lessicale  sviluppata. 


7.  Il  fattore  fluenza 

Un  fattore  che  sembra  di  notevole  importanza  per  comprendere  le  ca- 
ratteristiche in  esame  è  la  fluenza  in  italiano  dei  parlanti.  Esso  gioca,  a 
mio  avviso,  un  ruolo  chiave  per  lo  studio  delle  dinamiche  di  produzione 
del  parlato,  ed  è  presumibilmente  non  meno  importante  dei  tradizionali 
fattori  sociolinguistici  (età,  istruzione,  sesso,  classe  sociale)  per  compren- 
dere i  processi  di  italianizzazione. 

La  definizione  del  concetto  di  fluenza  pone  diverse  questioni  che  qui 
si  possono  solo  accennare.  Si  riconosce  da  tempo  che  essa  non  possa  es- 
sere unitaria.  Tale  concetto  infatti  è  in  rapporto  a  tutta  una  gamma  di  ca- 
ratteristiche, che  riguardano  atteggiamenti  come  l'autocontrollo  e  l'insi- 


^^   Mi  si  perdoni  questa  definizione  del  tutto  imprecisa,  dal  momento  che  un'analisi 
più  oggettiva  e  attenta  richiederebbe  un  commento  puntuale  qui  impossibile. 

233 


20 


O    15 

> 


10 


^ 


c.\    u 


■  Presenza 
S  Latenza 
D  Scarto  V/C 


L'-'      M        T        H 


Parlanti 


Figura  9.  Distribuzione  inter-individuale  di  presenza,  latenza  e  scarto  V/C 
espressa  in  valori  assoluti 


8  n 

7 

♦  H 

N 

♦  Q 

0)    5  - 

♦  R           ♦  1 

=5    4 

♦  S 

♦  T            ♦  P 

S    3 

■o 

•S    2 

♦  M  ♦  L             «0 

♦  N         £♦  D 

1 

0 
( 

♦  A                                                                   ♦  U            ♦  C 

B                                   F                G 

)      1       2 

3 

4      5      6      7      8      9      10    11     12    13    14    15    16    17    18 

indice  di  presenza 

Figura  10.  Rapporto  latenza/presenza  (espresso  in  valori  assoluti). 

curezza,  i  livelli  di  competenza  comunicativa  raggiunti  e,  soprattutto,  le 
abilità  di  produzione  automatizzata  di  parlato,  che  rimandano  alle  regole 
di  saper  fare.  D'altra  parte,  negli  studi  sulla  fluenza  si  fa  ampiamente  ri- 
corso ad  una  sua  articolazione  in  livelli:  fonetico-fonologico,  morfo-sin- 


234 


tattico,  lessicale,  semantico-lessicale,  retorico-pragmatico^l  Farò  qui  rife- 
rimento a  queste  diverse  nozioni. 

I  due  soggetti  con  i  valori  massimi  di  latenza  relativa  (attorno  al  60%), 
H  e  S,  sono  molto  autocontrollati.  S,  in  particolare,  è  impacciato  e  poco 
fluente  a  livello  di  pianificazione  dell'enunciato.  Risponde  con  enunciati 
brevi,  senza  articolazione  lessicale  e  strutturale.  Il  suo  è  un  italiano  "di 
stretta  misura",  con  testualità  poco  sviluppata  e  poca  libertà  di  movimen- 
to tra  argomenti  di  discorso.  H  è  pragmaticamente  poco  fluente,  nel  senso 
che  non  interviene  spesso  nella  conversazione  e,  quando  lo  fa,  ha  una 
gamma  di  argomenti  ristretta,  che  sviluppa  in  maniera  circoscritta,  parlan- 
do per  breve  tempo.  I  parianti  I,  R  e  T  invece  sono  pragmaticamente 
fluenti,  con  differenze  strutturali  di  sintassi  e  di  lessico  tra  I  e  T,  da  un  la- 
to, e  R  dall' altro^^  In  ogni  caso,  specialmente  in  R  e  T  l'italianizzazione  è 
un  processo  tutt' altro  che  pervasivo  e  profondo,  e  soprattutto  appare  in- 
stabile. 

A  livello  sociale,  ciò  che  accomuna  i  parianti  con  latenza  relativa  alta 
(H,  I,  R,  S,  T)  è  il  retroterra  familiare  non  scolarizzato.  H,  I,  T  costituisco- 
no la  prima  generazione  che  è  andata  a  scuola  e  ha  conseguito  un  diplo- 
ma. R  e  S  hanno  appreso  l'italiano  in  contesto  non  scolastico.  È  interes- 
sante confrontare  il  comportamento  linguistico  dei  soggetti  con  indici  di 
latenza  alti  con  quelli  dei  parlanti  M  e  O,  con  indice  di  latenza  relativa 
medio.  Si  tratta  di  soggetti  scolarizzati  e  provenienti  da  famiglie  scolariz- 
zate. Rispetto  a  questi  ultimi,  H,  I,  T  (e  in  minor  misura  di  L)  mostrano 
un  italiano  che  complessivamente  ha  maggiori  residui  dialettali,  sia  pure 
trattenuti.  Tali  residui  sono  ancora  pili  evidenti  in  R  e  S,  due  parlanti  che 
hanno  compiuto  il  salto  dal  dialetto  all'italiano,  con  tutta  la  difficoltà  e  la 
precarietà  che  l'acquisizione  libera,  in  contesto  non  guidato,  comporta. 

Ma  interessante  sembra  anche  il  confronto  tra  i  parianti  con  indice  di 
latenza  relativa  alto  o  medio  e  quelli  con  indice  di  latenza  relativa  nullo  o 
basso  (B,  C,  D,  E,  F,  G,  U).  Si  tratta  di  soggetti  per  niente  o  poco  scola- 
rizzati in  cui  l'interferenza  col  dialetto  è  piti  massiccia  a  tutti  i  livelli  di 
struttura.  Tuttavia,  essi  si  abbandonano  in  maniera  libera  all'italiano  che 
hanno  acquisito  in  contesto  spontaneo  o  scolastico  o  fanno  di  tutto  per 
tentare  di  parlario  (è  il  caso  di  E).  Sono,  in  altri  termini,  pragmaticamente 
"fluenti",  ma  il  loro  italiano,  oltre  ad  una  forte  interferenza  col  dialetto 


"  Cfr.  ad  esempio  il  classico  articolo  di  Fillmore  1979  e  i  contributi  in  Riggenbach 
2000,  specie  Koponen  &  Riggenbach  2000. 

3»  Queste  differenze  sono  presumibilmente  dovute  al  fatto  che  I  e  T  sono  soggetti  sco- 
larizzati, mentre  R  non  lo  è. 

235 


10       20 


30       40        50        60        70 
ìndice  di  presenza  relativa 


80 


Figura  11.  Distribuzione  inter-individuale  della  latenza 
(espressa  in  valori  percentuali) 


trasporta  con  sé  cospicui  processi  fonetici,  morfologici  e  sintattici  innova- 
tivi, in  altri  termini  non  è  accurato  ad  alcun  livello  di  analisi. 

La  fluenza  è  dunque  un  fattore  cruciale  per  comprendere  i  processi  che 
vengono  trasportati  o  si  producono  nel  passaggio  all'italiano.  All'aumen- 
tare della  fluenza  aumentano  le  dinamiche  dei  processi  che  si  innescano. 
Ciò  si  vede  con  la  maggiore  evidenza  nei  parlanti  poco  o  per  niente  scola- 
rizzati e  privi  di  ambizione  sociale,  e  in  misura  minore  nei  parlanti  scola- 


236 


rizzati  e  disinvolti  per  maggiore  solidità  di  retroterra  culturale.  Per  contro, 
al  diminuire  della  fluenza  si  ha  una  diminuzione  o  una  latentizzazione  no- 
tevole di  processi:  questa  fenomenologia  è  caratteristica  dei  parlanti  sco- 
larizzati o  meno  e  socialmente  insicuri,  il  cui  processo  di  italianizzazione 
è  recente  e  precario. 

8.  Una  tipologia  dei  parlanti 

Una  considerazione  integrata  dei  tre  indici  I  (C+V),  I(L),  e  V/C  (cfr. 
2.  6.  e  Tav.  5-6,  Fig.  9-11)  permette  di  delineare  la  seguente  tipologia  di 
parlanti: 

(1)  Parlanti  con  indice  di  presenza  di  processi  medio,  coefficiente  V/C 
positivo  e  indice  di  latenza  medio  o  alto: 

H,  I,  M,  O,  T 

Sono  i  soggetti  con  il  maggior  livello  di  italofonia,  riscontrabile  anche 
rispetto  a  parametri  strutturali  e  retorici.  Si  differenziano  al  loro  intemo 
per  i  coefficienti  di  latenza.  I  soggetti  con  coefficienti  alti  sono  meno 
fluenti  e  meno  disinvolti  linguisticamente. 

(2)  Parlanti  con  indice  di  presenza  di  processi  medio,  coefficiente  V/C  ne- 
gativo e  indice  di  latenza  medio  o  alto: 

L,  ReS 

Sono  i  soggetti  italofoni  più  insicuri.  Il  loro  italiano  è,  complessiva- 
mente, meno  articolato  rispetto  a  quello  del  gruppo  precedente.  Esso  è 
inoltre  più  precario,  nel  senso  che  tende  a  non  mantenersi  a  lungo  e  in 
maniera  relativamente  uniforme  durante  l'intervista. 

(3)  Parlanti  con  indice  di  presenza  di  processi  alto,  coefficiente  V/C 
negativo,  indice  di  latenza  nullo  o  basso: 

C,  D,  E,  F,  G,  N,  U 

Sono  i  soggetti  il  cui  italiano  trasporta  con  sé  la  maggiore  interferenza 
col  dialetto,  e  in  cui  il  retroterra  dialettale  è  ancora  molto  forte,  nonostan- 
te in  alcuni  (D,  F,  G,  N)  si  sia  sviluppato  un  repertorio  che  comprende  sia 
il  dialetto  che  l'italiano.  E  e  U  non  mostrano  un  vero  e  proprio  sviluppo 
di  produzioni  in  italiano,  ma  solo  tentativi  in  questa  direzione  con  risultati 
caratteristici  del  parlato  di  semi-colti.  L'italiano  di  D,  F,  G,  N  è  articolato, 
ma  non  accurato.  Questa  caratteristica  è  evidente  a  livello  fonetico, 
morfologico,  sintattico  e  lessicale  in  D,  F  e  G,  a  livello  fonetico  in  N,  la 

237 


cui  sintassi  peraltro  è  meno  elaborata  di  quella  degli  altri  capitani.  Il  fatto 
che  F  e  G,  più  giovani  di  D,  producano  anche  molti  code-switchings  du- 
rante l'intervista  mostra  che  alla  fluenza  in  italiano  si  accompagna  una  in- 
differenza di  fondo  per  il  tipo  di  produzione  che  si  usa  con  un  estraneo. 

9.  Conclusioni 

L'analisi  microsociolinguistica  condotta  sinora  può  avere  delle  conse- 
guenze per  ipotesi  di  livello  macrosociolinguistico.  I  valori  riscontrati,  so- 
prattutto nel  gruppo  1,  possono  analizzarsi  come  riflesso  del  fatto  che  l'a- 
vanzata del  processo  di  italianizzazione  a  livello  di  singoli  parlanti  trasci- 
na con  sé  dei  sedimenti  del  loro  retroterra  linguistico  o  innesca  dinamiche 
nuove.  Sebbene  questo  valga  tendenzialmente  sia  per  il  vocalismo  che  per 
il  consonantismo,  in  quest'ultimo  si  assiste  ad  un  effetto  piià  vistoso  di  va- 
riabilità inter-individuale,  indotto  soprattutto  dall'istruzione  e,  in  minor 
misura,  dallo  stile  di  vita  e  dalla  sicurezza  sociale  e  culturale.  Dai  dati  a 
disposizione  emerge  infatti  che  sotto  condizione  di  scolarizzazione  i  pro- 
cessi consonantici  sono  maggiormente  controllati  e  soppressi  (spesso  sot- 
to forma  latente)  rispetto  a  quelli  vocalici.  Ma  abbiamo  visto  che  queste 
dinamiche  sono,  a  loro  volta,  in  rapporto  alla  fluenza.  La  fluenza  pragma- 
tica in  italiano,  che  caratterizza  molti  soggetti  attorno  ai  sessant'anni  e  al 
di  sotto  di  questa  età,  comporta  inevitabilmente  una  produzione  parlata 
ricca  di  dinamiche  fonetiche  naturali,  così  come  di  sviluppi  sintattici  in- 
novativi (ad  esempio,  le  strutture  locativo-esistenziali,  per  cui  cfr.  Somi- 
cola  2005b).  Ma  i  processi  linguistici  possono  essere  attivati  anche  dalla 
fluenza  ad  altri  livelli  strutturali  (fonetico-fonologico,  morfo- sintattico, 
semantico-lessicale),  come  si  può  vedere  nei  parlanti  scolarizzati,  social- 
mente e  culturalmente  sicuri  e  non  solo  pragmatic amente  fluenti.  Nessun 
parlante  è  del  tutto  privo  di  processi  fonetici,  o  in  maniera  manifesta  o  in 
maniera  latente.  Inoltre,  come  abbiamo  visto,  la  distribuzione  inter-indivi- 
duale dei  fenomeni  non  si  conforma  in  modo  netto  e  univoco  a  fattori  so- 
ciolinguistici. 

Del  resto,  chi  potrebbe  meravigliarsi  che  l'italiano  parlato  sia  ricco  di 
dinamiche  fonetiche  come  quelle  esaminate?  Questa  rappresentazione  è 
possibile  solo  se  lo  si  considera  come  un  target  ideale  preesistente  e  rag- 
giunto una  volta  per  tutte.  La  presenza  di  numerosi  processi  (fonetici  o  di 
altro  livello)  non  è  indizio  di  italianizzazione  imperfetta,  ma  al  contrario  è 
il  segno  di  un  movimento  di  appropriazione  della  lingua,  che  non  sarà 
mai  del  tutto  compiuto.  Potrebbe  essere  questo  il  fondamento  di  una 
realtà  che,  riprendendo  la  suggestiva  espressione  di  Moretti,  è  definibile 

238 


come  il  "serbatoio  di  variazione"  dell'italiano.  La  fluenza,  fattore  squisi- 
tamente dinamico  e  condizione  fondamentale  della  variabilità  intema  del 
parlato,  può  forse  contribuire  a  giustificare  perché  tale  serbatoio  perman- 
ga sempre  attivo  e  sia  ineliminabile.  Essa  può  contribuire  anche  a  com- 
prendere la  difficile  e  complessa  avanzata  del  processo  di  italianizzazione 
su  scala  nazionale,  come  movimento  intemo  ai  parlanti  e  non  alle  gram- 
matiche o  sistemi.  Che  italiano  è  quello  dei  parlanti  poco  scolarizzati? 
Che  italiano  è  quello  dei  parlanti  scolarizzati,  ma  insicuri  per  retroterra 
culturale  e  condizioni  di  vita?  Quanto  rapidamente  affiora  nell'intervista 
e  quanto  a  lungo  si  conserva  nella  produzione  parlata?  A  livello  indivi- 
duale e  su  scala  nazionale,  il  punto  critico  sembra  quello  del  "dominio" 
dell'italiano,  della  fluenza  a  tutti  i  livelli  stmtturali  in  situazioni  pragmati- 
che diverse.  Da  questo  obiettivo  molti  parlanti  italiani,  certo  molti  parlan- 
ti del  Sud  d'Italia,  sono  ancora  ben  lontani.  Se  è  così,  la  questione  della 
italianizzazione  si  sposta  dalla  pur  importante  dimensione  della  scolariz- 
zazione di  massa  a  quella  degli  effettivi  stmmenti  di  sviluppo  e  padronan- 
za linguistica  che  la  scuola,  e  piià  in  generale  la  vita  culturale  e  sociale  di 
una  nazione,  possono  offrire. 


239 


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Thomason  S.  G./Kaufman  T.,  1988,  Language  contact,  creolization  and  genetic 
linguistics,  Berkeley  &  Los  Angeles,  University  of  California  Press. 

Valentini  A./Molinelli  P./Cuzzolin  P./Bemini  G.  (a  cura  di),  2003,  Ecologia  lin- 
guistica, Roma,  Bulzoni. 


242 


Osservazioni  sull'uso  e  la  conservazione  di  un  dialetto  locale 

Paola  Como  (Napoli) 


1.  Introduzione 

La  questione  della  progressiva  restrizione  dei  contesti  e  degli  ambiti 
d'uso  dei  dialetti  rappresenta  uno  dei  leitmotiv  della  tradizione  dialettolo- 
gica  italiana.  Un  aspetto  strettamente  legato  al  'calo  della  dialettofonia'  ri- 
guarda la  lenta  trasformazione  dei  dialetti  e  delle  loro  grammatiche  sotto 
la  pressione  esercitata  dall'italiano,  a  causa  del  perdurante  contatto  tra  i 
due  codici  in  diversi  contesti  comunicativi,  la  cosiddetta  'italianizzazio- 
ne'. Da  un  lato  il  dialetto  retrocede  rispetto  agli  ambiti  e  ai  domini,  e  dun- 
que dall'uso,  dall'altro  le  sue  strutture  si  assimilano  a  quelle  della  lingua 
dominante,  convergono^  verso  di  essa,  si  italianizzano.  'Retrocessione'  e 
italianizzazione  si  riferiscono  dunque  a  processi  differenti,  accomunati 
tuttavia  dagli  effetti  che  dovrebbero  produrre  sul  dialetto  nella  lunga  dia- 
cronia. La  progressiva  riduzione  nell'uso  e  la  perdita  delle  strutture,  come 
si  sa,  portano  negli  anni  alla  corruzione  della  competenza  lungo  la  linea 
generazionale  e  quindi  all'effettiva  scomparsa  della  lingua.  Da  decenni  si 
paventa  in  Italia  la  morte  dei  dialetti,  ma  nonostante  le  iniziali  pessimisti- 
che previsioni,  essi  continuano  a  'resistere'  con  modalità  tuttavia  molto 
differenziate  da  regione  e  regione,  tra  città  e  provincia,  tra  singole  loca- 
lità. 

Sebbene  esista  una  vasta  bibliografia  su  questi  temi,  da  più  parti  si  la- 
menta l'assenza  di  lavori  che  collochino  la  complessa  fenomenologia  al- 
l'interno di  quadri  teorici  più  generali. ^  Scarseggiano  a  tutt'oggi  anche 
studi  sistematici  basati  su  corpora  di  dati  reali  che  mettano  in  evidenza  le 

'  Altro  termine  molto  utilizzato  e  non  privo  di  ambiguità  è  'convergenza'.  Si  veda  a 
proposito  Toramai  classico  articolo  di  Sanga  (1985). 

-  Una  sintetica  rassegna  degli  studi  concementi  l'italianizzazione  è  contenuta  in  Gras- 
si (1993).  Si  vedano  anche  Sobrero  (1997)  e  Berruto  (1997)  e  per  alcuni  aspetti  Moretti 
(1999). 

243 


dinamiche  di  variazione  individuali,  altrettanto  importanti  per  formulare  e 
interpretare  le  tendenze  più  generali.  Il  presente  contributo  si  colloca  in 
quest'ultima  prospettiva,  con  l'obiettivo  di  esaminare  da  un  lato  l'uso  del 
dialetto  in  un  gruppo  di  parlanti  di  età  intermedia  (20-40  anni)  in  un  con- 
testo sociale  di  rapida  modernizzazione.  Monte  di  Procida.  Dall'altro  lato, 
si  intende  valutare  la  qualità  del  dialetto  parlato  in  questa  fascia  di  età, 
avendo  come  punto  di  riferimento  i  risultati  di  studi  precedenti  condotti 
nella  stessa  area  con  parlanti  di  età  compresa  tra  i  60  e  i  90  anni.^  Da  que- 
sti studi  emerge  un'accentuata  variabilità  inter-individuale  in  relazione, 
non  solo  ai  fenomeni  di  italianizzazione,  ma  anche  alla  perdita  dei  tratti 
più  marcati  del  dialetto  arcaico,  a  favore  di  una  varietà  dialettale  non  lo- 
cale. Considerato  che  negli  anni  Venti  Monte  di  Procida  fu  scelta  da 
Rohlfs  per  i  rilievi  dell'AIS  invece  della  vicina  isola  di  Procida  in  quanto 
la  varietà  parlata  sulla  terraferma  risultava  più  conservativa  e  meno  sotto- 
posta agli  influssi  dell'italiano,  appare  verosimile  l'ipotesi  che  da  un  certo 
punto  in  poi,  in  relazione  ai  nuovi  dinamismi  della  realtà  sociale,  anche  il 
dialetto  abbia  cominciato  a  mutare  più  rapidamente.  È  parso  pertanto  in- 
teressante osservare  il  processo  in  una  fascia  di  età  che  per  una  serie  di 
caratteristiche  sociologiche,  tra  cui  istruzione,  lavoro,  rapporto  con  i  me- 
dia, contatti  con  il  centro  urbano,  fosse  espressione  degli  avvenuti  cam- 
biamenti. La  domanda  che  ci  si  è  posti,  in  particolare,  è  se  fosse  confer- 
mata la  tendenza  verso  il  dileguo  dei  tratti  più  locali  e  quanto  agissero  an- 
che impulsi  verso  la  'napoletanizzazione'  della  varietà. 

Saranno  pertanto  analizzati  i  contesti  in  cui  gU  informatori  ricorrono  al  dia- 
letto durante  l'intervista  in  base  all'ipotesi  che  le  differenze  nell'uso  dei  due 
codici  e  le  caratteristiche  dei  segmenti  inseriti  possano  fornire  indizi  sui  movi- 
menti in  atto  nel  repertorio  individuale,  e  dunque  o  sulla  gestione  'alternata',  o 
sull'esistenza,  a  livello  dell'uso,  di  un'area  intermedia  in  cui  le  varietà  sono 
realmente  in  intimo  contatto  e  quindi  più  esposte  allo  scambio  di  materiali.  Lo 
studio  del  dialetto  delle  inserzioni  presenti  nelle  interviste,  insieme  a  dati  tratti 
da  un  test  di  traduzione  e  sui  contesti  d'uso,  consentirà  di  formulare  delle  ipo- 
tesi sull'uso  e  sulla  qualità  del  dialetto  rispetto  al  campione  considerato. 

2.  Il  SITO 

Il  caso  considerato  è  quello  di  Monte  di  Procida,  un  centro  relativa- 
mente recente  dal  punto  di  vista  insediativo  e  amministrativo,  ma  non  al- 
trettanto recente  in  quanto  comunità  in  senso  antropologico.  Il  nucleo 
umano  originario  è  infatti  considerato,  anche  nel  sentimento  di  identità 

'  Cfr.  Como  2004. 
244 


collettiva,  disceso  da  antichi  coloni  che  a  partire  dalla  seconda  metà  del 
XVII  secolo  cominciarono  a  spostarsi  dall'isola  di  Procida  sulla  terrafer- 
ma per  coltivarne  le  terre.  Inizialmente  si  trattava  di  un  pendolarismo 
giornaliero,  divenuto  in  seguito  stagionale,  fino  a  quando,  nella  prima 
metà  del  XVIII  secolo,  vi  furono  i  primi  stanziamenti  permanenti.  Alla  fi- 
ne dell'Ottocento  il  Monte  appariva  come  un  vasto  e  verdeggiante  giardi- 
no posto  su  un'altura,  caratterizzata  da  abitazioni  sparse,  mentre  solo  ven- 
ti anni  prima  le  uniche  abitazioni  erano  concentrate  "su  quel  rialto  che  di- 
cono Le  Case".* 

Il  comune  di  Monte  di  Procida  esiste  ufficialmente  dal  1907,  data  in 
cui  fu  separato  da  quello  dell'isola  di  Procida,  al  fine  non  solo  di  snellire 
le  pratiche  amministrative  e  burocratiche  non  più  funzionali  alle  nuove 
dinamiche  sociali  ed  economiche,  ma  anche  di  riconoscere  il  maturato 
ruolo  di  una  realtà  che  rapidamente,  grazie  soprattutto  alle  attività  estratti- 
ve e  marittime,  era  andata  ampliandosi.  È  importante  ricordare  che  il  mo- 
vimento della  popolazione,  sin  dagli  inizi  del  Novecento,  è  stato  caratte- 
rizzato da  rilevanti  fenomeni  migratori  verso  continenti  extra-europei,  ed 
in  particolare  verso  il  Nord  America.  Negli  Stati  Uniti  (New  Jersey)  vi  so- 
no infatti  ancora  oggi  cospicui  gruppi  insediati  stabilmente  e  impegnati 
nel  campo  della  ristorazione.  Questi  insediamenti  costituiscono  oggi  delle 
importanti  sacche  di  interscambio  economico  e  socio-culturale,  soprattut- 
to per  la  fascia  della  popolazione  piiì  giovane. 

In  parte  grazie  al  ritmo  migratorio,  ed  in  parte  all'attività  di  tipo  maritti- 
mo che  da  anni  rappresenta  il  tramite  del  contatto  dei  montesi  con  realtà  al- 
tre, quella  di  Monte  di  Procida  è  una  realtà  allargata,  aperta,  in  cui  tuttavia 
-  ma  forse  soprattutto  per  questo  -  il  senso  di  appartenenza  e  di  identità 
collettiva  sono  molto  forti.  Contribuisce  a  corroborare  tale  componente 
identitaria,  oltre  alla  storia,  anche  la  posizione  geografica,  periferica  e  solle- 
vata rispetto  al  resto  dell'area  flegrea,  che  definisce  uno  spazio  fisico  per 
certi  versi  ben  delimitabile  e  identificabile  nell'immaginario  collettivo.^ 

A  partire  dal  secondo  dopoguerra,  la  struttura  sociale  della  comunità 
ha  cominciato  a  mutare,  in  particolare  in  relazione  alla  terziarizzazione 
delle  attività  produttive  e  al  calo  di  quelle  marittime.  Soprattutto  per  la  fa- 
scia giovanile  i  rapporti  con  Napoli  sono  divenuti  piij  stretti,  grazie  alla 
funzione  svolta  dal  capoluogo  in  quanto  sede  dell'istruzione  secondaria  e 
universitaria.  In  sintesi,  Monte  di  Procida  rappresenta  un'entità  dinamica, 
di  crisi,  in  cui  confluiscono  impulsi  e  correnti  complesse  favorite  dalle  at- 

^Parascandolo  (1893:87). 

^  Sull'interfaccia  sul  piano  linguistico  dell'identità  territoriale  si  veda  Radtke 
(2002:19-20). 

245 


tività  marittime,  dalla  mobilità  della  popolazione,  nonché  dal  rapporto  di- 
namico con  la  rete  metropolitana  e  la  realtà  urbana. 

3.  Il  CORPUS 

Per  la  ricerca  complessiva  si  è  scelto  di  condurre  delle  interviste  com- 
prendenti le  seguenti  sezioni: 

Tabella  1:  Protocollo  delle  interviste 


I 

Aspetti  biografici 

II 

Contesti  d'uso  di  italiano  e  dialetto 

III 

Test  di  riconoscimento 

IV 

Test  di  traduzione  dall'italiano  al  dialetto 

La  prima  parte  dell'intervista,  condotta  in  uno  stile  discorsivo,  è  volta 
a  raccogliere  informazioni  circa  la  storia  personale  degli  informatori,  la 
loro  famiglia  e  la  biografia  sociolinguistica.  La  seconda  parte  consiste  in 
un  test  sui  contesti  d'uso  di  italiano  e  dialetto  a  livello  personale  e  comu- 
nitario (Lo  Piparo  1990);  la  terza  parte  è  costituita  da  un  test  di  riconosci- 
mento di  alcune  varietà  dialettali  locali  nel  quale  si  cerca  di  fare  emergere 
anche  la  competenza  dei  parlanti  rispetto  ai  tratti  del  proprio  dialetto  e 
quindi  il  valore  ideologico  e  simbolico  attribuito  alla  propria  varietà;^  in- 
fine è  stato  proposto  un  questionario  di  traduzione  dall'italiano  al  dialetto 
di  66  frasi. 

Il  campione  di  base  è  costituito  da  10  parlanti  di  età  compresa  tra  i  19 
e  i  44  anni,  con  caratteristiche  eterogenee  rispetto  a  variabili  quali  sesso, 
istruzione,  livello  socio-economico  e  attività  lavorativa: 

Tabella  2:  Dati  parlanti 


Anni 

Istruzione 

Lavoro 

Rita 

19 

diploma  liceo  linguistico 

segretaria 

Sonia 

22 

diploma  medie  inferiori 

casalinga 

Pina 

24 

diploma  liceo  linguistico 

studentessa  univ. 

Olga 

24 

diploma  liceo  linguistico 

studentessa  univ. 

Anna 

35 

laurea  in  lingue  moderne 

traduttrice 

Vito 

37 

diploma  nautico 

commerciante 

Silvio 

36 

laurea  in  medicina 

medico 

Renato 

37 

laurea  in  commercio  intemazionale 

broker  nautico 

Nina 

42 

diploma  magistrale 

maestra 

Dario 

44 

diploma  medie  inferiori 

impiegato 

^  Per  ovvie  ragioni  di  spazio  la  parte  concernente  il  test  non  sarà  presa  in  considera- 
zione. Cfr.  Como,  Milano,  Puolato  2003. 

246 


Infine,  tali  interviste  sono  state  integrate  da  alcune  registrazioni  di 
conversazioni  spontanee  tra  giovani  di  età  compresa  tra  i  15  e  i  30  anni 
della  durata  di  4.5  ore  e  realizzate  con  microfono  nascosto  da  un  mediato- 
re in  assenza  di  estranei.  I  dati  raccolti  con  questa  tecnica,  in  un  contesto 
completamente  naturale,  rappresentano  una  sorta  di  campione  di  controllo 
rispetto  agli  usi  del  dialetto  e  alle  caratteristiche  linguistiche  che  esso  pre- 
senta nelle  interviste. 

4.  Metodologia 

Le  interviste,  condotte  in  una  varietà  molto  colloquiale  di  italiano  re- 
gionale dalla  stessa  persona  che  ne  ha  analizzato  i  contenuti,  condividono 
grossomodo  i  medesimi  vincoli  enunciativi,  il  grado  di  formalità  e  i  con- 
tenuti. Per  rendere  il  contesto  piiì  naturale  gli  incontri  sono  stati  organiz- 
zati con  almeno  una  coppia  di  persone,  ma  è  verosimile  l'ipotesi  che  in 
una  situazione  comunque  'inquisitoria'  e  con  un  interiocutore  estemo  alla 
comunità,  i  parianti,  tutti  corredati  di  un  livello  medio-alto  di  istruzione, 
attuino  una  strategia  di  monitoraggio  sulla  propria  produzione,  selezio- 
nando dal  repertorio  una  varietà  non  interamente  dialettale,  o  almeno  un 
registro  che  abbia  una  certa  valenza  socio-simbolica  nell'ambito  della 
propria  competenza  linguistica  e  comunicativa.  Questo,  almeno,  è  quanto 
ci  si  aspetta  in  relazione  alle  caratteristiche  sociolinguistiche  dei  parianti 
e  ai  risultati  emersi  dal  test  sui  contesti  e  domini  d'uso  del  dialetto.  Tutti  i 
parianti  affermano  di  pariare  dialetto  in  misura  diversa  da  contesto  a  con- 
testo, alcuni  'bene'  (Anna,  Pina,  Olga,  Silvio  e  Renato),  altri  'così  così' 
(Rita,  Sonia),  e  infine  tre  'male'  (Dario,  Nina  e  Vito).  In  relazione  ai  dati 
emersi,  possiamo  anticipare  che  le  persone  che  si  attribuiscono  la  compe- 
tenza piià  'corrotta'  (Dario  e  Vito)  fanno  un  uso  maggiore  del  dialetto  nel- 
le interviste.  Infine,  tutti  gli  informatori  hanno  dimostrato  nel  test  di  tra- 
duzione una  buona  competenza  dialettale,  non  sempre  associata  a  consa- 
pevolezza metalinguistica. 

La  porzione  dell'intervista  utilizzata  per  l'analisi  delle  inserzioni  dia- 
lettali comprende  unicamente  le  parti  I  e  II,  dalla  durata  di  circa  20  minu- 
ti. Nell'analisi  ci  si  soffermerà  su  fenomeni  di  livello  morfofonologico, 
morfologico  e  morfosintattico,  trascurando  invece  i  tratti  fonetici  e  i  feno- 
meni sintattici  presenti  anche  negli  stili  informali  dell'italiano  regionale 
campano  (o  alto-meridionale).^  Non  sono  stati  considerati  i  fenomeni  di 

^  Per  quanto  problematica,  la  nozione  di  italiano  regionale  risulta  utile  da  un  punto  di 
vista  pratico.  Una  recente  rassegna  sulle  tradizioni  e  gli  studi  degli  italiani  regionali  è 
D'Achille  2002.  Per  i  tratti  principali  dei  vari  italiani  regionali  si  veda  Telmon  (1993). 

247 


ipo-articolazione,  di  riduzione,  di  assimilazione  come  in  [peklce]  'per- 
ché', [pe  mme]  'per  me',  [ntsomma]  'insomma',  [ai  ka'pi]  'hai  capito', 
così  come  il  lessico  di  colorito  regionale,  o  la  presenza  di  intercalari  e  di 
formule  fisse  di  origine  dialettale,  presenti  anche  in  testi  italiani  di  parlan- 
ti socioculturalmente  differenziati  (maronna  mia,  vabbuò,  mo').  Infine,  si 
è  deciso  di  escludere  dall'analisi  anche  i  fenomeni  sintattici  propri  dell'i- 
taliano 'popolare'  che  potrebbero  risentire  della  struttura  dialettale,  come 
la  selezione  invertita  dell'ausiliare,  l'uso  sovrabbondante  o  improprio  del- 
le preposizioni,  i  fenomeni  di  ordine  delle  parole,  come  la  sequenza  N-i-A 
('il  fratello  mio'),  etc.  Allo  stesso  modo,  poiché  di  uso  comune,  non  sono 
stati  valutati  come  inserzioni  i  toponimi  in  dialetto. 

È  ben  noto,  a  chi  si  occupa  dello  studio  delle  dinamiche  contattuali, 
come  il  divario  terminologico  presente  in  quest'ambito  rifletta  spesso  ca- 
tegorizzazioni  differenti,  espressione  di  una  diversa  concezione  dei  feno- 
meni di  contatto.  In  questa  sede  non  è  possibile  addentrarci  nell'intricata 
questione  e  si  ricorrerà  pertanto  a  termini  quali  'frammistione',  'inserzio- 
ne' e  'commutazione',  prescindendo  dalla  categoria  sintattica,  dalla  fun- 
zione eventualmente  attribuibile  all'inserto  nonché  dal  grado  di  consape- 
volezza del  parlante. 

Da  un  punto  di  vista  segmentale,  costituiscono  singoli  episodi  di  fram- 
mistione tutte  le  sequenze  continue  di  dialetto,  a  partire  dal  singolo  ele- 
mento (es.  l'articolo)  fino  ad  arrivare  a  gruppi  di  parole  e  di  frasi.  È  stato 
necessario  includere  e  differenziare  frammistioni  piìj  ampie  della  singola 
struttura  frasale,  vale  a  dire  frasi  complesse  e  costellazioni  di  più  frasi. 
Questa  classificazione,  anomala  rispetto  agli  studi  sul  contatto  (anche  di 
lingua  e  dialetto),  mira  a  rendere  conto  del  diverso  spazio  che  occupa  il 
dialetto  nei  testi  di  base  italiana. 

La  varietà  di  base  dei  testi  è  senza  dubbio  italiana  ma,  come  noto,  tra 
l'italiano  e  i  dialetti  italo-romanzi  vi  è  un  elevato  grado  di  sovrapposizio- 
ne strutturale  ed  una  cospicua  presenza  di  elementi  omofoni,  anche  a  cau- 
sa della  duratura  compresenza  dei  due  codici  in  configurazioni  repertoria- 
li  di  tipo  macro-diglottico.  Per  tale  ragione  è  spesso  problematico  indivi- 
duare i  confini  della  frammistione  e  in  alcuni  casi,  in  assenza  di  tratti  fo- 
netici o  morfologici  dirimenti,  la  determinazione  del  codice  di  apparte- 
nenza del  token  rappresenta  un  elemento  di  arbitrarietà  dell'analista,  una 
questione  di  classificazione  che  tuttavia  'crea'  il  dato  stesso.* 


^  Nel  caso  in  cui  l'elemento  omofono  sia  all'interno  di  una  sequenza  dialettale,  è  con- 
siderato dialetto.  Alcuni  adottano  criteri  di  costituenza  sintattica  (il  codice  è  definito  dalla 
testa  del  sintagma),  lasciando  irrisolti  i  casi  di  omofonia  a  confine  dei  costituenti  (cfr.  Ber- 


248 


Si  veda  l'esempio  seguente: 

(1)  Ma...  V.  voi  siete  nato...  in  questa  zona  qua?  Io  sono  nato...  a... 
Torrione  [a]  zona  de  ccorso  umbe:rto..  /  la  strada  che  porta...  / 
[sogg  i  for  a  orr]  in  effetti  ah. . .  far  a  torre  [for  a  torra]  (il  parlante 
sorride)  dario^ 

Una  prima  frammistione  è  presente  nel  turno  di  risposta  alla  domanda 
dell'intervistatrice.  Tratto  del  dialetto  è  la  forma  apocopata  dell'articolo 
determinativo  a  'la'  che  precede,  tuttavia,  un  elemento  lessicale  omofono 
nei  due  codici  'zona'  e  presente  anche  nella  formulazione  della  domanda, 
condizione  questa  che  porta  a  valutare  come  frammistione  unicamente  la 
forma  dell'articolo. 

L'esempio  toma  utile  alla  riflessione  su  un  altro  aspetto  molto  impor- 
tante, ovvero  la  prospettiva  di  analisi.  I  fenomeni  di  contatto  (e  il  code- 
switching  in  particolare)  possono  essere  osservati  da  due  diversi  punti  di 
vista:  quello  del  linguista  e  quello  dell'utente  bilingue,  prospettive  che 
portano  sovente  ad  interpretazioni  divergenti  anche  per  quanto  concerne 
l'individuazione  stessa  dei  codici. '°  Il  punto  di  vista  presentato  in  questo 
contributo  è  meramente  estemo,  è  quello  del  linguista  che  formula  qual- 
che assunzione  in  base  ai  dati  linguistici  e  contestuali.  Ad  esempio,  nel- 
l'estratto riportato  è  possibile  affermare  con  una  certo  grado  di  plausibi- 
lità che  l'informatore  si  renda  conto  di  aver  introdotto  il  toponimo  dialet- 
tale 'fuori  la  torre',  segnalato  dalla  presenza  di  esitazione  e  dalla  ripeti- 
zione, seguita  da  commento  sonoro.  Non  vi  sono  invece  segnali  discorsivi 
che  accompagnano  l'articolo  determinativo.  Anche  sequenze  piià  ampie, 
prodotte  inconsapevolmente,  possono  non  essere  segnalate,  o  non  rilevate 
dai  destinatari  stessi,  elemento  cruciale  quest'ultimo  nella  definizione 
stessa  di  code-switching  per  alcuni  autori.'' 

ruto  1985:70-71).  Nell'esempio  (1)  il  nominale  'zona'  è  seguito  da  una  preposizione  sem- 
plice in  cui  la  consonante  occlusiva  dentale  non  subisce  processi  di  rotacizzazione,  tipici 
della  varietà  dialettale. 

^  In  corsivo  sono  riportate  le  domande  dell'intervistatrice;  in  maiuscoletto  l'intervento 
di  altre  persone  presenti.  I  puntini  di  sospensione  segnalano  allungamenti  delle  vocali  fi- 
nali o  fenomeni  di  esitazione;  le  barrette  verticali  le  pause.  Il  segmento  interpretato  come 
dialettale  è  trascritto  tra  parentesi  quadre,  evenmali  informazioni  contestuali  sono  riporta- 
te tra  parentesi  tonde. 

'«Cfr.Auer  (1998: 1-48). 

"  Ad  esempio  secondo  Auer  (1995:116)  la  giustapposizione  dei  due  sistemi  semiotici 
è  da  considerare  nell'ambito  dei  fenomeni  di  switching  (o  di  transfer)  solo  se  "the  appro- 
priate récipients  of  the  resulting  complex  sign  are  in  a  position  to  interpret  this  juxtaposi- 
tion as  such". 

249 


5.    Il  dialetto  nelle  interviste:  i  dati 

Come  già  osservato,  la  lingua-base  dei  dieci  testi  può  essere  senza 
dubbio  identificata  con  una  varietà  di  italiano  regionale,  variamente  con- 
notata dalla  presenza  di  tratti  di  origine  dialettale  e  da  un  numero  ridotto 
di  frammistioni  che  tuttavia  consente  di  tratteggiare  due  diverse  tipologie 
di  parlanti.  Un  gruppo  sembra  essere  costituito  da  parlanti  bilingui  che  ri- 
corrono solo  raramente  al  dialetto,  e  in  maniera  funzionale,  il  secondo 
gruppo  è  costituito  da  parlanti  in  cui  i  due  codici  sono  più  a  contatto,  an- 
che a  livello  strutturale  (Sonia,  Dario  e  Vito).  Le  inserzioni  effettive  sono 
in  totale  77,  di  cui  68  sono  costituite  da  categorie  lessicali  o  da  elementi 
uniti  da  relazioni  di  costituenza,  mentre  altri  nove  casi  presentano  parti 
non  dipendenti  dalla  medesima  struttura.  Rispetto  al  punto  di  riferimento 
definito  dalle  interviste  con  parlanti  anziani,  nelle  quali  la  varietà  di  base 
è,  eccetto  un  caso,  il  dialetto,  nelle  interviste  con  i  parlanti  più  giovani  ri- 
sultano completamente  invertite  le  condizioni  d'uso  dei  due  codici.  Inol- 
tre, il  numero  delle  commutazioni  in  dialetto  in  un  macro-testo  dalla  du- 
rata complessiva  di  circa  tre  ore  è  notevolmente  esiguo  e  delinea  una 
realtà  testuale  in  cui  il  code-switching  non  rappresenta  certamente  uno 
stile  conversazionale  neutro.  Si  aggiunga  in  più  che  nel  testo  di  ben  tre 
informatori  (Pina,  Silvio  e  Renato)  non  occorre  nessuna  frammistione  in 
dialetto.  Questi  comportamenti  inducono  a  ipotizzare  che  l'uso  del  dialet- 
to con  persone  esteme  alla  comunità,  anche  in  situazioni  di  bassa  forma- 
lità, rappresenti  una  scelta  comunicativa  marcata,  a  differenza  di  quanto  si 
è  constatato  con  la  generazione  immediatamente  precedente.  Ovviamente, 
nella  scelta  del  codice,  ha  un  ruolo  determinante  il  più  elevato  grado  di 
competenza  dell'italiano  proprio  delle  fasce  d'età  più  giovani,  ma  è  signi- 
ficativo tuttavia  che  la  stessa  scelta  linguistica  attraversi  indistintamente 
l'intero  campione,  eterogeneo  rispetto  ad  una  serie  di  variabili  esteme. 
L'impressione  di  una  riduzione  dello  spazio  occupato  dal  dialetto  sembra 
confermata  dalle  caratteristiche  stmtturali  dei  segmenti  inseriti  che  si  col- 
locano in  una  posizione  intermedia  tra  i  fenomeni  di  insertion  (inserimen- 
to di  parole  o  stmtture  più  o  meno  fisse  dell'altra  lingua)  e  il  code-swit- 
ching (Auer  1998:16-22):  il  dialetto  non  diventa  in  nessun  caso  il  codice 
dell'interazione.  Qualche  considerazione  sulla  stmttura  delle  commuta- 
zioni sarà  utile  ad  interpretare  meglio  il  caso:  '^ 


'^  (Art)icolo,  (Prep)osizione,  (Dim)ostativo,  (Avv)erbio,  (N)ome,  (Agg)ettivo,  (S)in- 
tagma  -  (N)ominale,  (V)erbale,  (PREP)osizionale  -,  (F)rase  -  (P)principale,  (S)subordina- 
ta,  (C)complessa  -,  (D)iscorso  =  insieme  di  più  frasi  principali  e/o  complesse. 

250 


Tabella  3: 

Inserzioni 

in  dialetto 

Art 

Prep 

Dim 

Aw 

N 

V 

SN 

SV 

S.Prep 

F.Pr 

RSub 

F.C 

D 

Tot 

Olga 

1 

1 

2 

Rita 

2 

2 

Nina 

1 

1 

1 

1 

4 

Anna 

2 

2 

2 

6 

Sonia 

3 

3 

2 

8 

2 

18 

Dario 

2 

1 

2 

4 

8 

2 

1 

20 

Vito 

2 

1 

1 

2 

3 

1 

4 

5 

2 

4 

25 

Tot 

4 

2 

3 

1 

2 

2 

11 

1 

1 

21 

11 

12 

6 

77 

Il  dato  più  evidente  è  rappresentato  dall'occorrenza  inter-testuale  di 
inserzioni  di  tipo  frasale,  la  cui  maggioranza  (21)  è  costituita  da  strutture 
elementari,  uniproposizionali;  vi  sono  anche  clausole  subordinate,  con  e 
senza  complementizzatore,  nonché  frasi  complesse  o  più  frasi  in  succes- 
sione. Soltanto  sei  sono  propriamente  riempitivi,  tags  o  espressioni  idio- 
matiche, considerate  tipiche  di  parlanti  non  più  in  possesso  di  un  livello 
di  competenza  sufficiente  della  lingua  inserita  e  che  per  questo  svolgono 
spesso  una  funzione  puramente  'simbolica':'^ 

(2)  io  [e  vera]  che  sto  io  al  contatto  al  comuna  però  diciamo  che  il 
lavoro  che  faccio  non  sono  all'esterno  dario'^ 

(3)  Ah...  Assunta  ...  e  la  chiamano  Ondina  muh...  [ntj  appittss 
njenta]  soma 

(4)  Ma  ti  farebbe  piacere  che  i  tuoi  figli  imparassero  il  dialetto? 
Mi  farebbe  piacere,  ma  purtroppo  [n  tja  stanna  santa]  vito 

L'ipotesi  che  la  presenza  di  singole  frasi,  spesso  costituite  da  formule 
fisse,  e  prive  di  una  chiara  funzione  referenziale,  sia  correlata  ad  un  basso 
grado  di  competenza  bilingue,  diversamente  dalla  commutazione  intra- 
frasale,  espressione  invece  di  un  tipo  di  bilinguismo  bilanciato,  è  stata 
formulata  da  Poplack  negi  anni  Ottanta.  Già  Bentahila  e  Davies  (1992)  in 
uno  studio  sul  bilinguismo  arabo-marocchino/francese  condotto  con  due 
generazioni  diverse,  alfabetizzate  l'una  prima  e  l'altra  dopo  la  fine  del 
protettorato  francese  sul  Marocco,  hanno  messo  in  evidenza  che  il  tipo  di 
code-switching  è  condizionato  dalla  'dominanza'  individuale  di  uno  dei 
due  sistemi,  ma  non  confermano  l'identità  tra  commutazione  intra-frasale 
e  bilinguismo  bilanciato.  Nel  nostro  caso,  la  netta  prevalenza  di  strutture 
frasali  su  un  totale  così  esiguo  di  commutazioni  sembra  piuttosto  rappre- 
sentare uno  stile  comunicativo  e  non  mancanza  di  competenza  del  dialet- 


'^  Mi  riferisco  alla  funzione  'emblematica'  di  Poplack  (1980). 
^'*  Si  noti  la  sintassi  scollegata  della  frase. 


251 


to,  considerato  inoltre  che  la  maggioranza  delle  inserzioni  ha  funzione  re- 
ferenziale. Parimenti,  come  vedremo,  la  prevalenza  del  tipo  di  commuta- 
zione intra-frasale  nel  peculiare  rapporto  lingua-dialetti  non  è  affatto  sin- 
tomatico di  un  elevato  grado  di  competenza  di  entrambe  le  varietà,  ma  del 
loro  uso  'misto'. 

Dalla  tabella  3  emerge  anche  l'articolazione  dei  parlanti  in  due  gruppi 
per  quanto  riguarda  il  numero  delle  inserzioni:  <  6  il  primo  e  >1 8  il  se- 
condo. Inoltre,  soprattutto  due  parlanti  (gli  ultimi  due)  hanno  frammistio- 
ni  di  sintagmi  e  di  elementi  appartenenti  a  categorie  funzionali  e  lessica- 
li'-^ che  rimandano  ad  un  tipo  di  contatto  più  intimo  tra  i  due  codici.  Natu- 
ra parzialmente  diversa  ha  l'inserzione  degli  articoli  presenti  unicamente 
nei  testi  di  dario  e  Vito.  Si  veda  il  caso  seguente: 

(5)  E  un  grande  faticatore  il  padre?  SÌ  SI  Eh.,  mo'  per  esempio 
prima  di  venire  a  aprire  mi  sono  andato  a  fare  trenta  chilometri  in 
biciketta  e  sono  venuto  ad  aprire  /  [na]  passeggiatina'^  -  vito 

Nell'esempio  (si  noti  la  forma  'media'  mi  sotto  andato  a  fare,  piuttosto 
frequente  nell'italiano  meridionale)  l'articolo  indeterminativo  del  dialetto 
-  la  variante  aferizzata  na  'una'  -  è  seguito  da  un  nome  dell'italiano, 
'passeggiatina'.'^  L'intero  sintagma  commenta  lo  spirito  sportivo  e  segna 
la  conclusione  del  turno  di  dialogo  del  parlante.  Alfonzetti  (1992:202- 
203)  nell'analisi  dell'alternanza  tra  italiano  e  dialetto  a  Catania  registra 
per  gli  articoli'^  una  tendenza  concernente  la  direzione  dello  switching 
dall'italiano  verso  il  dialetto:  "La  spiegazione  del  fenomeno  va  probabil- 
mente ricercata  nel  diverso  status  dei  due  codici  nel  repertorio  individua- 
le del  parlante.  Si  tratta  infatti  di  un  modello  d'uso  che  caratterizza  so- 
prattutto il  comportamento  linguistico  di  parlanti  che  hanno  appreso  il 
dialetto  come  prima  lingua.  Questo  rimane  pertanto  il  codice  primario  che 
tende  a  riaffiorare,  specie  nei  suoi  elementi  grammaticali,  anche  in  situa- 
zioni di  media  formalità  o  addirittura  formali,  in  cui  il  parlante  usa  preva- 

'^  Si  tratta  di  una  tipologia  di  contatto  generalmente  definita  code-mixing  (cfr.  Berruto 
1990). 

'^  Il  parlante,  proprietario  di  un  negozio  di  generi  alimentari,  in  opposizione  al  tempe- 
ramento del  figlio  mette  in  evidenza  il  proprio  spirito  sportivo  descrivendo  le  attività  con- 
dotte la  mattina  prima  di  andare  a  lavorare. 

'^  Oltre  che  per  \2i  facies  fonetica  il  termine  è  da  considerare  dell'italiano  anche  per  la 
presenza  del  suffisso  diminutivo  '-ino'  non  tipico  delle  varietà  dialettali  meridionali 
(Rohlfs  §  1094). 

'^  Si  consideri  invece  che  tra  le  ipotesi  di  base  del  Matrix  Language  Frante  Model  di 
Myers-Scotton  (1993:  82-83)  la  lingua  matrice  impone  l'ordine  di  superficie  dei  morfemi 
e  i  system  morphèmes,  tra  cui  anche  gli  articoli. 

252 


lentemente  l'italiano".  Si  tratterebbe  dunque  di  un  fenomeno  di  affiora- 
mento del  dialetto  di  livello  inconsapevole.  Dalla  sezione  dell'intervista 
concernente  i  contesti  d'uso  e  le  modalità  di  apprendimento  del  dialetto, 
risulta  effettivamente  che  entrambi ^"^  i  parlanti  hanno  avuto  il  dialetto  co- 
me lingua  di  socializzazione  primaria,  tuttavia  non  sono  i  soli,  come  ve- 
dremo, a  condividere  questo  aspetto.  Sobrero  (1992:31-41)  considera  gli 
articoli  -  e  piiì  in  generale  i  deittici  aferetici  -  al  pari  delle  locuzioni  prag- 
matiche, tra  gli  elementi  che  piià  frequentemente  passano  dal  dialetto  al- 
l'italiano, anche  in  discorsi  vicini  alla  formalità  perché  tali  elementi  di- 
verrebbero 'apolidi'  nella  consapevolezza  dei  parlanti.  L'impressione  sca- 
turita dall'analisi  dei  nostri  testi  è  che  si  tratti  di  elementi  che,  con  un 
buon  livello  di  accettabilità,  si  muovono  lungo  diversi  piani  del  repertorio 
senza  perdere  tuttavia  la  loro  connotazione  dialettale,  sia  come  fenomeni 
di  'affioramento'  che  come  espedienti  di  'dialettizzazione'.  A  quest'ulti- 
ma tipologia  appartiene  il  caso  seguente,  notato  nel  parlato  di  una  profes- 
sionista napoletana: 

(6)  mamma  mia  tutte  queste  storie  per  pigliarti  [nu]  caffè 

A  tal  riguardo  si  fa  strada  un'altra  linea  di  ragionamento,  secondo  la 
quale  sarebbe  l'intero  SN  ad  essere  coinvolto,  essendo  il  nome  un  termine 
spesso  omofono  nei  due  codici  o  comunque  adattato  al  dialetto.  Non  è  un 
caso  infatti  che  il  SN  risulti  il  tipo  piti  frequente  di  inserzione  dopo  la  fra- 
se^*^  e  che  abbia  una  buona  penetrabilità  nel  parlato  italiano. 

Ritornando  al  nostro  corpus,  osserviamo  ancora  che  il  testo  di  Vito 
presenta  il  maggior  numero  di  frammistioni,  le  sequenze  più  estese,  ma 
anche  inserzioni  minime  sintatticamente  legate,  come  il  verbo  'avere'  con 
funzione  modale,  realizzato  dal  segmento  vocalico  [e]  'hai',  seguito  da 
una  costruzione  con  oggetto  preposizionale  (8),  o  come  la  preposizione 
'sopra'  (9): 

(8)  il  paese  in  questo  ti...  ti  limita  ....  ti  limita  nel  senso  che  tutti 
quelli  che  conoscono  o  c'è  un  rapporto  di  fratellanza  [o  nunn  u  ka- 
noJj"i]  e  siccome  il  paese  è  piccolo  [e]  conoscer  a  tutti  quanti  vito 

(9)  Come  parli  al  comune?  eh...  vabbuo'  normale  ...  [ggopp]  al 
comune  nostro  si  parla  mista  vito 


'^  Dalla  biografia  di  Vito  risulta  tuttavia  che  la  madre  avrebbe  privilegiato  l'italiano 
come  codice  di  comunicazione  con  i  figli  e  che  il  dialetto  sarebbe  diventato  dominante  so- 
lo in  una  fase  successiva,  come  lingua  del  peer-group. 

20  Cfr.  anche  Alfonzetti  (1992). 

253 


Dialetto  ed  italiano  si  intrecciano  nel  testo  di  questo  informatore  in 
maniera  diffusa,  così  come  ribadito  dallo  stesso  parlante  che  afferma  di 
parlare  una  "lingua  mista".  Per  certi  versi  simile  è  il  caso  di  Dario,  carat- 
terizzato tuttavia  da  maggiore  incertezza  nella  verbalizzazione  e  da  un  at- 
teggiamento censorio  nei  confronti  del  dialetto.  Si  colgono  tali  aspetti 
nell'estratto  seguente,  in  cui  vi  sono  articoli,  nomi,  sintagmi  e  frasi  in  dia- 
letto. L'informatore  racconta  del  padre,  che  pur  avendo  avuto  la  possibi- 
lità di  essere  assunto  come  bidello  in  una  scuola,  aveva  preferito  fare  il 
pescatore: 

(10)  Era  pescato',  no  marittimo?  Prima  non  ci  stava... mo'... 
no  /  lui  ha  fatto  sempre  il  pescatore,  non  ha  voluto...  [paklce  Jg 
pjajev9  propj  u  ma-ra]  aveva  avuto  la  possibilità  di  fare...  perché 
era  [na]  famiglia  numerosa  [a  nonna  ma  para]  /  o  pecche  lui  era  an- 
dato in  guerra  /  aveva  fatto  la  guerra  in  Spagna  /  fatt  [o  partidd3ano]  e 
aveva  avuto  l'opportunità  del  sindaco...  di  allora  che  ci  stava,  no, 
di  f.  /  di  fare  il  bidello  di  entrare  in...  'ndzomma  [nt  ali  e.]  na... 
non  ha  va. . .  non  ha  voluto  rifiutò 

Ai  testi  dei  due  parlanti,  per  numero  di  inserzioni,  si  avvicina  quello  di 
Sonia,  in  cui  sono  però  presenti  soprattutto  frasi,  oltre  qualche  sintagma. 
Si  tratta  di  una  informatrice  le  cui  sequenze  di  risposta  alle  domande 
sono  brevi  e  prive  di  digressioni.  Il  codice  utilizzato  nell'interazione  è 
un  tipo  di  italiano  regionale  molto  connotato  dal  punto  di  vista  foneti- 
co e  morfosintattico  da  tratti  'popolari'.  Il  dialetto  non  rappresenta  af- 
fatto il  codice  prevalente  nell'intervista,  anche  se  l'informatrice  so- 
stiene di  usarlo  nella  maggior  parte  dei  contesti  comunicativi  e,  unica 
tra  i  parlanti,  ha  una  visione  'invertita'  del  rapporto  tra  i  due  codici. 
Alla  domanda  se  vorrebbe  che  i  suoi  figli  parlassero  dialetto,  Anna  ri- 
sponde infatti:  "eh... non  vorrei,  però  come  faccio  ormai  è  una  cosa 
che  si  parla  da  tutte  le  parti,  in  famiglia  si  parla  dialetto".  Nell'intervi- 
sta tuttavia  le  parti  in  dialetto  si  trovano  soprattutto  nell'interazione 
con  altri  presenti,  e  solo  in  qualche  caso  con  l'intervistatrice.  L'esem- 
pio seguente  è  una  sequenza  breve,  ma  non  stereotipizzata,  di  risposta 
ad  una  domanda  circa  le  differenze  tra  la  varietà  di  Bacoli  e  quella  di 
Monte  di  Procida  (la  parlante,  in  seguito  al  matrimonio,  si  è  trasferita 
a  Bacoli): 

(11)  A  -  però. . ../  già. . .  //  [tja  stanna  ddzane  e  ddzana  ad 'do  sa 

parla  kistu....  /  bbakulesa  propala  ai] 

P  -  eh.,  infatti 

A  -  cioè  il  pili  lungo  te  ka'i  /  u  kkju  mmujja...] 

254 


Nell'inserzione,  Anna  commuta  in  dialetto  -  dopo  la  presa  del  turno 
realizzata  mediante  la  congiunzione  'però'  e  l'avverbio  'già'  -  una  struttu- 
ra locativa  esistenziale  con  una  relativa  incassata.  Chiude  il  turno  con  una 
richiesta  dì  feed-back  all'intervistatrice  molto  ridotta  fonicamente  [ai] 
'hai  capito?'  Riprende  il  turno  con  una  struttura  in  italiano,  riformulata 
immediatamente  in  dialetto  con  fine  specificativo.  La  parlante  in  questo 
caso  ricorre  ad  una  riformulazione  in  dialetto  per  chiarire  un  concetto  al- 
l'intervistatrice. 

Un  aspetto  che  accomuna  i  tre  testi  riguarda  anche  il  versante  dell'ita- 
liano che  risente  di  un  elevato  livello  di  interferenza  del  dialetto,  soprat- 
tutto sul  piano  fonetico,  ma  anche  a  livelli  maggiori.  Interessante  è  ad 
esempio  la  forma  'ibrida'  [vicaretto]  'vicoletto',  costruita  con  una  base 
lessicale  omofona  nei  due  codici  'vie-'  con  un  primo  morfema  derivazio- 
nale  desemantizzato  dialettale  '-ar-'  ('-ol-',  originariamente  con  valore  di- 
minutivo^') e  poi  dall' italianissimo  suffisso  '-etto',  pressoché  assente  nei 
dialetti  meridionali  ove  è  generalmente  sostituito  dal  suffisso  '-elio' 
(Rohlfs  §1141).  Si  trovano,  ad  esempio,  forme  come  rede  'erede',  /  gridi 
pi.  di  'grido',  mischelata,  da  'mischiare'  e  'miscelare',  nonché  strutture 
quali: 

(12)  Sì,  uscendo  la  strada  io  lo....  vedo  il  lago^^ 

(13)  Sì  abita  là.  Prima  abitavano  sopra  al  castello  ^^ 

(14)  Se  questo  poi  diventerà  un  paese  piti  antico,  penso 
che  il  dialetto  ci  sta  bene-^^^ 

Il  punto  che  si  intende  sostenere  nell'interpretazione  di  tali  dati  è  che  i 
parlanti  nei  cui  testi  il  dialetto  ricorre  in  maggiore  misura  fanno  un  uso 
più  esteso  di  tale  varietà  nei  contesti  comunicativi  quotidiani  ed  hanno 
sviluppato  una  minore  attitudine  alla  separazione  funzionale  dei  due  codi- 
ci che  si  trovano  quindi  più  intimamente  a  contatto.  Risente  di  tale  contat- 
to anche  l'italiano,  maggiormente  interferito  dal  dialetto.  Gli  altri  parlanti 
invece,  pur  avendo  una  buona  competenza  del  dialetto,  ne  fanno  uso  in 
maniera  più  'funzionale'.  Questo  attestano  le  inserzioni  degli  altri  testi 
che,  come  abbiamo  osservato,  rientrano  nella  medesima  tipologia,  sia  per 
la  frequenza  che  per  gli  aspetti  strutturali.  Si  tratta  principalmente  di  frasi 
semplici  che  svolgono  spesso  una  funzione  a  livello  del  discorso.  A  titolo 


2'  Cfr.  Rohlfs  §  1085. 

^^  Uso  transitivo  di  verbo  mono-argomentale. 

^^  Preposizione  complessa:  sopra  al 

^'^  Costruzione  ipotetica. 

255 


esemplificativo  si  veda  il  caso  di  Anna  le  cui  inserzioni  in  dialetto  sono 
rare,  brevi  da  un  punto  di  vista  segmentale  e  semplici  rispetto  alla  struttu- 
ra: 

(15)  A:  La  massa  che  arriva  è  proprio  un. . .  non  è  un  turismo 
/  nemmeno  mordi  e  fuggi  /  [kilb]  /  distruggono  soltanto 
P:  distruggono 

A:  cioè  arrivano  /  portano  m. . .  munnezza 
P:  a  munnettsa  a  lasciano  là 

A:  e  la  lasciano  là  [w]arda  delle  volte  io  ho  preso  delle  que- 
stioni... che  poi  mi  dico  [ki  m  u  ffa  fa  pakjke]  /  è  anche  peri- 
coloso /  non  sai  con  chi  hai  a  che  fare  tante  volte  /  no. . . 

Il  brano  tratta  degli  effetti  deteriori  di  un  certo  tipo  di  turismo  giorna- 
liero di  matrice  napoletana  che  durante  la  stagione  estiva  affolla  le  coste 
campane,  e  nel  caso  specifico  quelle  di  Monte  di  Procida.  La  prima  inser- 
zione è  il  dimostrativo  che  concorda  in  genere  e  numero  con  un  nominale 
non  immediatamente  presente  nell'intorno  testuale  e  che  ha  come  proba- 
bile referente  il  plurale  'i  napoletani'.  Considerate  anche  le  pause  che  se- 
parano il  segmento  dal  resto  dell'enunciato,  non  è  da  escludere  tuttavia 
l'ipotesi  che  si  tratti  di  un  pronome  espletivo.  Nel  brano  è  presente  anche 
un'altra  inserzione,  una  frase  'cristallizzata'  dipendente  da  un  verbo  di 
'dire'  (poi  mi  dico  ''chi  me  lo  fa  fare,  perché...'')  con  annesso  il  subordi- 
natore causale.  Le  restanti  frasi  in  dialetto  presenti  nel  testo  di  Anna,  en- 
trambe semplici,  sono  costituite  da  una  interrogativa  diretta  che  formula 
una  domanda  alla  madre  (alternanza)  e  da  una  dichiarativa  con  funzione 
di  commento.  Le  osservazioni  appena  condotte  ci  portano  a  considerare 
brevemente  anche  l'aspetto  funzionale  delle  inserzioni,  per  osservare  che 
(escludendo  le  tags),  su  un  totale  di  44  strutture  frasah,  in  1 8  si  rintraccia- 
no delle  funzioni  legate  al  discorso  (enfasi,  ripetizioni,  citazioni),  mentre 
in  14  casi  delle  funzioni  legate  ai  parlanti  (il  dialetto  rappresenta  il  codice 
utilizzato  per  rivolgersi  direttamente  ad  altre  persone  presenti  all'intervi- 
sta).-^^ Un  dato  interessante,  che  contribuisce  a  caratterizzare  il  quadro  che 
si  va  delineando,  è  che  i  12  casi  in  cui  non  si  coglie  nessuna  funzione  pre- 
valente appartengono  tutti  agli  ultimi  tre  parlanti. 

Tentiamo  di  trarre  qualche  considerazione  generale.  Innanzitutto,  si 
è  già  osservato  che  il  numero  e  la  tipologia  delle  inserzioni  non  è 
quella  che  caratterizza  il  code-switching  conversazionale:  italiano  e 
dialetto  non  paiono  godere  di  una  condizione  di  neutralità  sociolingui- 

^^  Le  uniche  commutazioni  di  Olga,  ad  esempio,  sono  nella  domanda  indirizzata  ad 
un'amica. 

256 


stica,  per  cui  non  sono  liberamente  intercambiabili  in  una  situazione 
di  media  formalità  e  con  interlocutori  non  appartenenti  alla  comunità 
che  utilizzano  una  varietà  bassa  di  italiano  regionale  con  qualche 
frammistione  in  dialetto.  La  tipologia  di  inserzione  pili  comune  è  rap- 
presentata dalla  frase  che  non  risulta  tuttavia  associata  unicamente  a 
funzioni  legate  alla  sfera  ludica,  sintomo  di  un  forte  restringimento 
delle  funzioni  della  lingua  recessiva  nel  repertorio  individuale  dei  par- 
lanti, ma  è  usata  anche  per  trasmettere  informazioni.  Nell'ambito  di 
questa  tendenza  generale,  si  individuano  due  stili  parzialmente  diver- 
si. Da  un  lato  un  gruppo  di  testi  presenta  un  basso  numero  di  inserzio- 
ni (in  alcuni  pari  allo  zero)  e  un'occorrenza  generalmente  funzionale 
del  dialetto,  sintomo  di  una  gestione  più  'alternata'  delle  varietà.  Il  se- 
condo gruppo  è  costituito  da  testi  con  un  numero  più  alto  di  inserzio- 
ni, anche  di  maggiore  ampiezza,  con  casi  di  forte  interferenza,  sintag- 
mi 'misti',  forme  lessicali  ibride,  e  un  uso  del  dialetto  non  sempre  do- 
tato di  funzionalità.  Semplificando  un  quadro,  nella  realtà  molto  più 
articolato  e  sfumato,  da  un  lato  potremmo  considerare  il  dialetto  come 
scelta  —  non  sempre  consapevole  e  talvolta  automatizzata  —,  ma  alter- 
nativa ad  altre  varietà  del  repertorio;  dall'altro  come  codice  costituti- 
vamente presente  anche  nelle  varietà  di  italiano.  Ovviamente,  su  que- 
ste due  modalità  di  uso  del  dialetto  hanno  forte  influenza  non  solo  il 
grado  di  istruzione  e  la  lingua  di  socializzazione  primaria,^^  ma  anche 
il  legame  quotidiano  con  il  paese,  più  forte  nel  caso  degli  ultimi  tre 
parlanti,  vincolati  ad  esso  anche  da  un  punto  di  vista  lavorativo.  Non 
sembra  rilevante  invece  il  fattore  età,  parametro  molto  importante  di 
tipo  predittivo. 

6.  Dialetto  e  auto  valutazioni 

A  questo  punto  è  interessante  paragonare  i  dati  linguistici  con  ciò  che  i 
parlanti  dicono  circa  l'uso  delle  varietà.  Il  grafico  (1)  rappresenta  la  me- 
dia percentuale  dell'uso  di  italiano  e  dialetto  in  una  serie  di  contesti  co- 
municativi raggruppati  in  tre  macro-domini,  familiare,  pubblico  informale 
e  pubblico  formale: 


^^  Oltre  a  tutti  i  parlanti  del  secondo  gruppo,  dicono  di  avere  imparato  il  dialetto  prima 
dell'italiano  anche  Pina  e  Nina. 

257 


Grafîco  1:  Contesti  d'uso 


y 

/ 

22 

A 

6 

■  entrambi 

■  dialetto 

■  italiano 


pubblico  informale 
Domini 


pubblico  formale 


Nel  dominio  familiare  non  è  di  molto  prevalente  l'uso  esclusivo  dell'i- 
taliano sull'uso  esclusivo  del  dialetto.  Delle  diverse  variabili  che  rientra- 
no in  questo  dominio,  emerge  ad  esempio  che  quella  relativa  al  fattore 
'età'  influisce  notevolmente  sugli  usi  linguistici  intemi  alla  famiglia  dove 
vige  un  modello  di  comunicazione  asimmetrica  per  cui  con  le  persone  an- 
ziane domina  l'uso  quasi  esclusivo  del  dialetto,  con  i  genitori  il  dialetto  o 
entrambi  i  codici,  mentre  con  i  bambini  è  generalizzato  l'uso  esclusivo 
dell'italiano.  Con  i  fratelli  prevale  l'uso  alternato,  e  solo  due  informatrici 
dichiarano  di  parlare  esclusivamente  dialetto.  Diversamente,  affermano  di 
usare  l'italiano  Anna  e  Vito,  ma  sembra  trattarsi  di  casi  particolari.-^^ 

Il  dominio  pubblico  informale  vede  la  dominanza  dell'italiano  ed  è  as- 
solutamente raro  l'uso  esclusivo  del  dialetto  che  diventa  rilevante  solo 
con  eventuali  interlocutori  dialettofoni.  Con  gli  amici,  in  particolare,  si  ri- 
corre soprattutto  al  dialetto  o  ad  entrambe  le  varietà: 


Renato 

Silvio 

Pina 

Olga 

Rita      Nina 

Anna 

Sonia 

Dario 

Vito 

Con  gli  amici 

D 

D 

D 

I 

D/I 

D/I 

D 

D/I 

I 

D/I 

Soltanto  Olga  e  Dario  affermano  di  parlare  esclusivamente  italiano 
con  gli  amici.  Nel  caso  di  Dario  tale  risposta,  insieme  ad  altre  molto 


■^^  Anna  afferma  di  parlare  italiano  con  un  fratello  da  tempo  emigrato  in  America,  con 
il  quale  il  ricorso  al  dialetto  così  come  all'inglese  produce  imbarazzo.  Vito  usa  l'italiano 
con  la  sorella,  a  suo  dire,  esclusivamente  italofona. 

258 


orientate  sull'uso  dell'italiano,  è  in  contrasto  con  i  dati  linguistici.  Evi- 
dentemente il  particolare  valore  socio-simbolico  attribuito  al  dialetto,  e  la 
controparte  in  termini  di  status,  interferiscono  sulla  rappresentazione  del 
proprio  comportamento  linguistico.  Tale  atteggiamento,  piuttosto  diffuso 
nella  fascia  di  età  nella  quale  rientra  l'informatore,  risente  della  connota- 
zione negativa  e  della  censura  praticati  sul  dialetto  anche  all'interno  della 
famiglia  di  origine,  a  dialettofonia  dominante. 

Nei  reticoli  comunicativi  del  dominio  pubblico  formale  gli  informatori 
dicono  di  fare  un  uso  quasi  esclusivo  dell'italiano.  Risulta  ad  esempio  che 
con  gli  estranei  si  ricorre  all'italiano,  mentre  con  estranei  che  parlano  in 
dialetto,  l'uso  del  dialetto  sale  al  50%,  valore  maggiore  di  quello  registra- 
to nell'interazione  con  i  conoscenti  del  paese.  La  varietà  dell'interlocuto- 
re è  un  elemento  che  condiziona  fortemente  la  scelta  del  codice. 

Il  quadro  così  delineato  indica  una  dominanza  crescente  dell'italiano 
con  l'aumentare  della  formaUtà  del  dominio.  Un  ruolo  marginale  sembra 
occupare  l'uso  contemporaneo  di  dialetto  e  lingua,  un  comportamento 
linguistico  che  ci  saremmo  aspettati  piiì  vitale  nel  dominio  di  mezzo,  nel 
quale  rientrano  contesti  più  formali  ma  comunque  locali  (negozi,  uffici 
pubblici  etc.).  Nei  rihevi  Istat  (2002:105-106)  tale  comportamento  pre- 
senta un  trend  di  crescita  dagli  anni  Ottanta  ad  oggi,  sia  in  famiglia  che 
con  gli  amici,  e  nell'Italia  meridionale  risulta  la  modahtà  di  comunicazio- 
ne in  assoluto  più  frequente. 

Dominio  della  dialettofonia,  oltre  la  famiglia,  risulta  quello  del 
gruppo  dei  pari,  in  cui  l'uso  del  dialetto  aumenta  nei  contesti  comuni- 
cativi più  informali.  Tale  dato  trova  un  forte  riscontro  nella  qualità  del 
parlato  naturale  registrato  in  maniera  occulta.  Nel  campione  si  regi- 
strano tuttavia  modelli  di  interazione  molto  diversificati  da  individuo 
ad  individuo:  alcuni  parlanti  interagiscono  esclusivamente  in  una  va- 
rietà dialettale,  talvolta  commutando  verso  l'italiano  in  relazione  al- 
l'interlocutore o  al  contesto,  altri  tendono  più  verso  il  polo  dell'italia- 
no regionale  con  accentuati  fenomeni  di  code-switchìng.  Rare  sono  le 
interazioni  completamente  in  italiano. 

7.    Sulla  qualità  del  dialetto 

I  dati  delle  traduzioni  sembrano  confermare  che  il  dialetto  locale,  ca- 
ratterizzato rispetto  al  napoletano  dalla  presenza  di  peculiari  fenomeni  fo- 
netici e  morfologici,^^  non  sia  più  vitale.  Durante  la  traduzione  l'attenzio- 

^^  Per  una  rassegna  sui  principali  fenomeni  linguistici  dell'area,  cfr.  Somicola  2002. 

259 


ne  dei  parlanti  è  stata  sollecitata  su  una  serie  di  parole  bandiera,  nonché 
su  tratti  morfologici  e  fonetici  locali  molto  marcati,  e  gli  informatori,  qua- 
si unanimemente,  hanno  attribuito  tali  tratti  al  dialetto  arcaico.  Essi  con- 
cordano nell'indicare  come  unici  depositari  dell'antica  varietà  gli  anziani 
di  una  micro-area  del  paese.  Case  Vecchie,  sede  originaria  dell'insedia- 
mento di  tipo  urbano  e  borghese.  Spie  del  fatto  che  la  realtà  non  sia 
così  compatta  emergono  tuttavia  in  più  luoghi  dell'analisi.  Nell'insie- 
me di  frasi  frammiste  durante  l'intervista  vi  sono  alcuni  tipi  del  dialet- 
to con  fenomeni  di  rotacismo  (sia  di  /11/  che  di  /d/),  propri  della  va- 
rietà locale: 

(22)  Non  ha  voluto,  rifiutò,  detto  [i  ra  matina  m  âdd^a.  i  a  ff a  a 
pijkaita]  DARIO 

(23)  Vorresti  che  i  tuoi  figli  imparassero  il  dialetto!  Ikira  dd3a  e 
ddiffijile  che  s  ampara]  l'italiano  corretto  /  figuriamoci  se  impara 
l'it.. . .  /  cioè  è  molto  remota  questa  possibilità  viro 

Inoltre,  il  dialetto  utilizzato  dai  giovani  in  contesto  naturale,  in  parti- 
colare da  alcuni  parlanti,  è  più  vicino  alla  varietà  degli  anziani  rispetto  a 
quanto  sostenuto  dai  più.  Compaiono,  ma  con  frequenze  ridotte,  fenome- 
ni locali,  tra  i  quali:  (a)  realizzazione  più  chiusa  delle  vocali  medie;  (b) 
rotacismo  di  /d/;  (e)  rotacismo  di  /11/  nei  dimostrativi;  (d)  3^  persona  del 
verbo  essere  in  je;  (e)  imperfetto  in/ova,  articolo  maschile  in  u: 

a    aro  1  add3a  mette 
b    a  kki  a  ra  metta 

e     a  dd38nt9  kka  bbajing  kka  un  s  adda  appu  ja  vijins  a  kkera 

koss 
d    ma  ki  kattsa  je  ka  fa  i  tuffa  ma  kista  so  JJjema] 
e    ma  nui  'fovana  ccu  ppresenta  allor  u  lavora  nwosts  e  ccu  vvi- 

sibbib  ra  11  ata 

Sono  stati  citati  tali  fenomeni,  perché  sembra  piuttosto  singolare  che 
alcuni  di  essi  siano  presenti  anche  alla  competenza  metalinguistica  dei 
parlanti.  Il  fatto  cioè  che  un  tratto  sia  identificato  come  locale  e  arcaico, 
non  sembra  decretarne  necessariamente  la  sua  emarginazione  dall'uso.  Di 
contro,  non  sono  stati  registrati  casi  di  palatalizzazione  di  /a/  tonica 
i'petdma  'mio  padre'),  né  di  delateralizzazione  di  /11/  (vaddina  'gallina'), 
due  fenomeni,  fortemente  stereotipizzati,  già  rari  nel  parlato  delle  intervi- 
ste con  gli  anziani. 

L'impressione  scaturita  dall'analisi  del  parlato  naturale  conferma,  a  li- 
vello tendenziale,  il  modello  di  cambiamento  ipotizzato  per  la  generazio- 
ne anziana  nei  cui  testi  si  osserva  una  rarefazione  dei  tratti  più  locali  a  fa- 

260 


vore  di  una  varietà  dialettale  pili  neutra.  Contrariamente  alle  opinioni  dei 
parianti,  sembrano  tuttavia  effettivamente  retrocessi  solo  alcuni  dei  tratti 
arcaici  (palatalizzazione  di  /a/,  delateralizzazione  di  /\\P),  mentre  altri 
continuano  a  galleggiare,  con  frequenze  diverse  nell'uso  meno  monitora- 
to. 

La  rarefazione  dei  tratti  del  dialetto  locale  produce  dunque  una  sorta 
di  'naturale'  convergenza  verso  il  napoletano  che  di  fatto  costituisce  a 
pieno  titolo  una  delle  varietà  dialettali  di  Monte  di  Precida.  Proprio  per 
tali  ragioni  risulta  difficile  inquadrare  i  movimenti  che  si  percepiscono  al- 
l'interno del  repertorio  nei  termini  di  un  processo  di  'napoletanizzazione': 
la  varietà  di  dialetto,  in  minor  misura  connotata  in  senso  locale,  sembra 
parte  autonoma  del  repertorio  locale.  Il  napoletano,  configurandosi  come 
una  potenzialità  intema  al  dialetto  stesso,  potrebbe  godere  perciò  di  una 
maggiore  capacità  di  penetrazione  nei  livelli  più  profondi  della  lingua,  a 
differenza  dell'italiano  che  agisce,  oltre  che  sul  piano  lessicale,  soprattut- 
to su  quello  fonetico.  Un  caso  interpretabile  come  un  fenomeno  'attivo'  di 
spostamento  verso  il  napoletano  può  essere  individuato  nella  sostituzione 
di  una  forma  verbale  del  dialetto  locale  -  per  sviluppo  autonomo  piìi  si- 
mile all'italiano  che  al  dialetto  -  con  un  variante  napoletana.  Si  tratta  del- 
la prima  persona  del  verbo  'avere',  realizzato  in  montese  dal  tipo  'o',  che 
in  funzione  di  ausiliare,  diversamente  dall'italiano,  non  induce  rafforza- 
mento fonosintattico  sulla  prima  consonante  del  verbo  lessicale  seguente: 
o  fatta  'io  ho  fatto'. ^°  Il  dato  rilevante  a  proposito  è  costituito  dalla  netta 
recessione  del  tipo  verbale  locale  a  favore  della  forma  napoletana  aggio 
in  tutti  i  contesti  di  intervista.  In  tal  caso  'la  norma  dialettale'  si  distanzia, 
piuttosto  che  uniformarsi,  al  modello  dello  standard. 


8.  Conclusioni 

Complessivamente,  il  processo  di  riduzione  dei  tratti  più  locali  del 
dialetto,  constatato  anche  a  livello  diagenerazionale,  sembra  spingere  ver- 
so la  formazione  di  una  varietà  dialettale  naturalmente  più  convergente 
verso  il  napoletano,  mentre  rari  sono  i  fenomeni  attivi  di  'napoletanizza- 
zione'. L'osservazione  del  parlato  naturale  ha  messo  in  evidenza  che  in 
contesti  comunicativi  completamente  naturali,  i  tratti  del  dialetto  locale 
compaiono  anche  nei  testi  di  parlanti  più  giovani.  Per  alcuni  versi  si  regi- 

2^  Radtke  (1995:50)  ritiene  che  siano  colpiti  dalla  recessione  soprattutto  gli  sviluppi 
pili  recenti  dei  dialetti  e  tra  questi  annovera  in  Campania  il  rotacismo  di  /d/. 
30Cfr.AIS,cc.  887,  913,  1107. 

261 


stra  dunque  un  movimento  verso  la  complicazione  delle  varietà  del  reper- 
tono  sul  versante  dialettale,  piuttosto  che  un  processo  rettilineo  di  'napo- 
letanizzazione'^'. 

In  relazione  all'uso  è  stato  osservato  un  cambiamento  nel  rapporto  tra 
i  codici  in  contesto  di  intervista,  rispetto  a  quanto  constatato  con  i  parlanti 
anziani.  Se  infatti  per  informatori  oltre  i  sessantacinque  anni,  la  varietà 
dominante  delle  interviste  è  il  dialetto,  per  parlanti  di  età  inferiore  ai  qua- 
ranta anni,  è  l'italiano.  Il  numero  delle  inserzioni  in  dialetto  è  esiguo  e  il 
code-switching  appare  come  uno  'stile'  conversazionale  sociolinguistica- 
mente  marcato.  Si  individuano,  da  un  lato  parlanti  che  usano  il  dialetto 
soprattutto  o  esclusivamente  in  strutture  frasali;  dall'altro,  parlanti  nei  cui 
testi  il  dialetto  'affiora'  anche  in  strutture  di  rango  inferiore  e  in  categorie 
lessicah.  Su  queste  due  modalità  hanno  forte  influenza  il  grado  di  istru- 
zione, la  lingua  di  socializzazione  primaria,  il  tipo  di  legame  con  la  realtà 
locale,  ma  non  l'età. 

Il  dialetto  conserva  una  serie  di  ambiti  privilegiati,  soprattutto  in  fami- 
glia, in  contesti  e  con  interlocutori  locali,  dunque  come  lingua  dell' m- 
group.  Sembrerebbe  trattarsi  dunque  di  un  rapporto  piuttosto  consolidato 
tra  i  codici,  tuttavia  le  rigide  restrizioni  che,  secondo  i  parlanti,  operano 
lungo  la  linea  generazionale  (in  linea  di  massima  si  parla  in  dialetto  con 
gli  anziani  e  italiano  con  i  figli),  insieme  ad  un  processo  di  culturalizza- 
zione  del  dialetto  (bisogna  impararlo  perché  rappresenta  le  nostre  radici), 
farebbero  pensare  cambiamenti  imminenti.  Com'è  noto,  infatti,  l'interru- 
zione della  trasmissione  ai  propri  discendenti  segna  l'inizio  del  processo 
di  decadimento  di  una  lingua  (Winford  2003:261):  sarà  così  anche  in  que- 
sto caso? 


31  Cfr.  Radtke  (1995). 
262 


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Tra  lingua  e  dialetto:  affinità  e  discrepanze  nel  parlato  bi- 
lingue e  monolingue  dei  testi  di  alcuni  parlanti  di  area  fle- 
grea 

Emma  Milano  (Napoli) 


1 .  Il  caso  di  Bagoli:  aspetti  problematici  della  definizione  di  varietà 

Questo  contributo  è  parte  di  una  più  ampia  ricerca  finalizzata  a  studia- 
re il  rapporto  tra  lingua  e  dialetto,  nei  testi  di  parlato  semi- spontaneo  di 
un  campione  di  parlanti •  del  borgo  antico  di  Bacoli,  uno  dei  comuni  del- 
l'area flegrea.-^  In  tale  area  il  susseguirsi  di  fasi  di  alterna  fortuna,  l'intri- 
cata dinamica  di  relazioni  tra  i  punti,  un  complesso  rapporto  con  Napoli 
hanno  avuto  rilevanti  effetti  sul  piano  linguistico.  Sono  infatti  numerosi  i 
tratti  linguistici  non  rinvenuti  nella  varietà  napoletana  contemporanea,-^ 
che  manifestano  una  certa  vitalità  e  autonomia  delle  varietà  flegree  rispet- 
to al  modello  'egemonico'  del  capoluogo."*  Tanto  che  a  caratterizzare  in 
senso  unitario  l'area  da  un  punto  di  vista  linguistico  sembrerebbe  essere 
proprio  la  'resistenza'  generalizzata  al  modello  napoletano.^ 

Nel  panorama  complessivo  dell'area  Flegrea,  Bacoli  si  impone  con 
una  serie  di  specificità.  A  differenza  delle  altre  località,  caratterizzate  da 
vicende  di  frattura  e  continuità,  se  non  di  rivalità,  con  Napoli,  come  nel 


'  Il  campione  complessivo  è  costituito  da  14  informatori,  con  un'età  ed  un  livello  di 
istruzione  variabile,  appartenenti  ad  un  unico  gruppo  familiare  esteso. 

^  Bacoli,  posto  a  22  km.  a  sud  di  Napoli,  occupa  una  superficie  di  Km^  13,29,  com- 
prende, dal  punto  di  vista  antmiinistrativo,  numerose  frazioni  (Miseno,  Baia,  Miliscola  Li- 
do, Fusaro,  ecc.)  ed  ha  attualmente  circa  27.000  abitanti  (cfr.  ISTAT  1/1/2000). 

3  Cfr.  tra  gli  altri  De  Blasi,  Fanciullo  2002,  Radtke  1997. 

"*  Sulla  controversa  egemonia  del  napoletano  vedi  Radtke  2002:  33.  De  Blasi  e  Fan- 
ciullo 2002:  628-629. 

5  Cfr.  Somicola  2002:136-141. 

265 


caso  di  Pozzuoli,  Bacoli  sembra  infatti  avere  avuto  ed  avere  tuttora  un 
rapporto  privilegiato  e  continuo  con  la  città.^  La  ricaduta  di  questi  fattori 
socio-storici  sul  piano  linguistico  è  evidente.  La  varietà  dialettale  locale  è 
all'interno  della  zona  flegrea  quella  con  un  minor  numero  di  tratti  che 
scartano  rispetto  al  capoluogo.^ 

In  questa  ottica  l'area  flegrea  nel  suo  complesso  e  Bacoli  all'interno  di 
questa  rappresentano  un  interessante  esempio  di  variazione  intema  ad  una 
microarea  e  forniscono  inoltre  una  buona  esemplificazione  delle  questioni 
connesse  allo  studio  dei  fenomeni  di  contatto  e  di  convergenza 
lingua/dialetto.^ 

Come  è  noto,  lo  studio  di  tali  fenomeni  pone  una  serie  di  problemi  di 
non  facile  risoluzione.  La  vicinanza  strutturale  tra  le  varietà  e  la  situazio- 
ne di  contatto  prolungato  determinano  infatti  la  formazione,  da  una  parte, 
di  varietà  di  dialetto  italianizzato  e  di  italiano  dialettizzato  e,  dall'altra,  di 
forme  linguistiche  dubbie  in  quanto  all'appartenenza  all'una  o  all'altra 
varietà  (omofoni,  ibridismi,  ecc.).^  Le  ripercussioni  di  questi  fattori  sul 
piano  metodologico  e  descrittivo  si  manifestano  in  termini  di:  1.  difficoltà 
di  stabilire  netti  confini  tra  le  varietà;  2.  difficoltà  di  attribuzione  delle 
forme  ad  una  varietà  o  l'altra;  3.  difficoltà  di  discernimento  tra  i  diversi 
fenomeni.  La  distanza  strutturale  tra  dialetto  e  lingua  può  inoltre  variare  e 
ciò  ha  inevitabili  conseguenze  sulla  struttura  del  repertorio  comunitario  e 
sui  fenomeni  di  contatto,  rendendo,  in  taluni  casi,  ulteriormente  comples- 
sa la  discretizzazione  delle  varietà  in  contatto  e  l'attribuzione  delle  singo- 
le varianti  ad  una  varietà  o  all'altra. 

A  ben  guardare  il  rapporto  di  parziale  sovrapposizione  del  bacolese 
con  il  napoletano  per  esempio  è  più  controverso  di  quanto  appaia  a  prima 
vista.  Esaminiamo  esemplificativamente  a  questo  proposito  il  settore  del- 
la morfologia  degli  articoli.  Come  è  noto,  in  napoletano  le  forme  attual- 
mente prevalenti  dell'articolo  determinativo  sono  al  maschile  singolare  o 
e  al  maschile  e  femminile  plurale  e,  affermatesi  nel  secolo  scorso  dopo 


^  A  questo  proposito  cfr.  Melchiorri  1989  e  Galasso  1987. 

^  I  fenomeni  che  caratterizzano  il  bacolese  e  non  sono  attestati  in  napoletano  in  sincro- 
nia, oltre  ad  una  particolare  intonazione,  sono:  la  forma  del  perfetto  latino  per  esprimere  la 
funzione  dell'imperfetto  (il  tipo  'fo'),  la  palatalizzazione  della  a  tonica  nel  verbo  'avere' 
(il  tipo  'eggia'),  l'inserto  velare  nella  prima  persona  del  presente  (il  tipo  'mekka'),  la  for- 
ma di  articolo  determinativo  con  attacco  vocalico  (il  tipo  'all'uocchi'). 

^  11  territorio  di  Bacoli  presenta  inoltre  al  suo  intemo  una  notevole  variazione  diatopi- 
ca. 

"^  Cfr.  Berruto  1987:  169-70. 

266 


aver  superato  la  concorrenza  di  'u,  e  '/.'^  In  bacolese  invece,  studi  volti  a 
descrivere  la  varietà  di  base  attestano  per  il  maschile  singolare  u  e  per  il 
plurale  maschile  e  femminile  /.''  In  realtà,  così  come  in  alcune  varietà 
diastratiche  e  diatopiche  del  napoletano  le  forme  u  e  /  sembrerebbero  es- 
sersi conservate  a  fianco  delle  prevalenti  o  e  e,  analogamente  i  dati  rac- 
colti in  un'ottica  variazionistica  mostrano  nel  borso  antico  di  Bacoli.  in 
coovariazione  alle  forme  u  e  /,  anche  le  forme  o  e  e'^.  Per  alcuni  parlanti 
del  nostro  campione,  le  varianti  o  e  e  risultano  in  verità  dominanti.  Relati- 
vamente al  maschile  plurale  peraltro,  la  variante  /  occorre  spesso  in  con- 
testi ambigui  in  quanto  all'attribuzione  all'italiano  o  al  dialetto:  [tja  stavan 
i  soldata]. 

Se  gli  ambiti  di  convergenza  e  di  divergenza  con  il  napoletano  risulta- 
no di  difficile  demarcazione,  il  rapporto  con  l'italiano  non  appare  meno 
complesso.  I  due  aspetti  sono  peraltro  strettamente  correlati,  come  dimo- 
stra il  rischio  da  un  punto  di  vista  descrittivo  di  considerare,  in  base  al- 
l'affinità con  il  napoletano,  come  non  dialettale  qualsiasi  forma  divergen- 
te dal  napoletano  e  coincidente  con  l'italiano,  attribuendo  all'italiano 
quello  che  invece  potrebbe  essere  uno  sviluppo  indipendente  del  dialetto 
locale  in  una  direzione  conforme  all'italiano. 

Un  esempio  di  fenomeno  di  apparente  convergenza  con  l'italiano  è  il 
trattamento  delle  vocali  atone  in  posizione  pre-  e  post-tonica.  Nel  corpus 
bacolese,  tranne  che  in  posizione  finale  di  parola,  tali  vocali  non  sembra- 
no subire  i  processi  di  centralizzazione  caratteristici  del  napoletano.  Poi- 
ché l'esito  in  molti  casi  è  coincidente  con  la  forma  italiana,  tale  fenomeno 
potrebbe  sembrare  effetto  di  processi  di  italianizzazione.  Questa  ipotesi 
viene  però  messa  in  discussione  in  quanto  uno  dei  tratti  piti  fortemente 
caratterizzanti  del  dialetto  bacolese,  fortemente  stigmatizzato,  è  una  parti- 
colare intonazione  dovuta  proprio  ad  allungamenti  vocalici  delle  pre-  e 
post-toniche.'^ 

Se  stabilire  confini  netti  tra  le  varietà  è  un'operazione  complessa,'^ 
non  meno  ardua  risulta  peraltro  l'attribuzione  delle  forme  all'una  o  l'altra 
delle  varietà  in  contatto.  Un  esempio  lo  rinveniamo  nell'enunciato  sopra 

'0  Cfr.  De  Blasi  2002:  112. 

"  Cfr.  Costigliela  2004. 

'2  Cfr.  Retaro  2005. 

'^  Nel  corso  di  un'inchiesta  di  dialettologia  soggettiva  condotta  in  area  flegrea  i  par- 
lanti bacolesi  non  hanno  esitato  a  riconoscere  la  loro  varietà  proprio  in  base  all'intonazio- 
ne. (Cfr.  Como,  Milano.  Puolato  2002). 

''^  Qualora  si  vadano  a  guardare  i  dati  di  parlato  in  un'ottica  variazionistica.  ci  si  im- 
batte nel  dinamismo  delle  varietà  in  contatto  e  i  contomi  delle  varietà  si  confondono. 

267 


menzionato  [tfa  stavan  i  soldats]  in  cui  il  problema  dell'attribuzione  del- 
l'articolo non  sembra  risolversi  in  maniera  indubbia  attraverso  il  cote- 
sto. ^^  La  forma  verbale  che  precede  il  determinante,  infatti,  scarta  sia  dal- 
l'italiano, per  la  centralizzazione  della  postonica  e  delle  atone  finali,  che 
dal  napoletano,  per  la  conservazione  della  a  tonica;  analogamente  nel  ca- 
so del  nominale  soldati,  l'assenza  di  centralizzazione  per  la  pretonica  e  di 
rotacismo  farebbero  propendere  per  l'italiano,  mentre  la  centralizzazione 
dell'atona  finale  per  il  dialetto.  Considerato  che  in  italiano  parlato  il  feno- 
meno della  centralizzazione  dell'atona  finale  è  piuttosto  generalizzato,  si 
potrebbe  attribuire  tale  tratto  all'italiano  parlato  regionale  campano.'^  In 
questa  prospettiva  però,  se  per  il  nominale  [soldato],  che  risulta  caratteriz- 
zato dalla  cooccorrenza  di  più  tratti  connotati  come  italiani,  possiamo 
propendere  per  l'attribuzione  all'italiano  regionale,  nel  caso  di  [tja 
stavanl'M' attribuzione  rimane  dubbia.'^ 

In  casi  come  quelli  sopra  riportati,  compito  dell'analista  forse  è  pren- 
dere meramente  atto  della  coalescenza  su  uno  stesso  segmento  di  tratti  di- 
versamente connotati.  Che  una  forma  possa  apparire  più  connotata  di 
un'altra  in  senso  dialettale  o  italiano  è  infatti  un  dato  incontrovertibile. 
Quanto  tale  dato  rifletta  la  statuto  della  forma  nella  mente  del  parlante  è 
ovviamente  tutta  un'altra  questione. 

Lo  scarto  tra  il  livello  del  repertorio  comunitario  e  quello  del  reperto- 
rio individuale  del  singolo  parlante  è  in  verità  un  aspetto  cruciale  in  que- 
sto ambito  di  riflessione.  La  necessità  di  ripensare  una  serie  di  questioni 
dalla  parte  del  parlante  è  stata  ultimamente  percepita  come  prioritaria  nel- 
la consapevolezza  che:  "...  languages  do  not  do  things;  people  do  things, 
languages  are  abstractions  from  what  people  do."'*^  A  proposito  dell'equi- 
valenza strutturale  per  esempio  è  stato  di  recente  messo  in  evidenza  come 
l'idea  che  la  commutazione  sia  permessa  laddove  c'è  congruenza  tra  le 

'^  La  forma  viene  attribuita  alla  stessa  varietà  a  cui  appartiene  il  costituente  maggiore 
di  cui  essa  è  membro,  o  allo  stessa  varietà  a  cui  appartengono  i  costituenti  alla  sua  destra  e 
alla  sua  sinistra  (cfr.  Berruto  1985:  71). 

'^  De  Blasi,  Fanciullo  (2002:  644)  considerano  infatti  la  centralizzazione  dell'atona  fi- 
nale tra  i  fenomeni  caratterizzanti  l'italiano  regionale  campano. 

'^  Oltre  alle  atone  finali,  ad  aver  subito  centralizzazione  in  questo  esempio  è  anche  la 
postonica. 

'^  Spesso  un  indizio  dirimente  viene  fornito  dall'analisi  microscopica  del  singolo  te- 
sto. Ai  fini  dell'attribuzione  per  esempio  del  tratto  della  centralizzazione  della  atona  finale 
sono  risultate  rilevanti,  oltre  al  contesto  di  occorrenza,  caratteristiche  quali  per  esempio  le 
abitudini  articolatorie  del  singolo  parlante. 

'■^  Le  Page  /  Tabouret-Keller  1985:  188. 

268 


strutture  presuppone  che  ci  sia  un  "objective  measure  of  équivalence 
between  them".  In  realtà  invece  "équivalence  is  constructed  by  individuai 
speakers". 20  A  questo  proposito  un  ulteriore  aspetto  con  cui  fare  i  conti  è 
peraltro  quello  della  variazione  intra-individuale.  Il  fatto  che  il  pariante 
non  sia  un'entità  monolitica  emerge  infatti  con  una  certa  evidenza  ogni 
qualvolta  si  analizzino  dati  di  parlato  spontaneo.  L'esigenza  di  approfon- 
dire tale  versante  della  variazione  è  non  a  caso  affiorata  negli  ultimi  tempi 
con  urgenza  anche  negli  studi  sul  contatto  linguistico.  2' 


2.  La  ricerca 

Il  centro  storico  di  Bacoli  presenta,  per  la  continuità  storica  degli  inse- 
diamenti, un  interessante  caso  di  sovrapposizione  di  fattori  di  moderniz- 
zazione e  elementi  della  tradizione,  e  dunque  si  offre  come  un  osservato- 
rio privilegiato  per  la  descrizione  dei  meccanismi  e  degli  ambiti  di  pene- 
trazione dell'italiano  in  un  'ambiente  di  vocazione  dialettale'.  I  testi  rac- 
colti sono  infatti  prodotti  da  parianti  che  hanno  il  dialetto  come  lingua 
madre  e  l'italiano  come  seconda  lingua. 

Le  interviste  sono  state  condotte  in  contesto  familiare  grazie  ad  un  in- 
sider.  Considerati  la  struttura  ancora  tradizionale  del  borgo  e  il  valore  da- 
to nella  vita  quotidiana  ai  vincoli  di  parentela,  di  vicinato  e  di  gruppo,  il 
nucleo  familiare  ha  rappresentato  un'unità  di  rilevazione  di  notevole  inte- 
resse.22 

In  quest'occasione  si  intende  esaminare  soprattutto  il  versante  dell'ita- 
liano, esemplificando  la  tipologia  delle  questioni  emerse  nel  corso  del- 
l'indagine attraverso  i  testi  prodotti  da  tre  parianti  anziane  con  livello  di 
istruzione  elementare.  A  partire  dalla  condivisione  di  una  serie  di  caratte- 
ristiche, quali  lo  status  socio-economico,  il  livello  di  scolarizzazione  e  per 
molti  versi  anche  uno  stesso  background  e  uno  stesso  sistema  di  valori,  le 
tre  donne  in  questione  presentano  una  serie  di  fattori  di  differenziazione 
di  natura  micro-sociolinguistica  che  come  vedremo  hanno  un  peso  parti- 
colarmente rilevante.  L'intento  descrittivo  era  esaminare  l'italiano  pariato 
nel  quartiere  piti  conservativo  di  Bacoli,  in  una  fascia  di  parlanti  in  via  di 
ipotesi  più  conservativa,  in  considerazione  di  variabili  quali  sesso,  età  e 
livello  di  scolarizzazione.  Le  tre  informatrici  sembrano  infatti  presentare 


^oSebbalQQS. 

21  Cfr.  Gardner-Chloros  1995:  86. 

2-  A  caratterizzare  l'esperienza  dello  spazio  del  borgo  marinaro  di  Cento  Camerelle  è 
infatti  "una  struttura  di  relazioni  comunitarie  piuttosto  integrate"  (Melchiorri  1989:  183). 

269 


in  maniera  esemplare  alcune  caratteristiche  testuali  che  si  manifestano  an- 
che negli  altn  testi  in  maniera  'più  contaminata'.  La  loro  condizione  di 
parlanti  di  italiano  come  seconda  lingua  è  meno  problematica  che  per  altri 
poiché  il  contatto  con  l'italiano  è  avvenuto  piuttosto  tardi  e  i  contesti  e  i 
meccanismi  di  apprendimento  sono  stati  più  circoscritti  e  limitati.  A  parità 
di  condizioni  macro-sociolinguistiche  esse  inoltre  presentano  uno  spettro 
di  variazione  particolarmente  ampio  e  dunque  confermano  la  necessità  di 
potenziare  un  ambito  della  ricerca  sociolinguistica,  quello  della  variazio- 
ne individuale,  ancora  troppo  poco  consolidato. 

I  testi  analizzati  si  collocano  nell'ambito  di  un  continuum  i  cui  estremi 
sono  rappresentati  da  testi  dialettali  in  cui  la  presenza  dell'italiano  è  limi- 
tata a  inserti  di  estensione  variabile  e,  all'altro  estremo,  testi  itahani  in  cui 
il  dialetto  è  presente  attraverso  inserzioni  di  ampiezza  ridotta. 

Obiettivo  deir indagine  è  stato  studiare  la  presenza  dell'italiano  nel 
corpus  da  un  punto  di  vista  quantitativo  e  qualitativo.  L'unità  di  rilevazio- 
ne e  di  analisi  è  stata  il  parlante. 

La  prima  fase  dello  studio  ha  riguardato  l'analisi  di  tutti  i  'frammenti'  di 
italiano  presenti  nei  brani  di  base  dialettale.  Trattandosi  di  segmenti  di  diversa 
estensione,  si  è  proceduto  alla  loro  catalogazione  in  base  al  tipo  lessicale  e 
morfosintattico  e  alla  categoria  strutturale.  In  una  seconda  fase  del  lavoro  so- 
no stati  analizzati  tutti  i  frammenti  dialettali  prodotti  all' intemo  di  enunciati 
di  base  italiana.  Considerato  che  obiettivo  della  ricerca,  piuttosto  che  studiare 
le  dinamiche  del  contatto  linguistico,  era  descrivere  e  analizzare  l'italiano, 
l'analisi  di  questo  versante  della  produzione  linguistica  ha  avuto  un  ruolo  au- 
siliario. In  altre  parole  se  la  prima  sezione  dell'indagine  ha  evidenziato  gU 
ambiti  di  penetrazione  dell'italiano  nel  'tessuto'  dialettale,  dalla  seconda  sono 
emerse  le  aree  di  resistenza  del  dialetto  all'intemo  del  'tessuto'  italiano.  Suc- 
cessivamente sono  state  anahzzate  le  caratteristiche  sintattico-testuali  di  tutti  i 
'pezzi'  di  italiano  prodotti  dalle  nostre  informatrici,  al  fine  di  accertare  in  che 
modo  si  caratterizzasse  l'italiano  parlato  dai  nostri  informatori  ed  eventual- 
mente individuare  delle  possibili  correlazioni  tra  tipologia  di  commutazioni  e 
tipo  di  italiano.  L'anahsi  comparativa  di  alcuni  aspetti  sintattico-testuali  del 
dialetto  parlato  ha  permesso  infine  di  distinguere  alcuni  fenomeni  che  caratte- 
rizzano il  testo  a  prescindere  dalla  varietà  prodotta  e  che  sono  ascrivibili  allo 
'stile'  o  alla  "personalità'  Unguistica  del  parlante,  da  altri  che  sembrano  invece 
rientrare  neUe  strategie  di  gestione  delle  diverse  varietà.  Considerato  che  le 
nostre  informatrici  hanno  tutte  acquisito  l'italiano  come  seconda  lingua,  un 
aspetto  che  rivestiva  per  noi  un  certo  interesse  era  verificare  se.  e  fino  a  che 
punto,  i  pattems  sintattico-testuaU  della  prima  lingua  permanessero  nella  se- 
conda. 

270 


L'esigenza  di  stabilire  un  contatto  tra  gli  studi  di  produzioni  linguisti- 
che interferite  e  quelli  su  produzioni  linguistiche  non  interferite,  ovvero 
tra  il  discorso  bilingue  e  il  discorso  monolingue,  è  stata  ultimamente  av- 
vertita in  un'ottica  funzionale. -''  Con  l'obiettivo  di  studiare  come  partico- 
lari effetti  conversazionali  vengono  raggiunti  attraverso  il  discorso  mono- 
lingue e  bilingue,  sono  stati  per  esempio  analizzati  alcuni  fenomeni  sin- 
tattico-testuali  (ripetizioni,  citazioni  ecc.)  nei  discorsi  monolingui  e  bilin- 
gui prodotti  da  uno  stesso  parlante,  nella  stessa  situazione  comunicativa. 
Nello  studio  qui  presentato,  il  confronto  è  stato  invece  stabilito  in  un'otti- 
ca strutturale^'*. 

Lo  statuto  dei  rapporti  strutturali  tra  il  discorso  bilingue  e  il  discorso 
monolingue,  ovvero  fino  a  che  punto  gli  enunciati  prodotti  da  parlanti  bi- 
hngui  in  una  delle  due  varietà  a  contatto  possano  essere  assimilati  agli 
enunciati  prodotti  da  un  ipotetico  parlante  monolingue  nella  stessa  va- 
rietà, è  in  realtà  da  tempo  oggetto  di  dibattito  nella  riflessione  sulle  pro- 
prietà strutturali  dei  fenomeni  di  interferenza.  Al  centro  della  discussione 
è  stato  il  rapporto  tra  la  grammatica  (e/o  le  grammatiche)  e  il  code-swit- 
ching  e  dunque  la  grammaticalità  del  code-switching-'':  "...both  fluent  and 
non-fluent  bilinguals  were  able  to  code-switch  frequently  and  stili  main- 
tain  grammaticality  in  both  LI  and  L2."-^  Per  lungo  tempo  in  gioco  è  sta- 
ta un'idea  di  grammatica  e  di  grammaticalità  che  si  adatta  con  difficoltà 
ai  testi  di  parlato.  Presupposto  fondante  di  molti  lavori  è  stata  la  stabilità 
dei  sistemi  linguistici  in  contatto.  Le  varietà  in  contatto  sono  state  descrit- 
te in  termini  di  norma  standard,  mentre  poco,  o  nessuno  spazio  è  stato 
previsto  per  la  variazione  intema  ai  sistemi.-^ 

Successivamente  l'approfondimento  della  complessa  natura  dei  feno- 
meni di  contatto  ha  evidenziato,  da  un  lato,  che  la  stretta  alternanza  tra 
due  sistemi  discreti  è  l'eccezione  piuttosto  che  la  regola,  dall'altro,  che  i 
casi  in  cui  gli  enunciati  interferiti  non  scartano  dagli  enunciati  non  inter- 
feriti sono  rarissimi.  Ciononostante  il  punto  di  riferimento  nell'analisi 
sembra  essere  comunque  una  'norma'  lontana  dal  discorso  mistilingue, 
prima  ancora  che  perché  monolingue,  perché  distante  dalle  produzioni  di 
parlato  reale: 

2^  Cfr.  Gardner-Chloros,  Charles.  Cheshire  2000:  1312. 

-^  In  una  direzione  in  parte  affine,  ma  con  la  finalità  di  distinguere  tra  prestiti  e  code- 
switching.  Poplack  e  Meechan  (1995)  hanno  stabilito  un  confronto  tra  strutture  nominali 
prodotte  nel  discorso  bilingue  e  nel  discorso  monolingue  degli  stessi  parlanti. 

--'  Cfr.  tra  gli  altri  Poplack  1980.  Di  Sciullo.  Muysken  e  Singh  1986.  Pfaff  1979. 

^^  Poplack  (1980:  581). 

'^  Cfr.  Clyne  1987:  739-743. 

271 


Linguistic  quick-change  acts  [...]  in  which  the  monolingual 
stretches  in  each  language  are  indistinguishable  from  those  which 
would  uttered  by  speakers'  (hypothetical)  monolingual  peers  [...] 
constitute  a  small  minority  of  bilingual  code  switched  utterances. 
[...]  They  are  outnumbered  by  those  where  the  code-switched  pas- 
sages do  show  departures  from  the  two  monolingual  norms.-^ 

In  un  recente  contributo  alla  riflessione  sui  rapporti  tra  i  fenomeni  di 
contatto  e  la  grammatica,  tra  le  ragioni  per  le  quali  i  fenomeni  di  code- 
switching  pongono  problemi  alla  descrizione  grammaticale,  vengono 
menzionati  l'inadeguatezza  dei  modelli  descrittivi  basati  su  un  prototipo 
di  frase  perfettamente  costruita,  incapace  di  rendere  conto  dei  'fatti'  di 
commutazione,  e  l'ampio  spettro  di  variabilità  che  caratterizza  i  fenomeni 
di  contatto,  difficilmente  afferrabile  attraverso  regole  grammaticali.-*^  Filo 
conduttore  della  riflessione  è  un  condivisibile  scetticismo  rispetto  alla 
possibilità  che  "informai  speech  can  be  adequately  or  appropriately  de- 
scribed  in  terms  of  "grammar"". 

Date  queste  premesse  il  confronto  tra  le  caratteristiche  del  parlato  bi- 
lingue e  monolingue  di  uno  stesso  parlante,  nella  stessa  situazione  comu- 
nicativa, ci  è  sembrato  un  percorso  di  ricerca  piuttosto  promettente. 

3.  L'analisi  dei  dati 

Come  abbiamo  accennato  in  precedenza  i  testi  delle  tre  donne,  i  cui 
dati  saranno  passati  in  rassegna  in  questa  sede,  sono  molto  diversi  tra  loro 
sia  per  le  strategie  di  commutazione  delle  varietà  che  per  la  'gestione' 
dell'italiano.  Qualche  breve  cenno  sulle  tre  parlanti  rappresenta  un'utile 
premessa  alla  successiva  analisi  dei  dati. 

Annunziata,  (66  anni,  scuole  elementari  non  completate),  è  nubile  e 
casalinga,  la  sua  principale  occupazione  è  stata  accudire  i  genitori,  dopo 
la  loro  morte  vive  da  sola.  Socievole,  ma  timida,  non  sembra  abituata  a 
stare  al  centro  dell'attenzione.  Essendo  in  generale  restia  ad  abbandonarsi 
alla  conversazione,  ha  bisogno  di  essere  continuamente  sollecitata.  Il  suo 
testo  è  pertanto  piuttosto  dialogico.  Nel  corso  dell'intervista  vengono  af- 
frontati numerosi  temi  che  si  esauriscono  in  poche  battute.  Spunti  narrati- 
vi, come  il  racconto  della  malattia  della  madre,  la  sua  condizione  di  nubi- 
le, il  rapporto  con  il  nipote,  sono  sviluppati  in  modo  essenziale.  Nel  testo 
di  questa  parlante  il  dialetto  è  dominante.  I  segmenti  italiani  si  limitano 

2«  Gardner-Chloros  1995:  75. 

2**  Gardner-Chloros  e  Edwards  2004:  103. 

272 


ad  inserzioni  di  estensione  e  natura  sintattica  variabile,  ma  sempre  piutto- 
sto limitata.  Essi  sono  inoltre  distribuiti  in  maniera  piuttosto  omogenea, 
ovvero  senza  particolari  addensamenti  all'interno  del  testo,  sebbene  spes- 
so in  risposta  alle  domande  dell'intervistatrice.  Il  meccanismo  di  conver- 
genza attraverso  il  quale  la  parlante  si  adegua  alla  varietà  dell'intervista- 
trice non  sembra  tuttavia  consapevole. 

Immacolata  (84  anni,  5°  elementare)  è  sposata,  casalinga  e  vive  con 
una  figlia  nubile.  È  una  donna  socievole  e  disponibile,  sebbene  piuttosto 
timida.  Provata  da  una  serie  di  eventi  drammatici  (l'incidente  della  figlia 
che  ne  ha  causato  la  perdita  della  vista,  la  morte  di  una  nuora,  ecc.)  sem- 
bra avere  un  atteggiamento  rassegnato  nei  confronti  della  vita,  cui  fa  da 
controaltare  una  rappresentazione  idealizzata  del  passato,  di  cui  però  non 
ha  ricordi  particolarmente  nitidi.  I  racconti  della  sua  vita  da  giovane,  ma 
anche  di  un  piccolo  incidente  capitatole  solo  una  settimana  prima,  sono 
disegnati  in  pochi  tratti,  e  spesso  dettagli  poco  rilevanti  prendono  il  posto 
di  aspetti  più  centrali  in  base  all'affiorare,  in  parte  disordinato,  dei  ricordi. 
È  una  nonna  premurosa  e  orgogliosa  dei  propri  nipoti,  tra  le  cui  abilità  ci- 
ta proprio  il  saper  parlare  italiano,  "e  come  sanno  parlare  italiano  loro 
poi,  vanno  a  scuola".  All'interno  di  questo  testo  il  dialetto  è  comunque 
dominante.  Ciononostante  l'italiano  è,  rispetto  a  quello  precedente,  piìi 
presente  e  si  manifesta  attraverso  una  maggiore  estensione  dei  segmenti 
in  lingua.  Inoltre  si  distribuisce  in  maniera  meno  omogenea:  contraria- 
mente alle  aspettative  in  termini  laboviani,  sebbene  la  varietà  preferita  di 
Immacolata  sia  il  dialetto,  la  presenza  dell'italiano  è  maggiore  verso  la  fi- 
ne dell'intervista  all'interno  di  brani  narrativi.  La  qualità  delle  inserzioni 
di  italiano  tra  l'inizio  e  la  fine  dell'intervista  peraltro  subisce  dei  cambia- 
menti: verso  la  fine  rinveniamo  una  sorta  di  varietà  mista.  La  varietà  ba- 
se, ammesso  che  ci  sia,  sembra  cambiare  talvolta  all'interno  anche  dello 
stesso  enunciato.^'' 

Lucia,  84  anni,  scuole  elementari  non  completate,  sposata,  casalinga, 
vive  con  la  figlia,  il  marito  di  questa  e  i  suoi  due  figli.  Sia  la  figlia  che  il 
marito,  non  napoletano,  sono  insegnanti,  i  nipoti  acquisiti  sono  laureati. 
La  presenza  dell'italiano  in  casa  è  maggiore  che  negli  altri  contesti  fami- 
liari sopra  descritti,  sebbene  la  varietà  usata  da  Lucia  con  la  figlia  e  con  la 


^"  Quella  di  lingua  base  è  in  realtà  una  nozione  piuttosto  controversa  della  quale  sono 
state  date  numerose  interpretazioni.  Vedi  tra  gli  altri  Auer  1998,  Klavans  1985,  Myers- 
Scotton  1993  e  1995,  Nortier  1990.  Da  alcuni  la  nozione  di  lingua  base  è  considerata  trop- 
po rigida  per  rendere  conto  dei  fatti  di  code-switching:  vedi  a  questo  proposito  Gardner- 
Chloros  1995,  Gardner-Chloros  e  Edwards  2004,  Muysken  1995  e  2000. 

273 


dama  di  compagnia,  con  le  quali  trascorre  la  maggior  parte  del  tempo,  sia 
il  dialetto.  Lucia  è  socievole,  spigliata,  ironica.  Per  nulla  intimorita  dalla 
presenza  di  un'estranea,  gode  del  piacere  di  avere  interlocutori  desiderosi 
di  ascoltarla.  Ha  una  naturale  predisposizione  al  racconto.  I  ricordi  parti- 
colarmente nitidi  sono  organizzati  con  abilità  all'interno  delle  sue  storie 
in  cui  la  vita,  la  morte,  l'amore  si  alternano  in  un  tessuto  narrativo  il  cui 
principale  collante  è  la  vena,  a  tratti  drammatica,  a  tratti  ironica,  della 
narratrice.  Il  testo  di  Lucia  è  quello  in  cui  si  registra  una  maggiore  pre- 
senza di  italiano.  Al  suo  intemo  si  individuano  una  prima  parte  di  base 
italiana  con  inserzioni  in  dialetto  di  natura  ed  estensione  sintattica  varia- 
bile, cui  fa  seguito  una  parte  in  cui  invece  il  dialetto  è  dominate.  Rilevan- 
te è  che  nella  prima  parte  dell'intervista  gli  inserti  in  dialetto  di  Lucia  se- 
guano spesso  enunciati  dialettali  della  figlia. 

Per  avere  un'idea  della  distribuzione  dell'italiano  nei  tre  testi,  riportia- 
mo esemplificativamente  un  brano  per  ciascuno  di  essi,^'  a  cominciare  da 
quello  di  Annunziata. 

no  Ì3  so  a  grands  II  no  prima  mio  fratello  II  poi  io  e  poi  mia  sorella  kkju  pikkob  II  pDi 
bra  so  sposata  e  is  rimanjetta  rinda  II  e  kome  mai  II  ee  na  JJelta  kosi  II  e  kapitato  II  un 
pokoffelto  e  un  poko  kapitato  II  pero  poi  un  pò  m  edd39  krijjuta  pura  a  nu  nipota  II 
pera  sekondo  me  sarà  stata  kellu  Ila  II  pakke  a  mamma  subbata  s  era  II  ajjett  intjinta  ee 
Il  e  nui  tja  pi^(ajn  a  kkillu  Ila  II  taneva  nave  mesi  II  e  1  imma  krijjuta  nui  II  anfino  a 
kkwindijanna  a  kwindi  la  mamma  uffi  intfinta  del  sekondo  bambino  II  e  II  non  si 
sentiva  bene  II  e  nnui  tJa  piÀÀaina  nui  II  pera  ia  m  affetsionai  a  kkilluu  II  komma  fova 
ro  mia  II  e  akkussi  ma  1  eddsa  purtata  II  e  pa  rimanett  ind  a  kasa  II  pa  kwanna  murett  u 
nonna  II  issa  sa  na  vulett  ii  dda  mamma  II  a  perke  stavate  voi  kon  vastro  padre  e  vastra  mam- 
ma e  II  pera  issa  forsa  avetta  kella  magkantsa  o  ke  II  sa  na  vulett  ii  II  pera  ia  tanna 
ma  santetta  nu  pak  a  ddisadd3a  II 

Segue  un  'pezzo'  dell'intervista  di  Immacolata: 

tj  era  mia  manmia  mia  sorella  II  e  kwindi  tf  andavate  II  e  kome  no  II  kwando  stava 
pako  bbene  mia  mamma  II  io  di  meddzod3omo  andavo  sempre  Ila  II  /  andavate  a 
kutfmare  II  no  andavo  a  aiuta  II  perke  mia  sorella  stava  fuori  a  spiadd5a  II  la  spiadd5a 
grande  II  e  kwindi  andavate  a  II  tj  avevana  II  komma  sa  rija  addo  mettan  e  II  o 
posteggia  r  e  mmakana  II  noi  tj"  avevan  o  posteggia  r  e  mmakana  II  mio  marita  feje  II 
poi  se  lo  prese  mia  sorella  II  a  ^^e  lo  deste  a  lei  II  mia  sorella  II  mio  kojipato  tJ  avevana 
Il  addo  II  e  kkabbin  r  o  bbajijia  II  stavana  kkiu  attrettsata  II  ia  pa  mi  so  Jpusat  o  kwaranta  II  so 
vanuta  kka  a  bbakoli  II  e  ma  dove  vi  piatfe  di  più  II  a  mme  mi  pjatjeva  kkju  a  kkapa  misena  II 
erana  più  II  fovana  più  signora  piud3enta  e  II  adessa  no  no  II  ma  pure  proprio 

^'  Gli  interventi  dell'intervistatrice  sono  riportati  in  corsivo,  gli  interventi  di  altri  par- 
tecipanti in  grassetto.  Negli  enunciati  frammisti  sono  sottolineate  le  sequenze  nella  varietà 
su  cui  di  volta  in  volta  si  vuole  fermare  l'attenzione.  In  questo  caso  si  tratta  dell'italiano. 

274 


kome  II  akkom  i  bakolesi  ps  Hall  io  kka  non  mi  tji  trovo  propris  II  a  tanta  anna  II  vorita  a  tant 
anni  sto  a  bbakoli  II  non  vi  so  dire  e  psrsons  ka  tfa  stanns  pa  dda  kka  II 

Il  prossimo  brano  è  tratto  dal  testo  di  Lucia: 

tre  sorelle  eravamo  ..Il  una  e  morta  II  e  n  attra  e  in  amerika  II  e  J9  sto  kka  II  in  amerika 
aro  II  bruklma  new  jork  II  e  kelb  era  era  na  II  na  sarta  spetjal  a  bbakoli  II  e  essa 
kutjiva  kwasi  a  ttutta  bbakoli  II  kome  a  ssinda  ka  ee  II  kwell  era  f arista  killu  sindaka  II 
a  muAÀera  teneva  tre  ffiÀÀa  II  e  luisa  la  II  la  kutjiva  II  a  tutt  i  ttre  ffiXÀa  II  gwai  si 
kesta  a  femmen  jev  a  n  ata  parta  II  non  tj  andav  a  nnessuna  parte  II  se  non  tj  andava 
da  mia  sorella  II  poi  mia  sorella  II  tutta  bakola  kutjiva  essa  II  i  meXXa  posalittsi  II  li 
fatjeva  essa  II  pekke  nuj  II  nu  ttaneva  njenta  II  erana  II  erana  pattsent  a  kwei  tempi  II  e 
mia  sorella  kutjiva  II  e  noi  mand3avamo  kon  kon  i  soldi  di  mia  sorella  ke  II  ke 
prendeva  ai  sposalittsi  II  ke  a  kwei  tempi  nu  spusalittsa  II  tjinkwanta  mila  lire  II  tinkw.  Il 
nu  spusalittsa  intera  II 


3.1.  Dal  dialetto  all'italiano?^  Il  nostro  corpus  presenta  in  totale  242 
enunciati  frammisti.  In  tabella  1  riportiamo  la  ripartizione  delle  commuta- 
zioni intra-frasali  e  inter-frasali  per  parlanti,"  in  tabella  2  la  ripartizione 
in  base  alla  categoria  morfosintattica: 


Annunziata 

Immacolata 

Lucia 

Totale 

Intra-  frasali 

73 

75 

9 

157 

Inter-frasali 

29 

36 

20 

85 

Totale 

102 

111 

29 

242 

Tab.l 


N 

SN 

SP 

SV 

SA 

vari 

Gr  Sint 

Frase 

Macrostrutture 

Tot. 

Annunziata 

42(11) 

9 

11 

3 

4 

3 

1 

17 

12 

102 

Immacolata 

28(11) 

9 

8 

9 

2 

5 

15 

15 

20 

111 

Lucia 

2(2) 

1 

- 

4 

- 

1 

1 

10 

10 

29 

Totale 

72(24) 

19 

19 

16 

6 

9 

17 

42 

36 

242 

Tab.2 


^-  In  questo  paragrafo  sono  sottolineate  le  sequenze  italiane. 

^^  Come  è  noto  le  diverse  tipologie  di  commutazione  (ovvero  la  distribuzione  di  swit- 
ching  intra-  e  inter-frasali)  sono  state  associate  a  diverse  variabili  linguistiche,  sociolin- 
guistiche  e  psicolinguistiche,  a  partire  da  Poplack  (1980)  che  individua  una  correlazione 
tra  la  distribuzione  degli  switching  intra  e  inter-frasali  e  il  grado  di  abilità  linguistica  del 
parlante.  Gardner-Chloros  (1995:  81)  ritiene  invece  che  diverse  tipologie  di  code-swit- 
ching  siano  connesse  allo  statuto  delle  due  varietà  a  contatto:  laddove  entrambe  le  varietà 
in  contatto  godono  dello  status  di  lingue  standard  gli  switching  intra-frasali  sono  molto 
meno  frequenti.  Per  quanto  concerne  l'italiano  Giacalone  Ramat  (1995:  62)  conferma  le 
osservazioni  di  Poplack  secondo  cui  la  minore  fluenza  in  una  lingua  è  correlata  con  un  ti- 
po di  commutazione  inter-frasale.  Dello  stesso  avviso  è  Alfonzetti  (1992:  177). 

275 


Per  quanto  concerne  la  variazione  interindividuale,  osserviamo  che  i 
testi  di  Annunziata  e  Immacolata  presentano  qualche  analogia  in  termini 
di  numero  complessivo  di  commutazioni  e  di  rapporto  tra  le  tipologie  di 
commutazione  intra-  o  inter-frasale.  Scarta  invece  notevolmente  il  testo  di 
Lucia  che  presenta  un  numero  molto  inferiore  di  commutazioni.  Ciò  non 
sorprende  considerato  che  le  sezioni  di  base  dialettale  in  questo  testo  sono 
in  numero  minore  rispetto  agli  altri  due.  La  maggioranza  di  commutazio- 
ni di  Lucia  sono  inoltre  prevalentemente  di  tipo  inter-frasale. 

Per  quanto  riguarda  le  categorie  morfo-sintattiche  commutate,  com- 
plessivamente il  numero  maggiore  di  commutazioni  si  registra  per  i  nomi, 
seguono  le  frasi,  i  macrotesti  e  i  sintagmi  preposizionali. 

In  72  casi  dunque  la  commutazione  riguarda  solo  un  nome,^'*  di  questi 
24  sono  complementi  di  preposizioni.  In  molti  casi  si  tratta  di  termini  ap- 
partenenti alla  sfera  medico-sanitaria,  per  esempio  bronchite,  di  cui  si  re- 
gistra la  covariazione  della  variante  italiana  con  quella  piìi  marcatamente 
dialettale  [brurjkits].  In  altri  casi  si  tratta  di  termini  burocratici,  oppure  di 
vocaboli  che  vanno  a  colmare  lacune  del  dialetto,  contributi,  telefono, 
azienda.  La  maggioranza  delle  occorrenze  riguarda  però  items  apparte- 
nenti al  lessico  di  base,  connessi  per  esempio  alla  sfera  delle  relazioni  fa- 
miliari [moXÀe],  per  i  quali  esisterebbe  un  corrispettivo  dialettale.^^ 

Nei  casi  in  cui  la  commutazione  riguarda  tutto  il  SN,^''  la  forma  italia- 
na e  quella  dialettale  del  determinante  sono  omofone  [lakkwa],  il  determi- 
nate è  assente,  oppure  il  sintagma  è  introdotto  da  un  numerale  [nove  me- 
si] o  da  un  indefinito  [tutti  gran  sijipora]. 

Anche  dei  21  casi  in  cui  la  commutazione  concerne  un  SP,  in  dieci  la 
forma  dialettale  e  quella  italiana  della  preposizione  sono  omofone  [a 
JJkwola],  tre  sono  occorrenze  delle  locuzioni  secondo  me,  una  è  di  fronte,  i 
rimanenti  due  casi  sono  di,  da  e  con  [di  bbwona  volontà  mia]. 

Nel  nostro  corpus  dunque  quando  la  commutazione  dal  dialetto  all'ita- 
liano riguarda  un  SN  o  un  SP,  il  determinante  non  è  mai  in  italiano,  a  me- 
no che  la  forma  italiana  non  sia  omofona  in  dialetto. 


'^^  Per  questa  categoria  il  discrimine  tra  prestito,  adattato  e  non,  e  code  switching  è 
piuttosto  sottile.  "The  suggestion  that  data  as  chaotic  as  that  provided  by  bilingual 
speakers  Worldwide  can  he  fitted  into  two  neat  catégories  -  CS  or  borrowing  -  seems  to 
US  an  instance  of  the  idealization  referred  to  above"  (Gardner-Chloros  e  Edwards  2004: 
1 1 1).  A  questo  proposito  vedi  anche  Gardner-Chloros  1995  e  Muysken  1995. 

^^  Sulla  diversa  esposizione  dei  settori  del  lessico  alle  innovazioni  cfr.  Grassi  1993: 
292-295. 

^^  I  SN  commutati  ricoprono  funzioni  sintattiche  diversificate. 


276 


Per  quanto  concerne  i  sintagmi  verbali,  si  tratta  nella  maggioranza  dei 
casi  di  forme  verbali  semplici,  ovvero  imperfetti  o  perfetti  indicativi.  Solo 
in  un  paio  di  casi  abbiamo  forme  verbali  composte  e  l'ausiliare  è  in  dia- 
letto; entrambi  occorrono  nel  testo  di  Immacolata,  che  presenta  il  maggior 
numero  di  commutazioni  di  SV  [js  stevs  seduta]- 

Nella  categoria  elementi  singoli  abbiamo  registrato  la  sporadica  pre- 
senza di  avverbi  (fuori),  e  di  subordinatori  perché,  quando,  dove.  Questi 
ultimi  occorrono  solo  nel  testo  di  Immacolata:  [kwando  JJpusai]. 

Con  i  gruppi  sintagmatici  entriamo  in  una  categoria  di  confine  tra 
commutazioni  intra  e  Inter- frasali.  Mentre  nel  testo  di  Annunziata  e  in 
quello  di  Lucia  ne  occorre  solo  uno,  nel  testo  di  Immacolata  i  gruppi  sin- 
tagmatici investiti  dalla  commutazione  sono  numerosi,  hanno  una  esten- 
sione e  una  natura  sintattica  varia  e  rivestono  le  funzioni  sintattiche  più 
diversificate  (SN-hSN)^^  F'(SP)-hF2(SV-i-comp),  cong+SN^«+Av,  N-^^+sp^ 
Part^^-t-Av,  ecc. 

Per  quanto  concerne  le  commutazioni  inter-frasali.  Annunziata  presenta 
17  frasi  semplici  e  12  segmenti  macrostrutturali.  La  sequenza  italiana  inter- 
frasale  non  è  mai  una  frase  complessa.  Nella  maggioranza  dei  casi  occorre 
in  risposta  a  domande  dell'intervistatrice  o  a  interventi  in  italiano  di  altri. 
Per  quanto  riguarda  le  frasi  semplici,  una  sola  secondaria  e  tutte  principali, 
si  tratta  sempre  di  strutture  di  estensione  limitata,  costituite  spesso  dal  solo 
sintagma  verbale.  Solo  in  un  paio  di  enunciati,  le  valenze  del  verbo  sono 
saturate.  Le  stesse  caratteristiche  si  ritrovano  anche  nei  segmenti  macro- 
strutturali che  in  cinque  casi  sono  costituiti  da  due,  in  unico  tre,  brevi  strut- 
ture frastiche  [fa  liggue  II  si  viene  kkwa].  I  rimanenti  sette  segmenti  italiani 
che  investono  una  macrostruttura  sono  costituiti  da  sequenze  in  cui  un  sin- 
tagma è  seguito  da  una,  o  raramente  due  strutture  frastiche: 

roppa  Imma  sokkors  i  d3enitor9  II  le  sue  malattie  II  e  so  rimast  ir)  kas9 

In  questo  testo  i  confini  dei  segmenti  commutati"^'  coincidono  tenden- 
zialmente con  i  confini  sintattici  di  unità  di  livello  superiore.^^ 

^^  Hanno  funzione  di  soggetto. 

^^  Ha  funzione  di  oggetto  diretto. 

^^  Il  nominale  italiano  è  complemento  di  un  SP,  la  preposizione  e  il  determinante  sono 
dialettali. 

■*"  Il  participio  passato  è  in  italiano,  l'ausiliare  in  dialetto. 

^^  Considerato  che  quello  sinistro  rappresenta  il  punto  di  innesco  della  conmiutazione, 
ci  riferiamo  in  realtà  al  confine  destro  che  può  coincidere  con  l'estremità  di  un'unità  fra- 
stica, di  un  sintagma  o  parte  di  esso. 

'*^  In  un  unico  caso  la  sequenza  italiana  è  costituita  da  un  sintagma  appartenente  ad 
un'unità  frastica  seguito  da  un  gruppo  sintagmatico  appartenente  ad  un'altra. 

277 


Le  commutazioni  interfrasali  nel  testo  di  Immacolata  sono  15  frasi 
semplici,  di  cui  due  frasi  secondarie,  e  13  proposizioni  principali.  Le  ven- 
tuno commutazioni  che  investono  macrostrutture,  sono  in  cinque  casi  se- 
quenze di  frasi  di  estensione  e  natura  variabile: 

i  d59nitori  swoi  dove  vana  venir  a  kkasa  II  se  avevan  a  ppjatjere  II  si  no 

Nei  restanti  16  la  porzione  di  macrostruttura  coinvolta  è  costituita  da 
una  sequenza,  piuttosto  estesa,  i  cui  confini  non  coincidono  con  unità  di 
livello  superiore: 

0  pat  e  killu  dottor  o  mattettars  sulla  reddsa  nave  karrattjol  a  nnapoli  II  e 
uno  idusa  e  altri  tre  stavana  kon  mia  madrg  II  e  tj  a  krejjuta  II  pò  io  andav  a 
Jkol  adde  swora. 

Per  quanto  riguarda  infine  le  commutazioni  inter-frasali  nel  testo  di 
Lucia  dieci  sono  frasi  semplici,  di  cui  una  secondaria  e  nove  principali. 
Dieci  invece  sono  sequenze  che  investono  un  segmento  macrostrutturale. 
Nella  maggioranza  dei  casi  tali  sequenze  consistono  di  segmenti  testuali 
piuttosto  estesi  costituiti  anche  da  quattro,  cinque  unità  frastiche  spesso  in 
rapporto  di  subordinazione: 

e  pjensatja  bbwons  ritjetta  11  mori  mia  sorella  II  kwando  mori  mia  sorella  II 
la  mamma  Jkrisse  e  dije  II  e  moa  d5anna  II  1  èva  avvisa  o  marito 

In  cinque  casi  tali  segmenti  non  coincidono  con  unità  di  livello  supe- 
riore. 


3.2.  Dall'italiano  al  dialetto.^^  Il  nostro  corpus  presenta  in  totale  139 
commutazioni  dall'italiano  al  dialetto,  di  cui  la  maggioranza  nel  testo  di 
Lucia.  In  tabella  3  riportiamo  la  ripartizione  delle  commutazioni  intra-fra- 
sali  e  inter-frasali  per  parlanti,  in  tabella  4  la  ripartizione  in  base  alla  cate- 
goria morfosintattica: 


Annunziata 

Immacolata 

Lucia 

Totale 

Inter-frasali 

1 

- 

24 

25 

Intra-frasali 

19 

44 

51 

114 

Totale 

20 

44 

75 

139 

Tab.3 


In  questo  paragrafo  sono  sottolineati  i  segmenti  dialettali. 


278 


Det 

SN 

Prep 

SP 

SV 

SA 

vari 

GrSin 

Frase 

Macrostrutture 

Tot. 

Annunziata 

9 

- 

4 

- 

3 

2 

1 

- 

1 

- 

20 

Immacolata 

23 

2 

6 

2 

3 

- 

6 

2 

- 

- 

44 

Lucia 

14 

13 

- 

2 

8 

- 

6 

8 

9 

15 

75 

Totale 

46 

15 

10 

4 

14 

2 

13 

10 

10 

15 

139 

Tab.4 


Facciamo  una  premessa  relativa  all'estensione  sintattica  degli  enun- 
ciati in  italiano  in  cui  si  rileva  l'inserto  dialettale. 

Per  Annunziata  i  segmenti  italiani  all'interno  dei  quali  si  registra  l'in- 
serzione in  dialetto  sono  limitati  ad  uno  o  massimo  due  frasi  semplici, 
spesso  a  nodo  nominale: 

prima  mio  fratello  II  poi  io  e  poi  mia  sorella  II  ^u  pikkob  li  poi  bra  so  spo- 
sata 
Nel  testo  di  Immacolata  gli  enunciati  italiani  presentano  un'estensione 
che  varia  da  una  sequenza  di  sintagmi  a  una  macrostruttura: 

andavo  a  aiuta  II  perke  mia  sorella  stava  ftiori  a  Jpiaddsa  II  la  spiaddsa  gran- 
de 
Nel  testo  di  Lucia  invece  come  abbiamo  già  osservato  si  registra  la 
presenza  di  veri  e  propri  brani  di  base  italiana  con  inserti  di  diversa  esten- 
sione in  dialetto: 

e  vostra  sorella  ...  se  n  e  andata  II  ke  e  vvenuta  la  gwerra  e  II  la  mamma  e 
morta  II  e  siamo  restate  mtte  e  due  II  solo  papa  stava  in  amerika  II  dopo  finit  a 
gwerra  II  pakke  ka  stev  essa  sola  kkwa  II  1  amerika  1  a  ritirata  dal  padre  d  II 
dal  padre  ke  stava  in  amerika  II  e  se  n  e  andata  II  kwando  e  nata  d3Ustino 

Relativamente  al  numero  di  inserti,  il  testo  di  Annunziata  presenta  20 
casi  di  inserzione  di  un  segmento  dialettale  in  un  enunciato  di  base  italia- 
na, il  testo  di  Immacolata  44,  il  testo  di  Lucia  75. 

Per  quanto  concerne  invece  la  categoria  morfo-sintattica  dell'inserto, 
il  maggior  numero  di  commutazioni  si  registra  per  i  determinanti,  sia  arti- 
coli che  dimostrativi,  presenti  in  quantità  ingente  in  tutti  e  tre  i  testi  [llava 

epjedi]. 

Solo  Lucia  produce  anche  una  quantità  piuttosto  elevata  di  SN  com- 
pleti. Nella  maggioranza  dei  casi  si  tratta  degli  stessi  SN  che  occorrono 
più  volte  in  diversi  punti  del  testo  sempre  in  dialetto: 

i  e  la  mamma  abba.  fatjevan  o  fum  a  kkwei  temps  II  kon  le  lejipe  II 
...  kon  le  lejijia  II  fatjeva  fatjev  o  fum  II  poi  in  un  momento  ijetto 

279 


Nel  testo  di  Annunziata,  e  in  parte  in  quello  di  Immacolata,  si  rileva  la 
presenza  di  inserti  che  coinvolgono  solo  una  preposizione  [meddzo  d3onno 
ku  mmia  sorella]. 

Relativamente  ai  SV,  osserviamo  che  questa  categoria  di  inserto  dia- 
lettale è  particolarmente  presente  nel  testo  di  Lucia,  sebbene  anche  questa 
volta  spesso  si  tratti  di  un  elemento  sclerotizzato,  fisso,  che  compare  più 
volte  nel  testo  sempre  in  dialetto. 

Le  inserzioni  di  elementi  vari  sono  essenzialmente  avverbi,^  e  subor- 
dinatori, perché  e  dove,  che  occorrono  solo  nel  testo  di  Immacolata. 

La  maggioranza  di  commutazioni  dall'italiano  al  dialetto  che  riguarda- 
no segmenti  con  un'estensione  maggiore  ad  un  sintagma  sono  attestati 
quasi  esclusivamente  nel  testo  di  Lucia.  Gli  otto  gruppi  sintagmatici  sono 
piuttosto  estesi,  spesso  si  tratta  di  strutture  frastiche  di  cui  solo  un  ele- 
mento iniziale  o  finale,  il  complementizzatore,  un  connettivo  o  un  avver- 
bio ecc.,  è  in  italiano  [pgkke  ka  stev  essa  sola  kwa].  In  nove  casi  l'inserzione 
coinvolge  una  struttura  frastica  completa.  Spesso  la  commutazione  occor- 
re dopo  un  intervento  dialettale  della  figlia.  Nei  restanti  quindici  casi  l'in- 
serzione dialettale  investe  una  macrostruttura,  in  un  paio  di  casi  una  frase 
complessa: 

essa  sola  fatjev  i  servittsi  di  kasa  II  itjetts  ammagara  akkummintj"  a  ffa  o 
Ijetta  II  ka  si  no  dd3a  sa  fa  tarda  II  a  kkwei  tempi 

In  undici  invece  i  confini  della  macrostruttura  non  coincidono  con  i 
confini  di  un'unità  superiore. 

3.3.  Qualche  osservazione  conclusiva.  Proviamo  a  tirare  le  somme  re- 
lativamente alle  caratteristiche  delle  commutazioni  dal  dialetto  all'italia- 
no e  dall'italiano  al  dialetto. 

Per  quanto  concerne  la  distribuzione  delle  commutazioni  dal  dialetto 
all'italiano,  contrariamente  alle  aspettative,  secondo  cui  parlanti  con  una 
bassa  competenza  dell'italiano  dovrebbero  propendere  per  le  commuta- 
zioni inter-frasali,  sono  complessivamente  più  numerose  le  commutazioni 
intra-frasali.  A  questo  proposito  va  tenuta  presente  però  la  già  ricordata 
contiguità  strutturale  tra  le  varietà  a  contatto.  Inoltre  nel  nostro  corpus  la 
categoria  morfo-sintattica  più  commutata  è  quella  dei  nomi,  ovvero  la  ca- 
tegoria più  frequentemente  frammista  in  assoluto,  per  la  quale  il  confine 
con  il  prestito  è  spesso  difficilmente  tracciabile.  Seguono  le  frasi  semplici 
e  le  macrostrutture. 


'^  Tre  su  quattro  nel  testo  di  Immacolata  sono  occorrenze  di  qua. 
45  Cfr.  Alfonzetti  1992:  201-203. 


280 


Anche  per  quanto  riguarda  il  dialetto  nell'italiano  osserviamo  che  so- 
no più  numerose  le  commutazioni  intra-f rasali.  In  questo  caso  però  la  ca- 
tegoria morfo-sintattica  più  commutata  è  quella  dei  determinanti.  Tale  da- 
to, confrontato  con  quello  relativo  alle  commutazioni  dal  dialetto  all'ita- 
liano, dove  emergeva  la  tendenza  di  nomi  in  italiano  ad  occorrere  tenden- 
zialmente accompagnati  da  un  determinante  dialettale,  conferma  lo  statu- 
to particolare  di  questa  categoria  lessicale,  che  sembra  rappresentare 
un'area  di  persistenza  del  dialetto  nel  tessuto  italiano.^^  Uno  stato  parzial- 
mente analogo  sembrano  avere  in  questo  campione  alcune  preposizioni. 

Relativamente  alla  variazione  individuale  nelle  commutazioni  dal  dia- 
letto all'italiano,  osserviamo  innanzitutto  che  riguardo  alle  tipologie  intra- 
o  inter-frasale,  alla  categoria  morfo-sintattica  e  all'estensione  del  segmen- 
to commutato,  sembrano  emergere  strategie  di  commutazione  privilegiate 
dai  singoli  parlanti. 

Il  tipo  di  commutazione  più  frequente  nel  testo  di  Annunziata  è  per 
esempio  quello  intra-frasale,  la  categoria  morfosintattica  più  commutata  è 
quella  nominale.  L'estensione  della  commutazione  è  inoltre  piuttosto  h- 
mitata  e  i  confini  dei  segmenti  commutati  coincidono  con  i  confini  sintat- 
tici di  unità  di  livello  superiore.  Nonostante  Immacolata  prediliga  le  com- 
mutazioni intra-frasali,  il  suo  testo  sembra  presentare  invece  una  distribu- 
zione più  equilibrata  delle  commutazioni  nelle  diverse  categorie.  A  questo 
proposito  segnaliamo  la  presenza  esclusivamente  in  questo  testo  di  com- 
mutazioni di  subordinatori  così  come  la  maggiore  frequenza  di  sintagmi 
verbali  e  verbi.  L'ampiezza  dei  segmenti  commutati  è  generalmente  piut- 
tosto estesa  come  dimostra  il  numero  notevole  di  gruppi  sintagmatici  e 
macrostrutture  frammiste,  i  cui  confini  spesso  non  coincidono  con  unità 
di  livello  superiore.  Come  abbiamo  già  detto,  infine,  a  differenza  delle  al- 
tre due  parlanti,  Lucia  presenta  invece  pochissime  commutazioni  intra- 
frasali.  La  maggioranza  delle  commutazione  nel  suo  testo  sono  di  tipo  in- 
terfrasale,  spesso  la  porzione  di  macrostruttura  coinvolta  è  costituita  da 
una  sequenza,  piuttosto  estesa,  che,  come  nel  testo  di  Immacolata,  non 
coincide  con  unità  di  livello  superiore. 

Per  quanto  concerne  la  variazione  individuale  delle  commutazioni  dal- 
l'italiano al  dialetto  osserviamo  che  nei  testi  di  Annunziata  e  Immacolata 
non  si  registrano  commutazioni  di  segmenti  di  tipo  superiore  al 
sintagma.'*^  Tutti  gli  inserti  di  dialetto  in  italiano  riguardano  frammenti  di 
estensione  ridotta,  nel  caso  di  Annunziata  tendenzialmente  parole  funzio- 
ne, ovvero  determinanti  e  preposizioni.  Immacolata,  relativamente  alle  di- 

"^  Tranne  un  unico  caso  nel  testo  di  Annunziata. 

281 


verse  categorie  morfo-sintattiche,  sembra  presentare  una  distribuzione  più  di- 
versificata delle  commutazioni  intra-frasali,  sebbene  in  taluni  casi  queste  ri- 
guardino gli  stessi  tipi  lessicali.'*^  Caratteristiche  parzialmente  analoghe  a  quel- 
le di  Immacolata  presentano  le  commutazioni  intra-frasali  dall'italiano  al  dia- 
letto del  testo  di  Lucia,  dove  a  proposito  dei  SN  e  dei  SV  abbiamo  osservato  la 
tendenza  a  presentare  in  diversi  punti  del  testo  gli  stessi  tipi  lessicali  sempre  in 
dialetto.  Lucia  è  inoltre  l'unica  a  esibire  una  grande  quantità  di  segmenti  dia- 
lettali in  brani  di  base  itaUana  di  estensione  maggiore  di  un  sintagma. 


4.  Il  discorso  bilingue  e  il  discorso  monolingue 

In  questa  sezione  del  lavoro  esaminiamo  le  caratteristiche  sintattico- 
testuali  dell'italiano  dei  testi  esaminati,  al  fine  di  verificare  l'eventuale 
presenza  di  correlazioni  tra  la  tipologia  di  commutazione  e  il  tipo  di  ita- 
liano parlato  dalle  nostre  tre  informatrici.  Successivamente  si  procederà  a 
stabilire  un  confronto  tra  le  caratteristiche  sintattico-testuali  dei  brani  in 
italiano  e  dei  brani  in  dialetto,  al  fine  di  individuare  delle  eventuali  affi- 
nità tra  il  testo  italiano  e  il  testo  dialettale  prodotto  dalle  diverse  parlanti. 

All'interno  del  nostro  corpus  pare  che  effettivamente  si  possano  indi- 
viduare, a  seconda  della  'padronanza'  dell'italiano,  ire  patterns  all'interno 
dei  quali  diverse  'strategie'  di  commutazione  sembrerebbero  associarsi  ad 
una  differente  caratterizzazione  sintatdco-testuale  dell'italiano. 

Annunziata,  che  ha  una  minore  familiarità  con  l'italiano,  il  cui  testo 
presenta  infatti  meno  italiano,  sembra  prediligere  le  commutazioni  intra- 
frasali.  I  segmenti  italiani,  generalmente  brevi,  sono  inoltre  caratterizzati 
da  una  sintassi  di  tipo  nominale:  [n  tj  e  mala  II  tutt  a  pposta  II  tutti  d3u].  Le 
macrostrutture,  meno  estese  che  negli  altri  due  testi,  sono  costituite  da  se- 
quenze di  massimo  due  frasi  a  nodo  verbale  o  nominale  oppure  da  sintag- 
mi seguiti  da  brevi  frasi  a  nodo  verbale  o  nominale.  I  legami  sintattici  tra 
unità  frastiche  sono  essenzialmente  di  tipo  giustappositivo  o  paratattico. 
Nel  suo  testo  non  si  registrano  commutazioni  di  frasi  complesse.  Spesso 
le  relazioni  tra  i  costituenti  sono  di  tipo  semantico-pragmatico  piuttosto 
che  strutturale,  come  conferma  la  frequenza,  maggiore  che  negli  altri  due 
testi,  di  strutture  topic/comment  e  elementi  extra-frasali: 

pò  mo  edd39  fatta  sissantatjigk  anna  II  1  anno  jTcorso  II  io  so  del  trentasette  II 
e  ma  m  ann  add5ustat9  dwetjentonovantadue  euro  II  mar)ko  seitjento  mila  li- 
re al  mese  ^^ 


■^^  Vedi  nota  44. 

'^^  In  questo  esempio  è  sottolineata  la  sequenza  italiana. 


282 


Lucia,  che  presenta  dei  lunghi  brani  di  base  itahana  e  che  ha  una  mag- 
giore famiharità  con  l'itahano,  predihge  invece  commutazioni  di  tipo  in- 
ter-frasale.  I  segmenti  itahani  nei  brani  dialettah  del  testo  di  questa  par- 
lante, sono  particolarmente  estesi,  costituiti  da  sequenze  di  anche  cinque 
o  sei  strutture  frastiche  a  nodo  verbale,  in  rapporto  di  coordinazione  o  piià 
spesso  di  subordinazione.  L'italiano  di  questo  testo  è  infatti  caratterizzato 
da  una  predilezione  per  una  sintassi  tendenzialmente  ' collegata ','^^  sebbe- 
ne spesso  si  registri  un  uso  ridondante  sia  degli  indicatori  di  congiunzione 
che  di  subordinazione,  qualche  volta  con  valore  di  connettivo: 

perke  ka  era  morta  mia  sorella  II  e  sono  andata  vestita  di  nero  II  e  mi 
so  spo  II  e  mi  so  vestit  ig  kiesa  II  di  vestito  di  biagka 

Risultano  sporadiche  inoltre  le  strutture  segmentate  caratterizzate  dal- 
l'assenza di  legami  strutturali  tra  il  topic  e  comment,  così  come  poco  pre- 
senti sono  le  frasi  nominali.  I  rari  esempi  di  questo  tipo  riguardano  gene- 
ralmente sintagmi  con  valore  appositivo.  Particolarmente  frequenti  sono 
per  converso  sul  versante  della  segmentazione  le  dislocazioni  a  sinistra  e 
a  destra.^° 

In  questo  quadro  Immacolata  occupa  una  posizione  intermedia.  L'ita- 
liano è  nel  suo  testo  piià  presente  che  in  quello  di  Annunziata  e  meno  che 
in  quello  di  Lucia.  Nonostante  infatti  prediliga  le  commutazioni  intra-fra- 
sali,  Immacolata  mostra  un  grosso  numero  di  gruppi  sintagmatici,  catego- 
ria intermedia  tra  le  commutazioni  intra-  e  inter-frasali,  e  una  notevole 
quantità  di  commutazioni  interfrasali,  tra  le  quali  sono  particolarmente 
frequenti  quelle  che  investono  un  segmento  testuale  particolarmente  am- 
pio, ovvero  le  commutazioni  macrostrutturali.  Nel  suo  testo,  sia  le  frasi 
semplici  che  le  macrostrutture  commutate  sono  quasi  sempre  a  nodo  ver- 
bale, raramente  a  nodo  nominale.  I  legami  sintattici,  sporadicamente  di  ti- 
po giustappositivo,  sono  più  spesso  di  tipo  subordinativo.  In  questo  testo 
infatti  la  commutazione  investe  spesso  frasi  complesse.^' 

La  conclusione  che  potrebbe  trarsi  a  questo  punto  è  che,  come  aveva- 
mo ipotizzato,  la  diversa  dimestichezza  con  l'italiano  ha  effetti  sia  sulla 
'quantità'  di  italiano  presente  nei  testi,  che  sulla  tipologia  della  commuta- 
zione e  sul  tipo  di  italiano  parlato  dalle  nostre  tre  informatrici.  In  altre  pa- 
role una  maggiore  familiarità  con  il  codice  'lingua'  sembrerebbe  influire 


^^Cfr.Bally  1971:83-107. 

^°  Per  quanto  riguarda  le  differenti  strategie  di  topicalizzazione  e  le  caratteristiche  sin- 
tattico-testuali  generali  del  testo  in  cui  esse  occorrono  cfr.  Milano  2003. 
^'  Si  veda  il  brano  tratto  dal  testo  di  Immacolata  riportato  nel  paragrafo  3. 

283 


sull'estensione  delle  commutazioni  e  sul  grado  di  complessità  sintattica 
dell'italiano,  quindi  sulle  strategie  sintattico-testuali  di  assembramento 
del  testo.  All'aumentare  della  familiarità  con  l'italiano  sembrerebbe  au- 
mentare per  esempio  la  preferenza  per  i  'legami'  di  tipo  sintattico-struttu- 
rale  piuttosto  che  semantico-pragmatico. 

L'esame  mirato  del  discorso  monolingue,  ovvero  di  alcuni  tratti  del 
dialetto  parlato  delle  tre  informatrici,  lascia  emergere  in  realtà  una  certa 
analogia  tra  alcune  delle  caratteristiche  dell'italiano  parlato  e  le  strategie 
generali  di  costruzione  sintattico-testuale  adottate. 

Da  un  punto  di  vista  macro-strutturale  per  esempio  il  testo  di  Annun- 
ziata anche  sul  versante  dialettale  mostra  una  generale  tendenza  allo  svi- 
luppo paratattico  o  giustappositivo.  In  molti  casi  nel  testo  di  Annunziata 
gli  elementi  di  coordinazione  sono  però  ridondanti  oppure  usati  impro- 
priamente. Esemplificativo  a  questo  proposito  è  l'uso  di  però  con  valore 
essenzialmente  di  connettivo  più  che  di  congiunzione  avversativa.^-  Note- 
vole è  inoltre  la  presenza  di  frasi  nominali.  I  legami  coesivi,  favoriti  da 
questa  parlante,  quando  non  sono  semantici,  sono  ripetizioni,  paralleli- 
smi, e  tutta  al  più  strutture  correlative. 

mamma  era  sofferentsa  di  kwora  II  essa  taneva  nu  pok  e  leutjemia  II  a 
fatta  tjiqk  ann  e  kalvaria  II  Ibra  II  o  kardarelb  II  trasfusione  II  nui  II  taneva 
problem  e  kwora  II  1  operajna  II  plesemeker  II  a  kkontroila  II  a  ggi  a  vvani  e  II 
imma  stata  kwatt  anna  kkiu  ali  ospedal  II  a  kasa  II  1  ospedale  e  II  allor  a 
mme  s  e  dedikata  sul  e  dsenitora  II 

Relativamente  alla  segmentazione  infine,  più  che  negli  altri  due  testi, 
risultano  frequenti  le  strutture  topic/comment  in  cui  i  legami  sintattico- 
strutturali  sono  assenti. 

Il  testo  di  Immacolata  anche  sul  versante  dialettale  è  caratterizzato  ri- 
spetto a  quello  di  Annunziata  da  un  peso  molto  basso  della  sintassi  nomi- 
nale, come  si  può  evincere  da  questo  breve  stralcio  narrativo  in  cui  l'azio- 
ne è  descritta  attraverso  una  sequenza  di  strutture  predicative  a  nodo  ver- 
bale: 

e  e  mma  n  atu  fatta  II  mia  fiXÀa  ma  venn  a  llava  e  pjedi  no  II  ind  a 
na  bajijiarola  II  e  s  te  va  fwora  II  mattett  a  bajijiarol  k  e  mmanak 
akkussi  II  ja  steva  seduta  II  vak  aldza  o  pera  II  pa  ma  mettara  sopr  a 
na  sedjolina  II  o  pera  II  piXXa  vaka  k  o  k  o  pjeda  igfattj  a  II  k  a  kojja 
irjfattja  a  manaka  r  o  kasa  II  piÀÀ  e  mma  taXX  a  II  ma  fajetta  na  taÀÀata 
kka  vvi^ina 


52 


Si  veda  il  brano  tratto  dal  testo  di  Annunziata  riportato  nel  paragrafo  3. 


284 


Il  suo  testo  dialettale  è  inoltre  quello  in  cui  si  attesta  un  uso  più  appro- 
priato della  subordinazione,  i  subordinatori,  per  esempio  perché,  sono  ra- 
ramente usati  come  connettivi.  Per  quanto  concerne  la  segmentazione,  so- 
no piuttosto  frequenti  le  dislocazioni  a  sinistra  e  a  destra,  ovvero  le  strut- 
ture segmentate  con  un  maggior  grado  di  coesione  sintattica: 

ki  sa  a  kwant  anna  o  tegg  kistu  mendarina 

Il  testo  dialettale  di  Lucia  infine  presenta,  parallelamente  a  quanto  pre- 
cedentemente rilevato  per  l'italiano,  una  predilezione  per  una  sintassi 
'collegata'.  Anche  sul  versante  dialettale  risultano  quasi  assenti  le  frasi  a 
nodo  nominale  e  gli  elementi  extra-frasali.  Per  quanto  concerne  l'ambito 
della  segmentazione  si  rileva  una  preferenza  per  le  strutture  caratterizzate 
da  un  maggior  grado  di  coesione  sintattica,  con  pronome  di  ripresa  e  con- 
cordanza di  caso,  rispetto  a  quelle  in  cui  i  legami  sono  esclusivamente  di 
natura  semantico-pragmatica.  Ciò  che  forse  risulta  meno  evidente  nei  bra- 
ni dialettale  di  Lucia,  rispetto  ai  brani  italiani,  è  l'uso  ridondante  di  con- 
giunzioni e  subordinatori.  Un  esempio  di  tali  caratteristiche  sintattico-te- 
stuali  è  rappresentato  dal  breve  brano  riportato  qui  di  seguito: 

nuj  II  tja  mmutavana  na  vot  qpji  otti  ddsonna  II  a  mutand  a  tsnevan 
otto  dd3onn3  II  pò  tanevan  a  mutanda  p  a  domenaka  II  a  tanevana  II 
kwanna  vanevana  ra  messa  II  ka  ggjevan  a  messa  II  nuj  sul  a  messa 
jevana  II  nuj  tj  a  pjegavana  II  tj  a  stiravana  II  a  lavavana  II  e  kki  tj"  o 
ddeva  o  ssapona  pa  llava  II  nuj  nu  nn  o  ttaneva  II  i  m  a  striava  II  a 
stirava  e  m  a  mattava  n  ata  vat  intu  stipa  II  atto  dd3onna  a  mutand  a 
tanevana  II  e  ppa  levana  lava  II  nu  putevana  II  i  panna  nu  tza 
putevana  lava  prima  di  atto  dd3onna  II  u  bbukata  tu  u  bbukata  o 
fatjiva  ojijii  mmesa  na  vota 

In  definitiva  le  caratteristiche  sintattico-testuali  dell'italiano  parlato  ri- 
sultano in  larga  misura  presenti  anche  nel  dialetto  parlato  dalle  nostre  tre 
informatrici.  L'ipotesi  che  all'interno  del  nostro  corpus  si  possano  indivi- 
duare della  tendenziali  correlazioni  tra  tipologia  di  commutazione  e  carat- 
terizzazione sintattico-testuale  dell'italiano  parlato  sembra  pertanto  veni- 
re parzialmente  ridimensionata  dall'analisi  delle  strategie  generali  di 
strutturazione  del  testo.  In  altre  parole  se  da  una  parte  una  maggiore  fami- 
liarità con  il  codice  'lingua'  sembra  influire  sull'estensione  delle  commu- 
tazioni e  sul  grado  di  complessità  sintattica  dell'italiano,  dall'altra  il  tipo 
di  italiano  parlato  dalle  tre  donne  pare  riflettere  innanzitutto  le  'abitudini' 
individuali  di  costruzione  del  testo. 


285 


5.  Conclusioni 

Il  percorso  di  studio  condotto  ha  evidenziato  alcune  tendenze  per 
quanto  concerne  le  abitudini  di  commutazione  di  codice,  le  modalità  di 
gestione  dell'italiano'  dei  diversi  parlanti  e  le  eventuali  similitudini  o 
differenze  nella  gestione  di  italiano  e  dialetto,  dunque  del  discorso  bilin- 
gue e  monolingue.  L'ipotesi  di  ricerca  qui  presentata  sembra  inoltre  aver 
sottolineato  l'opportunità,  nell'analisi  del  discorso  bilingue,  di  approfon- 
dire innanzitutto  la  variazione  inter-individuale  quindi  la  dimensione  del- 
la variazione  intra-testuale  o  intra-individuale.  Il  confronto  tra  i  brani  ita- 
liani e  dialettali  prodotti  da  uno  stesso  parlante  nella  stessa  situazione  co- 
municativa pare  infatti  poter  contribuire  a  discemere  le  peculiarità  del  di- 
scorso bilingue  dalle  caratteristiche  generali  connesse  alle  strategie  sintat- 
tico-testuali  di  costruzione  del  testo  parlato  da  parte  di  individui  diversi. 

A  parità  di  condizioni  pragmatiche  e  sociolinguistiche,  i  testi  raccolti 
presentano,  infatti,  oltre  alla  diversa  gestione  delle  varietà  lingua  e  dialet- 
to, un'interessante  variazione  relativa  a  numerosi  fattori,  si  differenziano 
per  esempio,  tra  gli  altri  aspetti,  la  struttura  monologica  o  conversaziona- 
le,  la.  facies  testuale  relativamente  alle  proprietà  di  coesione  e  coerenza 
del  testo,  la  tecnica  narrativa,  e  così  via.  A  proposito  di  questo  ultimo 
punto  osserviamo  che  sebbene  narrare  sia  un'attività  naturale,  il  discorso 
narrativo  presuppone  il  possesso  di  abilità  linguistiche,  testuali,  comuni- 
cative peculiari.  La  capacità  e  la  disponibilità  a  raccontare  e  raccontarsi 
comporta  una  consapevolezza  di  sé  in  rapporto  al  mondo,  ed  è  stretta- 
mente connessa  all'abitudine  e  alla  propensione  a  concettualizzare,  auto- 
rappresentarsi  e  verbalizzare.  Tali  aspetti  si  manifestano  nel  testo  attra- 
verso una  serie  di  caratteristiche  linguistiche  di  tipo  micro-  e  macro-strut- 
turale ed  hanno  inevitabili  ripercussioni  sul  rapporto  che  parlanti  differen- 
ti stabiliscono  con  le  varietà  a  contatto. 


286 


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288 


Percorsi  linguistici  tra  "limiti"  e  "risorse"  della  realtà  sco- 
lastica in  due  quartieri  napoletani 

Daniela  Puolato  (Napoli) 


1.  L'inchiesta 

L'inchiesta  si  svolge  in  due  quartieri  che  si  estendono  a  Nord-Ovest 
della  città  di  Napoli,  a  cui  vengono  aggregati  verso  la  fine  degli  anni  Ven- 
ti. Si  tratta  di  circoscrizioni  che,  dagli  anni  50  in  poi,  hanno  assorbito 
gran  parte  della  popolazione  "dell'area  costiera  napoletana  centrale",^ 
permettendo  una  sua  ridistribuzione  all'interno  dell'intera  area  urbana. 
Soccavo  e  Pianura,  in  passato  dediti  all'agricoltura  e  all'estrazione  mine- 
raria, sono  oggi  proiettati  essenzialmente  sulla  città.  Soccavo  (5,11  kmq) 
è  adiacente  all'area  urbana  centrale  e  confina  con  alcuni  quartieri  impor- 
tanti di  Napoli,-  come  il  Vomero  e  l'Arenella;  Pianura  costituisce  un  quar- 
tiere di  maggiore  ampiezza  (11,45  kmq),  più  lontano  dal  centro  urbano  e 
dai  confini  più  diversificati.-^  A  differenza  della  circoscrizione  di  Pianura 
e  nonostante  l'elevata  densità  di  popolazione,  Soccavo  gode  dei  vantaggi 
socio-ambientali  (migliore  vivibilità,  minore  degrado  sociale)  derivati  da 
un'urbanizzazione  attuata  seguendo  le  norme  di  un  piano  regolatore.  Soc- 
cavo e  Pianura  fanno  parte  di  un  gruppo  di  quartieri"^  che  rappresentano 
una  realtà  ancora  fortemente  enigmatica,  sia  per  quanto  riguarda  la  varia- 
zione linguistica,  sia  per  quanto  concerne  l'attitudine  dei  singoli  quartieri 
ad  integrarsi  e  identificarsi  più  profondamente  con  il  nucleo  urbano. 

In  una  realtà  urbana  come  quella  napoletana,  in  cui  un  retaggio  sociale 
e  urbanistico  ricco  di  peculiarità  e  contraddizioni  si  dissolve  in  un  presen- 

'  Area  che  "coincide  con  tutti  i  quartieri  di  Napoli,  eccettuati  quelli  periferici,  di  più 
recente  annessione  amministrativa  al  territorio  urbano"  (Somicola,  2002:  136). 

^  Confini:  Quartieri  di  Pianura,  Arenella,  Vomero  e  Fuorigrotta. 

^  Confini:  Comuni  di  Quarto.  Marano  e  Pozzuoli;  quartieri  di  Chiaiano,  Arenella,  Soc- 
cavo e  Bagnoli. 

"*  Bagnoli,  Secondigliano,  Chiaiano,  Miano,  Barra,  Ponticelli  e  San  Pietro  a  Patiemo. 

289 


te  in  cui  i  confini  tra  i  quartieri  sono  solo  presupposti,  in  cui  'centro'  e 
'periferia'  si  confondono  sempre  più,  la  messa  a  punto  di  una  coerente  e 
mirata  strategia  di  osservazione  del  continuum  variazionale  richiede  an- 
cora un  lungo  lavoro  di  ricerca.  Posto  che,  come  sostiene  Ratdke  (2002: 
20),  "la  qualità  della  spazialità  nel  parlare  non  è  separabile  dall'identità 
con  lo  spazio",  l'approccio  alla  cintura  urbana  di  Napoli  inizia  con  una  ri- 
cognizione su  questioni  di  autodescrizione  e  valutazione  linguistica,  di 
identificazione  con  il  territorio  e  con  la  raccolta  di  materiale  linguistico 
da  analizzare. 

Il  campione  d'inchiesta,  la  cui  composizione  socio-culturale  è  tenden- 
zialmente omogenea,  è  costituito  da  1 1  studenti  di  Istituti  Tecnici,  con  età 
compresa  fra  i  18  e  i  19  anni,  nati  e  cresciuti  a  Soccavo  o  a  Pianura  (Ta- 
bella 1,  cfr.  Appendice).  Le  interviste  si  sono  svolte  in  italiano  e  all'inter- 
no degli  istituti  scolastici  stessi. 

Perché  la  scuola  come  luogo  d'indagine?  La  scuola  rappresenta  un  micro- 
cosmo ricco  di  aspetti  sintomatici  delle  realtà  che  tentiamo  di  definire,  sia  da 
un  punto  di  vista  sociologico,  sia  in  una  prospettiva  propriamente  linguistica. 
La  presenza  o  l'assenza  di  servizi  relativi  alla  scuola  "soffrono  di  maggiore 
incompletezza  nelle  aree  periferiche  [...].  Nella  pratica  sarebbe  possibile  mi- 
surare la  qualità  e  l'efficienza  di  questi  servizi  e  costituirne  un  indicatore  per 
la  qualità  della  vita  di  quartiere"  (Battisti,  1991:  21).  Inoltre,  l'istruzione  e  la 
cultura  sono  uno  degli  "aspetti  significativi"  nei  riguardi  dei  quali  deve  essere 
valutato  il  grado  di  urbanizzazione  di  un  territorio  (Battisti,  1991:  27).  Una 
differenza,  che  sembra  avere  implicazioni  tanto  sul  versante  degli  atteggia- 
menti quanto  su  quello  dei  comportamenti  linguistici,  è  data  proprio  dal  fatto 
che  Soccavo  possiede  un  istituto  di  scuola  media  superiore,  mentre  i  ragazzi 
pianuresi  devono  spostarsi  in  quartieri  pili  vicini  all'area  napoletana  centrale, 
soprattutto  a  Fuorigrotta.  Inoltre,  in  contesti  di  disagio  socio-culturale  e  urba- 
nistico, la  scuola  rappresenta  un'importante  risorsa  formativa  ed  educativa, 
diventando  uno  dei  luoghi  privilegiati  per  l'elaborazione  e  l'analisi  di  nuove 
forme  di  identità  socio-culturale  e  di  abilità  linguistiche  che  includono  anche 
il  contatto  tra  itahano  e  dialetto.  L'interesse  per  la  varietà  scolastica  d'italiano 
parlata  dagli  informatori  è  proprio  rivolto  ad  osservare  la  forza  d'incidenza 
del  processo  di  scolarizzazione  sulle  capacità  linguistiche  del  campione. 


2.  Identificazione  con  il  luogo  e  percezione  dello  spazio  come  'cen- 
tro'/'periferia' 

Nel  campione  prevale  l'identificazione  con  Napoli,  piuttosto  che  con 
il  quartiere  di  residenza.  Il  legame  con  il  proprio  quartiere  è,  in  ogni  caso, 

290 


più  intenso  a  Soccavo.  Per  i  ragazzi  di  Pianura,  invece,  il  sentirsi  pianu- 
rese  rappresenta  un'identità  fortemente  subordinata  all'essere  napoletani. 
Rispetto  ad  un  tessuto  urbano  complesso  e  sfaccettato  come  quello  napo- 
letano, ci  si  può  chiedere  come  nasca  il  sentimento  di  appartenenza  ad  un 
quartiere.  In  tal  senso  sono  interessanti  le  considerazioni  di  una  studentes- 
sa che  seppure  nata  e  cresciuta  a  Pianura  "si  sente  di  Fuorigrotta",  dove  si 
trovano  non  solo  la  scuola,  ma  anche  il  cinema,  l'Edenlandia,  il  Palasport, 
la  piscina  olimpionica,  l'ospedale,  ecc.  Sentirsi  pianurese  significherebbe 
non  possedere  nulla,  dato  che  a  Pianura  "non  c'è  niente",  mentre  l'appar- 
tenenza a  Fuorigrotta  comporta  l'appropriarsi  di  una  serie  di  infrastruttu- 
re. 

È  noto  che  la  presenza/assenza  di  servizi  pubblici  è  un  parametro  es- 
senziale alla  caratterizzazione  di  un'area  come  centrale  o  periferica  (Batti- 
sti, 1991:  15).  Siccome  l'identificazione  con  il  territorio  pare  influenzata 
dalla  fisionomia  del  quartiere,  è  opportuno  indagare  più  a  fondo  secondo 
quali  criteri  il  campione  identifichi  un'area  come  centrale  o  periferica. 
'Centro'  e  'periferia  '  sono,  però,  dei  concetti  la  cui  definizione  diventa 
sempre  più  insidiosa  e  problematica  nella  realtà  contemporanea,  tant' è  ve- 
ro che  in  alcuni  studi  sociologici  sulle  periferie  urbane  si  prospetta  l'im- 
magine di  "città  senza  centro".  La  nuova  cultura  della  città  deve  fare  i  con- 
ti con  una  pluralità  di  'centri'  disseminati  nel  continuum  metropolitano 
(Piroddi,  1991:  9).  Non  è  forse  casuale  che  zone  notoriamente  considerate 
"centro  di  Napoli"  siano  annoverate  dai  parlanti  fra  le  aree  di  "periferia" 
(Tabella  2,  cfr.  Appendice).  È  dunque  necessario  "spostare  l'attenzione 
[...]  [su]  una  totalità  regionale  entro  la  quale  le  dinamiche  strutturate  sul 
rapporto  centro-periferia  si  articolano  in  un  reticolo  di  connessioni  recipro- 
che più  che  in  un  rapporto  di  dualistica  dipendenza"  (Giusti,  1991:  55). 

In  effetti,  nel  campione  i  concetti  di  'centro'  e  'periferia'  appaiono 
confusi.  Alla  domanda  se  Soccavo  e  Pianura  vadano  considerati  quartieri 
centrali  o  periferici,  la  reazione  più  immediata  è  quella  di  rispondere  che 
fanno  parte  di  Napoli,  ma  che  sono  sicuramente  più  periferici,  rispetto  ad 
un'area  centrale  genericamente  designata  come  "Napoli  Napoli".  Il  di- 
scorso di  una  ragazza  fornisce  un  esempio  eloquente  della  perplessità 
spesso  generata  dalla  domanda:  Pianura  e  Soccavo  sono  "delle  città  di 
Napoli",  dei  "quartieri  di  Napoli",  collocati  "più  o  meno  al  centro  di  Na- 
poli". C'è  comunque  differenza  tra  i  due  quartieri  nel  loro  grado  di  perife- 
ricità: Pianura  risulta  un  quartiere  più  periferico  perché  più  lontano,  isola- 
to e  difficile  da  raggiungere  dal  "centro"  della  città.  Pianura  diventa  così 
una  "piccola  periferia",  ma  può  essere  "sia  centro  che  periferia",  perché  è 
"grande",  "popolata",  "trafficata".  Pur  non  essendo  proprio  il  "centro" 

291 


della  città  è  come  "un  piccolo  centro"  e  c'è  chi  attribuisce  la  valutazione 
di  Pianura  come  "periferia"  ad  uno  sguardo  estemo,  agli  "altri"  che  la 
"vedono"  tale.  Non  dimentichiamo  che  spesso  "è  dall'esterno,  [...],  che  si 
forgia  e  si  cristallizza  una  identità  culturale  periferica  che  viene  imposta  e 
che  viene  spesso  accettata  passivamente"  (Giusti,  1991:  58). 

Il  quartiere  di  Soccavo  è  meno  periferico  perché  più  vicino  al  "centro" 
della  città.  La  sola  presenza  di  negozi  diventa  un  fattore  di  valutazione 
per  la  centralità  del  quartiere.  Grazie  a  due  arterie  stradali  (Via  Piave  e 
Via  dell'Epomeo)  che  lo  collegano  ai  quartieri  dell'area  napoletana  cen- 
trale, Soccavo  oltrepassa  i  limiti  di  quartiere  "periferico".  Tuttavia,  il 
quartiere  Soccavo  può  anche  diventare  "piccolo"  se  paragonato  a  Piazza 
Garibaldi,  sede  della  Stazione  centrale,  dalla  quale  è  come  se  nascessero 
non  solo  i  treni  ma  un  intero  mondo  urbano. 


3.  Auto-  ed  eterodescrizione  linguistica 

I  due  gruppi  si  comportano  diversamente  per  quanto  concerne  la  rappre- 
sentazione degli  usi  linguistici  altrui  e  propri.  A  Pianura  si  tende  a  conte- 
stualizzare l'uso  del  dialetto,  secondo  un  modello  sociolinguistico  di  tipo 
tradizionale.  Il  napoletano,  definito  come  "napoletano  italianizzato",  si  af- 
fianca all'uso  generalizzato  dell'italiano,  indicato  come  il  codice  prioritario 
nelle  abitudini  linguistiche  degli  intervistati  e  qualificato,  a  sua  volta,  come 
un  italiano  più  "giornaliero".  La  diffusione  del  napoletano  come  lingua  di 
comunicazione  nel  quartiere  è  nondimeno  dichiarata  senza  riserve. 

A  Soccavo,  invece,  pur  prevalendo  l'idea  del  codice  misto,  del  parlare 
"metà  e  metà",  il  napoletano  è  percepito  come  il  codice  d'uso  maggiorita- 
rio, sia  a  livello  comunitario,  sia  a  livello  individuale:  a  Soccavo  il  napo- 
letano "è  di  prassi"  (I).  È  rilevante  che  gli  intervistati  tendano  a  conte- 
stualizzare la  scelta  dell'italiano  e  non  quella  del  napoletano.  L'uso  dell'i- 
taliano è  talvolta  "preteso"  dai  genitori,  usato  per  "necessità"  con  i  più 
piccoli,  con  gli  amici  che  vengono  dai  quartieri  "bene"  della  città,  oppure 
a  scuola,  luogo  in  cui  la  presenza  del  dialetto  viene  ammessa,  sebbene 
con  una  punta  di  riserbo. 

Si  individua  quindi  uno  scarto  rispetto  ai  contenuti  metalinguistici.  Il 
gruppo  pianurese  esprime  opinioni  che  sembrano  svelare  atteggiamenti 
linguistici  di  tipo  "urbano",  manifestando  con  più  evidenza  una  serie  di 
comportamenti  autovalutativi  generalmente  associati  alle  implicazioni  so- 
cio-linguistiche dei  concetti  di  'lingua'  e  'dialetto'.  Ciò  si  spiega  proba- 
bilmente con  la  maggiore  mobilità  sul  territorio  dei  ragazzi  di  Pianura  che 
si  spostano  quotidianamente  nel  quartiere  di  Fuorigrotta,  diventando  così 

292 


una  categoria  di  pendolari.  Nei  discorsi  metalinguistici  dei  soccavesi  si 
coglie,  invece,  un  assottigliamento  del  limite  tra  contesti  d'uso  dell'italia- 
no e  contesti  d'uso  del  dialetto  (Tabella  3,  cfr.  Appendice). 

In  definitiva,  la  diversità  della  configurazione  demografica,  sociale  e 
urbanistica  delle  unità  territoriali  prescelte  e  delle  relazioni  funzionali  che 
esse  intrecciano  con  l'intera  area  metropolitana,  sono  all'origine  di  un  di- 
verso grado  di  identificazione  con  il  territorio.  L'intensità  del  legame  con 
lo  spazio  e  la  maggiore  mobilità  di  uno  dei  due  gruppi  del  campione  su- 
scitano opinioni  dissimili  in  merito  a  questioni  di  percezione  e  descrizio- 
ne degli  usi  linguistici  individuali  e  comunitari. 


4.  Analisi  linguistica 

La  varietà  esibita  dagli  intervistati  rappresenta  uno  dei  possibili  risultati 
del  contatto  fra  italiano  e  napoletano.  Secondo  Radtke  (2002:  31),  sebbene 
"la  sfera  tra  italiano  e  dialetto  [assuma]  un  ruolo  molto  importante  in  Campa- 
nia [...]  non  conosciamo  la  struttura  intema  di  queste  forme  intermedie".  Ri- 
spetto a  questa  problematica  i  dati  raccolti,  in  qualità  di  case  study,  offrono 
molteplici  spunti  di  riflessione  soprattutto  per  la  presenza  di  "forme  non  veri- 
ficabili a  livello  dialettale"  (Ratdke,  2002:  23).  Nei  brani  d'intervista  raccolti, 
si  passa  da  frammenti  di  napoletano  italianizzato  a  segmenti  di  italiano  regio- 
nale, attraversati  da  una  pluralità  di  fenomeni  fonetici,  morfo-sintattici  e  te- 
stuali, che  potrebbero  essere  indipendenti  dalla  competenza  dialettale. 

In  effetti,  tralasciando  le  inevitabih  interferenze  con  il  napoletano,  alcuni 
dei  fenomeni  osservati  nell'italiano  dei  parlanti  non  si  spiegano  chiamando  in 
causa  i  processi  di  italianizzazione  del  dialetto.  Ciò  vale  non  solo  per  la  fone- 
tica e  la  morfo-sintassi,  ma  anche  per  svariate  scelte  lessicali  che  appaiono  di- 
scutibili, improprie  o  formalmente  alterate.^  Gli  stessi  studenti,  che  non  sem- 
brano incontrare  alcuna  particolare  difficoltà  nell' esprimersi  in  itahano,^  defi- 
niscono tuttavia  il  proprio  italiano  "meno  preciso"  o  "piti  giomaUero". 

^  Si  riportano  alcuni  esempi: 

1.  Quali  reti  televisive  ti  piacciono  di  più?  Dipende  per  riguardo  i  telegiornali  mi 
piace  la  Rai  perché  è  piìi  esp/  è  piii  approfondito  riguardo  a  certi  argomenti  e  va 
molto  più  calma  mentre  i  film  la  Mediaset  (D) 

2.  Sei  riuscita  a  trovare  quello  che  ti  serviva?  Sì  perché  a  me  serviva  proprio  una 
cosa/  recente  però  penso  che  se  dovevamo  fare  una  ricerca:/  se  ad  esempio  sulle 
tecnologie  moderne  non  avevano  libri  attrezzati  (A) 

3.  Con  chi  parli  in  italiano?  Con  /  (a)d  (e)sempio  quando  l'altra  persona  parla  in 
italiano  /  allora:  distintivamente  parlo  anche  io  in  italiano  (S) 

^  In  effetti,  i  casi  di  code  switching  e  di  code  mixing  sono  sporadici,  probabilmente 
anche  per  effetto  della  situazione  d'inchiesta. 

293 


L'obiettivo  dell'analisi  linguistica  è  quello  di  individuare,  nel  parlato 
degli  intervistati,  l'incidenza  di  quei  fenomeni  che  potrebbero  assumere 
una  valenza  innovativa  proprio  perché  estranei  tanto  all'italiano  quanto  al 
dialetto  (cfr.  Somicola,  in  questo  volume).  Il  campione  è  rappresentato  da 
studenti  al  termine  del  proprio  percorso  di  scolarizzazione  (scuola  media 
superiore).^  La  varietà  osservata  è  quindi  una  varietà  scolastica  e  pertanto 
si  impone  la  riflessione  sul  rapporto  tra  il  processo  di  educazione  lingui- 
stica e  la  qualità  della  competenza  comunicativa  e  linguistica  sviluppata 
dai  parlanti.  In  questa  prospettiva,  alcuni  tra  i  fenomeni  presi  in  esame 
costituiscono  ulteriori  esempi  dei  tipi  di  alterazioni  morfo-sintattiche  che 
possono  prodursi  nelle  varietà  di  italiano  acquisite  mediante  apprendi- 
mento guidato  (cfr.  Somicola,  in  questo  volume). 

I  fenomeni  presentati  e  discussi  nei  paragrafi  che  seguiranno  non  esau- 
riscono la  descrizione  delle  varietà  oggetto  di  studio  e  neppure  le  caratte- 
rizzano in  maniera  univoca,  ma  sono  stati  scelti  perché  dotati  di  una  certa 
trasversalità.  Essi,  infatti,  sono  prodotti  da  quasi  tutti  i  parlanti  del  cam- 
pione. Fanno  eccezione  due  ragazze  (Sg  ed  R)  la  cui  varietà  di  italiano 
presenta  in  misura  minore  tratti  connotati  come  dialettali,  soprattutto  nel- 
la pronuncia,  nonché  una  pili  alta  gamma  di  variazione  sintattica,  lessica- 
le e  stilistica.  Ciò  è  dovuto,  probabilmente,  ad  un  contesto  familiare  se- 
gnato da  un  livello  socio-culturale  più  elevato.^ 

I  testi  raccolti  sono  densi  di  particolarità  linguistiche,  ma  dovendo  ef- 
fettuare una  scelta  se  non  proprio  rappresentativa  delle  varietà  prodotte, 
quanto  meno  efficace  ai  fini  di  una  descrizione  preliminare,  si  è  tenuto 
conto  solo  di  alcuni  fenomeni  appartenenti  a  diversi  livelli  di  analisi.  La 
ricerca  linguistica  si  orienta  perciò  su  tre  macro-criteri:  il  primo  prende  in 
esame  tratti  fonetici,  il  secondo  fenomeni  morfo-sintattici,  il  terzo  feno- 
meni testuali. 

4.1.  Fonetica.  Nel  corpus  analizzato,  i  tratti  fonetici  maggiormente 
connotati  in  senso  dialettale  sono  poco  rappresentati.  La  palatalizzazione 
di  5-  davanti  alle  occlusive  non  dentali  (Radtke  1998)  e  alle  fricative  la- 


^  La  maggioranza  del  campione  manifesta  l'esigenza  di  trovare  un  lavoro  e  dichiara  di 
non  voler  proseguire  negli  studi. 

"^R  è  l'unica  parlante  del  campione  ad  avere  genitori  diplomati  (il  padre  è  geometra), 
ambedue  originari  del  quartiere  Fuorigrotta;  i  genitori  di  Sg  provengono  dal  centro  stori- 
co, il  padre  possiede  la  licenza  media  e  lavora  in  aeroporto.  Ad  entrambe  piace  leggere  (R 
preferisce  libri  di  filosofia)  e  tutte  e  due  dichiarano  di  parlare  sempre  in  itaUano,  anche  in 
famiglia. 

294 


biodentali^  si  limita  ai  contesti  -sp-  (11  casi)  ([ri'Jpo:ndere]  'rispondere', 
[dijpia'ju:ta]  'dispiaciuta',  [ri'jp£:t:o],  'rispetto',  ecc.)  e  -Jk-  (7  casi)  ([ko'- 
no:JTco]  'conosco',  [fker'tsaindo]  'scherzando',  ['JTcwo:la]  'scuola',  ecc.). 
La  pronuncia  affricata  della  fricativa  sorda  dopo  n^^  è  sistematica  nelle 
forme  del  verbo  pensare  e  in  altri  tipi  lessicali:  [in'dzo:m:a]  'insomma', 
[in'dzje:me]  'insieme',  [Via  kon'dzailvo]  'via  Consalvo',  (in  che/nel) 
['seindzo]  'senso',  ecc.  Seppure  con  minore  regolarità,  il  fenomeno  si  ri- 
presenta in  contesto  fonosintattico,  quando  la  particella  non  è  seguita  da 
forme  del  presente  del  verbo  sapere  ([non  'dzo:]  'non  so'  è  il  caso  piti  fre- 
quente), dal  congiuntivo  presente  di  essere  ([non  'dzi:a]  'non  sia'),  oppure 
dal  clitico  si  ([non  'dzi  'fa:]  'non  si  fa',  [non  'dzi  kono'Jkomo]  'non  si  co- 
noscono'). La  sonorizzazione  delle  consonanti  sorde  dopo  nasale'^  è,  in- 
vece, un  fenomeno  occasionale:  [trai]gwil:a'me:nte]  'tranquillamente', 
['a:gge]  'anche',  [ko'mu:ggwe]  'comunque'.  Vale  lo  stesso  per  la  desono- 
rizzazione delle  consonanti  sorde:  ['kwi:nti]  'quindi',  [ir)'kle:se]  'inglese', 
[de'gra:to]  'degrado',  [a  'nn:o:rt]  'a(l)  Nord'. 

La  varietà  osservata  è  invece  pervasa  da  fenomeni  di  assimilazione 
progressiva^-,  presenti  in  tutti  i  parlanti,  tranne  due  (Sg  e  R).  L'analisi  dei 
contesti  di  assimilazione,  r-C  e  I-C,  ha  avuto  come  obiettivo  prioritario 
quello  di  verificare  l'eventuale  emergenza  di  una  relazione  di  implicazio- 
ne tra  le  varianti.  Nel  caso  specifico,  però,  insieme  al  contesto  fonetico  è 
interessante  considerare  anche  il  contesto  lessicale.  Infatti,  una  data  se- 
quenza di  r-C  o  I-C  subisce  assimilazione  in  certi  lessemi  ma  non  in  altri. 
Per  fare  un  esempio,  su  215  ricorrenze  della  congiunzione  causale  perché, 
in  92  casi  (43%)  c'è  assimilazione,  mentre  su  36  altri  potenziali  contesti 
(parco,  circostanze,  ricerche,  circolo,  ecc.)  il  fenomeno  ricorre  in  un  solo 
caso  (['tj£:k:o]  'cerco').  Il  totale  dei  tokens^^  più  spesso  interessati  dai 


9  Secondo  De  Blasi  (2002:  120)  "il  tratto  è  oggi  connotato  come  basso,  ma  è  presente 
anche  a  un  livello  più  alto,  nel  registro  più  colloquiale  e  meno  sorvegliato". 

'0  Tale  pronuncia  "è  evitata  nella  varietà  locale  alta,  almeno  nella  maggioranza  dei  tipi 
lessicali'*  (De  Blasi,  2002:  120  ).  Nel  corpus  analizzato  i  contesti  -Is-  e  -Ir-  {salsa  >  salza, 
borsa  >  bona)  sono  esposti  invece  a  fenomeni  di  assimilazione  (Italsider  >  Itassider,  per- 
sona >  pe ssona). 

•'  De  Blasi  (2002:  120)  ritiene  che  più  il  fenomeno  "è  evidente  più  la  pronuncia  si  ca- 
ratterizza come  bassa  o  trascurata". 

'2  Per  un  inquadramento  più  ampio  del  fenomeno  nell'area  indagata  cfr.  Somicola  in 

questo  volume. 

'^  I  types  interessati  sono:  perché,  persona,  persone,  personalità,  personalmente,  nor- 
male, normali,  normalità,  normalmente,  qualche(cosa),  alcuno/a/i/e,  altro/a/i/e, 
molto/a/i/e,  altro/a/i/e,  volta/e  e  forme  del  verbo  parlare. 


295 


processi  di  assimilazione  equivale  a  775  (distribuiti  secondo  l'ordine  del- 
la scala  A,  cfr.  Appendice).  Le  assimilazioni  toccano  il  27,5%  (215)  dei 
casi.  Alcuni  altri  esempi  (31  in  tutto)  riguardano  le  stesse  sequenze  fone- 
tiche {-re-,  -rs,  -ri-,  -rm-,  -le-,  -It-),  ma  in  lessemi  diversi  da  quelli  elen- 
cati in  nota  13  ([unives:i'ta:]  'università',  [tra've:s:a]  'traversa', 
[di've:s:o]  'diverso',  ['fo:s:e]  'forse',  ['tje:k:a]  'eerca')  oppure  contesti 
che  ampliano  il  numero  delle  sequenze  fonetiche  coinvolte 
([med:38'l:i:na]  'Mergellina',  [og:a'i:d:zo]  'orga(n)izzo',  [a'm:e:no]  'aL 
meno',  ['kwa:t:o]  'Quarto',  [ab:e'g:je:ro]  'alberghiero',  [speja'm:8:nte] 
'specialmente'.  ['pu:nto  d  i'k:o:ntro]  'punto  d'incontro',  [p8'f:8:t:o]  'peri 
fetto',  [i'v:8:nto]  'invento'). 

Restringendo  l'analisi  alla  serie  dei  lessemi  (215)  in  cui  l'assimilazio- 
ne è  quasi  sistematica  si  ricava  la  scala  di  frequenza  A'  (cfr.  Appendice). 
Siccome  in  A  e  A'  gli  estremi  coincidono,  si  potrebbe  pensare  che  la  fre- 
quenza di  ricorrenza  di  un  lemma  incida  sulla  frequenza  di  ricorrenza  del- 
l'assimilazione. Tale  correlazione  non  è  però  sempre  valida  per  i  lemmi  a 
frequenza  intermedia:  ad  esempio  altro  ha  una  bassa  frequenza  di  ricor- 
renza all'interno  del  corpus  (8,8%),  ma  una  relativamente  alta  percentuale 
di  assimilazione  (17,2%);  parlare  q  persona  illustrano,  in  linea  di  massi- 
ma, il  caso  inverso.  Attribuendo  maggiore  rilevanza  al  criterio  lessicale, 
tralasciando  l'aggettivo  normale  (assente  dal  parlato  di  quattro  intervista- 
ti) ed  il  verbo  parlare  (la  cui  ricorrenza  è  indotta  dai  temi  d'intervista),  si 
ottengono  le  scale  d'implicazione  Mj  e  M^^'^{cfv.  Appendice). 

Esaminando  il  solo  contesto  fonetico  (scala  M,)  si  può  semplicemente 
affermare  che  la  maggioranza  del  campione  produce  fenomeni  di  assimi- 
lazione. La  scala  M-,,  al  contrario,  induce  a  considerazioni  ulteriori: 

a.  il  rapporto  d'implicazione  dei  processi  assimilativi  emerge  soprat- 
tutto in  relazione  a  determinati  tipi  lessicali; 

b.  la  matrice  mostra  una  maggiore  stabilità  e  diffusione  dell'assimila- 
zione rispetto  alla  pronuncia  standard; 

e.  i  parlanti  sono  distribuiti  in  modo  tale  che  nella  parte  superiore  trovia- 
mo 3  soccavesi  e  2  pianuresi;  nella  sezione  inferiore  il  rapporto  è  ribaltato.  Il 
dato  va  certamente  indagato  più  a  fondo,  ma  non  si  può  escludere  a  priori 
che  il  fenomeno  possa  avere  una  valenza  diatopica,  e  non  solo  diastratica,  le 
cui  modalità  di  attuazione  e  diffusione  sono  ancora  da  definire. 

La  distribuzione  delle  singole  varietà  lungo  il  continuum  dialetto/ita- 
liano derivata  dalla  scala  M^  isola  un  gruppo  di  parlanti  (D,  L,  I,  S,  F,  V) 
in  cui  l'assimilazione  è  più  frequente.  A  grandi  linee,  questi  parlanti  pre- 

'■*  Mj  ha  un  "indice  di  riproducibilità"  compreso  fra  l'SO  e  r89%  (Berruto,  1995:  189). 
296 


sentano  in  percentuale  maggiore  anche  la  palatalizzazione  di  s,  nonché  fe- 
nomeni di  semplificazione  di  nessi  consonantici  (ad  esempio  del  nesso 
-pr-  nell'avverbio  proprio,  usato  soprattutto  con  funzione  di  focalizzato- 
re,  e  realizzato  come  propio  —>popio). 

Tuttavia,  se  si  escludono  gli  aspetti  fonetici,  come  si  manifesta,  ad  un 
livello  più  profondo,  sintattico  e  testuale,  la  "dimensione  contattuale" 
(Radtke,  2002:  31)  fra  italiano  e  dialetto? 

4.2.  Morfosintassi.  Alcune  singolarità  interessanti  riguardano  l'ambito 
del  sistema  verbale  e  dei  pronomi  clitici. 

4.2.1.  Forme  verbali.  Nel  corpus  analizzato,  a  211  types  verbali  corri- 
spondono 2.487  tokens  (Figura  1,  cfr.  Appendice).  L'inventario  dei  verbi 
per  ogni  parlante  evidenzia  l'uso  imponente  del  verbo  essere  (non  ausilia- 
re), usato  prevalentemente  come  verbo  copulativo  o  locativo-esistenziale 
(Tabella  4,  cfr.  Appendice). 

Le  strutture  copulative  e  locativo-esistenziali  (funzione  espressa  anche 
dal  verbo  stare)  formano  l'ossatura  sintattica  dei  testi  prodotti,  diventan- 
do una  sorta  di  modello  nella  micropianificazione  sintattica  dei  parlanti. 
Tale  ipotesi  è  avvalorata  da  alcuni  costrutti  in  cui  ci  si  chiede  se  l'uso  del 
verbo  essere  sia  appropriato  e/o  "necessario".  Ad  esempio,  il  sintagma  è 
diplomata  (es.  1)^-^  va  analizzato  come  un  caso  di  ellissi  del  pronome  ri- 
flessivo oppure  nasce  come  costruzione  copulativa?  Pure  l'espressione  è 
un'origine  di  tante  persone  (es.  2),  riferita  al  dialetto  napoletano,  è  come 
se  fosse  indotta  da  una  struttura  sintattica  facilmente  riproducibile,  a  di- 
scapito della  precisione  semantica.  Lo  stesso  ragionamento  è  applicabile 
anche  agli  esempi  3  e  4: 

1 .  Mia  sorella  è  diplomata  in  questa  scuola  (S) 

2.  perché  è  un  'origine  di  tante  persone  (F) 

3.  Sì  però  in  estate  ho  letto  anche  Alessandro  Manzoni  I  promessi 
sposi  che  non  era  /  non  era  la  scuola  (A) 

4.  sì  mi  sposto  però  è  poco  perché  /  dove  abitavo  e  dove  abito  io  è 
una  zona  molto  brutta  (A) 

'^  Negli  esempi  citati  nel  corso  della  trattazione,  gli  interventi  prodotti  dalle  intervista- 
trici sono  in  grassetto.  In  effetti,  sebbene  l'interazione  proceda  essenzialmente  seguendo 
lo  schema  Domanda  /  Risposta,  in  piii  momenti  si  allontana  da  tale  schema  assumendo  i 
toni  di  un  vero  e  proprio  scambio  conversazionale.  Si  è  preferito  quindi  non  separare  gli 
enunciati  indicandoli  come  Domanda  e  Risposta  proprio  per  rispettare  in  misura  maggiore 
il  naturale  svolgimento  dell'interazione. 

297 


A  sostegno  dell'ipotesi  formulata  va  anche  il  fatto  che,  in  diversi  casi, 
la  struttura  copulativa  affiora  in  corrispondenza  di  un  mutamento  di  pro- 
getto, spesso  anticipandolo: 

5.  A  volte  Soccavo  è:  è  /  la  conoscono  per  la  nomina  che  porta  (I) 

6.  pure  persone  più  piccoline  che  magari  d'età  più  piccolina  che 
già  sono  I  che  la  penzano  diversamente  quindi  non  è  I  cioè  io 
per  esempio  non  ci  sono  mai  stata  (Sg) 

7.  Allora  è  I  logicamente  deve  essere  usato  (A) 

Talvolta,  essere  diventa  una  sorta  di  riempitivo: 

8.  No  perché  a  Soccavo  c'è  via  (E)pomeo  /  è  una  ehm  molto  /  so- 
no negozi  molto  belli  (S) 

Altre  volte  serve  a  lasciare  il  discorso  in  sospeso: 

9.  Penzo  sia  più  periferia  di  Napoli  non  è...  (S) 

Vanno,  infine,  segnalati  alcuni  enunciati  in  cui  il  costrutto  copulativo 
assume  significato  locativo-esistenziale: 

10.  quindi  proprio  quello  vero  [il  nap.]  che  sono  parole  del  tutto 
strane  a  me  (S) 

11 .  Sì  ho  sentito  dire  che  sono  dei  contrasti  tra  //  persone  di  Pianu- 
ra con  Soccavo  (A) 

Questi  esempi  vanno  interpretati  come  casi  di  ellissi  del  clitico  oppure 
come  riproduzioni  di  una  frase  copulativa? 

4.2.2.  Ellissi  dei  pronomi  complemento.  L'assenza  di  taluni  pronomi 
complemento,  sebbene  non  caratterizzante  in  termini  quantitativi,  è  un  fe- 
nomeno che  ricorre  spesso  nel  parlato  spontaneo.  Per  quanto  concerne  l'i- 
taliano dei  parlanti  i  casi  che  presentano  maggiore  variabilità  sono  i  co- 
strutti con  vedere  e  piacere. 

"Vedere".  In  generale,  il  verbo  vedere  è  utilizzato  prevalentemente 
con  il  significato  di  'considerare',  'giudicare',  'valutare'  qualcosa  o  qual- 
cuno. Gli  enunciati  12-14  esemplificano  strutture  con  dislocazione  a  sini- 
stra: 

12.  Se  mi  dovessi  fare  una  differenza  tra  Soccavo  e  Pia- 
nura? Secondo  me  c'è  una  differenza  eh  e  qual  è?  che  no(n)  (l)o 
so  o  perché  ci  sono  nata  c'ho  gli  amici  i  parenti  cioè  per  me  è 
un'attra  cosa  che  cosa  Soccavo?  eh  cioè  Pianura  la  vedo  più  cioè 
o:  le  persone  pure  le  persone  cioè  le  vedo  diverse  cioè  come  devo 
dire  ehm  non  mi  piacciono  (V) 

298 


13.  Secondo  te  a  Seccavo  si  vive  meglio  rispetto  a  Pianu- 
ra? Magari  un  pochino  Perché?  Perché  non  lo  so  /  Soccavo  lo  ve- 
do come  zona  un  poco  poco  poco  più  tranquilla  (R) 

14.  Di  solito  quando  esci  che  fai  rimani  a  Pianura  ti  spo- 
sti, se  ti  sposti  dove  preferisci  andare?  No  io  preferisco  spostar- 
mi /  però  vabbè  diciamo  che  non  sto  mai  allo  stesso  posto  però 
preferisco  non  restare  a  Pianura  per  una  quest  /  perché  /  non  lo  so 
non  mi  non  mi  trovo  proprio  bene  in  quel  posto  alla  fine  Pianura  la 
vedo  più  come  un  posto  che  ne  so  per  fare  spesa  queste  cose  così 
che  per  restare  con  gli  amici  sinceramente  non  (R) 

Nei  testi  analizzati,  si  individuano  anche  enunciati  (es.  15-17)  in  cui  il 
verbo  è  costruito  senza  clitico: 

15.  Ti  piace  il  quartiere  Vomero?  ehm  //  così  così  e  la 
gente  com'è  diversa?  sì  la  gente  è  mo(l)to  div  /  io  la  vedo  diversa 
da  noi  in  che  senso?  ehm  nel  senso  che  là  secondo  me  si  usa  molto 
parlare  il  dialetto  italiano  cioè  l'italiano  il  dialetto  italiano?  l'ita- 
liano ah  l'italiano  no  mi  so  imbrogUata  /  secondo  me  cioè  ho  fre- 
quentato il  Vomero  e  là  ho  visto  rispetto  a  qua  parlano  più  l'italia- 
no che  il  napoletano  /  cioè  vedo  proprio  le  persone  diverse  più  più 
così  (V) 

16.  Come  mai  hai  scelto  di  venire  in  questa  scuola?  Io: 
all'inizio  non  volevo  venire  in  questa  scuola  pecche  mi  pia:ce:va 
andare  anche  a  me  all'abbegghiero  però  mia  mamma  /  so(no)  stata 
costretta  da  mia  manoma  pecche  essendo  piccolina  in  che  senso? 
pecche  ha  detto  mia  mamma  /  vedo  una  cosa  un  po'  più  /diciamo 
terra  terra  questa  scuola  (MI) 

17.  e  quindi  rispetto  a  questo  centro  Pianura  come  la 
consideri  un  centro  o  qualcosa  d'altro?  cioè  più  una  peri/  cioè 
vedo  più  una  zona  periferica  /  cioè  a  differenza  del  centro  direzio- 
nale è  più  una  zona  periferica  /  cioè  così  la  vedo  (Mr) 

Allo  stato  attuale  dell'analisi  è  azzardato  formulare  ipotesi  su  una  pos- 
sibile differenza  di  natura  sintattica,  pragmatica  o  stilistica  che  potrebbe 
distinguere  gli  enunciati  12-14  dagli  enunciati  15-17.  Data  la  ricorrenza, 
nel  corpus,  del  costrutto  verbale  esemplificato  in  15-17,  sarebbe  opportu- 
no avviare  un'analisi  approfondita  della  casisfica  considerata,  prendendo 
in  esame  un  campione  di  parlato  piìi  ampio  e  diversificato.  In  questa  sede, 
si  può  solo  tentare  una  descrizione  in  termini  di  distribuzione  funzionale 
degli  elementi  all'interno  dei  due  tipi  di  costruzioni.  Gli  enunciati  12-14 
sono  esempi  di  strutture  con  dislocazione  a  sinistra,  in  cui  il  topic  è  segui- 
to dal  clitico  di  ripresa,  con  funzione  di  oggetto  diretto,  e  dal  verbo 
{topic  +  O  ^^^  +  V).  Per  quanto  concerne  i  casi  esemplificati  in  15-17,  il 

:99 


valore  semantico  del  verbo  vedere  non  è  propriamente  riconducibile  a  quel- 
lo di  'considerare,  giudicare'  (Zingarelli  2003),  come  in  12-14,  ma  fattori 
contestuali  e  pragmatici  fanno  pensare  piuttosto  ad  un'interpretazione  del 
verbo  nel  senso  di  'percepire  con  gli  occhi  la  realtà  concreta'  (Zingarelli 
2003).  Da  un  punto  di  vista  strutturale  gli  esempi  in  questione  sono  caratte- 
rizzati, almeno  apparentemente,  da  ellissi  del  pronome  clitico  oggetto  diret- 
to. Tuttavia,  ai  fini  interpretativi  risulta  piij  stimolante  un'analisi  di  tipo 
pragmatico,  che  può  fornire  indizi  interessanti  anche  per  l'analisi  struttura- 
le. Il  rallentamento  della  velocità  di  eloquio,  che  spesso  accompagna  la  rea- 
lizzazione della  struttura  in  esame,  evidenzia  una  difficoltà  di  elaborazione 
concettuale  e/o  di  micropianificazione  sintattica  da  parte  del  parlante.  Non 
si  può  escludere  che  l'insicurezza  nella  esecuzione  del  progetto  argomenta- 
tivo influisca  sulla  maggiore  variabilità  nella  distribuzione  degli  elementi 
retti  dal  verbo,  in  particolare  del  sintagma  nominale  (SN)  con  funzione  di 
oggetto  diretto.  Si  osserva,  infatti,  che  in  15  il  SN  oggetto  diretto  è  pospo- 
sto al  verbo  (V  +  O),  in  16  il  SN  avente  la  stessa  funzione  si  trova  in  posi- 
zione di  'coda';  in  17  invece  il  SN  oggetto  diretto  non  è  attualizzato,  resta 
cioè  sottinteso  in  quanto  elemento  noto  e  presente,  sempre  con  funzione  di 
oggetto  diretto,  nella  domanda  posta  dall'intervistatrice. 

"Piacere  ".  Altri  casi  di  ellissi  del  clitico  riguardano  il  verbo  piacere. 
Ai  costrutti  verbali  rappresentati  da  a  me  mi  piace  (es.  18)  e  mi  piace  (es. 
18,  20  e  23)  si  aggiunge  il  û^o  piace  (es.  19-24): 

18.  Se  tu  per  esempio  dovessi  scegliere  un  posto  di  Napoli 
dove  andare  a  vivere  un  posto  che  ti  piace  molto  dove  andresti? 
compreso  Pianura  sì  un  posto  può  essere  pure  fuori  Napoli  no  Pia- 
nura abbè  poi  abbè  pò  a  me  mi  piace  anche  Posillipo  solo  Posillipo 
non  mi  piace  neanche  il  Vomero  mi  piace  più  Posillipo  /  però  se  do- 
vrei scegliere  sceglierei  sempre  a  Pianura  o  perché  ho  le  mie  abitudi- 
ni le  strade  le  conosco  e  allora  secondo  me  è  il  luogo  più  adatto  (F) 

19.  Ti  piace  leggere?  ehm  piace  però  non  non  sono  appas- 
sionata di  libri  I  piace  più:  uscire  (A) 

20.  Perché  hai  scelto  questa  scuola?  Io  all'inizio:  andavo 
allo  scientifico  ho  fatto  due  anni  allo  scientifico  poi  mi  sono  spo- 
stato a  questa  scuola  uno  pecche  mi  piaceva  l'economia  aziendale 
//  e  due  pecche  era  un  po'  più  difficile  lo  scientifico  //  poi  piace 
molto  la  matematica  pe(r)  questo:  so(no)  rimasto  Non  ti  piace  la 
matematica?  No:  piace  la  matematica  pe(r)  questo  so(no)  rimasto 
nell'ambito  dello  scientifico  e  dell'economia  aziendale  (D) 

21.  Preferisci  parlare  italiano  o  napoletano?  Nel  momen- 
to i(l)  giusto  piace  pallare  in  napoletano  /  pecche  è  più  veloce  e  poi 
perché  è  anche  la  mia  lingua  (D) 

300 


22.  Senti  una  cosa  e  per  esempio  ti  piace  leggere?  A  volte 
Che  cosa?  Piace  leggere  i  libri  tipo:  quelli  di  Ken  Follett  (D) 

23.  Come  struttura  ti  piace  questa  scuola,  dal  punto  di 
vista  dei  funzionamento  le  tue  opinioni  La  scuola  popio  proprio 
sull'istituto?  Questa  qua  è  sì  /  è  bella  come  scuola  anche  se  il  co- 
lore non  mi  piace  però  la  scuola:  //  è  bella  anche  dentro  è  bella  mi 
piace  anche  del  fatto  che  è  a  tre  piani  quindi  è  molto  grande  /  piace 
Il  a  livello  pure  di  docenti?  (S) 

24.  E  di  solito  cosa  fai  quando  esci  ti  piace  uscire?  Sì  pia- 
ce uscire  (MI) 

Come  per  le  strutture  trattate  nel  paragrafo  precedente,  anche  per  il  ca- 
so di  piace  è  auspicabile  un'indagine  di  più  ampio  raggio,  che  fornisca 
maggiori  indicazioni  su  quali  possano  essere  i  parametri  di  analisi  appro- 
priati. Gli  esempi  19-24  rientrano,  infatti,  in  una  casistica  particolarmente 
complessa  per  la  natura  delle  relazioni  sintattiche,  semantiche  e  pragmati- 
che che  si  stabiliscono  tra  il  verbo  ed  i  suoi  complementi.'^  Restringendo 
l'analisi  al  costrutto  piace,  va  notato  che  solo  in  un  caso  (es.  20)  il  verbo 
regge  un  soggetto  nominale,  mentre  in  altri  4  casi  (es.  19,  21,  22  e  24)  il 
verbo  regge  un'infinitiva  semplice.  In  19  e  23  le  valenze  verbali  non  so- 
no saturate.  La  variabilità  nei  costrutti  con  il  verbo  piacere  potrebbe  di- 
pendere proprio  dalle  proprietà  sintattiche  e  semantiche  del  costituente 
con  funzione  di  soggetto. 

Da  un  punto  di  vista  pragmatico,  la  forma  piace  sembra  intervenire 
per  confermare  o  ribadire  informazioni  attinenti  ad  un  macro-tema  che  il 
parlante  ha  già  sviluppato. 

4.2.3.  Congiuntivo.  La  prospettiva  temporale  nei  testi  raccolti  è  affida- 
ta prevalentemente  ai  tempi  dell'indicativo,  soprattutto  al  presente;  di  tan- 
to in  tanto,  risaltano  forme  verbali  al  congiuntivo  o  al  condizionale.  L'uso 
del  condizionale  al  posto  del  congiuntivo  è  un  fenomeno  ampiamente  do- 
cumentato nell'italiano  pariato.  Si  rilevano  anche  enunciati  in  cui  il  con- 
giuntivo è  sostituito  dal  presente  indicativo: 

25.  ci  sono  zone  dove  stanno  più  criminali  rispetto  ad  al- 
tre insomma  allora  /  che  io  so  I  cioè  almeno  come  vedo  io  /  a  Sec- 
cavo ce  ne  sono  di  più  (V) 

Se  si  escludono  alcune  forme  di  congiuntivo  prodotte  dalla  pariante 
che  possiede  la  varietà  più  alta  del  continuum  (R),  le  altre  si  restringono  a 

1^  Cfr.  Somicola  (1992:  265-266). 

301 


tre  tipi  di  costrutti:  a)  strutture  introdotte  dà  penso  /  credo  che  (6  ricorren- 
ze), b)  strutture  introdotte  da  è  come  se^'^  (5  ricorrenze),  e)  l'espressione 
che  io  sappia  (7  ricorrenze),  in  cui  il  congiuntivo  è  quasi  sempre  realizza- 
to. In  generale,  i  parlanti  del  campione  non  adoperano  con  dimestichezza 
il  modo  congiuntivo,  dato  che  l'insieme  degli  enunciati  in  cui  esso  ricorre 
ne  evidenzia  un  uso  contenuto,  oltre  che  la  difficoltà  di  usufruire  piena- 
mente dei  significati  a  cui  esso  rinvia.  In  effetti,  gli  enunciati  al  congiun- 
tivo somigliano  molto  a  formule  fisse.  Ciò  fa  ipotizzare  che  questo  modo 
verbale  rappresenti  non  uno  strumento  grammaticale  e/o  stilistico  autono- 
mo, bensì  un  ambito  d'uso  stereotipato. 


5.  Fenomeni  testuali 

5.1.  Segnali  discorsivi.  L'ascolto  dei  brani  evidenzia  che  uno  degli  ambiti 
in  cui  il  dialetto  affiora  nel  parlato  degli  intervistati  è  quello  dei  segnali 
conversazionali:'^ 

26.  cioè  pe(r)  me  più  criminalità  c'è  a  Soccavo  perché  // 
['wa*'^'*^*]  sinceramente  non  ti  so  [ri'Jpo:ndere]  però  (V)  ["guarda"] 

27.  sì  sì  funziona  bene  vedo  perché  vedo  la  differenza  con 
le  altre  scuole  ei  /  (I)  [ei  vale  "capito?"] 

28.  Eh::  [aj'pe]  come  si  chiama  /  Ises  là  è  una  brutta  zona 
(A)  ["aspetta"] 

Tra  i  segnali  discorsivi  presenti  nel  corpus  (Tabella  5),  spicca  per  la 
sua  alta  frequenza  di  ricorrenza  la  particella  abbè,  forma  aferetica  di 


'^  Il  verbo  interessato  è  per  lo  più  essere. 

'*  Il  dialetto  emerge  anche  in  diversi  altri  momenti  dell'interazione  discorsiva: 

1.  Via  Roma  per  me  quella  è  proprio  Napoli  centro  Napoli  centro  e  voi  invece  di 
Soccavo  e  di  Pianura  visto  che  tu  sei  metà  e  metà  dove  state?  coni  è  cioè  state 
alla  periferia  o  al  centro  spiegati  meglio  (V)  ["com'è"  vale  in  che  senso?] 

2.  Ma  fate  inglese  qua?  Come  (D)  ["come"  vale  sì] 

3.  A  Pianura  c'è  una  biblioteca?  ntz  II  no  (V)  ["ntz"  vale  no] 

4.  Senti  e  a  Soccavo  e  Pianura  ci  sono  dei  monumenti  che  tu  sappia?  ntz  II  non  lo 
so  no  (V)  ["ntz"  vale  non  lo  so] 

Spesso,  gli  elementi  dialettali  veicolano  un  commento  enfatico  del  locutore,  talvolta 
con  accezione  negativa,  come  accade  negli  esempi  che  seguono: 

1.  mo  in  questo  momento  non  mi  vengono  parole  cioè  perché  non  mai  pallaio  cioè 
sinceramente  ogni  volta  che  ho  sentito  che  parlavano  così  ho  sempre  detto  u:a:: 
(V) 

2.  io  cioè  più  che  altro  li  prendo  in  giro  perché  dico  marò  ma  di  dove  sei  (V) 

302 


vabbè,^'^  (nap.  vabbuo)  rispetto  a  cui  abbè  assume  però  tutt' altra  funzione. 
Abbè  sembra  avere  acquistato  una  sua  autonomia  funzionale  rispetto  a 
vabbè.  Abbè  si  comporta,  infatti,  come  un  segnale  di  presa  di  turno  che 
vale  come  premessa  ad  una  risposta  di  cui  si  cerca  di  attenuare  la  perti- 
nenza, la  completezza,  l'esattezza,  e  pertanto  rientra  anche  fra  i  meccani- 
smi di  modulazione  con  valore  attenuativo  (Renzi,  1995:  238-240).  La 
differenza  di  funzione  tra  allora^^  come  segnale  di  sola  presa  di  turno  e 
abbè,  specifico  nella  sua  funzione  attenuante,  è  evidente  in  un  caso  in  cui 
i  due  segnali  si  susseguono: 

29.  E  dove?  cioè  fammi  spiegami  meglio  allora  abbè  ci 
sono  amici  in  cui  con  cui  parlo  l'italiano  e  amici  con  che  parlo  dia- 
letto /  (I) 

Spesso  abbè  è  seguito  da  un  segnale  esplicito  di  modulazione:^' 

30.  tutti  dicono  ah  è  meglio  Soccavo  no  non  noto  questa 
differenza  è  uguale  sì  perché  tutti  quanti  dicono  però  a  Soccavo 
c'è  stato  il  piano  regolatore  abbè  forse  è  organizzata  meglio  co- 
me rispetto  a  Pianura  però  comunque  non  ci  sta::  non  noti  una 
grande  differenza  (L) 

31.  [a  proposito  di  dove  si  parla  il  napoletano  volgare 
COME  QUELLO  DI  PIANURA]  abbè  diciamo  i  paesi  Giugliano  queste 
cose  co/  Marano  cioè  là  proprio  napoletano  (XXX)  (V) 

In  diversi  casi  abbè  rappresenta  l'elemento  risolutivo  di  una  difficoltà 
di  pianificazione: 

32.  Senti  e  a  Soccavo  e  Pianura  ci  sono  dei  monumenti 
che  tu  sappia?  ntz  /  non  lo  so  /  no  visto  che  tu  abiti  cioè  conosci 

tutti  e  due  i  posti  ah  a:  Pianura::  a  Pianura::  ehm  abbè  ci  sono  i 
Camaldoli  /  e  diciamo  è  come  se  fosse  un  monumento  da  come  ho 
sentito  parlare  io  (V) 

Vabbè  può,  talvolta,  avere  una  funzione  analoga  a  quella  di  abbè,  ma  più 
spesso  denota  una  maggiore  sicurezza  nella  pianificazione  dell'enunciato: 

'^  Secondo  Renzi  (1995:  242)  va  bbé  svolge  una  funzione  di  accordo  e/o  conferma 
(anche  parziale)  oppure  segnala  faticamente  la  conclusione  del  turno  di  parola  dell'inter- 
locutore. 

^^  La  variante  allò  sembra  indicare  una  maggiore  chiarezza  argomentativa  da  parte  del 
parlante  che  mette  a  confronto  due  tematiche: 

1.  Senti  e  se  non  ci  fosse  il  dialetto  (...)  che  reazione  avresti?  Allò  da  un  lato  visto 
che  appunto  non  lo  uso  molto/  la  cosa  più  o  meno  non  è  che  può  incidere  molto  su 
a  livello  personale  però  poi  penso  che  il  dialetto  è  una  cosa  tipica  di  ogni  regione 
di  ogni  posto  e  ed  è  come  se  noi  perdessimo  una  parte  di  Napoli  (R). 

303 


33.  E  se  io  ti  chiedessi  quale  lingua  hai  imparato  per  pri- 
ma tu  che  cosa  mi  risponderesti?  Vabbé  fino  a  dodici  anni  ho 
parlato  sempre  italiano  poi  quando  cioè  sono  cominciata:  /  a  scen- 
dere /  ho  cominciato  a  scendere  ho  cominciato  a  parlare  come  i 
miei  amici  (Mr) 

L'unica  ricorrenza  della  variante  dialettale  vabbuó,  pronunciata  con 
maggiore  velocità,  risolve  una  contraddizione  rilevata  nel  discorso  del- 
l'intervistato: 

34.  E  quindi  rispetto  a  questo  centro  Pianura  come  la 
consideri  un  centro  qualcosa  d'altro  cioè  piià  una  peri-  cioè  vedo 
più  una  zona  periferica  /  cioè  a  differenza  del  centro  direzionale  è 
più  una  zona  periferica  /  cioè  così  la  vedo  e  però  tu  prima  hai 
detto  che  era  comunque  un  centro  sì  vabbuò  perché  specialmen- 
te a  Soccavo  perché  è  facile  arrivarci  cioè  ad  esempio  da  Soccavo 
al  centro  direzionale  non  è  molto  distante 


5.2.  Parafrasi.  È  noto  che  l'abilità  di  parafrasi  è  un  importante  rivela- 
tore del  livello  di  competenza  linguistica.  L'analisi  delle  strutture  parafra- 
stiche presenti  nel  corpus  ha  evidenziato  molteplici  problemi  di  categoriz- 
zazione  connessi  alla  diversità  strutturale  e  funzionale  propria  delle  para- 
frasi. Per  ovvi  motivi  di  spazio,  si  richiama  l'attenzione  solo  su  alcuni 
aspetti  rilevanti  ai  fini  della  ricerca  condotta.  Escludendo  i  casi  di  sempli- 
ce ripetizione  e  quelli  con  lieve  modificazione  della  struttura  sintattica  e 
semantica  dell'elemento  parafrasato,  la  casistica  più  interessante  implica 
la  "trasformazione  di  struttura  che  altera  il  significato,  anche  con  il  ricor- 
so a  operazioni  come  metafore,  esemplificazioni,  ecc."  (Somicola,  1999: 
34). 

In  linea  di  massima,  i  parlanti  non  sembrano  seguire  schemi  comuni 
nella  strutturazione  parafrastica,  nondimeno  si  notano  delle  costanti.  Le 
parafrasi  a  breve  spettro  sono  più  frequenti  di  quelle  a  largo  spettro  (Sor- 
nicola,  1999:  43),  in  cui  l'espansione  avviene  generalmente  per  esemplifi- 
cazione.^^ Queste  ultime  si  sviluppano  soprattutto  in  relazione  al  fatto  che 
il  parlante  o  "non  sa  che  dire",  oppure  non  riesce  ad  attuare  una  strategia 


^'  In  30  e  31  forse  e  diciamo  riducono  il  grado  di  precisione  dell'enunciato  eviden- 
ziando una  certa  insicurezza  del  parlante  rispetto  alla  formulazione  del  contenuto  proposi- 
zionale (cfr.  Renzi,  1995:  238). 

^^  Nella  varietà  più  alta  del  continuum  analizzato  (R),  le  strutture  parafrastiche  coinci- 
dono, nella  maggior  parte  dei  casi,  con  riformulazioni  volte  all'uso  di  materiale  lessicale 
pili  ricercato. 

304 


argomentativa  efficace.  Le  sequenze  esemplificative  attingono  in  preva- 
lenza all'esperienza  personale,  come  avviene  nel  testo  che  segue: 

35.  E  allora  tu  questo  napoletano  quando  lo  usi  fammi 
sentire?  quando  sto  co(n)  gli  amici  a  Soccavo  a  Seccavo  ovvia- 
mente /  a  scuola  invece  come  parli?  eh  pure  a  scuola  cioè  sempre 
con  gli  amici  //  pecche  comunque  fra  di  noi  cioè  secondo  me  se  c'è 
confidenza  non  perché  dici  così  perché  ti  sembra  che  il  napole- 
tano //  possa  avere  cioè  se  io  conosco  una  pessona  no  /  secondo 
me  nojXabene^p_gdare  napoletano  pecche  cioè  iinapoletano  sì  ve- 
ro stiamo..a.Nap.oli  cioè  diciamo  che  è  la  nostra  lingua  //  però  se- 
condo me  come  devo  dire  più:  /  non  è  aggarbata  come  U  £ÌQè 
che  io  mi  presento  a  una  pessona  e  parlo  napoletano  cioè  secondo 
me  non  mi  do  una  buona  impressionedir^^^  //  (V) 

Si  osserva  che  l'espansione  del  testo  sorgente^^  procede  soprattutto 
per  associazioni  semantiche:  amici  -^  fra  di  noi  -^  confidenza.  Sollecita- 
ta a  ritornare  sullo  stesso  tema,  la  studentessa  ribadisce  il  concetto  espres- 
so servendosi  però  della  relazione  antonimica,  attraverso  esempi  di  "si- 
tuazioni non  confidenziali".  Da  notare  che  il  passaggio  da  una  tipologia 
esemplificativa  all'altra  avviene  grazie  al  verbo  conoscere  che,  inizial- 
mente, sembra  insistere  sull'idea  di  confidenzialità  e,  solo  in  seguito,  ri- 
ceve la  corretta  interpretazione  di  "conoscere  qualcuno  per  la  prima  vol- 
ta". In  questo  senso,  non  è  certo  se  al  frammento  di  testo  "cioè  se  io  co- 
nosco una  pessona  no  /  secondo  me  no  sta  bene  parlare  napoletano"  vada 
attribuito  lo  status  di  espansione  parafrastica  di  "quando  sto  con  gli  ami- 
ci" oppure  quello  di  nuovo  testo  sorgente.  Gli  enunciati  in  relazione  para- 
frastica sono  interrotti  da  una  sequenza  di  parafrasi  relative  al  "napoleta- 
no". Anche  in  frammenti  testuali  più  estesi,  spesso  la  testa  della  parafrasi 
inizia  e  conclude  il  campo  della  parafrasi  (Somicola,  1999:  48)  creando 
così  un  modello  tautologico,  in  cui  la  parafrasi  svolge  soprattutto  una  fun- 
zione di  conferma  rispetto  al  testo  parafrasato.^"^ 

In  sintesi,  l'analisi  delle  strutture  parafrastiche  rileva  nel  campione 
una  scarsa  abilità  di  trasformazione  del  testo. 


"  Il  testo  sorgente  è  in  corsivo  e  porta  lo  stesso  tipo  di  sottolineatura  del  testo  parafra- 
stico. 

""^  "Qui  nel  posto  a  Soccavo  che  tipo  di  napoletano  si  parla?  Qui  nel  posto  (XXX) 
ritorniamo  sempre  al  discorso  delle  zone  perché  se  vai  nel  Rione  Traiano  allora  parli  un 
napoletano  stretto  proprio  che  nemmeno  io  a  volte  capisco  se  invece  rimani  nella  zona  do- 
ve abito  io  allora  il  il  napoletano  piìi  italianizzato  più  che  capisci  insomma  /  dipende  sem- 
pre dalle  zone''  (S). 

305 


6.  Conclusioni 

La  casistica  descritta  nelle  pagine  precedenti  è  sicuramente  molto  ete- 
rogenea, comprendendo  fenomeni  linguistici  diversi  per  tipologia  e  inci- 
denza. Le  assimilazioni  consonantiche  oppure  la  ricorrenza  del  segnale 
discorsivo  abbè,  ad  esempio,  caratterizzano  le  varietà  indagate  in  maniera 
rilevante.  La  variabilità  nell'uso  dei  pronomi  clitici  con  alcuni  costrutti 
verbali  (cfr.  vedere  e  piacere)  costituisce,  al  contrario,  un  aspetto  molto 
più  instabile  ed  effimero,  forse  più  strettamente  connesso  alle  caratteristi- 
che del  singolo  parlante  (la  forma  piace,  per  esempio,  è  presente  soprat- 
tutto nel  parlante  D,  che  usa  uno  stile  abbastanza  telegrafico  e  ha  fretta  di 
terminare  l'intervista).  Tale  disomogeneità  è  superata,  tuttavia,  dalla  pro- 
spettiva di  ricerca,  riassumibile  nell'interrogativo  seguente:  le  devianze 
riscontrate  sono  meccanismi  di  semplificazione,  secondo  alcuni  tipici  del 
parlato,  oppure  possono  trovare  spiegazioni  più  sofisticate,  di  natura  sin- 
tattica, pragmatica  o  stilistica  e,  in  tal  caso,  rappresentare  delle  innovazio- 
ni? 

Inoltre,  se  da  un  lato  l'interazione  educativa  è  fra  le  più  importanti,  in 
alcuni  casi  l'unica,  possibilità  di  accesso  alla  lingua  italiana,  l'italiano  del 
campione  è  un  esempio  del  fatto  che  la  progressione  delle  abilità  lingui- 
stiche nell'insegnamento  scolastico  può  non  andare  oltre  un  certo  limite. 
In  effetti,  il  livello  di  scolarità  non  sembra  influire  su  determinati  aspetti 
morfosintattici,  lessicali  e  testuali  devianti  rispetto  alla  norma  d'uso  cor- 
rente. Dal  punto  di  vista  fonetico  la  scolarizzazione  rimuove  quasi  del  tut- 
to i  tratti  più  marcati  in  senso  dialettale,  ma  non  intacca  altre  pronunce 
che  sembrano  diventare  sempre  più  invasive.  È  interessante  osservare  co- 
me il  grado  di  scolarità  influisca  in  maniera  diversa  su  processi  consonan- 
tici come,  ad  esempio,  le  assimilazioni,  a  seconda  della  tipologia  socio- 
culturale del  parlante:  i  processi  assimilativi,  conservati  nella  varietà  dei 
pescatori  di  Precida  e  latentizzati  nella  varietà  dei  marinai  della  stessa 
isola  (cfr.  Somicola,  in  questo  volume),  potrebbero  rappresentare  un  fe- 
nomeno stabile,  quasi  sedimentato,  nelle  generazioni  più  giovani  dell'a- 
rea urbana. 

Sarebbe  ugualmente  importante  capire  qual  è  la  chiave  di  lettura  più 
adatta  ad  interpretare  la  caratteristica  dominante  dei  testi  analizzati,  vale  a 
dire  la  difficoltà  di  pianificazione  del  discorso  e  di  elaborazione  argomen- 
tativa, che  potrebbe  non  essere  semplicemente  una  prerogativa  del  parlato 
spontaneo.  Le  difficoltà  di  trasformazione  e/o  di  riformulazione  del  testo 
possono  dipendere  da  una  pure  evidente  ristrettezza  di  contenuti,  così  co- 
me da  una  difficoltà  di  espressione  dovuta  al  codice  linguistico  scelto, 
non  necessariamente  spiegabile  ricorrendo  alla  dialettofonia  dei  parlanti. 

306 


Ovviamente  queste  considerazioni  andrebbero  verificate  analizzando,  ad 
esempio,  lo  sviluppo  argomentativo  in  testi  scritti,  da  un  lato,  e  in  testi 
orali  in  dialetto,  dall'altro  lato. 

Se  e  come  i  fatti  linguistici  esemplificati  siano,  in  qualche  modo,  cor- 
relati alle  caratteristiche  strutturali  dei  diversi  quartieri  resta  un  indirizzo 
di  ricerca  ancora  inevitabilmente  in  fieri  (Sornicola,  2002:  135-136). 
L'approccio  alla  "cintura"  urbana  suggerisce  soltanto  l'esistenza  di  una 
certa  eterogeneità  nella  rappresentazione  degli  usi  linguistici. 

Per  concludere,  l'esiguità  del  corpus  non  permette  di  formulare  ipotesi 
di  carattere  generale,  tuttavia  i  fenomeni  rilevati  sollevano  ugualmente 
una  serie  di  quesiti  interessanti  sia  per  la  ricerca  linguistica,  sia  per  la  ri- 
cerca psicopedagogica.  In  che  misura  i  fenomeni  rilevati  sono  caratteriz- 
zanti per  lo  studio  delle  varietà  dell'italiano  medio?  A  quali  risultati  per- 
viene il  processo  d'italianizzazione  in  contesti  sociali  ancora  linguistica- 
mente improntati  al  dialetto?  Le  "devianze"  linguistiche  riscontrate  in  che 
misura  rappresentano  una  "risorsa"  e  in  che  misura,  invece,  un  "hmite" 
alle  potenzialità  espressive  delle  nuove  generazioni? 


307 


Appendice 


Tabella  1 


COIVIPOSlZIO^fE  SOCIO-ANAGRAnCA  DEL  CAMPIONE                                        | 

Soccavo  (6  parlanti) 

Pianura  (5  parlanti) 

Sesso 

5  F  (A,  1,  V,  S,  Sg)   1      1  M  (D) 

4  F  (Mr,  Mr,  F,  R)         |      1  M  (L) 

Età 

18(Sg:19) 

18 

Scuola 

Ist.  Profes.  per  i  Servizi 

Commerciali  e  Turistici  "Giustino 

Fortunato"  (sede:  Soccavo) 

Ist.  Tecnico  Commerciale 

"Saverio  Nitti" 

(sede:  Fuorigrotta) 

Prov.  gen. 

7:  Soccavo;  5:  Napoli  centro 

3:  Pianura;  6:  altri  quart.;  1:  Nap.  centro 

Istr.  gen. 

media  inferiore 

media  inferiore;  1  coppia  diplomata  (R) 

Prof  es.  gen. 

Padre:  >  oper./comm.;  Madre:  >  cas. 

Padre:  >  operaio;  Madre:  casalinga 

Tabella  2 


"CENTRO"  DI  Napoli 

"PERIFERMi"  DI  NAPOLI 

Via    Roma,    Centro    direzionale,    Montesanto, 
Mergellina,    Piazza    Vittoria,    via    Caracciolo, 
Piazza  Garibaldi 

Quarto,  Borgo  St.  Antonio  Abate,  Quartieri 
spagnoli,  Mergellina,  Soccavo,  Pozzuoli 

Tabella  3 


Gruppo  di  Soccavo 

Gruppo  di  Pianura 

>•  nap.  =  codice  prioritario 

>  uso  dell'italiano  in  contesti  specifici 

>  maggiore  integrazione  al  quartiere 

>  it.  =  codice  prioritario 

>  uso  del  dialetto  in  contesti  specifici 

>  maggiore  proiezione  su  Napoli 

Scala  A 


perché  >   pari-    >    molt- 

>  persan-  >  altr-  >    volt-   >  alcun-  >    qualche    >   normal- 

215            169            105 
27.7%        21.8%        13.5% 

99             68           51             27               23                 18 
12.8%        8.8%       6.6%        3.5%           3.0%            2.3% 

Scala  A' 

perché  > 

92 
42.8% 


altr-       >     pari-    >   person-Zmolt-    >    alcun-   >    qualche-    >   normal-A>olt- 
37  26  13  12  10  6 

17.2%  12.1%  6.0%  5.6%  4.7%  2.8% 


Scala  Mi 


Scala  M2 


Parlanti 

-rC- 

-IC- 

D      (s) 
L      (p) 
I      (s) 
S      (s) 

F      (P) 

V    (s/p) 
Mr    (p) 
Ml     (p) 

A      (s) 
Sg     (s) 

R      (P) 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

- 

- 

- 

Perché 

Altr- 

Molt- 

Alcun- 

Qualche 

Volt- 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

+ 

+ 

+ 

+ 

+ 

- 

+ 

+ 

+ 

__,-— — ^ 

- 

- 

+ 

- 

- 

- 

+ 

+ 

+ 

- 

- 

+ 

__,---— ^ 

- 

+ 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

_„,---''^ 

- 

- 

- 

- 

- 

- 

308 


Figura  1 
Frequenze  verbali 


Tabella  4 


Funzioni  del  verbo  essere                                                       \ 

Funzione  copulativa 

Funzione  locativo-esistenziale 

Funzione  predicativa 

Cop.  +  SN             Cop.  +  Agg/PP 
31%  (200)                25%  (160) 

21%  (136) 

12%  (76) 

Tabella  5 


allora 
21% 

allô 
3% 

va  bene 
0% 

vabbè 
25% 

abbè 

43% 

vabbuò 
2% 

bè 
7% 

309 


BlBLIOGRAHA 


Battisti  F.  M.,  1991,  Centro  e  periferia:  un'analisi  sociologica,  in  Battisti  F.  M./ 
Giusti  S.,  1991:  11-49. 

Battisti  F.  M. /Giusti  S.,  1991,  La  città  senza  'centro'.  Studi  sulle  periferie 
urbane,  Napoli.  Edizioni  Scientifiche  Italiane. 

Berruto  G.,  1995,  Fondamenti  di  sociolinguistica,  Roma-Bari,  Laterza. 

De  Blasi  N.,  2002,  Notizie  sulla  variazione  diastratica  a  Napoli  tra  il  '500  e  il 
2000,  in  "Bollettino  Linguistico  Campano",  1:  89-129. 

Giusti  S.,  L'appae samento  della  periferia,  in  Battisti  /  Giusti  1991:  51-71. 

Lumbelli  L./Mortara  Garavelli  B.,  1999,  Parafrasi.  Dalla  ricerca  linguistica  alla 
ricerca  psicopedagogia,  Alessandria,  Edizioni  dell'Orso. 

Mocciaro  A.  G./Soravia  G.,  1992,  L'Europa  linguistica:  contatti,  contrasti,  affi- 
nità di  lingue,  Roma,  Bulzoni. 

Piroddi  E.,  1991,  Introduzione,  in  Battisti  F.  M./Giusti  S.,  1991:  5-9. 

Radtke  E.,  1998,  Non  solo  Napoli.  Gli  italiani  regionali  in  Campania,  in  "Italia- 
no &  Oltre",  XIII  3-4:  189-197. 

Radtke  E.,  2002,  La  dinamica  variazionale  nella  Campania  linguistica  - 1  fonda- 
menti dell'Atlante  Linguistico  della  Campania  (ALCam),  in  "Bollettino  Lin- 
guistico Campano",  1:  1-39. 

Renzi  R.,  1995,  /  segnali  linguistici,  in  Grande  Grammatica  di  consultazione, 
1995:  225-257. 

Somicola  R.,  1992,  Soggetti  prototipici  e  non  prototipici:  l'italiano  a  confronto 
con  altre  lingue,  in  Mocciaro  A.  G./  Soravia  G.,  1992:  259-279. 

Somicola  R.,  1999,  Un  contributo  allo  studio  delle  unità  strutturali  delle  para- 
frasi, in  Lumbelli  L./  Mortara  Garavelli  B.,1999:  29-49. 

Somicola  R.,  2002,  La  variazione  dialettale  nell'area  costiera  napoletana:  il 
progetto  di  un  Archivio  di  testi  dialettali  parlati,  in  "Bollettino  Linguistico 
Campano",  1:  131-155. 

Zingarelli  N.,  2003,  Vocabolario  della  lingua  italiana,  Bologna,  Zanichelli. 


!0 


Lecce:  italiano  e  dialetto  dei  bambini,  fra  scuola  e  gioco 


ANfNARITA  MlGLIETTA  (LcCCC) 


1.  Introduzione 

Ancora  nel  1993  Tullio  De  Mauro  rilevava  quanto,  alla  fine  del  secon- 
do millennio,  il  parlare  italiano  risultasse  insoddisfacente,  per  il  fatto  che 
"nella  sua  grande  massa,  [la  popolazione]  non  ha  ancora  un  buon  rappor- 
to con  l'italiano,  ha  un  rapporto  giovane"  (De  Mauro  1993:  1993).  Che 
cosa  è  cambiato  dopo  di  allora,  negli  ultimi  dieci  anni?  E  com'è  la  situa- 
zione all'inizio  del  nuovo  millennio?  È  ormai  risolto  il  problema  del  rap- 
porto lingua-dialetto?  È  vero  che,  come  tutti  pensiamo,  l'italiano  è  ormai 
la  lingua  materna  della  socializzazione  primaria  per  tutti  i  bambini? 

Leggiamo  i  dati  raccolti  dall' ISTAT  nel  2000,  in  un  campione  di 
20.000  famiglie,  e  li  confrontiamo  con  quelli  raccolti  nel  1987/88  e  nel 
1995: 


Tipo  di  linguaggio 

In  famiglia 

Con  gli  amici 

Con  gli  estranei  | 

1987/88 

1995 

2000 

1987/88 

1995 

2000 

1987/88 

1995 

2000 

Solo  0  prevalentemente 
italiano 

41,5 

44,4 

44,1 

44,6 

47,1 

48,0 

64,1 

71,4 

72,7 

Solo  o  prevalentemente 
dialetto 

32,0 

23,8 

19,1 

26,6 

16,7 

16,0 

13,9 

6,9 

6,8 

Sia  italiano  che  dialetto 

24,9 

28,3 

32,9 

27,1 

32,1 

32,7 

20.3 

18,5 

18,6 

Fonte:  ISTAT,  Letture  e  linguaggio.  Indagine  Multiscopo  sulle  famiglie  "I  cittadini  e  il  tempo  libero, 
anno  2000",  Roma  2003. 


L'uso  dell'italiano  aumenta  nei  diversi  contesti  sociali  ma  con  una  ve- 
locità ben  diversa  nei  due  intervalli  di  tempo:  in  famiglia  si  passa  dal 
41,5%  del  1987/88  al  44,4%  nel  1995,  ma  poi  il  dato  rimane  pressoché 
stabile  (44,1%  nel  2000);  con  gli  amici  sale  nei  primi  7  anni  di  due  punti 
e  mezzo,  ma  nei  5  successivi  sale  si  meno  di  un  punto;  con  gli  estranei, 
addirittura,  cresce  del  7%  fra  il  1987  e  il  1995,  ma  solo  dell' 1%  -  o  poco 
più  -  fra  il  1995  e  il  2000. 

311 


Simmetricamente,  l'uso  esclusivo  o  prevalente  del  dialetto  diminuisce 
vistosamente  fra  il  primo  e  il  secondo  rilevamento,  molto  meno  -  o  per 
nulla  -  fra  il  secondo  e  il  terzo.  I  dati  più  clamorosi  sono  quelli  che  riguar- 
dano il  codice  usato  nei  rapporti  con  gli  amici  e  con  gli  estranei,  dove 
l'inversione  di  tendenza  è  molto  brusca:  negli  ultimi  5  anni  le  percentuali 
di  uso  dichiarato  del  dialetto  sono  rimaste  praticamente  ferme,  dopo  che 
nei  7  anni  precedenti  avevano  perso  rispettivamente  il  10%  e  il  7  %.  Alla 
diminuzione  dell'uso  esclusivo  del  dialetto  è  corrisposto  un  incremento 
dell'uso  alternato  di  italiano  e  dialetto:  aumentato  negli  ultimi  anni  in  fa- 
migha  (dal  24,9%nel  1988  al  28,3  del  1995,  fino  al  32,9%  del  2000)  e 
con  gli  amici,  ma  non  con  gli  estranei. 

La  'frenata'  dell'ultimo  quinqennio  sarà  dovuta,  almeno  in  buona  par- 
te, a  quel  processo  di  'affrancamento'  -  o  nobilitazione,  o  sdoganamento 
-  del  dialetto  di  cui  da  più  parti  si  è  parlato,  e  che  si  è  realizzato  proprio 
negli  anni  Novanta. 

Soffermiamoci  ancora  sui  rilevamenti  più  recenti. 

I  dati  rilevati  dall' ISTAT  nel  2000  sono  uniformi  su  tutto  il  territorio 
nazionale.  La  loro  distribuzione  è,  di  nuovo  (o  ancora)  di  tipo  tradiziona- 
le. Si  parla  più  italiano  a  nord-ovest  (59,4%)  si  parla  meno  italiano  nell'I- 
talia nord-orientale  (36,9%)  e  ancora  di  meno  in  quella  insulare  (29,4%)  e 
meridionale  (25,1%).  Simmetricamente,  si  parla  più  dialetto  nelle  isole  e 
nel  Mezzogiorno  (27,2  e  24,9%  rispetto  all' 8,5%  registrato  per  il  centro) 
dove  il  dato  più  interessante  è  però  costituito  dall'uso  alterno  di  italiano  e 
dialetto  in  tutti  contesti  sociali: 


Sia  italiano  che 
Dialetto 

In  famigll\ 

Con  gli  amici 

Con  gli  estranei 

Italia  meridionale 

46,0 

45,9 

25,4 

Italia  insulare 

41,4 

42,5 

27,0 

Fonte:  ISTAT,  Letture  e  linguaggio.  Indagine  Multiscopo  sulle  famiglie   T  cittadini  e  il  tempo  libero, 
anno  2000",  Roma  2003. 


Nell'Italia  meridionale,  come  si  vede,  quasi  la  metà  degli  intervistati 
ha  la  consapevolezza  di  usare  in  famiglia  e  con  gli  amici  enunciati  misti- 
lingui  o  alternati. 

Anche  le  dimensioni  del  comune  sembrano  influire  sul  comportamen- 
to linguistico  dei  parlanti,  secondo  la  distribuzione  più  classica:  nei  co- 
muni fino  a  2.000  abitanti  dichiara  di  parlare  italiano  in  famiglia  il  30,6% 
della  popolazione,  nei  comuni  al  centro  delle  aree  metropolitane  la  per- 


312 


centuale  sale  fino  a  un  61,1%.  Anche  negli  altri  contesti  situazionali  si  re- 
gistrano le  stesse  condizioni  d'uso.  Di  contro,  sempre  secondo  le  attese, 
l'uso  del  dialetto  è  inversamente  proporzionale  alla  dimensione  del  comu- 
ne. 

Ancora:  il  dialetto  è  più  usato,  come  da  copione,  da  chi  non  possiede 
un  titolo  di  studio  elevato,  mentre  l'italiano  rimane  il  codice  esclusivo  o 
prevalente  dei  laureati  (75,9%).  L'uso  misto  di  italiano  e  dialetto  in  fami- 
glia è  registrato  per  il  17,4%  dei  laureati  e  per  il  29,7%  per  i  diplomati. 

Anche  per  quanto  riguarda  le  fasce  d'età,  infine,  il  trend  è  il  solito: 
l'uso  del  dialetto  cresce  con  il  crescere  dell'età.  Per  esempio,  in  famigha 
sale  progressivamente,  si  va  dal  6,4%  dei  bambini  di  6-10  anni  sino  al 
40,1%  degli  anziani  (con  più  di  75  anni).  L'italiano,  in  famiglia,  registra 
presso  i  bambini  di  6-10  anni  un  valore  percentuale  pari  a  65,4%,  contro 
il  25,6%  degli  anziani  (con  più  di  75  anni). 

Per  quanto  riguarda  l'uso  alternato  di  italiano  e  dialetto  presso  i  bam- 
bini di  età  compresa  fra  i  6  e  i  10  anni  la  distribuzione  è  questa: 


SIA  ITALIANO  CHE  DIALETTO 

anni 

In  famiglia 

Con  gli  amici 

Con  gli  estranei 

6-10 

1987/88 

1995 

2000 

1987/88 

1995 

2000 

1987/88 

1995 

2000 

20,0 

19,9 

23,9 

20,4 

21,2 

23,6 

17,8 

12,6 

13,6 

Fonte:  ISTAT,  Letture  e  linguaggio.  Indagine  Multiscopo  sulle  famiglie  "I  cittadini  e  il  tempo  libero, 
anno  2000",  Roma  2003. 


L'alternanza  è  più  frequente  (e  si  è  più  incrementata,  negli  ultimi  anni) 
in  famigha  e  con  gli  amici  che  con  gli  estranei.  Con  gli  estranei  le  regole 
di  congruenza  con  la  situazione  richiedono,  già  a  questo  livello  di  età,  l'i- 
taliano. 

Dunque:  l'abbandono  del  dialetto  ha  subito  una  brusca  frenata,  ma  la 
distribuzione  e  l'uso  dei  codici  conservano  la  configurazione  'storica'. 
D'altra  parte,  però,  i  bambini  imparano  presto  a  privilegiare  l'italiano  ne- 
gli scambi  comunicativi. 

Che  cosa  c'è,  allora,  dietro  l'angolo?  L'italianizzazione  frena  o  accele- 
ra? Anche  i  dati  ISTAT  fanno  pensare  che  la  risposta  alle  nostre  domande 
sia  nelle  mani  delle  generazioni  più  giovani. 

È  sugli  adulti  di  domani,  oggi  alunni  di  scuola  primaria,  che  si  gioca  la 
partita  della  effettiva  rivalutazione  e  'rimessa  in  circolo'  del  dialetto  come 
codice  d'uso  -  non  stigmatizzato  -  nella  comunità,  e  sono  loro  a  decidere 
le  sorti  di  comportamenti  come  il  mistilinguismo,  il  code  switching,  la 

313 


microdiglossia,  che  le  statistiche  ci  dicono  oscillanti,  secondo  modelli 
sempre  meno  prevedibili. 

E  per  questo  che  abbiamo  puntato  la  nostra  lente  d'ingrandimento  pro- 
prio sulla  classe  d'età  di  6-10  anni.  In  particolare,  abbiamo  messo  a  fuo- 
co due  domini  rilevanti  per  questa  classe  d'età:  la  scuola  e  il  tempo 
libero. 

Il  nostro  campione  era  costituito  dai  bambini  di  quattro  classi:  due  se- 
conde e  due  quinte  di  una  scuola  elementare  alla  periferia  di  Lecce.  Gli 
obiettivi:  raccogliere  dati  utili  per  rispondere  a  queste  domande:  a)  qual  è 
l'atteggiamento  dei  bambini  nei  confronti  del  dialetto?;  b)  qual  è  il  rap- 
porto fra  i  codici  a  disposizione,  nel  comportamento  linguistico  dei  bam- 
bini, a  scuola  e  nel  gioco?;  e)  in  che  modo  la  realtà  socioeconomica,  gli 
stili  di  vita  ecc.  del  quartiere  influiscono  sulle  scelte  linguistiche  dei  bam- 
bini?; d)  che  peso  hanno  i  modelli  intemi  ed  estemi  alla  famiglia?;  e)  qua- 
le molo  riveste  la  scuola  nel  processo  di  acquisizione  della  lingua  dei  no- 
stri bambini? 

Abbiamo  lavorato  nel  quartiere  Rudiae,  uno  dei  quattro  quartieri  in  cui 
è  divisa  Lecce.  Rudiae,  situato  nel  quadrante  nord-occidentale  della  città, 
conta  26.000  abitanti.  Nel  suo  insieme  riassume  tutti  i  contrasti  e  tutte  le 
tipologie  (abitative,  sociali)  dell'intero  centro  urbano.  I  dieci  rioni  che  lo 
costituiscono  (Cuore  immacolato  di  Maria,  Borgo  S.  Nicola,  Borgo  Pace, 
Zona  industriale.  Villa  Convento,  Cristo  Re,  San  Vincenzo  de  Paoli,  Ca- 
sermette,  Santa  Maria  della  Porta,  San  Pio)  si  caratterizzano  per  un  diver- 
so gradiente  di  perifericità  (ai  limiti  dell' extra-urbano)  versus  centralità,  e 
di  vocazione  industriale  versus  residenziale. 

Per  la  nostra  indagine  abbiamo  scelto  la  scuola  elementare  A.  Diaz, 
che  è  ubicata  all' intemo  del  rione  San  Pio,  il  nucleo  più  antico  del  quar- 
tiere e,  anche,  il  più  popolare:  non  solo  perché  all'interno  sorgono  i  più 
grossi  complessi  di  case  popolari  [di  via  Trento,  via  Trieste,  via  Gorizia, 
via  Sozy  Carafa,  via  Pozzuolo],  ma  anche  perché  in  esso  le  attività  com- 
merciali e  i  servizi  sono  connotati  verso  il  basso  e  riproducono  frequente- 
mente all' intemo  del  tessuto  urbano,  il  modello  mrale. 

Il  presidente  del  quartiere  osserva  -  giustamente,  sulla  base  dei  nostri 
rilevamenti  -  che  nel  rione  si  parla  ancora  molto  dialetto,  per  il  forte  lega- 
me che  tiene  uniti  i  residenti  al  territorio  e  aggiunge  che,  in  questi  ultimi 
anni,  si  è  registrata  una  forte  tendenza  al  mistilinguismo,  soprattutto  nei 
giovani.  Il  fenomeno  potrebbe  spiegarsi,  nel  caso  specifico:  a)  con  i  pro- 
cessi di  ripopolamento  in  atto  nel  rione,  da  parte  di  studenti  universitari, 
soprattutto  delle  Facoltà  umanistiche,  che  lo  preferiscono  ad  altre  zone 
perché  molto  vicino  ai  plessi,  sedi  delle  aule  e  delle  biblioteche;  b)  con  il 

314 


processo  di  riqualificazione  dell'intera  area  ad  opera  del  Comune  attra- 
verso la  sistemazione  di  piazze,  piccoli  spazi  verdi,  recupero  degli  edifici 
fatiscenti  ed  abbandonati,  collocazione  di  servizi  (ufficio  postale,  distac- 
camento dell'ufficio  anagrafe,  banche)  che  hanno  attratto  in  quest'area 
abitanti  di  altri  quartieri  della  città,  promovendo  un  interscambio  di  iden- 
tità e  culture  diverse,  che  inevitabilmente  ha  avuto  ricadute  sui  modelli 
linguistici  indigeni. 

La  dinamicità  del  quartiere  è  confermata  dal  quadro  demografico  che 
presenta  una  distribuzione  per  classi  di  età  nella  quale  sono  nettamente 
privilegiate  le  classi  giovanili  e  intermedie,  rispetto  a  quelle  degli  anziani. 

2.  La  lingua  dei  bambini  a  scuola 

Prima  di  passare  all'analisi  del  comportamento  linguistico  dei  nostri 
bambini  abbiamo  voluto  verificare,  attraverso  un  breve  questionario  so- 
ciologico, l'atteggiamento  di  questi  e  delle  loro  famighe  nei  confronti  del 
dialetto.  In  particolare,  è  risultata  significativa  la  risposta  fornita  alla  do- 
manda "Nel  vostro  quartiere  si  parla  più  frequentemente  italiano  o  dialet- 
to?". Su  21  famiglie  di  una  seconda  classe  solo  cinque  hanno  il  'coraggio' 
di  dichiarare  un  uso  prevalente  del  dialetto  nel  quartiere;  ma  tutte  e  21  di- 
chiarano di  utilizzare  sempre  ed  esclusivamente  l'italiano.  Invece,  i  figli, 
di  7  anni,  in  10  casi  su  21  dicono  di  utilizzare  a  volte  l'italiano  a  volte  il 
dialetto.  Lo  stesso  succede  nell'altra  classe  seconda  dove  su  altre  21  fa- 
miglie, solo  cinque  affermano  che  nel  quartiere  si  parla  più  frequente- 
mente dialetto  (in  quattro  di  queste  famiglie  i  genitori  hanno  un  grado  di 
istruzione  e  un  profilo  socioeconomico  basso)  ma  tutte  dicono  di  utilizza- 
re in  famiglia  solo  l'itahano.  Anche  in  questa  classe  l'immagine  più  veri- 
tiera è  fornita  dai  bambini:  9  su  21  dichiarano  di  utilizzare  anche  il  dialet- 
to. In  queste  realtà  di  periferia  -  nelle  quali  basta  passare  due  ore  per  ren- 
dersi conto  della  vitalità  del  dialetto  e  dell'identificazione  dell'italiano 
con  una  varietà  regionale  molto  marcata  -  pare  che  i  pregiudizi  negativi 
sull'uso  del  dialetto  -  forse  proprio  per  la  sua  perdurante  vitalità  -  siano 
ancora  ben  vivi.  In  perfetto  accordo  con  la  persistente  diffusa  dialettofo- 
nia. 

Nelle  quinte  anche  gli  allievi  all'unanimità  hanno  dichiarato  di  utiliz- 
zare in  famiglia  sempre  ed  esclusivamente  l'italiano.  Questo  comporta- 
mento, diverso  da  quello  dei  bambini  di  seconda,  è  interessante:  la  prima 
ipotesi  per  spiegarlo  è  che  nel  corso  della  prima  scolarizzazione  si  affermi 
progressivamente  l'esigenza  di  autorappresentarsi  col  profilo  di  italofono, 
e  che  questa  esigenza  -  proprio  in  concomitanza  col  permanere  della  dia- 

315 


lettofonia  accompagnata  dal  pregiudizio  negativo  sul  dialetto  -  sia  indot- 
ta sinergicamente  dai  genitori,  dalla  scuola,  dal  gruppo  sociale. 

Per  quanto  riguarda  il  comportamento  dei  bambini,  lo  abbiamo  saggia- 
to attraverso  registrazioni  libere  nelle  classi  selezionate.  I  bambini  in  clas- 
se, con  l'insegnante,  utilizzano  un  codice  caratterizzato  da  un  forte  ibridi- 
smo italiano  regionale/  italiano  popolare.  A  parte  qualche  espressione  oc- 
casionale, parla  dialetto  solo  una  bambina,  che  presenta  competenza  sbi- 
lanciata nei  due  codici. 

L'italiano  regionale  affiora  invece  nelle  produzioni  parlate  di  tutti  i 
bambini  intervistati,  a  tutti  i  livelli  di  analisi:  lessico,  sintassi,  fonetica. 

Fonetica  e  grafia.  I  tratti  fonetici  si  riscontrano  non  solo  nella  produ- 
zione libera  ma  anche  nella  lettura:  i  bambini  leggono  come  intense  le 
scempie  (o  ipercorreggono),  leggono  le  sibilanti  postnasali  come  affrica- 
te, ecc.  I  tratti  che  passano  nello  scritto  sono  quelli  piià  specificamenti 
panmeridionali:  esiti  rs>rz,  ns>nz,  ls>lz  e  relativi  ipercorrettismi: 
silensio;  raddoppiamento  delle  bilabiali  e  delle  affricate  palatali  sonore  in 
posizione  intervocalica:  tabbella,  abbile. 

Lessico.  Per  quanto  riguarda  il  lessico  regionale  la  situazione  non  si 
discosta  molto  da  quella  osservata  per  la  fonetica:  le  forme  regionali  sono 
molto  più  presenti  nel  parlato  che  nello  scritto: 

ORALE 

-  'farsi  il  grande'  'fare  il  gradasso' 

-  tenere  'avere' 

-  odore  'profumo' 

-  ritirarsi  'ritornare' 

-  stare  'essere' 

SCRITTO 

-  imparare  'insegnare'  (6  occorrenze) 

-  mo  'adesso' 

-  buttarsi  a  mare  per  'tuffarsi'  (calco  sul  dialettale  minarsi  a  mmare). 

Morfosintassi.  Per  la  morfosintassi,  nelle  seconde  troviamo  forme  di 
it.  reg.  'basso'  -  cioè  molto  marcato  -  come  morse  per  'morì',  vise  per  'vi- 
de', scomparì  per  'scomparve';  nel  parlato  dei  bambini  di  quinta  trovia- 
mo invece  una  frequenza  piti  alta  di  it.  reg.  'alto'  -  per  lo  più  forme  pan- 
meridionali  :  'mi  finisco  di  fare  i  compiti',  'mi  faccio  i  compiti',  'mi  invi- 
to spesso  con  gli  amici',  'ci  litighiamo'  (parlando  dei  litigi  con  i  propri 
fratelli  i  bambini  della  quinta  la  ripetono  per  ben  10  volte  in  un'ora  di  re- 
gistrazione), 

316 


Forme  simili  ricorrono  anche  negli  elaborati  scritti  dei  bambini  delle 
quinte,  dove  sono  numerosi  i  calchi  su  strutture  sintattiche  dialettali: 

-  ti  prendi  sempre  a  botte  (dial.  te  piji  a  mats:ate) 

-  cerca  di  comandarli  (dial.  li  kumandi) 

-  abbiamo  raccolto  tutto  di  terra  (dial.  de  ter:a) 

-  per  esempio  se  devo  andare  a  quella  parte  (dial.  a  kwi(|^:a  parte) 

-  abito  a  casa  alla  nonna  (dial.  a'bitu  a  kasa  a  'non:ama) 

L'esperienza  scolastica  ha  due  punti  di  riferimento  forti,  due  modelli, 
per  le  scelte  linguistiche  dei  bambini:  il  gruppo  dei  pari  e  il  team  di  inse- 
gnanti. Qui  si  è  rilevato  che  il  dialetto  esercita  sulla  produzione  degli  al- 
lievi della  scuola  primaria  un'influenza  inversamente  proporzionale  al- 
l'attenzione che  gli  insegnanti  prestano,  nelle  loro  scelte  didattiche,  non 
solo  alle  varietà  di  lingua  e  dialetto,  ma  ai  differenti  livelli  d'analisi  della 
lingua.  Risultano  più  interferiti  dal  dialetto  la  fonetica  e  la  sintassi,  che 
più  sfuggono  all'attenzione  degli  insegnanti:  la  prima  per  le  note  ragioni 
storiche,  la  seconda  perché  più  sottilmente  insidiosa,  in  quanto  il  parlante 
percepisce  nel  dialetto  e  nelle  varianti  marcate  dell'italiano  strutture  su- 
perficiali non  palesemente  dissimile  da  quella  dell'italiano  medio.  È  me- 
no interferito  il  lessico,  che  è  accuratamente  controllato  dai  docenti  (an- 
che con  filtri  forti,  che  affondano  le  loro  radici  nello  'scolastichese'). 

Anche  i  frequenti  tratti  di  italiano  popolare  che  affiorano  nella  parlata 
dei  bambini  delle  seconde  e  delle  quinte  classi  (e  nei  loro  elaborati)  risen- 
tono dell'abitudine  ad  utilizzare  o  comunque  ad  ascoltare  produzioni  dia- 
lettali. I  tratti  sono  numerosi,  com'è  'normale'  nel  processo  in  atto  di  "as- 
sestamento sociale,  [di]  un  irrobustimento  [dell'italiano]  come  varietà 
normale  dell'uso  quotidiano  di  un  numero  sempre  crescente  di  persone" 
(Berruto  1988:  247). 

Fra  i  tratti  più  ricorrenti  di  questo  itaUano  popolare,  in  seconda:  l'uso  mol- 
to ampio  del  che  polivalente,  le  frequenti  dislocazioni  a  sinistra,  l'uso  di  gli 
per  le  o  di  //  per  gli  o  per  le.  Ecco  alcuni  esempi,  nel  parlato  delle  seconde: 

-  un  pentolino  che  dentro  e  'era  la  crema 

-  io  per  la  festa  della  mamma  gli  voglio  un  mondo  di  bene 

-  non  ci  ho  pensato  che  tu  non  ci  avevi  la  piscina 

-  se  a  me  mi  mangiava  la  tigre  io  li  mangiavo  tutto  il  naso. 

Ed  eccone  altri,  riscontrati  nel  parlato  delle  quinte  -  dove  sono  più  nu- 
merosi -: 

che  polivalente:  con  mia  madre  parlo  alle  due  quando  toma  dal  lavo- 
ro, che  teniamo  una  pizzeria;  andavamo  in  cortile,  che  durava  un  'ora 
la  ricreazione 

317 


colloquialismi:  mi  piacciono  le  scienze  perché  parla 

riduzione  dell'uso  del  congiuntivo:  come  se  siamo  una  famiglia  tutta 

unita 

La  particolare  frequenza  di  questi  tratti,  che  dà  una  facies  substandard 
alla  maggior  parte  delle  produzioni  dei  nostri  bambini,  si  ritrova  anche 
negli  elaborati  scritti  delle  quinte'  nei  quali  troviamo: 

-  ristrutturazioni  sintattiche:  invece  essere  figlio  unico,  i  genitori  de- 
vono spendere  soldi  per  crescere  un  figlio;  le  pagliette  settimanali 
la  raddoppiano  che  invece  di  avere  5      ne  avrai  10 

-  uso  semplificato  dei  pronomi:  V impari  a  parlare 

-  accordi  anomali:  se  si  ha  dei  fratelli 

-  periodo  ipotetico:  se  avrei  un  fratello  dovrei  stare  sempre  con  lui 

-  indicativo  prò  congiuntivo:  sembra  che  si  è  scordato  il  mio  nome. 

Da  questa  analisi  sembra  risultare  che  i  bambini  delle  prime  classi  ele- 
mentari, ancora  nella  prima  fase  della  socializzazione,  utilizzano,  proba- 
bilmente per  la  forte  influenza  che  esercita  il  modello  linguistico  familia- 
re, un  italiano  regionalmente  marcato  verso  il  basso,  misto  a  tratti  popola- 
ri che  potrebbero  spiegarsi  sia  come  causa  di  un  sostrato  dialettale,  sia  co- 
me frutto  di  un  ancor  non  maturo  processo  di  acquisizione  delle  regole  di 
grammatica.  I  bambini  delle  quinte  classi,  invece,  presentano  nelle  loro 
produzioni  tratti  di  italiano  regionale  panmeridionale,  con  molti  tratti  di 
italiano  popolare,  in  questo  caso  ascrivibili,  probabilmente,  all'azione  del 
modello  sia  familiare  che  scolastico,  dotati  proprio  di  queste  caratteristi- 
che. 


3.  La  lingua  dei  bambini  nel  gioco 

Finora  abbiamo  analizzato  le  produzioni  dei  bambini  in  situazioni  for- 
mali. Ma  come  parlano  i  bambini  con  i  propri  pari,  quando  sono  fuori  dal- 
la scuola?  Per  rispondere  a  questa  domanda  abbiamo  osservato  alcuni 
bambini  -  fra  quelli  osservati  in  classe  -  durante  le  ore  di  svago,  a  casa,  in 
locali,  in  occasione  di  feste  di  compleanno  e  presso  un  campo  di  calcio. 

In  generale,  da  questi  rilevamenti  si  è  potuto  osservare  presso  i  bambi- 
ni un  uso  diffusissimo,  alternato  e  misto,  dell'italiano  regionale  e  popola- 
re, con  marcata  intonazione  dialettale,  e  una  presenza  sporadica  di  espres- 
sioni dialettali,  quasi  tutte  con  scopo  ludico  o  espressivo. 

1  Non  si  tiene  conto  degli  elaborati  dei  bambini  delle  seconde  classi,  perché  risentono 
molto  dell'intervento  delle  insegnanti. 

318 


In  casa,  al  telefono,  alle  feste  parlano  tendenzialmente  un  misto  di  ita- 
liano regionale  e  di  italiano  popolare:  es.:  ''no,  noi  ce  l'abbiamo  fatto  in 
classe  il  disegno";  ''te  lo  imparo  io'\  "mi  sta  tenendo  fame" ,  "fammi  la 
nocca  alle  scarpe",  "scendimi  la  gomma",  "aggiustami  la  cartella",  "vo- 
glio che  mi  entri  la  bicicletta",  "lo  voglio  fatto  da  te",  "nel  libro  si  parla 

che...",  "se  scenderesti  la  gomma,  cancellerei ",  con  qualche  inserto 

dialettale  vivace  ed  efficace  nel  trasmettere  in  modo  iperbolico  alcune 
sensazioni:  "non  gliel'ho  dettato  perché  era  nu  furmine"'  'perché  era 
molto  lungo'  riferito  ad  un  testo,  ab:ande  'vattene',  tfe  b:wei  'che  vuoi', 
lampu\  'accidenti'  "  io  mi  siedo  qui  e  stat:e  tfit:u"  ' e  stai  zitto'.  Il  dia- 
letto viene  usato,  anche,  per  imitare  il  comportamento  linguistico  degli 
adulti,  giocando  con  morfemi  dialettali  in  cotesti  italiani  "ho  visti/  un  vec- 
chiM",  "stai  attentw",  "nu  ci  voglio  venire"  eludendo  ogni  regola  di  restri- 
zione. 

Usano  pili  frequentemente  il  dialetto,  non  solo  con  i  coetanei,  con  le 
insegnanti,  ma  anche  con  gli  estranei,  alcuni  bambini  socio-culturalmente 
svantaggiati,  che  presentano  handicap  nell'apprendimento.  Una  bambina 
con  queste  caratteristiche  si  rivolge  così  alla  madre  di  una  compagna,  che 
verifica  la  temperatura  ad  un  bambino  che  si  sente  male:  "mena  stu 
pitf:in:u.  'las:alu  stu  pitf:in:u.  nu  te  preok:upare" 

Inoltre,  da  dieci  ore  di  osservazione  presso  un  campo  di  calcio,  fre- 
quentato dai  bambini  provenienti  dalla  stessa  scuola  e  dallo  stesso  quar- 
tiere in  cui  sono  stati  effettuati  i  rilevamenti,  si  è  potuto  osservare  un  uso 
diffusissimo  dell'italiano  regionale  e  popolare,  e  una  presenza  sporadica 
di  espressioni  dialettali,  tutte  con  scopo  espressivo,  e  dotate  di  una  parti- 
colarità: sono  utilizzate  a  sostegno  di  un  comportamento  agonisticamente 
forte,  aggressivo:  no,  maisia;  mena;  ma  tfe  stafats:u;  e  stat:e  tfit:u!;  stu 
kug:june!  mafit:u!,  d:u  sta  b:aj,  ma  vafiakapu  (al  portiere  che  non  ha  pa- 
rato), mo  te  ne  skaf:u  unu  'adesso  te  ne  tiro  uno'.  Oltre  a  questo  impiego 
'aggressivo',  l'unica  funzione  alternativa  del  dialetto  è  quella  regolativa, 
durante  le  azioni  di  gioco:  a  k:wai  stai  a  tfentro  kampo,  mantjeni  lu  postu, 
jow  nu  stafoku,  'met: ite  cl:aj,  mo  me  la  pas:i  a  mie.  La  spiegazione  la  dà, 
lucidamente,  Eugenio,  7  anni,  che  solitamente  parla  itahano:  il  dialetto  è 
la  lingua  dei  piiì  forti,  dei  più  grandi  e  talvolta  bisogna  usarlo  per  non  far- 
si prevaricare. 

L'interpretazione  di  Eugenio  è  corroborata  dall'analisi  del  comporta- 
mento del  mister  -  modello  di  comportamento  sul  campo  di  gioco  -  che 
usa  un  italiano  ibrido,  che  potremmo  chiamare  'popreg':  "mo  faccio  un 
esercizio  che  a  Giacomo  gh  piace.  Giacomo  facciamo  un  esercizio  che  a 
te  ti  piace"  e  ancora  "quanti  anni  tieni  Francesco?  Quello  che  ho  parlato 

319 


ieri  tuo  padre  era?"  "tu  non  ci  stai  giocando?"  e  utilizza  il  dialetto  sia  per 
esprimere  il  suo  dissenso  nei  confronti  dei  bambini  indisciplinati  sia  per 
richiamarli  all'ordine:  ''te  stai  fermu?  jeni  k:waj\  'mintite  k:waj\  fit:ur. 
Non  a  caso  tutti  gli  enunciati  in  dialetto  sono  pronunciati  con  voce  stento- 
rea e  tono  perentorio,  mentre  le  produzioni  in  italiano  sono  eseguite  su  to- 
ni più  bassi,  pacati. 

4.  I  GENITORI  E  LA  LINGUA 

1  bambini,  poi,  hanno  anche  altri  modelli  da  emulare:  i  modelli  della 
loro  famiglia.  Ci  siamo  chiesti  come  e  quanto  i  comportamenti  dei  geni- 
tori influenzano  quelli  dei  propri  figli,  nel  nostro  quartiere.  Abbiamo  os- 
servato i  genitori  che  aspettano  i  figli  all'uscita  della  scuola.  Essi  usano 
nella  grande  maggioranza  un  italiano  colloquiale,  popreg,  con  numerosi 
cambi  di  codice.  In  particolare: 

a)  ai  figli  si  rivolgono  prevalentemente  utilizzando  forme 
regionali/popolari  come:  stai  at:ento  che  tf-e  le  persone  (mancata 
concordanza);  traversa,  la  mam:a  (allocuzione  inversa);  ma  quan- 
do sono  innervositi  e  seccati  dal  comportamento  dei  loro  piccoli 
utilizzano  il  codice  a  loro  più  usuale  e  familiare,  ma  anche  il  piij 
espressivo,  il  dialetto:  "^  'mintite  kwaj.  E  nu  te  'm:oere.  Basta!, 
stat:e  fermu!  wej  la  spitf.-i?""  urla,  sollevandolo  di  peso,  una  mam- 
ma contro  il  figlio  che  sul  sedile  posteriore  dell'auto  infastidisce  il 
fratello. 

b)  Quando,  invece,  i  genitori  si  incontrano  con  i  genitori  di  altri  bam- 
bini cercano  di  parlare  italiano:  tutti,  indipendentemente  dal  loro 
grado  di  scolarizzazione.  L'italiano  ha  sempre  una  fisionomia  po- 
preg: ''le  vuoi  tutte  riempite  le  bigotte?",  "non  tengo  mai  tempo, 
che  mi  ritiro  a  casa  alle  due  ",  "quando  andava  in  piscina  mi  cade- 
va sempre  malato:  mo  mi  cadeva  con  la  gola,  mo  con  le  orecchie", 
''non  so  se  era  possibile  di  pagarle  qui  "  "ho  capito  che  non  ti  sta- 
va collando"  'avere  voglia  di'^.  Talvolta,  quando  il  livello  d'istru- 
zione è  basso  l'italiano  è  arricchito  da  malapropismi:  così  ti  tolgo 
dall' incombo  (denominale  a  suffisso  zero),  Vho  scannarizzato...., 
l 'infermiere  che  veniva  a  casa  era  ali  'occorrente  di  tutto  (falsa  ri- 
costruzione). 

Gli  stessi  genitori,  se  poco  scolarizzati,  parlano  invece  in  dialetto 
quando  si  incontrano  con  altri  genitori  che  sono  anche  amici  di  lunga  du- 

2  Cfr.  in  Rohlfs  il  calabrese  cullare  o  coddare  'inghiottire' <' far  passare  per  il  collo'. 
320 


rata:  ''cornu  staj?  -  "bbona.  n-amu  trasferiti  alla  kasa  noa.  -  Ma  d:une 
sempre  a  Letfe?  -  no.  A  d^ord^ilorju.  mo  sta  'fatfenu  lavori.  -  a!  iou  puru 
tejìu  li  pjastreUisti  a  kasa'\  ecc.  [Come  stai?  -  Bene.  Ci  siamo  trasferiti 
nella  nuova  casa.  -  Ma  dove?  Sempre  a  Lecce?  -  No.  A  Giorgilorio. 
Adesso  stanno  facendo  dei  lavori.  -  Ah!  Pure  io  ho  in  casa  i  piastrellisti] 

Pochi  genitori,  infine,  parlano  solo  ed  esclusivamente  in  dialetto,  e  lo 
fanno  anche  quando  si  rivolgono  ai  propri  figli.  In  questi  casi  è  categorica 
la  scelta  del  dialetto  quando  il  fine  è  regolativo,  o  il  messaggio  contiene 
una  minaccia,  un  rimprovero  o  un  rifiuto:  se  te  tsik:u  te...;  sine,  tfitiu!  tfe 
iti  fat:  u?  tfe  stafafi  kwai?a  tie  e  a  icl:e.  ha  te  dau  venti  euru  pe  l:e  pupe 
de  pets.a!  [Se  ti  prendo...;  Sì,  zitto!  Cosa  avete  fatto?  Che  cosa  stai  facen- 
do? Vai  al  diavolo  tu  e  loro.  Che  ti  do  venti  euro  per  le  bambole  di  stof- 
fe!] Tutti  i  casi  che  abbiamo  rilevato  in  questa  categoria  riguardavano  ge- 
nitori che  appartengono  agli  strati  sociali  pili  bassi,  spesso  con  situazioni 
familiari  che  hanno  richiesto  il  supporto  dei  centri  sociali. 

5.  CONCLUSIOM 

In  sintesi,  sulla  base  dell'analisi  condotta  nella  scuola  A.  Diaz  di 
Lecce  e  presso  i  luoghi  d'incontro  dei  bambini  delle  classi  oggetto  d'in- 
dagine si  può  avanzare  un'ipotesi  di  descrizione  di  questo  tipo: 

a)  l'atteggiamento  dei  bambini  nei  confronti  del  dialetto,  complesso  e 
variegato,  sembra  risentire  particolarmente  dell'azione  di  due  va- 
riabili: r  età  e  le  norme  sociali.  Il  bambino  di  sette  anni,  che  fre- 
quenta la  seconda  classe,  risente  meno  del  suo  compagno  di  quinta 
del  pregiudizio  sociale  e  può  dichiarare  apertamente  di  utilizzare 
anche  il  dialetto,  da  solo  o  alternato  all'italiano;  il  bambino  di  dieci 
anni,  che  ha  meglio  interiorizzato  le  norme  della  socializzazione, 
tende  a  negare  l'uso  del  codice  che  percepisce  come  marcato  verso 
il  basso  e  stigmatizzato.  Sembra  dunque  che  domini  tuttora  uno 
schema  sociolinguistico  pre-sdoganamento. 

b)  Il  comportamento  dei  bambini,  comunque,  in  una  realtà  periferica 
come  quella  del  rione  San  Pio  del  quartiere  Rudiae  di  Lecce,  coin- 
cide solo  in  parte  con  il  loro  atteggiamento.  I  fattori  socioeconomi- 
ci e  gli  stili  di  vita  che  caratterizzano  quest'area  condizionano  le 
scelte  linguistiche  dei  piccoli  parlanti,  che  sono  esposti,  non  solo 
ad  un  dialetto  italianizzato,  come  si  può  trovare  in  altre  subzone  ur- 
bane, ma  anche  ad  un  dialetto  arcaico:  tanto  arcaico  che  qui  conti- 
nua a  resistere  persino  in  alcuni  campi  semantici  (frutta  e  verdura, 
mestieri)  agonisticamente  più  deboli  nei  confronti  dei  corrispettivi 

321 


italiani  (Grassi  1993:295).  I  bambini,  quindi,  nel  rione  San  Pio,  a 
fronte  di  atteggiamenti  condizionati  dalle  stereotipie  famigliari,  esi- 
biscono in  buona  parte  produzioni  effettive  ricalcate  sulla  forma  e 
sulla  struttura  dell'idioma  materno  ancora  in  uso  nel  quartiere.  Che 
la  struttura  socioeconomica  e  la  qualità  della  vita  del  quartiere  e  la 
sua  ubicazione  siano  determinanti  per  gli  usi  linguistici  dei  piccoli 
lo  abbiamo  dimostrato  in  altra  sede  Sobrero  ed  io,  rispettivamente 
in  una  zona  centrale  della  città  e  in  una  piti  periferica  rispetto  a 
quella  del  rione  San  Pio.  Nella  realtà  piti  periferica  si  è  rilevato  che 
i  bambini  utilizzano  più  dialetto,  che  lo  utilizzano  anche  in  classe 
con  i  compagni,  e  che  l'italiano  è  fortemente  marcato  regionalmen- 
te verso  il  basso.  I  bambini  della  scuola  del  Centro  -  quartiere  alta- 
mente qualificato  per  edilizia,  servizi  commerciali,  status  degli  abi- 
tanti -  parlano  invece  un  italiano  che  presenta  più  tratti  popolari, 
meno  tratti  regionali.  In  sintesi,  a  mano  a  mano  che  ci  si  sposta  dal 
centro  alla  periferia  della  città  ai  tratti  regionali  panmeridionali  si 
sommano  quelli  salentini,  mentre  l'italiano  popolare  continua  a 
mescolarsi,  in  dosi  più  o  meno  elevate,  ai  regionalismi, 
e)  I  bambini  non  parlano  sempre  allo  stesso  modo.  Anche  il  loro  reper- 
torio, come  quello  degli  adulti  consente  di  scegliere  fra  un  venta- 
glio di  varietà  abbastanza  ampio  a  seconda  dei  fattori  che  condizio- 
nano la  situazione  comunicativa.  Parlano  italiano  popreg  con  i 
compagni  di  classe,  con  gli  amici,  con  la  maestra,  con  i  genitori; 
commutano  codice  quando  sono  fuori  dai  domini  istituzionali,  an- 
che se  con  funzioni  limitate  (ludica,  regolativa,  espressiva),  utiliz- 
zano il  dialetto  con  i  pari,  con  poche  specifiche  funzioni;  parlano 
italiano  misto  a  dialetto  -  operando  per  lo  più  a  livello  morfologico 

-  quando  imitano  gli  adulti,  che  privilegiano  come  modelli:  modelli 
intemi  alla  famiglia  (i  genitori)  ed  estemi  (il  mister). 

d)  Nel  processo  di  acquisizione  della  lingua,  in  realtà  così  marginali 
come  quella  esaminata  a  Lecce,  risulta  ancora  forte  il  decalage  tra 
l'offerta  formativa  della  scuola  e  le  esigenze  prodotte  dal  contesto 
socio-ambientale  e  dal  patrimonio  linguistico  e  culturale  degli 
alunni  e  delle  famiglie.  Anche  quando  -  nei  programmi  morattiani 

-  si  insiste  sull'insegnamento  personalizzato,  si  perde  di  vista,  me- 
glio, non  ci  si  preoccupa  affatto  delle  radici  culturali  nelle  quali 
affondano  le  conoscenze  dei  piccoli  apprendenti.  Allo  stesso  tem- 
po, si  perpetua  tuttora  la  'storica'  tipologia  dell'insegnante  preoc- 
cupato da  uno  scolastichese  di  fine  ottocento  ma  indifferente  ai 
tratti  fonetici,  morfologici,  sintattici,  persino  lessicali,  che  inavver- 


322 


titamente  passano  dal  dialetto  all'italiano  popreg  dei  propri  alunni, 
spesso  per  il  tramite  della  propria  produzione  linguistica.  Forme 
marcate,  diatopicamente  e  diastraticamente,  verso  il  basso  potranno 
scomparire,  come  si  augurava  Lodi  "quando  attraverso  lo  studio 
comparato  i  ragazzi  scopriranno  che  il  dialetto  e  l'italiano  sono  due 
lingue  diverse,  con  due  strutture  diverse  e  quindi  con  peculiari  mo- 
di sintattici  [aggiungerei  e  fonetici  e  morfologici]  che  soltanto  co- 
noscendo si  possono  usare  correttamente"  (De  Mauro,  Lodi  1986: 
58).  A  questo  si  potrà  giungere  solo  se  si  prenderà  coscienza  del 
fatto  che  il  dialetto,  per  le  note  ragioni  storiche,  anche  nel  terzo 
millennio,  in  alcune  zone  del  nostro  paese,  in  microaree  come  quel- 
la indagata,  continua  ad  essere  la  lingua  veicolare  della  prima  ac- 
quisizione ed  è  tuttora  -  nonostante  le  recenti  'rivoluzioni'  -  vitale, 
consapevolmente  stigmatizzato  e  sanzionato. 


323 


Bibliografia 

Berruto  G.,  1988,  Che  lingua  fa  oggi  in  Italia,  in  "Italiano  &  Oltre"  3,  246-249. 

De  Mauro  T.,  1993,  Lettura  e  linguaggio,  X  Corso  di  Perfezionamento  semina- 
riale, Venezia,  25-29  gennaio  1993,  http://www.scuolalibraiuem.it/ 
uem04ita/maitres.pdf/demauro93.pdf 

De  Mauro  T./Lodi  M.,  1986,  Lingua  e  dialetti,  Roma,  Editori  Riuniti  (I  edizione 
1979) 

Grassi  C.,  1993,  Italiano  e  dialetti,  in  Sobrero  A.  A.,  1993:  279-310. 

ISTAT,  1995,  Mass  media,  letture  e  linguaggio.  Indagine  Multiscopo  sulle  fami- 
glie "Tempo  libero  e  cultura,  anno  1995",  Roma,  1997. 

ISTAT,  2003,  Letture  e  linguaggio.  Indagine  Multiscopo  sulle  famiglie  "I  cittadi- 
ni e  il  tempo  libero,  anno  2000",  Roma. 

Sobrero  A.  A.  (a  cura  di),  1993,  Introduzione  all'italiano  contemporaneo.  La  va- 
riazione e  gli  usi,  Roma-Bari,  Laterza. 


324 


Lecce:  italiano  e  dialetto  degli  adulti,  fra  lavoro  e  media 
Alberto  A.  Sobrero  (Lecce) 

Introduzione 

Le  annotazioni  che  seguono  si  muovono  all'interno  di  una  considera- 
zione di  fondo:  il  repertorio  linguistico  italiano  è  oggi  in  grande  movi- 
mento, e  la  maggior  parte  di  questo  movimento  riguarda  proprio  i  confini 
fra  le  varietà,  la  loro  reciproca  permeabilità,  le  migrazioni  di  clusters  inte- 
ri all'interno  dello  spazio  linguistico  italiano. 

Com'è  ampiamente  noto,  il  dialetto  si  muove  lungo  percorsi  in  parte 
contraddittori.  Da  una  parte  è  soggetto  al  'normale',  prevedibile,  atteso 
depotenziamento,  che  avviene  per  il  contatto  con  un  codice  dominante 
sempre  più  pervasivo,  e  che  si  manifesta  con  la  diminuzione  dell'uso,  il 
graduale  cambio  di  funzione,  un  nuovo  status  sociolinguistico,  la  progres- 
siva italianizzazione;  dall'altra  gode  di  una  rivitalizzazione  -  relativamen- 
te recente  -  che  lo  vede  espandersi  ed  estendersi  -  sia  pure  asistematica- 
mente -  anche  a  usi  da  tempo  assegnati  in  modo  che  pareva  esclusivo  al- 
l'italofonia. 

Questa  improvvisa  rivitalizzazione  dei  dialetti  ha,  come  sappiamo,  na- 
tali -  come  dire  -  giuridicamente  fondati.  Negli  ultimi  10-15  anni  tanto  le 
Regioni  e  lo  Stato  quanto  -  soprattutto  -  l'Unione  Europea  hanno  fatto 
quanto  era  nei  loro  poteri  per  rivalutare  le  'lingue  locali',  cioè  i  dialetti  e 
le  parlate  delle  cosiddette  minoranze  linguistiche.  La  prima  impressione, 
presso  i  sociolinguisti,  è  stata  quella  di  una  liberazione  del  dialetto  dallo 
stereotipo  negativo  che  lo  colpiva,  come  una  maledizione,  da  tempo  im- 
memore. I  sicuri  segnali  di  una  'ripresa' ,  o  comunque  di  un  uso  più  disin- 
volto del  dialetto,  sono  stati  da  molti  addebitati  alla  temperie  filo-locali- 
stica,  federalista,  decentralista  che  caratterizza  in  modo  sempre  più  spic- 
cato il  clima  politico-ideologico  dall'inizio  degli  anni  Novanta. 

Un  dialetto  così  'liberato'  -  o,  per  usare  un'altra  metafora,  'sdoganato' 
-  ,  ma  anche  così  indebolito  e  'trasfigurato'  nella  sua  espansione  nel  re- 
pertorio linguistico  degli  italiani  si  trova  a  fare  i  conti  con  le  varietà  'for- 

325 


ti'  della  lingua:  non  solo  con  quella  per  definizione  contigua,  l'italiano  re- 
gionale, ma  anche  con  altre,  in  ragione  del  contemporaneo  riposiziona- 
mento di  alcune  di  esse  all'interno  del  repertorio. 

Un  primo  riposizionamento  riguarda  tratti,  anzi  insiemi  di  tratti  del 
parlato  informale  colloquiale  che  'risalgono'  e  bussano  alle  porte  dell'ita- 
liano comune:  sono  le  forme  che  prima  erano  giudicate  scorrette,  o  trivia- 
li, o  colloquiali,  ed  ora  sono  tollerate  o  accettate  o  addirittura  integrate 
nell'uso  corrente:  dagli  usi  sovraestesi  dell'imperfetto  agli  usi  più  'arditi' 
del  che  polivalente,  dal  nominativus  pendens  al  ci  cosiddetto  'attualizzan- 
te' {io  e' ho,  tu  e 'hai).  Ma  sono  anche  tratti  della  struttura  profonda  della 
lingua:  l'ordine  delle  parole,  il  sistema  dei  pronomi,  i  tempi  i  modi  e  gli 
aspetti  del  verbo,  le  congiunzioni;  e  sono  anche  i  fenomeni,  anzi  i  caratte- 
ri tipici  dell'organizzazione  del  parlato:  la  deissi,  la  frammentarietà,  la 
microprogettazione  sintattica,  la  brachilogicità,  l'implicitezza,  la  ridon- 
danza, l'ellitticità,  le  strategie  conversazionali.  Tutti  caratteri  che  -  per 
definizione  -  il  parlato  condivide  ampiamente  con  il  dialetto  e  la  dialetta- 
lità. 

Si  è  riposizionato  anche  Vitaliano  regionale:  non  solo  le  forme  regio- 
nali 'alte',  più  vicine  all'italiano,  ma  anche  alcune  di  quelle  'basse',  nelle 
quali  il  parlante  percepisce  nettamente  la  presenza  del  dialetto,  non  solo 
sono  ampiamente  usate  ma  sono  riconosciute  da  un'alta  percentuale  di 
parlanti  come  forme  di  italiano  dialettizzato  e,  nonostante  questo,  sono 
accettate  come  forme  assolutamente  'normali' K 

Qualcosa  di  molto  simile  è  accaduto  anche  per  la  varietà  di  italiano 
popolare,  dalla  quale  si  registra  un  ancor  più  massiccio  transito  di  forme 
verso  i  piani  più  alti  del  repertorio.  Come  ha  già  osservato  Berruto,  l'ita- 
liano popolare  sta  perdendo  -  o  riducendo  di  molto  -  la  presenza  di  nu- 
merose manifestazioni  di  interferenza  e  di  ipercorrettismo  dovute  al  con- 
tatto con  il  dialetto  retrostante,  e  sta  invece  incrementando  la  rielabora- 
zione e  la  ristrutturazione  -  soprattutto  sotto  forma  di  semplificazione  lin- 
guistica -  di  interi  settori  del  sistema  o  della  norma  dell'italiano  standard. 
Ed  è  con  questa  veste  che  (a  dispetto  dell'aumento  della  scolarizzazione 
media  e  della  quasi  scomparsa  della  dialettofonia  esclusiva)  l'italiano  po- 
polare non  solo  non  riduce  la  sua  presenza  ma  al  contrario  si  estende  sino 
a  sfiorare  il  confine  con  lo  standard:  un  italiano  popolare,  insomma,  sem- 
pre meno  popolare  nel  senso  di  'radicato  nel  popolo'  ma  sempre  più  po- 
polare nel  senso  di  'molto  diffuso'. 


'     Si  veda  Miglietta/Sobrero  2004 
32b 


All'interno  di  questo  scenario  si  inquadra  la  dinamica  del  rapporto 
dialetto-italiano  agli  inizi  del  terzo  millennio.  E'  in  riferimento  al  riposi- 
zionamento delle  varietà  di  italiano  nello  spazio  linguistico  che  dobbiamo 
rispondere  alle  domande  fondamentali:  quali  sono  gli  usi  prevalenti,  quali 
le  funzioni  del  dialetto?  Residuali  o  innovative?  Funzionali  o  espressive? 
Come  si  presenta  il  repertorio  linguistico  italiano,  dal  punto  di  vista  so- 
ciolinguistico?  Che  tipo  di  bilinguismo  prevale?  Come  viene  utilizzata  la 
commutazione  di  codice?  Quali  sono  i  modelli  di  lingua  a  cui  si  ispirano  i 
giovani? 

In  questa  sede  cerchiamo  di  rispondere  almeno  ad  alcune  di  queste  do- 
mande attraverso  rilevamenti  'in  situazione'  di  testi  parlati  e  scritti  in  al- 
cuni domini  e  in  alcune  situazioni  selezionate  nella  realtà  urbana  di  una 
piccola  città  dell'area  meridionale  estrema.  Lecce. 

Abbiamo  selezionato  tre  domini  che  consideriamo,  per  motivi  diversi, 
privilegiati: 

-  i  mass  media:  stampa,  radio,  TV 

-  le  transazioni  commerciali 

-  la  scuola^. 

Per  ogni  dominio  abbiamo  esplorato,  a  forcella,  due  realtà  sociolo- 
gicamente differenziate:  l'una  classificabile  come  medio-alta,  una  co- 
me medio-bassa.  Avendo  come  obiettivo  il  parlato  (e  in  parte,  per 
mass  media  e  scuola,  lo  scritto)  'medio  prevalente',  abbiamo  escluso  i 
contesti  che  per  la  loro  natura  favorissero  comportamenti  fortemente 
orientati  verso  gli  estremi  dell'  iperconservazione  e  dell'abbandono 
totale  della  dialettofonia,  o  la  realizzazione  di  testi  caratterizzati  da 
registri  altamente  formali  o,  rispettivamente,  informali.  Sono  esclusi, 
ad  esempio,  da  una  parte  gli  articoli  delle  pagine  locali  di  testate  inter- 
regionali o  nazionali  (ad  esempio  'La  Gazzetta  del  Mezzogiorno')  dal- 
l'altra i  giornali  satirici,  come  Festa  noscia  e  La  carrozza  o  i  cartello- 
ni delle  sagre  {te  lu  ranu,  te  la  municedda,  te  lu  mieru,  te  la  piscialet- 
ta^)  scritti  esclusivamente  in  dialetto;  da  una  parte  le  produzioni  parla- 
te delle  transazioni  di  livello  nazionale  o  internazionale,  dall'altra  i  di- 
scorsi dell'osteria.  Con  lo  stesso  criterio  abbiamo  escluso  sia  le  scuole 
'esclusive'  dell'alta  borghesia  leccese  che  le  scuole  'arrangiate'  dei 
quartieri  più  svantaggiati. 


2  Per  il  dominio  'scuola'  si  veda  il  contributo  di  A.Miglietta,  in  questo  stesso  volume. 
^  Rispettivamente:  del  grano,  della  chiocciolina,  del  vino,  della  ciambellina  (di  pane, 
condita  con  olio  e  pepe). 

327 


Abbiamo  registrato  e  schedato  circa  15  ore  di  parlato  per  il  dominio 
'scuola',  15  per  'radio  e  TV,  5  per  'esercizi  commerciali',  Per  la  stampa 
la  schedatura  è  invece  occasionale,  orientata  verso  l'acquisizione  di  mate- 
riale comunque  interessante  per  il  nostro  obiettivo. 

1.     I  MASS-MEDIA 

Nei  mezzi  di  comunicazione  (giornali,  radio,  tv),  il  dialetto  è  presente 
-  moderatamente  -  in  due  modalità.  Per  un  verso  è  frutto  di  scelta  consa- 
pevole di  recupero,  o  riuso,  in  trasmissioni  televisive  d'intrattenimento,  in 
opuscoli  informativi,  in  settimanali,  ora  con  funzione  espressiva  ora  con 
preciso  richiamo  metalinguistico  al  rapporto  con  la  lingua;  per  l'altro,  è 
inconsapevole  residuo  di  competenza  sbilanciata  nei  due  codici  -  in  favo- 
re del  dialetto  -,  nella  produzione  di  parlanti  anziani,  di  bassa  scolarità, 
intervistati  in  trasmissioni  radiofoniche  o  televisive. 


1.1  La  stampa.  Nell'opuscolo  Salento  in  tasca,  distribuito  gratuita- 
mente in  tutti  i  locali  pubblici  (bar,  tabaccherie,  edicole  ecc.)  della  città, 
curiosità  dialettali  vengono  proposte  nella  rubrica  Arcu  de  Pratu^  in  cui 
vengono  riportati  lu  proverbia  e  lu  dialettu  (in  realtà  una  sorta  di  mini- 
glossario dialettale  raccolto  in  modo  pressoché  casuale)  insieme  a  com- 
menti e  considerazioni  varie  spesso  di  carattere  metalinguistico-contrasti- 
vo:  ad  es.  nel  n.  268  il  redattore  commenta  il  cartello  Vendesi  autu  esposto 
su  una  Fiat  Croma  con  la  domanda  e  quantu  ete  autu?  Quanti  centimetri 
tene?  Trase  intra  llu  garage?  "E  quanto  è  alto?  Quanti  centimetri?  Entra 
in  garage?"  giocando  sulla  polisemia  di  autu  ('alto'  aggettivo  e  'auto'  so- 
stantivo) ma  anche  sulla  sostanziale  inaccettabilità  di  autu  per  'auto'  nel 
dialetto  leccese.  Nello  stesso  opuscolo,  nella  rubrica  sortenoscia  (lett. 
"poveri  noi!")  ritroviamo  anche  foto  con  dediche,  in  cui  è  frequente  sia  il 
dialetto  che  il  mistilinguismo,  sempre  usati  esclusivamente  con  scopo  lu- 
dico-scherzoso.  La  prima  foto  della  rubrica  viene  intitolata  artisti  se  na- 
sce; le  altre  foto  vengono  accompagnate  da  commenti  di  questo  tipo:  Cu- 
mar  Redbulli,  al  posto  cu  mangi  sempre  . . .  pensa  cu  fatii  nnu  picca!  "in- 
vece di  mangiare  sempre,  cerca  di  lavorare  un  poco",  ed  ancora  un  saluto 
giallorosso  a  Francesco,  Luigi,  Marco  Andrea  e  Mauro  ...  lu  spiritu  certu 
nu'bbu  manca  "lo  spirito  certo  non  vi  manca"  [17  ottobre  2003],  un  salu- 

^  Dove  'Arcu  de  Pratu'  è  il  nome  di  un  arco,  dedicato  a  Leonardo  Prato  -  un  capitano 
di  ventura  che  operò  anche  a  Lecce,  fra  Quattro  e  Cinquecento  -  e  della  piazzetta  antistan- 
te, antico  luogo  d'incontro  e  di  socializzazione. 

328 


to  ai  tre  amici,  miracolosamente  sopravvissuti  su  un  'isola  deserta,  grazie 
alle  "fiche"...  d'India?  dove  si  gioca  con  il  termine  che  al  femminile  indi- 
ca in  dialetto  il  frutto  e  in  italiano  l'organo  sessuale  femminile,  e  per  esten- 
sione semantica  le  belle  donne  [24  ottobre  2003].  Anche  fra  i  messaggi 
della  rubrica  Vorrei  dire  a...  si  pubblicano  brevi  testi  giocati  sulla  commu- 
tazione di  codice  e  sulla  comunicazione  mistilingue:  dopu  lu  scherzu  de  le 
purpette,  sei  entrato  di  diritto  al  club  de  li  "pigghia  an...  Tonio"!  "dopo  lo 
scherzo  delle  polpette,  sei  entrato  di  diritto  nel  club  dei  "prendi  in  . . .  To- 
nio" dove  è  difficile  rendere  in  italiano  il  gioco  linguistico  an... Tonio.  Op- 
pure: complimenti  per  le  eccellenti  doti  gastronomiche.  Nna  cucina  cussi 

...  se  la  sognanu puru  gli  Ufo\  " una  cucina  così...  se  la  sognano  anche 

gli  Ufo"  [17  ottobre  2003];  nelle  aree  di  rigore,  eri  un  leone,  ma  negli  stu- 
di televisivi...  nu  tte  faci  "intimidire"  te  nisciunu  "...  non  ti  fai  intimidire 
da  nessuno";  devo  darti  atto  che,  anche  cambiando  le  carte  in  tavola,  il 
prodotto  non  cambia  ...  Forse  è  megghiu  se  parti  "...forse  è  meglio  se 
parti"  [24  ottobre  2003].  Singolare  lu  passatiempu,  dedicato  ad  un  cruci- 
verba, che  riporta  le  istruzioni  e  prevede  le  soluzioni  in  italiano,  fornendo 
definizioni  che  si  riferiscono  a  personaggi  e  notizie  locali. 

Si  noti,  negli  esempi  citati,  la  funzione  esclusivamente  scherzosa  del 
dialetto,  quasi  sempre  usato  nel  colon  risolutivo  di  una  struttura  bimem- 
bre organizzata  in  climax  (per  lo  più  ascendente). 

Qualche  curiosità  dialettale  rientra  anche  nel  giovane  settimanale  Città 
magazine,  ma  solo  per  alcune  ricette  e  per  prestiti  di  necessità:  ad  esempio 
minchiarieddhri  cu  Ila  'rucula  viene  tradotto  nel  titolo  con  'maccheroncini 
con  la  rughetta'  (ma  all'interno  della  ricetta  il  termine  minchiarieddhri  ricor- 
re una  sola  volta  e  non  è  più  tradotto:  "lessare  i  ''minchiarieddhri,  scolarh  al 
dente  e  farh  insaporire. . ..")  [19  settembre  2003];  della  trippa  si  segnala  la  va- 
riante -  tipicamente  salentina  -  tutta  para  [3  ottobre  2003],  ecc. 

1.2.  Radio  e  televisione.  In  tv,  come  si  è  detto,  il  dialetto  entra  in  due 
modi  diversi:  o  per  scopo  ludico  (ovvero  come  scelta  consapevole  da  par- 
te dei  conduttori  di  trasmissioni  televisive)  o  per  competenza  sbilanciata 
presso  parlanti  anziani,  con  bassa  scolarità. 

Qualche  esempio  del  primo  tipo.  La  conduttrice  di  un  programma  di 
intrattenimento,  Movida,  rivolgendosi  al  ristoratore  di  un  noto  ristorante 
di  Porto  Cesareo:  Cosiminu,  sciamu  à!^  "Cosimino,  andiamo!"  [12  luglio 

^  Per  il  parlato  si  utilizza  in  questo  contributo  una  trascrizione  che  coincide  quasi  in 
tutto  con  l'alfabeto  convenzionale  italiano;  per  gli  esempi  e  le  citazioni  di  interesse  foneti- 
co si  utilizza  invece  una  variante  'larga'  dell'API. 

329 


2003],  allora  lafascimu  st'intervista  o  no  lafascimu?  "allora  la  facciamo 
o  non  la  facciamo  quest'intervista?". 

Nel  conduttore  di  8  sport  club,  di  Canale  8,  trasmissione  di  opinione 
sportiva,  non  si  contano  i  fenomeni  ài  flagging:  lei  dove  ce  l'ha  la...  co- 
me si  dice  putea ?  "...  bottega"  rivolgendosi  ad  un  parrucchiere  in  studio 
[15  settembre  2003],  scerratizzu.  come  si  dice  a  Lecce  "che  dimentica  le 
cose..."  riferendosi  a  chi  prepara  i  titoli  di  coda  in  trasmissione  [22  set- 
tembre 2003];  come  si  dice  a  Lecce,  state  mpannando  tutti  " vi  state 

addormentando  tutti"  [6  ottobre  2003];  in  dialetto  leccese  si  dice  'trastuie 
trastuie'  [7  luglio  2003]. 

In  radio  fa  capolino  anche  una  funzione  metalinguistica  'filologica': 
un  docente-giornalista,  parlando  del  lunedì  di  Pasqua  sostiene  che  a  Lec- 
ce si  dice  scire  allu  riu  e  che  "oggi  si  italianizza,  ma  dicendo  sciocchez- 
ze 'andare  al  rio....'  "  e  continua  motivando  la  necessità  di  mantenere  il 
termine  dialettale  auriu  e  non  l'italianizzato  rio  perché  a  Lecce  non  c'è 
nessun  rio,  o  rivo,  ma  in  provincia,  vicino  a  Surbo,  in  casale  Auriu  si  tro- 
va una  chiesetta  del  sec.  XII,  dove  i  leccesi  facevano  la  scampagnata 
[Radio  Queen,  31  ottobre  2003].  In  questi  esempi  l'immagine  del  dialetto 
appare  non  solo  riabilitata  ma  brillante  di  luce  propria:  essi  attestano  che 
il  dialetto  gode  di  una  salute  particolarmente  buona  proprio  negli  usi  non- 
familiari e  presso  le  classi  sociali  più  elevate,  tanto  che  il  cambiamento  di 
codice  non  solo  è  pienamente  consapevole  ma  viene  anzi  specificamente 
segnalato  come  tale. 

La  situazione  sembra  ribaltata  con  gli  intervistati  in  tv,  anziani,  poco 
scolarizzati,  che  a  volte  tentano  un  attacco  in  italiano,  poi,  non  trovando 
la  parola,  ricorrono  al  dialetto,  e  non  sempre  mostrano  consapevolezza 
del  cambio  di  codice:  con  questo  si  ggliavano  le  unghie  alli  cavalli  (Ma- 
stro C,  In  famiglia.  Telerama  6  gennaio  2004); 

Mastro  C.  -  questo  è  lo  scarfalietto 
Conduttrice  -  lo  scaldaletto 
Mastro  C.  -  con  questo  si  faceva  scarfare  il  letto 
Conduttrice  -  si  faceva  scaldare  il  letto,  (ibid.) 

Sono  numerosi  i  veri  e  propri  cambi  di  codice:  na  sepolta  viva  era  eia 
cristiana  [TG8,  4  aprile  2004];  lasciato  il  letto  ...è  lasciato  tutto  come 
stava  ...  nu  n-aggiu  saputu  nienti  "non  ho  saputo  più  niente"  (un  uomo 
che  parla  della  scomparsa  della  moglie  a  TeleRama  news,  22  settembre 
2003);  un  telespettatore  in  diretta  telefonica  mi  pare  nnu  muertu  a  pas- 
seggiu  "mi  sembra  un  morto  a  passeggio",  [8  sport  club.  Canale  8,  29  set- 
tembre 2003];  una  signora,  invitata  a  rispondere  sull'apertura  dei  negozi  a 

330 


Lecce,  il  1  novembre:  a  me  perché  il  sindaco  vuole  la  mezza  giornata,  in- 
vece le  commesse  nu  bbòlenu  mancu  la  menza  giornata  perché  io  parlo 
....  niente  che  vi  debbo  dire  "...  le  commesse  non  vogliono  neppure  mezza 
giornata..."  [TG8,  24  ottobre  2003].  Qui  domina  il  cambio  per  vuoto  les- 
sicale o  per  espressività,  a  testimonianza  di  una  realtà  residuale  caratteriz- 
zata da  un  repertorio  linguistico  dialettocentrico. 

1.3.  Dialetto  in  musica.  Ritoma  il  dialetto  anche  nei  nomi  dei  giovani 
complessi  Campi  de  Scasciu,  Spasulati  Band,  che  però  si  esibiscono  in 
locali  dai  nomi  esotici  (Istanbul  Cafè,  Mata  Mari),  proponendo  ritmi  an- 
glosassoni o  orientaleggianti.  Intanto,  i  famosi  Sud  Sound  System  conti- 
nuano a  riscuotere  successo  con  le  loro  canzoni  in  dialetto,  non  lesinando 
interviste  in  dialetto  anche  in  diretta  Rai.  E'  il  lusso  del  dialetto  come  lin- 
gua delle  radici,  come  preziosismo  filologico,  come  oggetto  di  ricerca 
eulta  che  si  può  permettere  una  società  ad  italofonia  avanzata:  il  caso  che 
ricorre  sembra  quello  del  dialetto  che  esce  dall'uso  quotidiano,  e  viene 
reintegrato  "nelle  culture  giovanili,  in  un  incessante  pendolarismo  tra  lo- 
cale e  planetario,  come  si  vede  anche  in  certi  tratti  del  giovanilese  [...]  il 
dialetto  (o  forse  meglio  il  suo  fantasma,  le  sue  spoglie)  riacquista  dignità 
e  prestigio"  (Coveri  1996:  141). 

1.4.  L'italiano  dei  media.  Ma  l'uso  più  frequente,  nei  mass-media,  è 
quello  di  un  italiano  regionale,  quasi  sempre  non  controllato.  A  parte  il  li- 
vello fonetico  -  nel  quale  sono  assolutamente  di  default  pronunce  del  tipo 
Jrad^.-ile,  sentso,  cortsa,  am:inistradzjone,  formadzjone,  situadzjone, 
kwejta  ^cc.  -  le  testimonianze  sono  frequenti  anche  nella  morfosintassi:  "è 
vero  che  se  tu  sei  di  Lecce  ed  esci  con  una  di  Gallipoli  ti  riempiono  di 
mazzate  di  sopra'  che  ricalca  il  dialettale  te  bbìnchianu  de  mazzate  de 
subbra,  [20  luglio  2003]  o  "guarda  che  io  ti  prendo  a  mazzate  in  faccia" 
[30  luglio  2003].  Un  giornalista  di  TeleRama  chiede  "anche  di  Pasqua  la- 
vorerebbe?" (12  aprile  2004)  ed  esorta  così  "Si  impegnasse,  invece!"  (per 
"si  impegni!":  25  aprile  04).  Il  conduttore  di  Movida  rivolgendosi  alla 
conduttrice  che  tenta  di  leggere  la  mano  ad  un  passante:  '"quindi  già  hai 
toppato"  dove  toppato  ricalca  il  dialettale  -  di  area  molto  estesa  -  tuppatu 
"sbagliato".  Regionalismi  si  trovano  anche  nei  testi  pubblicitari:  "Non  ci 
dormo.  Non  ci  dormo"  ripete  la  'testimonial  '  del  mobilificio  Primitivo  a 
Canale  8,  rendendo  l'italiano  'non  riesco  a  dormire'  con  una  struttura  ri- 
calcata sul  dialetto.  E  questa  volta  si  tratterà  sicuramente  di  una  scelta 
pienamente  consapevole,  anzi  mirata. 

331 


L'italiano  popolare,  poi,  ricorre  in  tutte  le  classi  di  età  e  le  classi  socia- 
li: è  facile  trovarlo  presso  coloro  che  sono  intervistati  per  strada  "è  un'ini- 
ziativa [quella  della  chiusura  al  traffico  della  zona  San  Lazzaro  di  Lecce] 
molto  buona  . . .  che  almeno  si  può  camminare  con  piti  tranquillità"  [Tele- 
rama news,  22  settembre  2003];  "ho  un  televisore  che  non  vedo  bene" 
[CanaleS,  8  sport  club,  22  settembre  2003],  "quando  ero  piìì  giovane  era 
meglio...  dipende  di  come  si  vive"  [un'anziana,  parlando  del  matrimonio: 
CanaleS,  Boomerang,  7  luglio  2003];  "dipende  del  peso  della  grandezza 
dell'uovo  ...  a  secondo  dello  spessore  dell'uovo  ...  poi  c'è  le  [uova]  mar- 
morizzate ...  le  dò  ["dò  alle  uova"]  un  secondo  strato"  [Telerama,  un  pa- 
sticciere, 12  aprile  2004],  "ci  hanno  presi  di  bersaglio"  (un  soldato,  dall'I- 
raq) "questa  è  una  caramella  antica,  antichissima  e  l'abbiamo  portata  a 
tradizione  di  santi  morti,  per  un  semplice  motivo,  pecche  oramai  si  era 
dissusata.  Allora  il  bambino  di  ieri  si  è  fatto  grande,  oggi  cammina  coi  fi- 
gli, e  dice  uh,  \q  fanfullicche^  n'altra  volta "  (dove  popolare  e  regiona- 
le si  mescolano  in  modo  inestricabile).  Ma  è  anche  facile  trovarlo  nel  par- 
lato di  un  giornalista  dallo  studio  ("eroina  che  l'albanese  ha  cercato  di  di- 
sfarsi" [Canale  8,  TG8,  22  dicembre  2002];  "sindaco  facci  una  domanda 
al  presidente"  [ibid.])  o  di  un  pohtico  "sarebbe  opportuno  che  la  provin- 
cia ritoma"  [Canale  8,  notizie,  30  luglio  2003])  o  addirittura  di  un  intel- 
lettuale (un  alto  funzionario  della  Pubblica  Amministrazione:  "aspettano 
che  queste  teche  si  riempino"  [Canale  8,  Quattro  chiacchiere,  19  settem- 
bre 2003]  o  di  un'opinion  leader,  professoressa  di  filosofìa  in  un  presti- 
gioso liceo  ("speriamo  che  si  ripeti",  in  conferenza  stampa).  Anche  in 
questo  sotto-corpus  popolare  e  regionale  ricorrono  nello  stesso  testo,  nel- 
lo stesso  periodo,  nella  stessa  frase:  "mo  pensavo  che  ero  in  diretta"  (Te- 
lerama, una  giornalista,  12  aprile  2004). 

Non  mancano  casi  di  etimologia  popolare:  "hanno  attizzato  i  cani"  [in- 
tervista a  Canale  8,  ad  un  ristoratore  che  parla  dei  punk-bestia]. 

E  non  mancano  casi  di  italiano  popolare  nella  carta  stampata.  Si  veda- 
no per  esempio  in  Città  magazine  "all'aprire  del  sito  ci  appare  da  subito 
la  scheda  da  compilare"  "Nell'era  di  internet  la  presentazione  di  un  porta- 
le in  multilingue  lo  rende  sicuramente  vincente"  ed  ancora  "per  chiunque 
si  trova  all'estero  e  vogha  trovare  una  rivista  specializzata,  grazie  a  que- 
sto portale  può  sapere  se  è  vicino  ad  una  biblioteca  che  ha  quella  rivista" 
[Città  magazine,  3  ottobre  2003]"^. 


^  Tipiche  caramelle  nastriformi,  multicolori,  vendute  il  giorno  dei  morti. 
^  Altri  esempi  in  Sobrero  2003 


332 


Ci  troviamo  di  fronte  a  una  fase  avanzata  della  situazione  caratterizza- 
ta da  un  "refluire  (del  dialetto)  nell'italiano  regionale,  che  dà  luogo  a  una 
fascia  molto  più  ampia  che  non  oggi  di  varietà  regionali  e  popolari  con 
fenomeni  di  ibridazione  fra  hngua  e  dialetto"  (Berruto  1988:  249),  mentre 
tuttavia  il  dialetto  non  è  affatto  scomparso. 

Il  livello  nel  quale  transita  la  maggior  parte  dei  tratti  dialettali  è  quello 
fonetico:  si  tratti  di  parlanti  scolarizzati  o  non  scolarizzati,  anziani  o  gio- 
vani, la  maggior  parte  dei  salentini  produce  enunciati  ricchi  di  tratti  fone- 
tici panmeridionali,  e  moltissimi  producono  enunciati  con  tratti  fonetici 
marcatamente  locali^.  Solo  per  citarne  alcuni: 

-  affricate  sorde  che  vengono  realizzate  come  sonore:  "noi  come 
am:inistradz:jone  comunale"*,  "non  solo  comQ  formadz: Jone''  [con- 
sigliere comunale,  anziano,  8  Sport  Club,  Canale  8],  "vorrei  un  at- 
timo verificare  la  situadz:jone''  [spettatore  di  mezza  età  a  8  Sport 
Club,  Canale  8] 

-  rs-  >  -  rts  -;  -  Is  -  >  -  Its  -  ;  -  ns  -  >  -  nts  -  :  "nel  senso  che  faccio 
cortsà"  [intervistato,  mezza  età,  scolarità  medio-alta,  TeleRama 
news,  13  ottobre  2003] 

-  cacuminali  ^  e  ^  "no,  son  venuta  già  alli;e  volthe"  [ragazza  dodi- 
cenne, intervistata,  parla  ai  microfoni  di  TeleRama  news  del  circo 
di  Lidia  Togni,  31  ottobre  2003] 

-  dentali  aspirate  -th-  "comunque  questa  è  un'occasione  per  ritrovar- 
ci tutthi  kwanthi,  per  stare  intsjeme'  [ead.] 

-  fricativa  palatale  davanti  a  dentale  sorda  "i  giovani  non  garantiscono 
kwelta  competitività"  [spettatore  di  mezza  età  a  8  Sport  Club,  Canale  8] 

-  allungamento  delle  bilabiali  e  delle  affricate  palatali  sonore  in  posi- 
zione intervocalica:  "il  campo  per  me  è  a'd^db.-ile";  "a  tempo 
'deb:ito"  (Area  gol.  Canale  8). 

Ancor  di  più  la  salentinità  affiora,  infine,  nella  tonia  delle  produzioni 
dei  parlanti,  soprattutto  nelle  interrogative:  "tu  sai  dove  sta  via  Zannardel- 
li?"  [Conduttore  di  Sport  Club,  Canale  8],  "la  gente  si  è  lamentata?" 
[giomahsta,  Tg8,  Canale  8,  1  novembre  2003]. 

2.  Gli  esercizi  commerciali 

Per  saggiare  il  comportamento  linguistico  in  questo  dominio  abbiamo 
scelto  due  esercizi  commerciali,  anche  in  questo  caso  selezionati  in  quan- 


^  Per  l'elenco  dei  tratti  cfr  Sobrero-Romanello  1981  e  Sobrero  2002. 

333 


to  espressioni  di  due  realtà  sociologicamente  differenziate  ma  non  estre- 
me: un  negozio  di  abbigliamento  'old  fashion'  situato  nel  centro  storico  - 
clientela  di  borghesia  media  e  medio-alta,  abbigliamento  classico,  riforni- 
menti di  stoffe  inglesi,  camicie  sia  confezionate  che  su  misura  ecc.  -  ;  una 
macelleria,  una  profumeria  e  una  merceria-emporio  situati  nel  quartiere 
Rudiae  (quartiere  semiperiferico  a  insediamento  misto,  ma  prevalente- 
mente medio-basso).  Chiameremo  A  l'esercizio  a  clientela  medio-alta,  B 
quelli  a  clientela  medio-bassa. 


2.1.  L'esercizio  A.  Nelle  conversazioni  registrate  in  A  i  personaggi  so- 
no: il  titolare  (laurea  in  una  prestigiosa  Università,  impostazione  manage- 
riale dell'esercizio,  conversazione  brillante),  i  due  commessi  (scuole  me- 
die, buona  professionalità,  fedeltà  ultradecennale  all'esercizio  commer- 
ciale), i  clienti.  Codice  di  base  è  l'italiano,  con  venature  piti  o  meno  ac- 
centuate di  italiano  regionale  e  occasionali  coloriture  colloquiali  di  italia- 
no popolare,  come  in  "già  sto  vedendo  che  non  ne  avete". 

/  clienti.  Per  quanto  riguarda  la  presenza  del  dialetto,  nei  clienti  che  - 
occasionalmente  -  si  allontanano  dalla  lingua  base  prevalgono:  il  cambio 
di  codice  di  tipo  intrafrasale,  con  l'inserzione  di  segmenti  dialettali  all'in- 
terno di  frasi  in  italiano: 

-  ho  messo  stu  cosu  pesante 

e  fatti  di  tag  switching  (interiezioni,  intercalari,  allocutivi  ecc.  dialetta- 
li in  un  discorso  in  lingua).  Sono  rari  invece  i  cambi  interfrasali,  con  inse- 
rimento di  vere  e  proprie  frasi  dialettali  (che  sono  tuttavia  uniproposizio- 
nali,  e  a  struttura  sintattica  elementare).  Questa  configurazione  -  privile- 
giando il  parlato  mistilingue  rispetto  al  code  switching  -  conferma  il  basso 
livello  di  competenza  dialettale  dei  clienti.  L'inserto  dialettale  sembra  ri- 
spondere pili  a  necessità  di  identificazione  in  rete  che  a  vere  e  proprie 
funzioni  conversazionali. 

Le  commesse.  Il  parlato  delle  commesse  è  caratterizzato  da  una  base  di 
italiano  regionale  -  soprattutto  fonetica  e  intonazionale  -  consistente,  sulla 
quale  si  stagliano  code-mixing  dialettali,  direi,  'misurati': 

"lei  1-ha  viste  le  cose  nostre,  ci  penzi  un  attimo", 

"na  camicia,  nu  both:one" 

//  titolare.  Il  titolare  dell'esercizio  invece  si  muove  agevolmente  sulla 
tastiera  dei  codici  e  dei  registri,  esibendo  comportamenti  molto  differen- 
ziati: 

a)  nei  rapporti  con  i  clienti  le  commutazioni  e  le  alternanze  appaiono 
di  tipo  prevalentemente  situazionale,  legate  ai  parametri  'classici'  dell' ar- 


334 


gomento  e  della  relazione  interpersonale  con  l'interlocutore.  Parlando  di 
un  atto  pubblico  dice  che  "il  provvedimento  è  stato  emesso  da  un  ente  che 
non  è  giuridicamente  abilitato  a  farlo  "  ma  con  lo  stesso  cliente,  due  turni 
dopo,  produce  un  lungo  enunciato  mistilingue  in  chiave  scherzosa. 

Quella  che  prevale  di  gran  lunga  nel  suo  comportamento  linguistico  è 
però  la  commutazione  intrafrasale,  con  giustapposizione  di  segmenti  ap- 
partenenti ai  due  sistemi  linguistici  all'interno  della  stessa  frase:  "anche 
perché  è  nu  picca  pignola"  "certu,  ca  la  vita  poi...  sono  accadimenti"  "e 
dove  lu  mittu?" 

b)  nei  rapporti  di  lavoro  con  un  collaboratore  e  con  le  commesse  la 
compenetrazione  fra  i  due  codici  è  ancora  più  forte:  può  dare  luogo  a  co- 
de switching  con  funzioni  specifiche,  come  la  citazione: 

"  ordinamu:  prego  mandare  con  urgenza" 
l'enfasi 

"  da  vera,  guarda!  " 
o  l'espressività 

"  o  blu  notte,  c-aggiu  affare!'^ 
oppure  -  anzi,  più  spesso  -  può  dare  luogo  a  cambi  sia  Inter-  che  intrafra- 
sali  'naturali',  nei  quali  si  applicano  a  materiale  dialettale  regole  sintatti- 
che comuni  ai  due  codici: 

-  bisogna  vedere  cornu  suntu  le  impunture 

-  si  la  tagghiamu  era  meglio 

-  dobbiamo  vedere  cu  cuntrasta 

-  non  esiste  proprio,  ma  ddu  ss-a  vistu  che  uno  si  alza  e  dice 

-  quest-articolo  a  bb-essere 

-  come  suntu?  impuntura  a  rriva 

fino  alla  ancor  più  frequente  variazione  del  tutto  occasionale,  per  lo  più  a 
livello  morfologico: 

-  a  mie  me  conviene 

-  facimu  l'ultimo 

-  troviamo  il  campione  de  riferimento 

L'assoluta  fungibilità  dei  sintagmi  e  dei  lessemi  è  testimoniata  nelle  suc- 
cessioni numeriche,  nelle  quali  troviamo  code  mixing  del  tutto  casuali: 

-  trentanove,  quarantunu,  quarantatre 

e  nelle  ripetizioni  non  motivate  di  un  sintagma  italiano  in  dialetto  (o  vice- 
versa): 

-  tredici  e  quaranta  ete,  tredici  e  quaranta  è 

-  sola?  na!  sula  ma! 

Nei  rapporti  coi  dipendenti  c'è  un  solo  caso  in  cui  il  dialetto  prevale  sul- 
l'italiano: quando  il  messaggio  contiene  un  richiamo  implicito,  e  il  dialet- 

335 


to  viene  utilizzato  in  funzione  attenuativa,  grazie  alla  sua  connotazione  di 
'we  code':: 

-  nun  sta  biscia  nisciunu  "non  vedo  nessuno...  " 
Questo  comportamento  "presuppone  non  soltanto  una  buona  competenza  e 
un  notevole  grado  di  spontaneità  d'uso  di  entrambi  i  codici,  ma  anche  la  ca- 
pacità più  complessa  di  integrarne  le  rispettive  regole  sintattiche  senza  violare 
eventuali  restrizioni"  (Alfonzetti  2001;  si  veda  anche  Poplack  1980:  589).  E' 
quello  che  Poplack  chiama  smooth  switching:  una  commutazione  in  cui  i  pas- 
saggi all'interno  delle  frase  non  hanno  -  o  hanno  raramente  -  una  funzione 
specifica  e  vengono  gestiti  in  modo  spontaneo,  rispondendo  esclusivamente  a 
esigenze  stilistiche  'situate'.  Questo  orienta  la  nostra  valutazione  ambientale 
verso  una  diagnosi  di  'neutralità  sociolinguistica',  condizione  per  la  quale  "in 
molte  situazioni  informali  e  di  media  formaUtà  entrambi  i  codici  costituisco- 
no una  scelta  non  marcata"  (Alfonzetti  2001:  260). 


2.2.  Gli  esercizi  B.  E'  diverso  il  quadro  che  si  delinea  ascoltando  le  pro- 
duzioni linguistiche  dei  titolari,  delle  commesse  e  dei  clienti  nella  macelle- 
ria, nella  profumeria  e  nella  merceria  della  zona  B  (medio-bassa).  Codice  di 
base  è  di  norma  il  dialetto:  l'italiano  si  inserisce  raramente,  e  per  scopi  par- 
ticolari. Ad  esempio,  in  macelleria  un  cliente  racconta  le  vicissitudini  sof- 
ferte per  seguire  l'iter  burocratico  relativo  alla  vendita  della  sua  auto,  con 
un  racconto  di  ben  3'  12"  esclusivamente  in  dialetto,  con  un  solo  cambio: 

-  mo  due  mesi  per  fare  il  passaggio  di  proprietà,  do  misi 

dove  l'inserto  ha  evidentemente  funzione  enfatica  (si  noti  che  il  passag- 
gio è  innescato  per  'triggering'  dall'omofono  mo). 
Dopo  3'  12"  il  macellaio  lo  interrompe,  con  una  richiesta  in  italiano 

-  datemi  cinque  euro  per  favore 

da  interpretare  come  brusco  segnale  di  pre-chiusura. 

A  parte  questi  usi  funzionali  specifici  dell'italiano,  è  il  dialetto  a  tenere  la 

scena.  Anche  l'it.  reg.  è  fortemente  ricalcato  sul  dialetto.  La  frase 

-  è  inutile  che  giriamo  a  occhio  (merceria) 

traduce  l'espressione  dialettale  'a  uecchiu'  cYìq  in  leccese  vale  'a  casac- 
cio'; ma  la  traduzione,  come  si  vede,  è  fin  troppo  letterale,  e  sfocia  nel 
malapropismo. 

In  generale,  quando  clienti  e  commesse  si  allontanano  dal  dialetto  esi- 
biscono una  base  di  italiano  regionale  punteggiata  di  forme  dialettali: 

-  no,  no,  purificante  unu  è.  Uno  è  (profumeria) 

-  punture  de  cortisone  facevo  [...]  quando  mi  prende  tutto  na  volta 
(prof.) 


336 


La  caratteristica  saliente  è  però  costituita  dal  cambio  di  codice,  che 
è  prevalentemente  di  tipo  interfrasale:  viene  commutata  una  frase,  o  un 
segmento  riconducibile  a  un'unità  frasale.  Accade  per  convergenza  con- 
versazionale^ 

A    -  basta? 

B   -//è/ié/e/w  [toglilo!] 

A   -  si,  mo  me  lu  mangia  iou  [sì,  adesso  me  lo  mangio  io!]  (pese.) 

B   -  aspetta.  Quando  debbo  venire? 

A   -  senti,  aspetta,  mofìnimu  la  cinta  [adesso  finiamo  la  cintura] 
B   -fanne prima  la  signora,  na!  [servi  prima  la  signora]  (calz.) 
o  per  citazione 

-  infatti  come  ho  visto  vento  dico  "Osce  sciurnata  de  allergia  "  [oggi 
giornata  di  allergia]  (prof.) 

o  per  commento: 

-  soltanto  questo  come  marsiglia.  Ce  bb-ete  quistu  quait  [che  cos'è 
questo  qui?] [frugando  tra  i  flaconi  di  detersivo]  (mere.) 

ma  anche  senza  funzioni  specifiche  chiaramente  ravvisabili: 

-  vedi  colore  quarantasei?  a  quai!  [qua!]  (mere.) 

-  quando  tomi?  Eh,  quista  quai  nu  è  ca  li  mmosciu...  la  mmosciu  e 
la  llarghi  [eh,  questa  qui  non  è  che  la  mostro la  mostro  e  si  allar- 
ga] (calz.) 

-  domani  a  quest'ora,  o  prima,  comu  comandi  [come  vuoi]  (calz.) 

-  ah,  non  ce  l'ha.  Te  lo  scrivo  su  basta  nu  pezzettinu,  dai  !  (mere.) 

-  guarda  comu  stau  cumbenata!  [come  sono  ridotta]  Perché  le  cozze 
sono  arrivate  e  nu  sta  tegnu  tiempu  [e  non  ho  tempo]  (pese.) 

E'  però  ben  presente  anche  la  commutazione  intrafrasale: 

-  nu  e* entra.  Lu  deodorante  è  il  tipo  grande  (prof.) 

-  io  colorati  questi  tegnu.  iti?  [vedi?]  (mere.) 
che  a  volte  si  intreccia  con  quella  interfrasale: 

-  ecco,  bravo,  bravo.  Vedi  come  si  ngarbatu.  Certe  fiate  me  capisci 
[...  sei  garbato.  A  volte  mi  capisci] 

-  più  doppie  te  Vaggiuffare  [te  le  devo  fare] 

sino  a  produrre  veri  e  propri  funambolismi,  come  questa  commutazione 
iterata  con  chiasmo: 

-  mo  viene  a  chiovere,  se  canti.  Se  canti  viene  a  chiovere  (mere.) 
Anche  qui  tuttavia  il  dato  più  rilevante  è  costituito  dalla  presenza  di 

alcuni  personaggi  fortemente  caratterizzati  per  la  loro  capacità  di  alterna- 
re italiano  e  dialetto  in  tutte  le  modalità  possibili,  giocando  su  più  registri 

^  Nei  due  frammenti  che  seguono  A  è  il  venditore,  B  il  cliente. 

337 


e  su  più  modalità  di  commutazione,  ed  esibendo,  nelle  battute  scherzose, 
competenze  insospettabili.  Il  titolare  della  merceria  canticchia  pezzetti  di 
romanza  e  produce  commutazioni  che  comprendono  escursioni  lessicali 
su  registro  decisamente  alto: 

B  -  questo  è  di  cotone,  no? 

A  -  tre  cerchi,  tre  cerchi,  quello  per  antonomasia  (mere.) 
e  duetta  piij  volte  con  una  cliente  che  esibisce  la  stessa  competenza  e  le 
stesse  doti: 

-  none,  lassa  stare.  Non  voglio  che  ti  distolgo  da  questo  sermone  ca 
hai  fatto  stammane.  Hai  fatto  nu  sermone  ca  mamma  mia... 
(mere.) 

Insieme  cooperano  alla  costruzione  di  testi  improvvisati  quasi-poetici, 
con  giochi  linguistici  e  artifici  retorici: 

-  qua  niente 

-  qua  non  ave,  non  ave.  ottave,  chiudi 

-  non  ave,  disse  quiddu 

dove  c'è  persino  un'ardimentosa  ricerca  della  rima  a  cavallo  dei  -  e,  direi, 
indipendentemente  dai  -  due  codici. 

I  due  scenari  che  abbiamo  scelto  come  rappresentativi  di  realtà  diver- 
se -  per  certi  versi  opposte  -  delineano  un  quadro  relativamente  chiaro 
del  processo  di  sostituzione  di  lingua  oggi  in  atto  nella  città,  all'interno 
del  dominio  'commercio'.  Si  profila  la  collocazione  dei  parlanti  su  un 
proficiency  continuum  che  all'estremo  più  innovativo  presenta: 

>  competenza  ridotta  del  dialetto  -  al  limite  del  semi-speaker  - 

>  prevalenza  di  italiano,  con  coloriture  più  o  meno  marcate  di  italia- 
no regionale  e  occasionali  di  italiano  popolare 

>  cambio  di  codice  prevalentemente  intrafrasale 

>  frequente  tag  switching 

>  condizione  di  neutralità  sociolinguistica,  con  scarsa  o  nulla  marca- 
tezza  sociolinguistica  dei  due  codici  in  gioco 

>  smooth  switching 

e  all'estremo  più  conservativo  presenta: 

>  codice  di  base:  il  dialetto 

>  inserti  di  italiano  regionale  per  lo  più  fortemente  dialettizzato,  e 
quasi  sempre  funzionali  sul  piano  conversazionale 

>  cambio  di  codice  prevalentemente  interfrasale 

>  presenza  significativa  di  cambi  intrafrasali 

>  persistente,  relativa  marcatezza  sociolinguistica  dei  codici  in  gioco. 
In  questi  esercizi  commerciali,  inoltre,  acquista  un  ruolo  forte  una 

338 


particolare  figura  di  parlante:  quello  che  nei  nostri  rilevamenti  si  identifi- 
ca con  il  titolare  dell'esercizio,  ma  anche  con  un  tipo  particolare  di  clien- 
te. Gestisce  con  grande  naturalezza  i  due  sistemi  linguistici,  applicando 
complesse  regole  pragmatiche  e  sociolinguistiche  di  smistamento  dei  co- 
dici, che  di  fatto  mettono  sullo  stesso  piano  la  lingua  e  il  dialetto,  privan- 
do così  sia  l'una  che  l'altro  dei  tradizionali  poteri  di  connotazione.  E'  uno 
'scambiatore  di  codici'  che  gestisce  un  super-codice,  è  particolarmente 
competente,  creativo,  imaginifico,  persino  carismatico.  La  sua  collocazio- 
ne sul  proficiency  continuum  è  difficile  da  definire  (perché  è  in  continuo 
movimento)  e  la  sua  funzione  nella  comunità  linguistica  (gregaria  o  di 
leadership?  conservativa  o  innovativa?  orientata  verso  quale  configura- 
zione sociolinguistica?)  è  da  studiare.  Di  sicuro,  però,  ritengo  che  a  que- 
sta tipologia  occorrerà  prestare  un'attenzione  particolare,  d'ora  in  avanti. 


339 


Bibliografia 

Albano  Leoni  F.  et  alii  2004,  (a  cura  di).  Il  parlato  italiano,  CD-ROM,  Napoli, 
M.  D'Auria  editore. 

Alfonzetti  A.,  2001,  Le  funzioni  del  code  switching  italiano-dialetto  nel  discorso 
dei  giovani,  in  "Bollettino  del  Centro  di  Studi  Filologici  e  Linguistici  Sicilia- 
ni", 19:  235-264. 

Berruto  G.,  1988,  Che  lingua  fa  oggi  in  Italia?  in  "Italiano  e  Oltre",  5:  246-249. 

Còveri  L.,  1996,  Dialetto  rock!  in  "Italiano  e  Oltre",  5:  134-142. 

Miglietta  A./Sobrero  A.  A.,  2004,  Quanto  sono  regionali  le  varianti  regionali, 
oggi?,  in  F.  Albano  Leoni  et  alii,  2004. 

Poplack  S.,  1980,  Sometimes  I  start  a  sentence  in  English  Y  TERMINO  EN 
ESPANOL:  toward  a  typology  of  code-switching,  in  "Linguistics",  18:  581- 
618. 

Sobrero  A.  A.,  2002,  Salento,  in  Sobrero  A.  A./Tempesta  I.,  2002:  71-206. 

Sobrero  A.  A.,  2003,  Nell'era  del  post-italiano,  in  "Italiano  e  Oltre",  5:  272-277. 

Sobrero  A.  A./Romanello  M.  T.,  1981,  L'italiano  come  si  parla  in  Salento,  Lec- 
ce, Milella. 

Sobrero  A.  A./Tempesta  I.,  2002,  Profili  linguistici  delle  regioni  -  Puglia,  Roma- 
Bari,  Laterza. 


340 


INDICE 


A  mo'  di  introduzione V^l 

Gaetano  Berruto  (Torino) 

Quelques  reflexions  sur  l'espace  et  l'interaction 

Françoise  Gadet  (Paris-X  Nanterre,  France) 

Nuovi  aspetti  della  relazione  italiano-dialetto  in  Ticino 

Bruno  Moretti  (Berna) 

Ipotetiche  libere  e  grammaticalizzazione  in  corso  nel  parlato 
Edoardo  Lombardi  Vallauri  (Roma  Tre) 

Il  contatto  linguistico:  aspetti  teorici  e  metodologici 

Mair  Parry  (Bristol) 

Quale  dialetto  per  l'Italia  del  Duemila?  Aspetti  dell'italianizza- 
zione e  risorgenze  dialettali  in  Piemonte  (e  altrove) 

Gaetano  Berruto  (Torino) 

Sulla  nozione  di  dialetto  italianizzato  in  morfologia:  il  caso  del 

piemontese 

Davide  Ricca  (Torino) 

Atteggiamenti  linguistici  e  valutazioni  dei  parlanti  in  Piemonte 
Sabina  Canobbio,  Monica  Cini,  Riccardo  Regis  (Torino) 

Routines  conversazionali  monolingui  e  mistilingui  in  Piemonte 
Silvia  Dal  Negro  (Vercelli) 

Dialetto  e  processi  di  italianizzazione  in  un  habitat  del  Sud  d'Italia 
Rosanna  Sornicola  (Università  di  Napoli  Federico  II) 

Osservazioni  sull'uso  e  la  conservazione  di  un  dialetto  locale 

Paola  Como  (Napoli) 


15 


31 


49 


77 


101 


129 


151 


173 


195 


243 


341 


Tra  lingua  e  dialetto:  affinità  e  discrepanze  nel  parlato  bilingue  e 
monolingue  dei  testi  di  alcuni  parlanti  di  area  flegrea pag.   265 

Emma  Milano  (Napoli) 

Percorsi  linguistici  tra  "limiti"  e  "risorse"  della  realtà  scolastica 

in  due  quartieri  napoletani "      289 

Daniela  Puolato  (Napoli) 

Lecce:  italiano  e  dialetto  dei  bambini,  fra  scuola  e  gioco "      311 

Annarita  Miglietta  (Lecce) 

Lecce:  italiano  e  dialetto  degli  adulti,  fra  lavoro  e  media "      325 

Alberto  A.  Sobrero  (Lecce) 


342 


SOCIOLINGUISTICA  E  DIALETTOLOGIA 

Collana  diretta  da  Alberto  A.  Sobrero 


Volumi  già  pubblicati 

1 .  Parlare  in  città.  Studi  di  sociolinguistica  urbana,  a  cura  di  Gabriella  Klein. 

2.  Norbert  Dittmar,  Variatio  delectat  (quosdam).  Le  basi  della  sociolinguistica. 

3.  Studi  di  sociolinguistica  e  dialettologia  offerti  a  Corrado  Grassi,  a  cura  di 
Gaetano  Berruto  e  Alberto  A.  Sobrero. 

4.  Alberto  A.  Sobrero  /  Maria  Teresa  Romanello  /  Immacolata  Tempesta, 
Lavorando  al  NADIR. 

5.  Giuseppe  Francescato  /  R\ola  Solari  Francescato,  Timau.  Tre  lingue  per 
un  paese. 

6.  La  città  nei  discorsi  e  nell'immaginario  giovanile.    Una  ricerca  socio-lingui- 
stica a  Napoli,  a  cura  di  Gabriella  Klein. 

7.  Camilla  Bettoni  /  Antonia  Rubino,  Emigrazione  e  comportamento  linguisti- 
co. Un  'indagine  sul  trilinguismo  dei  siciliani  e  dei  veneti  in  Australia. 

8.  Immacolata  Tempesta,  Pratiche  di  lingua  e  di  dialetto. 

9.  Annarita  Miglietta,  //  parlante  e  l'infinito.  Modalità  epistemica  e  deontica 
nel  mezzogiorno  fra  dialetto  e  italiano. 

10.  Lingua  e  dialetto  nell'Italia  del  duemila,  a  cura  di  Alberto  A.  Sobrero  e  Anna- 
rita Miglietta. 


Finito  di  stampare  per  conto  di  CONGEDO  EDITORE  -  GALATINA  (Le) 
nel  2006  da  EDIZIONI  PUGLIESI  -  MARTINA  FRANCA  (Ta) 


UNIVERSITY    OF    CALIFORNIA-LOS    ANGELES 


L  009  750  860  0 


University  of  California  Library 
Los  Angeles 

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ONUNE  RE-NEWAU 

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APRI  421 


Si  presentano  in  questo  volume  i  risultati  di  indagini  sociolinguistiche 
approfondite,  condotte  da  quattro  unità  di  ricerca  che  fanno  capo  ad  altret- 
tante sedi  universitarie  (Torino,  Roma,  Napoli,  Lecce)  sotto  la  guida  di 
Gaetano  Berruto,  con  lo  scopo  di  studiare  il  rapporto  attuale  fra  lingua  e 
dialetto  in  Italia,  tenendo  conto  di  realtà  spesso  molto  diverse  fra  loro: 
Nord,  Centro  e  Sud,  metropoli  e  centri  urbani  medi  e  piccoli,  città  e  cam- 
pagna ecc.  Quasi  una  fotografia  -  commentata  -  dell'Italia  linguistica  all'i- 
nizio del  terzo  millennio. 

Sono  stati  raccolti  e  analizzati  tipi  diversi  di  interazioni  e  produzioni 
verbali  in  dialetto  e  in  italiano  regionale:  ampie  interviste  strutturate  con- 
dotte con  campioni  rappresentativi  di  informatori  in  diverse  località 
(Napoli),  corpora  diversificati  (elicitati  e  non  elicitati)  rappresentanti  diver- 
se situazioni  di  interazione  di  impiego  del  dialetto  e  dell'italiano  regionale 
in  differenti  ambiti  (Torino  e  Lecce),  comprese  emittenti  radio  e  produzio- 
ni di  bambini  della  scuola  elementare  (Lecce),  catalogazione  e  analisi  -  sia 
sul  piano  teorico  che  su  quello  descrittivo  -  di  punti  strutturali  critici,  par- 
ticolarmente soggetti  alla  mutabilità,  nella  morfosintassi  della  lingua 
nazionale  (Roma). 

I  tre  ambienti  sociolinguistici  esaminati,  Torino  e  il  Piemonte,  Napoli  e 
il  napoletano,  il  Salento,  si  sono  rivelati  come  tre  tipi  emblematici  di  rap- 
porti di  convivenza  fra  lingua  e  dialetto  molto  diversi.  Nelle  tre  aree-cam- 
pione sono  differenti  i  tipi  di  continuum  italiano-dialetto,  è  diversa  la  vita- 
lità e  la  funzionalità  del  dialetto,  è  diversa  la  coscienza  identitaria.  Ne  risul- 
ta un'Italia  tutt'altro  che  omogenea,  qui  descritta  nella  sua  varietà,  nella 
sua  complessità,  nella  sua  articolazione  interna,  con  rigore  e  con  acuta  pro- 
blematicità. La  descrizione  di  tutte  queste  realtà  è  infine  inquadrata  -  in 
questo  volume  -  in  un  orizzonte  internazionale,  grazie  a  interventi  di  stu- 
diosi francesi  e  svizzeri,  che  rimandano  alle  rispettive  problematiche  socio- 
linguistiche. 

Un  quadro  finalmente  non  convenzionale,  problematico  e  aggiornato 
del  rapporto  lingua-dialetto  in  Italia,  oggi.  - 


In  copertina:  ISBN  8880867024     g 

L'Italia  nell'incisione  di  Antonio  Zatta  II  II  llll  II  li  II  II  llllll 

stampata  a  Venezia  nel  1782. 


788880"867029 


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